Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 August 2008
Rassegna quotidiani locali
 
L’UNIONE SARDA
1 - I forzati dell’estate, un editoriale di Giampaolo Mele
 
LA NUOVA SARDEGNA

 

 
1 – L’Unione Sarda
Prima pagina
I forzati dell’estate
Vacanze intelligenti? No, vacanze-anguria
di Giampaolo Mele  
 
Vi ricordate le vacanze intelligenti? Erano di moda qualche anno fa. Una specie di via di mezzo tra le vacanze nazional-popolari e quelle di élite. Gli ingredienti originari erano sempre, più o meno, gli stessi. Mostre sfiziose, festival musicali chic, ristorantini alternativi, da scoprire anche in remote periferie. Era una sana ventata di novità. Oggi, quei pionieristici itinerari culturali sono ben consolidati, col rischio, persino, di trasformarsi in stressanti tour de force. La verità è che le vacanze intelligenti non sono mai esistite. Le vacanze o sono vere vacanze - quando cioè ci si rilassa, con gratificazione fisica e culturale - oppure sono altre cose. Tipo viaggi da incubo. O mera ostentazione sociale. Vediamo allora, tra il serio e il faceto, alcune categorie di vacanze, più o meno in auge.
Vacanze-Olimpiadi. Sono la occasione per un salto in Cina, grande, vitalissima nazione, ma anche stato repressivo, senza libertà di stampa, negatore dei diritti del Tibet e, paradossalmente, il paese più comunista e più capitalista del pianeta (con altri record mondiali, quali le esecuzioni capitali).
Vacanze-anguria. Sono demodé, ma hanno simboleggiato fette d’Italia, dalle spiagge di Ostia a Giorgino, dove il prezioso frutto si metteva al fresco in un fosso scavato nella battigia. Un mondo in bianco e nero: il «furbetto del quartierino» non era ancora un banchiere fraudolento.
Vacanze veneziane decadenti. Quelle si trovano solo nel capolavoro Morte a Venezia di Visconti, con musica di Mahler, quando nel lido si fondono epidemia e bellezza.
Vacanze in casa? Deliziose; se i ragazzini ricevono comunque la giusta razione di iodio.
Vacanze-lavoro. Sono quelle di chi sgobba anche d’estate. Da non confondere con le vacanze «di lavoro» (si fa per dire) di dive, vallette e faccendieri. Ma la rassegna continua.
Vacanze brivido. Tipo: «La mia prima esperienza nel Sahara». Da consigliare, mentendo spudoratamente sulla loro sicurezza, al capo condomino.
Vacanze-filmino esotico. Sono i viaggi organizzati, magari sul Nilo, con possibilità di avventure con sconosciuti personaggi, da giallo di Agatha Christie (e quindi tuoi possibili assassini).
Vacanze-bricolage. Devi andare al mare perché hai una casa, e bisognerà pur dipingere la staccionata.
Vacanze «amo la città deserta». Sembrano originali, ma poi nel viale sfrecciano ugualmente diverse macchine (più veloci del solito) e nell’unica trattoria aperta c’è l’imprevisto imponderabile: l’odiato vicino di casa, che ha avuto la tua stessa idea originale.
Le vacanze sono talvolta più stressanti del lavoro. Spesso una fiera di maleducazione, e prepotenze, a tutti i livelli sociali. Ma si può reagire positivamente. La ricetta è scontata, ma funziona. Cercare di stare bene con se stessi, ridere con un amico. Ri-crearsi. Godersi una chiesa, un libro, o musica, anche un articolo scientifico, con quella calma che la routine non sempre consente. Scoprire la sobria ebrietà della lentezza, per rivalutare poi, d’inverno, l’importanza della velocità (ben diversa dalla fretta). Dare insomma un senso alle vacanze, come al lavoro (quando si ha la fortuna di averne uno). Senza dimenticare, nell’ozio, che non siamo soli nel mondo, e oltre al martoriato Tibet, nel globo ci sono miriadi di altri drammi politici e miserie vergognose. «Lavorare stanca», diceva Cesare Pavese. Ma, in certi casi, le vacanze sono più faticose, e soprattutto inutili.
2 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari Pagina 29
Impianto montato al contrario
Il bocchettone dell’anticendio era fuori uso
Sassari. Le fiamme alle Cliniche universitarie si sarebbero potute spegnere in pochi minuti
 
