Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
12 July 2008
Rassegna stampa a cura dell’Ufficio stampa e web
Segnalati 4 articoli de L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna
 
1 – L’Unione Sarda
Prov Medio Camp Pagina 25
Tesi di laurea sulla Laveria Brassey
Montevecchio
 
Su iniziativa del parco Geominerario, mercoledì alle 18, nell’ex mensa degli impiegati, sarà presentata la tesi di laurea dell’ingegnere Simona Saba "Riqualificazione della laveria Brassey tra opportunità e rischi". Oltre all’autrice interverranno il sindaco di Arbus, Raimondo Angius, e quello di Guspini, Francesco Marras, Franco Saba, Luciano Ottelli, Giampietro Pinna e Renzo Pasci del Parco Geominerario e la docente Ginevra Balletto. (g.p.p.)
 
2 – L’Unione Sarda
Cultura Estate Pagina 7
Per gli archeologi Zucca, Stiglitz, Usai e Antona i segni non sono un mistero
I nuragici scrittori? «Nessuna prova»
CARLO FIGARI
 
Oristano. «Sino a prova contraria i nuragici non scrivevano e non utilizzavano la scrittura per comunicare. Altro discorso è l’acquisizione di segni e alfabeti di provenienza esterna e pensare che qualcuno li conoscesse e li sapesse usare. Esempio lampante le ceramiche nuragiche dell’ottavo secolo trovate da Valentina Porcheddu in un antico "emporio" a Villanova Monteleone con incisi, prima della cottura, segni alfabetici fenici e greci». Raimondo Zucca, tra i più autorevoli archeologi della generazione che ha raccolto la pesante eredità di Giovanni Lilliu, osserva dall’esterno l’acceso dibattito sulla scrittura nuragica. A riattivare un confronto che si trascina da anni è stato il blog del giornalista Gianfranco Pintore, sempre attento a segnalare novità sui grandi temi del sardismo e dell’archeologia. L’esistenza o meno di un alfabeto nuragico è uno di quelli che appassionano di più. Anche con toni, spesso, oltre le righe. Ma nel mondo dell’archeologia si muovono personaggi di ogni genere, dai compassati studiosi ai sanguigni aedi paladini di una civiltà mitica e autoctona. Ed ecco il dibattito sui ritrovamenti - veri o presunti, dipende da che parte li si vuol vedere - delle prime iscrizioni nuragiche: le tavolette bronzee di Tziricotu (Cabras), l’anello-sigillo di su Pallosu (San Vero Milis), i segni sulla pietra di una capanna a Pedru Pes (Paulilatino) e un’iscrizione su un blocco di un muretto nella campagna di Abbasanta (nuraghe Pitzinnu). Il padre degli studi sulla civiltà nuragica, Giovanni Lilliu, ha sempre negato l’esistenza di un alfabeto originale perché non si è mai avuto un riscontro sul campo. Ma nessuno, a cominciare proprio dall’ultranovantenne Lilliu, esclude un ripensamento di fronte all’evidenza di una prova avvalorata dai crismi della scienza.
ZUCCA «Tutto è possibile» sottolinea Momo Zucca: «Degli antichi abitanti della Sicilia, i Sicani e gli Elimi, si pensava che solo i primi conoscessero la scrittura: Poi 40 anni fa in un tempio di Segesta è stata trovata una grande quantità di vasi greci con iscrizioni elima che hanno fatto ricredere gli storici. Per quanto sappiamo oggi la cultura sarda è profondamente orale: questo non è un mito perché nel mondo mediterraneo la scrittura viene elaborata dalle civiltà urbane, mentre la Sardegna esprime una civiltà contadina. Sino a oggi conosciamo villaggi nuragici, ma non città che nascono solo con l’arrivo dei fenici. Da quel momento (settimo-sesto secolo) convivono comunità distinte, ma ciò non esclude che gli autoctoni potessero aver acquisito o utilizzato alfabeti fenici».
STIGLITZ Le scoperte da più parti annunciante sulle presunte iscrizioni nuragiche trovano puntuale smentita dagli esperti dell’Università e della Soprintendenza. Le misteriose tavolette di Tziricotu? L’archeologo Alfonso Stiglitz risponde con l’immagine di un reperto bizantino, un ornamento bronzeo di un fodero o di un altro oggetto: «La tavoletta è uguale. Le presunte iscrizioni nuragiche sono sono semplici decorazioni usate sino al medioevo. Di per sè la tavoletta trovata a Cabras è molto importante perché è il primo esempio del genere rinvenuto in Sardegna. Ma poiché non è nuragico sembra disinteressare tutti. Il vero problema è questo: cerchiamo di valorizzare una civiltà che ci ha lasciato poco mentre trascuriamo altre di cui abbiamo abbondanti testimonianze». Stiglitz ribadisce un concetto ormai consolidato: «Un popolo che non ha la scrittura non viene più considerato barbarico, ma può essere comunque portatore di una grande civiltà. La scrittura nasce in contesti urbanizzati e con un potere centralizzato. Viene utilizzata per scopi amministrativi, burocratici e commerciali, serve per fare inventari. Ma in Sardegna mancano proprio quelle strutture sociali che in Oriente e in alcuni ambiti occidentali (etruschi, iberici, libici e italici) hanno dato vita alle varie forme di alfabeti».
