Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
16 November 2008
Rassegna quotidiani locali
A cura dell'Ufficio Stampa
1 – L’Unione Sarda
Pagina 23 - Cagliari
L'Onda. Dopo i cortei, notte bianca, fiaccolata, lezioni nelle strade: la protesta contro i tagli non si ferma, anzi rilancia
«La riforma? Ora la facciamo noi»
Studenti cagliaritani a Roma per ridisegnare l'università  
In cinquanta sono partiti da Cagliari nella Capitale per il corteo nazionale di venerdì: tre sono rimasti lì per scrivere, con i colleghi di tutta Italia, il «Manifesto per l'autoriforma» da presentare al Governo
 
Stanchi di protestare? Nemmeno un po'. Non soltanto gli studenti universitari cagliaritani hanno riempito strade e piazze di Cagliari per tre volte nel giro di due settimane, ma hanno anche inviato una delegazione a Roma: cinquanta ragazzi, armati di striscioni, bandiera dei Quattro mori quattro metri per quattro, cui nel bel mezzo del corteo che ha attraversato la Capitale si sono aggiunti un'altra settantina di colleghi sardi che frequentano atenei della Penisola. Una pattuglia colorata, rumorosa, che ha preso parte alla manifestazione in maniera assolutamente pacifica. Dei 50 partiti, ne sono già rientrati 47: gli altri tre sono rimasti a Roma per partecipare, alla Sapienza, all'assemblea interateneo che sta stendendo un «manifesto per l'autoriforma». Tre delegati per ciascun ateneo d'Italia, e l'obiettivo di mettere nero su bianco le loro proposte al Governo per cambiare il sistema universitario.
SI RICOMINCIA Nel frattempo, a Cagliari, da domani si ricomincia: assemblee nelle aule occupate delle varie Facoltà, lezioni nelle strade e nelle piazze della città e la partecipazione allo sciopero generale indetto dalla Cgil senza gli altri due sindacati maggiori, ma anche “incursioni” pacifiche e creative negli eventi pubblici come l'European Jazz Expò in corso alla Fiera campionaria o al Festival della scienza ospitato fino al 30 novembre all'Exmà. E non è tutto: ancora da fissare sul calendario ci sono una notte bianca nella Facoltà di Lettere e una fiaccolata per le strade cittadine. Il tutto sempre sotto il segno della non violenza e del rifiuto di provocazioni e strumentalizzazioni. A metà novembre, col tempo che passa, gli esami da fare e le sessioni di laurea da rispettare, la spinta non si è esaurita.
FRONTE COMUNE Finora i docenti sono stati dalla loro parte, e molti hanno partecipato anche all'ultimo corteo: fronte unico contro i tagli previsti dalla legge 133 dell'estate scorsa, 1.445 milioni di euro nei prossimi cinque anni. Il decreto 180, varato la settimana scorsa e in questi giorni all'esame delle Camere, non ha modificato la situazione: l'ammorbidimento del blocco del turnover (che passerebbe dall'una assunzione ogni cinque pensionamenti all'una assunzione ogni due pensionamenti ma solo per gli atenei in cui la spesa per gli stipendi sia inferiore al 90 per cento del finanziamento ministeriale) e le nuove regole per la formazione dei collegi di valutazione per i concorsi (con i quattro membri esterni estratti a sorte in una rosa di dodici) non rappresentano, secondo il fronte della protesta, novità tali da modificare l'agenda. Sulla stessa linea la Cgil: «Serve lo sblocco del reclutamento con la cancellazione dei tagli del finanziamento».
LE APERTURE AL DIALOGO Né l'Onda accenna a volersi fare arginare dall'invito al dialogo formalizzato ieri dal ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini. «Non basta qualche primo segnale di un mutamento di vento a bloccare una protesta che non ha precedenti in anni recenti», commenta uno dei protagonisti della missione romana, anonimo perché fin dall'inizio, a Cagliari, il movimento di protesta ha rifiutato di accreditare chiunque come portavoce. «Non basta modificare alcuni elementi marginali di quello che appare un disegno organico di privatizzazione dell'istruzione. E lo stesso ministro che ora chiede il dialogo è quello che ha dichiarato intangibile la 133».
LA PROPOSTA Gli studenti, insomma, sono pronti a tirare dritto. Con i prof, finché ci stanno: «Finora la protesta è stata comune perché i tagli colpiscono l'università nella sua completezza. Ma non siamo stupidi: sappiamo che i nostri interessi non coincidono con quelli dei baroni. E non abbiamo mai detto che intendiamo difendere l'università così com'è». Cioè con i suoi corsi di laurea da un paio di iscritti, i prof vecchi e imparentati fra loro che non fanno ricevimento studenti, le aule fatiscenti. Il movimento studentesco, insomma, ha preso coscienza della sua forza. E a questo punto reclama il diritto a dire la sua su come dovrebbe diventare l'università italiana, pronto a discutere di come razionalizzare la spesa. A un patto: che prima vengano azzerati i tagli.
MARCO NOCE

 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Fatto del giorno
All’Università italiana malata servono più fondi ma anche maggiore qualità 
Un progetto che indirizzi il nostro Paese verso quel traguardo di società basata sulla conoscenza annunciato a Lisbona ormai otto anni fa 
di Raffale Paci * 
 