Quel bocchettone, chiamato tecnicamente stacco, è vecchio e a suo tempo è stato montato in maniera irregolare: impossibile per i vigili del fuoco attaccarci la motopompa per avviare l’impianto antincendio e allagare dall’interno la lavanderia.
Due inneschi e un impianto antincendio fuori uso. Le fiamme che sabato notte a Sassari hanno devastato le lavanderie delle cliniche universitarie, costringendo all’evacuazione del reparto Rianimazione, potevano essere domate in pochi minuti. Solo che l’impianto antincendio delle lavanderie, rinnovato qualche anno fa, era inutilizzabile. Colpa del collettore a parete esterno, piazzato proprio davanti all’ingresso dei locali lavanderia e destinato all’attacco delle motopompe dei vigili del fuoco. Quel bocchettone, chiamato tecnicamente stacco, è vecchio e a suo tempo è stato montato in maniera irregolare: impossibile per i vigili del fuoco attaccarci la motopompa per avviare l’impianto antincendio e allagare dall’interno la lavanderia. L’amministrazione delle cliniche lo sapeva benissimo, tanto che da mesi era stata prevista la sostituzione del gruppo di attacco. Senza quello stacco perfettamente in regola, l’impianto antincendio costruito a difesa della lavanderia e dell’intero seminterrato di palazzo Clemente, è inutile. L’impianto è del tipo a estinzione manuale a idranti: permette, operando manualmente, di controllare un incendio nelle sue fasi iniziali aggredendolo in maniera tempestiva, scaricando una pioggia di acqua sull’area interessata dalle fiamme. Questo grazie a un sistema di tubazioni collegate alla rete idrica municipale e tenute sempre in pressione, pronte a scaricare l’acqua da apposite bocchette d’uscita e spegnere così l’incendio. L’impianto non rileva da sé le fiamme o il fumo: per entrare in funzione è necessario l’avvio manuale. Ad azionarlo sono i vigili del fuoco, che collegando una motopompa allo stacco esterno imprimono pressione alla rete e fanno aprire le bocchette per la fuoriuscita dell’acqua. Tutte procedure che sabato notte i vigili del fuoco non hanno potuto attivare. Quando sono arrivati alle cliniche universitarie, il fuoco e il fumo aveva solo in parte aggredito i locali della lavanderia, mettendo a rischio tutto l’edificio. Le motopompe non sono state attaccate all’impianto antincendio, sarebbe stato inutile. I pompieri hanno dovuto agire dall’esterno, sfondando porte e finestre e servendosi delle proprie manichette per domare le fiamme. Hanno lottato per sei ore prima di tirare un sospiro di sollievo. Nel seminterrato delle cliniche sono custodite numerose bombole del gas e il rischio di esplosioni era sempre in agguato. Intanto il fuoco aveva messo fuori uso il quadro elettrico facendo mancare l’energia in gran parte della struttura. Il gruppo di continuità ha garantito la corrente per un’ora. Il reparto di Rianimazione, due piani sopra le lavanderie, è stato evacuato per due motivi: il pericolo di stop dei macchinari salvavita per i pazienti (è stato azionato un gruppo elettrogeno alimentato a benzina) e il fumo che avanzava minacciando di invadere le stanze. Le quattro persone che si trovavano ricoverate sono state trasferite all’ospedale civile Santissima Annunziata.
VINCENZO GAROFALO 
3 – L’Unione Sarda
Pagina 9 - Cultura
L’uomo in Europa 1,2 milioni di anni fa
Il professor Manzi: «Partito dall’Africa, attraversò la Georgia oggi in guerra»  
GIANCARLO GHIRRA
 