DECORAZIONI Nella maggior parte dei casi, quando si parla di presunte iscrizioni nuragiche, gli archeologi "ufficiali" chiamati a dare una valutazione scientifica arrivano ad altre conclusioni: «Si tratta di incisioni successive scolpite sul reperto originale oppure di semplici decorazioni scambiate per segni di lontane lingue orientali». Quelle che avrebbero influenzato la cultura dei mitici popoli del mare, gli Shardana, considerati da alcuni «padri dei nuragici». «Ma dov’è questa gente d’Oriente?» si domanda Alfonso Stiglitz: «Possibile che non abbiamo trovato alcuna traccia? Né tombe, nè ceramiche, nè armi. Eppure erano uomini che mangiavano e lavoravano come tutti. Mi stupisce che abbiano lasciato solo misteriose iscrizioni e neppure un segno del loro passaggio».
LA PRISGIONA Ad Arzachena, nella rinomata terra del vino Capichera, il villaggio nuragico detto La Prisgiona ha restituito numerose capanne e una quantità di ceramiche. Un bel vaso sicuramente nuragico - datato tra il 12mo e il decimo secolo - mostra delle incisioni che hanno fatto pensare alla scrittura. «L’ennesimo falso allarme» spiega l’archeologa Angela Antona che ha diretto lo scavo: «L’hanno visto diversi esperti e tutti hanno parlato di semplici motivi decorativi. Nessun dubbio».
Momo Zucca ricorda ancora un esempio: a Huelva, in Andalusia, è venuto alla luce un blocco di 31 frammenti di ceramica nuragica insieme a vasi attici del periodo medio-geometrico (800-760 a. C.). Tra questi reperti anche un’anfora vinaria sicuramente prodotta in Sardegna con due segni di alfabeto. «Cosa significa?», si domanda l’archeologo oristanese: «È probabile che non sapessero scrivere, ma che utilizzassero segni di altri alfabeti per diversi scopi che non sono però quelli della scrittura così come la intendiamo noi». Una tesi che partendo da Lilliu e dai padri dell’archeologia nuragica (con qualche eccezione) si è consolidata nel tempo sulla scia di nuovi studi . E che i continui annunci di «clamorose scoperte» di un alfabeto tutto nuragico non scalfiscono di un pelo.
USAI «Che gli antichi sardi parlassero una lingua comune, da nord a sud dell’isola, è ormai una certezza grazie agli studi filologici sui toponimi e sui "relitti" linguistici. Ma sull’esistenza di un alfabeto e sull’uso della scrittura non abbiamo alcun documento scientifico» ribadisce l’archeologo della Soprintendenza Alessandro Usai, responsabile per il territorio di Oristano da dove sono partite le più recenti segnalazioni (tavolette e iscrizioni). «Abbiamo riscontro di segni singoli sui lingotti di rame "oxhide" (cioè disegnati come pelli di bue), trovati in abbondanza nel bacino mediterraneo. Attribuiti da diversi studiosi alla civiltà nuragica risultano invece di provenienza cipriota alle luce delle analisi isotopiche. Altri singoli segni su ceramiche sono segnalati in uno scavo a Villanova Monteleone e a Monte Prama, nella zona dei famosi guerrieri di pietra. I segni però si notano non sulle statue, ma su modelli di nuraghi, fatti con elementi componibili: quindi si può ipotizzare che si tratti di indicazioni per far combacciare i singoli pezzi. Non si può escludere, proprio perché non ne abbiamo mai trovato traccia, che esempi di scrittura si possano trovare su materiale deperibile, come argilla cruda, legno, pelli o tessuti. Ma oggi dobbiamo attenerci alle attuali conoscenze».
TZIRICOTU Usai ha esaminato, per dovere d’ufficio, i casi di cui si discute vivacemente sul blog del giornalista Pintore, beccandosi anche ironici commenti. Ma una cosa è la discussione tra appassionati con incursioni di nomi di fama come il docente Giovanni Ugas che continua le sue ricerche sui popoli Shardana. Altro sono le pubblicazioni scientifiche che devono passare al vaglio degli esperti di università e Soprintendenze. Le tavolette di Tziricotu? «Non c’è dubbio, un reperto tardobizantino o medievale, forse persino della civiltà longobarda che in Sardegna ha lasciato moltre tracce, non abbastanza pubblicizzate», risponde Usai. Spiega che molti siti nuragici sono coperti da stratificazioni di epoche successive: così reperti romani e medievali si possono mischiare a pezzi più antichi, confondendo - spesso in buona fede - i ricercatori meno avveduti. «Di molti reperti - conclude Usai -si parla, ma poi vengono tenuti nascosti per diversi motivi. In realtà chi cerca le prove dell’esistenza della scrittura nuragica guarda sempre in questa direzione e interpreta ogni segno a conforto della sua tesi. Ma i sardi nuragici erano un popolo contadino e non avevano bisogno di una scrittura per le necessità della loro vita».
 