Alla protesta (che condivido pienamente) contro i tagli delle risorse all’università decisi dal governo si sta giustamente affiancando un serrato dibattito sulle linee di riforma del sistema universitario italiano. Vi è ormai una consapevolezza diffusa che senza una riforma radicale dei meccanismi di funzionamento dell’università il nostro paese rischia di rimanere irrimediabilmente escluso da quella società della conoscenza che rappresenta l’unica concreta prospettiva di sviluppo per le economie europee. I dati sul declino dell’Italia nel campo della ricerca e dell’alta formazione sono allarmanti e sono stati più volte evidenziati: finanziamenti inferiori alla media europea, scarsa competitività internazionale, pochi laureati, molti abbandoni, anzianità del corpo docente. Insomma una situazione da allarme rosso che richiederebbe cure immediate quali l’aumento delle risorse disponibili e concrete opportunità di inserimento per i giovani ricercatori. Tuttavia molti commentatori, non a torto, avanzano il timore che le risorse e i nuovi concorsi possano essere utilizzati secondo le logiche perverse dei baroni e del nepotismo generando così ulteriore inefficienza.
 L’università italiana non gode di buona fama. Riconosciamolo. Finiamo troppo spesso sui giornali per le pratiche di clientelismo piuttosto che per i successi nell’attività scientifica o per la buona didattica. Allo stesso tempo chi lavora dentro l’università sa bene che ci sono tante persone e gruppi di ricerca di alto livello che non sfigurano certo nei confronti internazionali. Insomma quello che ci manca non sono le intelligenze e le capacità. Ciò che è veramente carente in Italia è il disegno istituzionale, il modello organizzativo, i meccanismi di funzionamento.
 Non esiste oggi in Italia un sistema credibile di valutazione e, soprattutto, di premialità. Consideriamo il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) per il sistema universitario nazionale che viene ripartito annualmente in base alla consistenza storica del personale universitario strutturato. Ebbene nel 2008 solo 160 milioni di euro (pari al 2,2% del totale di 7,3 miliardi di euro di FFO) sono stati attribuiti sulla base dei criteri di valutazione dei risultati dei processi formativi e dell’attività di ricerca scientifica (la tabella completa si trova sul sito insardegna.eu). Inoltre i criteri di valutazione sono tali che la distribuzione della premialità tra gli atenei si discosta solo di poco da quella del FFO, rendendo così quasi inefficace l’incentivo quando che le risorse destinate alla premialità sono così risibili. L’ateneo di Cagliari, ad esempio, pesa per 1.9% sull’FFO totale, mentre in termini di valutazione dei risultati pesa 1.68% evidenziando così una condizione poco virtuosa che ci fa «perdere» però solo 300 mila euro (differenza tra peso di FFO e peso di premialità). Pensiamo tuttavia a cosa avverrebbe se le assegnazioni sulla base di criteri di premialità fossero il 30% del totale. In questo scenario le risorse che perderebbe un ateneo meno efficiente ammonterebbero a circa 5 milioni di euro. Una cifra molto alta che metterebbe subito in crisi gli equilibri di bilancio rappresentando quindi un forte incentivo al miglioramento dei risultati.
 Come uscire quindi da questo circolo vizioso di inefficienza, risorse scarse, mancanza di competitività? Cosa fare per cercare di dotare anche il nostro paese di una moderna università che si occupi con rigore ed efficienza della ricerca scientifica e dell’alta formazione?
 Esiste una sola strada percorribile. Costruire un sistema decentrato di autonomia responsabile basato su un meccanismo di incentivi che premi i singoli individui e i gruppi sulla base di una adeguata valutazione dei risultati raggiunti nella ricerca scientifica e nella didattica.
 Questo sistema funziona solo se è decentrato. In altri termini non basta premiare le università virtuose se poi queste, al loro interno, non distribuiscono le risorse con analoghi criteri di premialità. Il singolo docente deve trovare convenienza ad operare scelte di qualità (nel reclutamento, nell’attività scientifica, in quella didattica e gestionale) perché consapevole che solo operando scelte virtuose potrà avere benefici diretti in termini di retribuzione, fondi di ricerca, accesso ad attrezzature, laboratori, biblioteche. Allo stesso tempo la struttura organizzativa decentrata, all’interno della quale il singolo docente è inserito, deve condividere la stessa responsabilità (in termini di finanziamenti, infrastrutture, nuovo personale) in modo tale che si formi un meccanismo di controllo e condivisione di responsabilità che stimoli la qualità e favorisca comportamenti virtuosi.
 Un segnale di ottimismo giunge dalla lettura dei documenti programmatici per l’università resi noti di recente dal governo e dal Partito democratico. Entrambi i documenti basano il processo di rinnovamento dell’università sui principi della responsabilità, dell’efficienza, della valutazione, della premialità e dell’apertura internazionale. Sui dettagli dei meccanismi di attuazione si deve ancora discutere, cercare soluzioni in comune ed anche distinguersi e dividersi. Ma l’importante è che vi sia una visione condivisa nel paese sugli indirizzi generali e sulla necessità di voltare pagina e costruire un progetto di riforma del sistema universitario che finalmente indirizzi anche l’Italia verso quel traguardo di società basata sulla conoscenza solennemente annunciato a Lisbona ormai otto anni fa.
 Questa è la sfida che ci aspetta nei prossimi mesi ed è importante che questo dibattito generale sul futuro dell’università pubblica italiana si leghi strettamente con quello locale che si è aperto in vista del rinnovo della carica di Rettore che impegnerà nella prossima primavera i due Atenei della Sardegna.
* Università di Cagliari Dal sito www.insardegna.eu
 
 

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