Orosei. I primi migranti dall’Africa verso l’Europa arrivarono nel Vecchio Continente almeno un milione e duecentomila anni fa. Ma forse anche prima: sono in corso ricerche e studi a Pirro, vicino ad Apricena, in Puglia, che potrebbero spostare a un milione e cinquecentomila anni fa l’arrivo dei primi appartenenti al genere Homo .
Se si pensa che sino al 1994 si supponeva che i primi extraeuropei fossero approdati dalle nostre parti soltanto 500 mila anni fa, si capisce che siamo in presenza di novità sorprendenti.
SERATE DI OROSEI A parlarne alle Serate di Orosei davanti a un pubblico attentissimo è stato il professor Giorgio Manzi, docente di Paleoantropologia all’Università La Sapienza di Roma. E attraverso le parole di questo studioso cinquantenne per niente paludato e dal linguaggio accessibile al grande pubblico, anche la Georgia, lo sfortunato paese caucasico al centro in questi giorni di un conflitto armato con la Russia, è entrata di prepotenza sulla scena di Orosei.
Non soltanto perché quando i carri armati di Vladimir Putin hanno invaso il Paese dove nacque Stalin era presente in Georgia una delegazione di paleontologi guidata da Lorenzo Rook, docente dall’Università di Firenze che sarà qui a Orosei il 23 e il 24 agosto.
PASSAGGIO IN GEORGIA Ma anche e soprattutto perché a Dmanisi, località sul versante meridionale del Caucaso a meno di cento chilometri dalla capitale Tblisi, sono stati trovati resti fossili (a partire da una mandibola umana, seguita successivamente da diversi crani) che testimoniano la presenza di ominidi ben un milione e ottocentomila anni fa.
Provenienti dall’Africa, quegli antichi rappresentanti del genere Homo passarono per le strade dove oggi girano i carri armati, arrivando poi nel Vecchio Continente. Intendiamoci, non si tratta di Homo sapiens , l’uomo moderno appartenente alla nostra stessa specie che colonizzò l’Europa trentamila anni fa distruggendo l’uomo di Neanderthal che viveva nel Continente da trecentomila anni fa. «Si tratta comunque - spiega il professor Manzi - di appartenenti al genere Homo , comparso in Africa 2,6 milioni di anni fa, e poi protagonista di una straordinaria diffusione geografica verso l’Asia e verso l’Europa. Raggiunse l’isola di Giava forse anche prima di 1,5 milioni di anni fa e infine si spostò in Europa».
I PRIMI EUROPEI Eccoci dunque sulle tracce dei primi europei. «Nel marzo di quest’anno - racconta Giorgio Manzi - un gruppo di ricercatori spagnoli ha riferito su Nature dell’ennesimo ritrovamento nel sito de La Sima del Elefante nella Serra di Atapuerca, nei pressi di Burgos. In uno strato datato 1,2 milioni di anni sono stati ritrovati una serie di fossili di cui il più importante è una mandibola con caratteristiche piuttosto arcaiche, abbastanza vicine ai primi Homo africani e assegnata a una nuova specie, Homo antecessor . Si tratta con certezza del più antico fossile europeo oggi disponibile. Gli studiosi spagnoli sostengono che l’ Homo antecessor potrebbe rappresentare l’ultimo antenato comune prima della divergenza fra Homo neanderthalensis e Homo sapiens ».