3 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari Pagina 33
Sassari. Lunedì il consiglio accademico dovrebbe approvare una super liquidazione per il legale
Toghe d’oro in piazza Università
In Cda arriva una parcella record per l’avvocato
 
All’ordine del giorno figurano argomenti destinati a suscitare polemiche. L’avvertimento da parte delle forze sindacali confederali e autonome è già arrivato sotto forma di un documento che somiglia molto ad una dichiarazione di guerra.
Lunedì si riunirà il consiglio d’amministrazione dell’Università. All’ordine del giorno figurano due punti destinati a suscitare polemiche stando a quanto accaduto nella precedente riunione. L’avvertimento da parte delle forze sindacali confederali e autonome è già arrivato sotto forma di un documento che somiglia molto ad una dichiarazione di guerra. Primo caso. Il Consiglio d’Amministrazione è chiamato ad approvare ("unilateralmente" sostengono i sindacati) la proposta del direttore amministrativo di bandire un concorso per l’assunzione di quattro dirigenti. Una riduzione sensibile rispetto alla proposta originaria che ne prevedeva addirittura otto. Il sindacato accusa il consiglio di aver violato l’accordo sul processo di organizzazione del lavoro. E al di là di questo, contesta l’utilità delle assunzioni e il loro alto costo: 640 mila euro. Secondo punto. L’Università ha alle sue dipendenze un avvocato di grandissimo livello professionale. Il Rettore, Sandro Maida, è arrivato a firmare per lei, il 14 aprile scorso, «un regolamento per il riconoscimento e la liquidazione dei diritti e degli onorari agli avvocati dipendenti» , già approvato dal consiglio d’amministrazione nella seduta del 18 ottobre 2007. Un atto che garantirebbe al legale una fortuna, si parla di 700 mila euro, visto che il calcolo economico andrebbe fatto su tutte le controversie chiuse positivamente dal giorno della sua assunzione avvenuta sei anni fa.
Il regolamento fra l’altro, se approvato, consentirebbe all’Università di aggirare una sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, secondo cui «nessuna norma impone la corresponsione di onorari e competenze professionali da parte di enti pubblici che si avvalgono dell’attività dei propri uffici legali attraverso avvocati legati da rapporto di pubblico impiego. Salvo che esista una disposizione amministrativa o una clausola contrattuale in tal senso che preveda che lo stipendio può essere integrato da quote di onorari» per le cause vinte». Vale a dire che nulla è dovuto all’avvocato dipendente alle condizioni attuali mentre l’Ateneo, che piange miseria da anni, sarebbe costretto a pagare una somma enorme se il regolamento in discussione venisse approvato.
Nella precedente riunione non tirava aria di unanimità e lo scontro è stato anzi acceso. Ma tutto è possibile. Per questo le organizzazioni sindacali hanno invitato i rappresentanti del personale tecnico amministrativo in Consiglio e nel Senato Accademico a non votare il provvedimento. Fra l’altro questo «desiderio ardente» di coprire di denaro un avvocato proprio dipendente, seppure bravissimo, va nella direzione opposta alla decisione assunta da un altro ente pubblico, il Comune di Sassari, che ha istituito presso la Direzione Generale il servizio "Affari Legali" quale Avvocatura dell’amministrazione. Ne fanno parte avvocati iscritti per conto dell’ente nell’elenco speciale dell’Albo degli avvocati delle pubbliche amministrazioni e il loro rapporto è regolato da apposite convenzioni, senza alcun vincolo di dipendenza.
GIBI PUGGIONI
 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
«Tagli del tutto inammissibili» 
Il mondo della ricerca fa quadrato contro il decreto 
ROBERTO PARACCHINI 
 