Ovviamente, si tratta di ipotesi tutte da dimostrare all’interno di una scienza in continua evoluzione. Sicuramente - secondo il professor Manzi - il genere Homo compare in Africa 2,6 milioni di anni fa e si rende protagonista di una inedita diffusione geografica: colonizza la parte orientale del vecchio continente e si espande a Oriente dove arriva addirittura nell’isola di Giava forse più di 1,5 milioni di anni fa. «Tutto ciò - precisa il ricercatore - nonostante la non eccelsa capacità di produrre manufatti elaborati (ad esempio strumenti litici) e in presenza di una modesta encefalizzazione: quegli uomini avevano un cranio molto piccolo».
LE DATE DEL VIAGGIO I più antichi fossili europei che abbiamo a disposizione sembrano confermare che la migrazione africana si è diretta verso Oriente, raggiungendo il Caucaso e il Sud Est asiatico e che solo successivamente un secondo flusso migratorio, forse seguendo le sponde del Mar Nero, si è diretto in Europa continentale. Quando avvenne questa migrazione? Sino al 1994 il più antico fossile conosciuto, una mandibola ritrovata in Germania, vicino ad Heidelberg, aveva fatto datare a cinquecentomila anni fa l’arrivo dei primi uomini, chiamati appunto Homo heidelbergensis .
L’UOMO DI CEPRANO Ora il quadro sta cambiando vertiginosamente, anche per merito di uno studioso sardo, Italo Biddittu, direttore del Museo preistorico di Pofi, in provincia di Frosinone, che quattordici anni fa ha scoperto a Ceprano, nel Lazio meridionale, un cranio databile 800 - 900 mila anni fa. «Se da un lato non si era mai visto un ominide così arcaico in Europa - spiega Manzi - dall’altro l’uomo di Ceprano mostra chiari segni di progressione verso l’umanità del periodo successivo, quella che a sua volta darà origine all’uomo di Neanderthal in Europa, e alla specie umana moderna, ovvero all’ Homo sapiens in Africa: l’uomo che poi colonizzerà il Vecchio Continente distruggendo sino all’estinzione i neanderthaliani».
I MERITI DI BIDDITTU Il professore di Paleontologia della Sapienza non lesina l’apprezzamento per la scoperta di Biddittu. «Si tratta - dice - di un reperto davvero unico, enigmatico e importantissimo, in quanto rappresenta l’anello di congiunzione fra un’umanità più arcaica (da alcuni specialisti riunita nella specie Homo erectus ) e una più derivata, da molti chiama oggi Homo heidelbergensis . Di certo il cranio di Ceprano è uno fra ai più importanti fossili umani mai scoperti nel territorio europeo».
In attesa della conclusione delle ricerche in Italia il notevole numero di fossili trovati ad Atapuerca in successive campagne di scavo conferma «il fatto che il più antico popolamento europeo non è dovuto a ominidi provvisti di quel formidabile adattamento da noi chiamato “cultura”. La migrazione verso ovest - conclude Manzi - nasce probabilmente dal fatto che quegli uomini furono spinti da particolari condizioni geografiche e ambientali, e, forse, dalle necessità legate alla ricerca di una dieta ricca di proteine nobili (soprattutto carne) che richiede un ampio territorio di caccia».
In realtà l’attesa della comunità scientifica è ora tutta concentrata sugli scavi in corso ancora una volta a Ceprano e soprattutto a Pirro, in Puglia, dove sono stati rinvenuti resti di animali che sembrerebbero risalire a oltre un milione e cinquecentomila anni fa: una nuova rivoluzione, ovviamente se sarà confermata.
 