CAGLIARI. «Così si affossa l’università, mentre occorre che il merito riemerga», questo il pensiero di chi opera nei centri di ricerca. Martedì il rettore ha lanciato l’allarme.
 Pasquale Mistretta ha puntato il dito contro la manovra finanziaria in cui si blocca il turn over (uno o due reintegri ogni dieci uscite) e si tagliano i finanziamenti (per Cagliari da quattro a sei milioni all’anno in meno). In compenso, però, si «suggerisce» la creazione di fondazioni universitarie di diritto privato. «Come dire - aveva commentato a caldo il fisico Francesco Raga, già preside della facoltà di Scienze - o ti ammazziamo togliendoti le scarse risorse che hai (sia in termini economici, che di docenti), o ti ammazziamo facendoti diventare ateneo privato, visto che la Sardegna non ha una struttura imprenditoriale in grado di supportare una università».
 Giovedì della scorsa settimana la conferenza dei rettori ha sottolineato la gravità della situazione. «Io spero che tutti, non solo i docenti, ma l’opinione pubblica nel suo complesso - spiega l’economista Raffaele Paci, preside della facoltà di Scienze politiche - capisca che questo decreto è una condanna a morte per l’università. Ormai è noto: bisogna puntare sullo sviluppo della ricerca. In Italia, invece, abbiamo la metà degli investimenti medi europei. E ora li si vuole diminuire». Ma il mondo della ricerca è proprio senza colpe? «Certamente noi possiamo fare operazioni di maggiore efficienza, ma le risorse per l’università sono minime. Non credo che da parte del governo ci sia un progetto preciso. Penso che abbiamo messo nel decreto una serie di norme che equiparano pubblico-università-fannulloni. Mentre il mondo della ricerca è un’altra cosa dal settore burocratico».
 Secondo il neuroscienziato Gian Luigi Gessa (professore emerito dell’università di Cagliari) «vi sono altre università in cui si paga e molto per studiare ed avere docenti qualificati, ma noi non possiamo permettercelo. Poi ci sono atenei sovvenzionati dai privati, ma anche in questo caso, noi non possiamo permettercelo pechè la Sardegna non ha alle spalle la Fiat, come Torino o le aziende di Milano». Quindi? «È importante che vi sia un finanziamento pubblico e che questo non venga eliminato ma, anzi, incrementato. Invece in Italia i ricercatori vengono trattati peggio dei ricercati. Nello stesso tempo, però, occorre puntare sulla qualità e il proliferare dei corsi di laurea breve non va certo in questa direzione. Ricordiamoci, poi, che abbiamo la Regione e che, ad esempio, l’università di Trento (ai primi posti in classifica) è fortemente supportata dalla sua Regione». C’è un disegno di legge della Regione sarda che porta la sua firma... «Sì, e punta a creare maggiore qualificazione a patto, però, che non venga snaturato da alcuno».
 Intanto le varie facoltà universitarie cagliaritane si stanno mobilitando e circola la proposta di convocare un senato accademico straordinario, allargato a tutti, docenti e società civile. «Personalmente, però, sono contrario all’università in piazza - sottolinea Paolo Pani professore ordinario di Patologia generale - le battaglie si fanno nei corretti canali istituzionali. Il problema centrale è che nel nostro ateneo non c’è ricambio. I docenti ordinari sono, mediamente, dai 60 anni in su. E questo fa sì che, da noi, sia l’accademia a comandare e non la ricerca e la didattica. Le scelte sono fatte sulla base di criteri di carriera e di fedeltà a cordate accademiche, non sul merito... Certo questo sistema è vecchio, ma almeno un tempo si premiava la qualità». In questo quadro, per Pani, «anche i restringimenti imposti dal decreto vanno bene, a patto che stimolino un ritorno al merito». Inoltre «il senato accademico non può opporsi e basta, deve presentare dei progetti alternativi». E le fondazioni? «È tutto da studiare: non ci si può arrivare, così, da un momento all’altro. Non dimentichiamo che negli Usa queste strutture sono anche sovvenzionate dal settore pubblico, come dimostra la cumputeristica».
 I timori sono diffusi e in molti temono che la manovra finanziaria contribuisca anche a far allontanare l’università dal territorio. «Indubbiamente i tagli che si prospettano e il blocco del turn over, assimilato al settore pubblico, sono esiziali - commenta Franco Meloni, responsabile del settore innovazione e dei rapporti col territorio dell’ateneo - ma le università devono saper accettare la sfida e vedere che cosa possono fare». Niente immobilismo... «Certamente. sul discorso delle fondazioni, ad esempio, va detto che questi organismi non devono identificarsi con l’ateneo, ma essere strumenti dell’ateneo: per intervenire in settori specifici. Nella formazione permanente, ad esempio. In Spagna le fondazioni sono utilizzate per agire in settori a cui è interessata l’università, ma che non rappresentano la missione centrale dei centri di ricerca, che devono restare pubblici. Inoltre vi sono tanti finanziamenti europei che potrebbero essere intercettati con questi organismi. Il decreto è esiziale, ma occorre reagire e dentro le università, le intelligenze per farlo ci sono».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Questionnaire and social

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