A Perfugas
Sinora le tracce più antiche a Oliena nella grotta Corbeddu
E in Sardegna pietre lavorate nel Paleolitico
   
Orosei. La presenza umana in Sardegna era ritenuta piuttosto recente. Ciò perché al fossile più antico ritrovato nell’Isola (una falange umana) è stata attribuita un’età di ventiduemila anni. La falange venne ritrovato nella Valle del Lanaitto, in territorio di Oliena, in una grotta chiamata Corbeddu dal nome del bandito che per trent’anni vi aveva vissuto da latitante prima di morire in un conflitto a fuoco.
Gli studi più recenti vanno rivoluzionando le antiche certezze, e la presenza umana viene fatta risalire al Paleolitico inferiore: sono state infatti ritrovate in alcune località in provincia di Sassari pietre lavorate risalenti a ben cinquecentomila anni fa. I luoghi dei ritrovamenti sono Perfugas e Laerru, come ha spiegato alle Serate di Orosei l’archeologo Mario Sanges, della Soprintendenza di Nuoro e Sassari: per l’esattezza i reperti più antichi si trovano lungo il corso del Rio Altana, i secondi a Sa coa de Sa Multa , entrambi in Anglona.«Ma certo non ci si può fermare qui. Una serie di straordinarie scoperte riguardanti la geomorfologia, la paleontologia, la paleobotanica, la paleoantropologia e l’archeologia preistorica - spiega il dottor Sanges - hanno profondamente mutato, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, il quadro conoscitivo della colonizzazione della Sardegna».
Ecco dunque l’archeologo raccontare come nel corso dei millenni il Tirreno abbia subito importanti modificazioni: la Sardegna e la Corsica erano unite, e poco distanti dall’arcipelago toscano (che allora era un penisola) e ciò ha consentito l’arrivo di animali dalla terraferma, lontana appena cinque chilometri. «Negli ultimi anni le teorie che vedevano la Sardegna colonizzata dall’uomo solo a partire dal Neolitico Antico sono profondamente mutate. Quanto alla falange ritrovata nella Grotta Corbeddu, il più antico fossile umano dell’isola e dell’ambiente insulare mediterraneo, non sembra avere, secondo recenti studi, le caratteristiche degli individui “anatomicamente moderni”, come ci si aspetterebbe dalla sua datazione, ma semmai di ominidi “arcaici”. Se questa interpretazione fosse confermata, si aprirebbe una finestra inedita sui primi processi di popolamento in Sardegna».
G. G.

 

 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 14 - Sassari
«L’edificio è un colabrodo, non c’è sicurezza» 
I sindacati contestano il sistema di vigilanza e attaccano l’Azienda mista 
Critiche all’attuale dirigenza e alla Regione che non ha disposto le nuove nomine: sciopero a settembre 
di Silvia Sanna 
 
 SASSARI. Quando il primo piano di un ospedale si trasforma in un bar per nottambuli, vuol dire che qualcosa non va. L’ingresso è libero, in Ostetricia e ginecologia: nessun guardiano, niente telecamere per spiare chi manda giù caffè e merendine. Davanti ai distributori automatici ecco prostitute e clienti in calo di zuccheri, clochardes e facce poco raccomandabili. Il personale si barrica nei reparti, i pazienti la mattina fanno la conta dei furti dagli armadi. C’è un responsabile, dicono i sindacati. È la dirigenza dell’Azienda mista, che «se ne infischia della sicurezza. Le strutture sanitarie sono un colabrodo, l’incendio di sabato lo dimostra».
 Da sei mesi il dialogo è zero. La comunicazione tra sigle sindacali e vertici dell’Azienda mista è entrata in cortocircuito non appena si è scoperto che David Harris non poteva sedere sulla poltrona più importante. Oggi quel posto è ancora vacante e Cgil, Cisl e Uil sono pronti a manifestare in viale San Pietro: «Denunceremo la situazione al collasso, il malessere del personale, l’organizzazione del lavoro che fa acqua». E punteranno il dito contro «l’apparato di vigilanza insufficiente, l’assenza di sorveglianza nelle ore notturne, la mancata nomina di un responsabile della sicurezza dei lavoratori». Dice Giovanna Zirattu, segretaria generale Cisl-Fp (federazione pubblici dipendenti): «Chiunque può entrare nelle cliniche di viale San Pietro. Agli ingressi principali ci sono le telecamere, ma è facile sgusciare all’interno di quelli secondari. L’incendio di sabato, forse, poteva essere evitato: sarebbe bastato chiudere tutte le porte». I sindacalisti pensano a un atto vandalico o al gesto di un folle. Non danno peso all’ipotesi della vendetta, ma non nascondono che tra i reparti il malumore del personale è da tempo alle stelle. In chirurgia come da altre parti.
 Ieri mattina, Giovanna Zirattu ha presentato una segnalazione sulla situazione della clinica di Ostetricia e ginecologia. Fino all’anno scorso, due portinai facevano la guardia all’ingresso 24 ore su 24. Chi varcava la soglia di notte, veniva scannerizzato dal loro sguardo vigile. Con la nascita dell’Azienda mista, la Asl ha dirottato i due portinai da altre parti. Ma in Ostetricia nessuno li ha sostituiti. «Intorno a mezzanotte inizia il via vai - dice l’esponente della Cisl -, l’androne si trasforma in una specie di circolo ricreativo. Prostitute, clienti e sfruttatori bevono caffè e bibite ai distributori, fanno chiasso, sporcano. Una rampa di scale più su ci sono i pazienti ricoverati, i medici e gli infermieri: hanno paura, stanno chiusi nei reparti». Spesso però qualcuno riesce a infilarsi nelle stanze: «I furti ultimamente sono aumentati. Dagli armadi hanno preso il largo denaro, borse, oggetti personali. La gente si lamenta, noi ci troviamo di fronte a un muro, perchè non abbiamo interlocutori. I dirigenti nominati dalla Regione sono ballerini da un pezzo, ma sembra un’impresa impossibile affidare gli incarichi a chi possiede i giusti requisiti». E non è solo una questione di titoli accademici. I sindacalisti sottolineano un tipo di approccio molto burocratico e poco pratico in un settore delicato come quello sanitario. Pinuccia Sanna, segretaria della Uil, parla di obiettivo fallito. «L’Azienda mista è nata per affiancare l’assistenza sanitaria alla ricerca in campo medico. Dopo un anno, la sinergia è inesistente e ci sono problemi gravissimi irrisolti. L’apparato gestionale è un disastro e impedisce anche di affrontare imprevisti elementari». Succede così che quando si rompe la maniglia della porta di un bagno in Pediatria, bisogna chiedere un preventivo a diverse ditte per scegliere quello più conveniente. Per sostituire le tapparelle rotte in Ostetricia, invece, è necessario fare addirittura una gara. Nel frattempo i pazienti la gara la ingaggiano contro il sole che batte a picco, e tappezzano di cartoni le finestre. Pierpaolo Spanedda, segretario della Cgil sanità, guarda sconsolato la barca che affonda. «L’azienda ospedaliera universitaria è allo sbando. Con Gianni Cherchi il dialogo era buono, lui aveva belle idee, conosceva alla perfezione il sistema e sapeva come muoversi. Con la sua scomparsa, tutto si è fermato. Noi non facciamo contrattazione da sei mesi, il personale è esasperato. Abbiamo scritto più volte all’assessore Nerina Dirindin sollecitando la nomina del nuovo direttore generale. Da lei non arrivano segnali, mentre va avanti il tira e molla tra la Regione e l’Università, alla ricerca dell’uomo giusto. Non possiamo avviare un dialogo con gli attuali dirigenti - aggiunge Pierpaolo Spanedda -, perchè i loro incarichi sono in bilico. Ma i lavoratori non possono aspettare ancora. A un anno dalla nascita, l’Azienda mista fa i conti con un’emorragia devastante: 150 dipendenti che vogliono tornare alla Asl, medici e infermieri chiedono di rientrare in un porto sicuro». Che non sarà il paradiso ma almeno garantisce sei responsabili della sicurezza (uno per sigla sindacale) e occhi vigili all’ingresso delle strutture sanitarie.
 

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