Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
05 May 2008
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 3 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  


1 – L’Unione Sarda
Cultura Pagina 56
Sulla via del Romanico le chiese raccontano l’Isola
 
Da San Gavino di Porto Torres a San Nicola di Ottana le cattedrali della Sardegna riunite in un unico progetto
 Sono centoventicinque disseminate in tutta la Sardegna e rappresentano il momento più alto dell’architettura e della cultura medievale nell’isola. Sono le chiese romaniche costruite tra la metà del Mille e il Trecento. Tre secoli di storia in un’epoca in cui la Sardegna era divisa nei quattro giudicati che avevano stretti contatti con le repubbliche di Pisa, Genova e il Papato. Uscita dall’isolamento dei secoli precedenti (per i quali c’è un profondo black out nei monumenti e anche nelle fonti storiche) la Sardegna giudicale si stacca decisamente dall’Impero bizantino sempre più concentrato nei suoi interessi ad Oriente e si avvicina al mondo occidentale che ruota attorno a Roma e al Papa. Così i giudici, diventati sovrani di quattro regni indipendenti, guardano ai rapporti culturali e commerciali con le coste tirreniche. Arrivano i monaci Camaldolesi dalla Toscana e i Vittorini da Marsiglia per costruire quelle chiese che caratterizzano in tutta Europa l’architettura romanica. In Sardegna nasce uno stile originale ed eclettico, dove prevalgono gli influssi tosco-pisani con l’aggiunta di elementi arabi, espressione della presenza di maestranze di provenienza o cultura islamica.
Quelle chiese sono la sintesi di un linguaggio artistico internazionale e mostrano la Sardegna, uscita dall’isolamento totale dei secoli precedenti al Mille e pienamente inserita nella storia continentale. Oggi queste chiese che s’incontrano sperdute nelle campagne, ai margini delle strade o inglobate nei centri storici di paesi e città, sono il migliore esempio dell’arte medievale. Misteriose nella loro architettura semplice e austera come si conviene ai monaci che le costruirono, fatte con pietre locali che alternano motivi policromi di nero, rosso e bianco, affascinanti nel loro silenzio, ben conservate anche se molte necessitano di importanti e costosi restauri, sono un patrimonio di grande valore, ma sinora tagliato fuori dai flussi turistici.
Cattedrali come San Gavino di Porto Torres, Santa Giusta, San Nicola di Ottana, monastiche come Santa Maria di Bonarcado, Santa Maria di Tergu o la splendida SS Trinità di Saccargia unica per i suoi affreschi, San Saturno di Cagliari che salva e sviluppa l’originale basilica del quinto secolo, le piccole chiesette di granito della Gallura o gli esempi minori che si ritrovano qua e là in tutta la Sardegna con l’eccezione dell’Ogliastra. Tutte insieme rappresentano un unico itinerario che ora si vuole valorizzare attraverso un ampio progetto regionale. L’idea, presentata in Fiera dall’Anci sardo, è nata dal sindaco di Santa Giusta Antonello Figus che ha coinvolto i colleghi sindaci di venti paesi, architetti, storici dell’arte, archeologi e soprintendenze. «Il progetto integrato di sviluppo regionale "Itinerario del Romanico in Sardegna" prevede innanzitutto la realizzazione di un centro di documentazione, cui sarà possibile accedere dalle varie postazioni (totem) sistemate nelle principali chiese» spiega Figus: «Un’adeguata cartellonistica aiuterà i visitatori a percorrere l’itinerario passando da una chiesa all’altra».
Oggi questo non è possibile perché la maggior parte delle chiese sono chiuse e praticamente disperse nel territorio. «Visitarle è quasi un’impresa», ammette Patricia Olivo della Soprintendenza ai beni culturali: «Ricordo che per visitare la bellissima chiesa di Ardara bisognava chiedere la disponibilità di una suora che abitava nei pressi». Molte sono aperte solo per le funzioni religiose nei giorni festivi o nelle ricorrenze, nei feriali si deve andare a cercare il custode (ma chi è e dove sta?). Un problema visto che le visite sono spesso casuali.
«Altri scopi di questo progetto» interviene Roberto Coroneo, autore di un’importante monografia sul "Romanico in Sardegna" e docente di storia dell’arte medievale all’Università di Cagliari «è la creazione di un archivio documentale attraverso un portale telematico. Si prevede la schedatura di tutti i monumenti, la proposta di itinerari e ogni informazione utile per gli studiosi e per i turisti». Nel progetto figura anche la realizzazione del marchio che sarà utilizzato come strumento di promozione del circuito delle chiese romaniche che si estende oltre l’isola: «Abbiamo contatti con Corsica, Liguria e Toscana per creare una rete comune», aggiunge il sindaco Figus, sottolineando l’interesse che il progetto sardo ha suscitato nelle regioni che storicamente hanno avuto un forte influsso romanico e stretti legami con la Sardegna.
Adesso il progetto è solo alle prime fasi. I principali obiettivi - annunciati durante l’incontro nel padiglione fieristico dell’Anci - sono di aprire le chiese al pubblico, di realizzare la rete informatica col portale, una carta dei servizi e il centro di documentazione. «Con questa iniziativa contiamo di trovare anche qualche posto di lavoro qualificato per i giovani che stanno uscendo dalle nostre università con master di specializzazione in beni culturali» rileva Roberto Coroneo: «Non potranno essere molti, ma sicuramente è un’occasione per dare una qualche opportunità a nuovii laureati e specializzati».
I fondi arrivano da un Por comunitario «ma le consulenze e le idee - tiene a sottolineare Figus - nascono dall’apporto gratuito e appassionato di chi ha creduto in questo progetto sin dall’inizio». L’invito è partito da Santa Giusta, ma subito è stato accolto dai diversi comuni che vantano nel loro territorio uno o più di questi splendidi monumenti. Ed ora si fa sul serio.
CARLO FIGARI

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
Il museo ornitologico fa il nido a Siddi 
Ricostruiti gli ambienti di 300 dei 350 uccelli presenti nell’isola 
E’ una delle formule che il villaggio della Marmilla ha trovato per dare visibilità al paese e creare occupazione 
 
Vdete dal vivo le rondini nel loro nido a coppa, fatto di fango piume e sterpi, sospeso sotto le tettoia celeste della casa di Abele Floris contadino. Una potente telecamera e uno schermo piatto vi fanno scorgere la coda forcuta rossiccia, le penne timoniere esterne, il ventre bianco. Saltellano e volano. Volano e tornano al nido. E covano, “tra poco nasceranno i pulli, quattro per covata”. Parto on line, per i fortunati. Oppure sentite il canto cadenzato dell’assiolo (“su cantu’e su cuccu”) mixato col verso del barbagianni e dell’usignolo. Usignolo qui battezzato “passirillanti”, il passero solitario di Giacomo Leopardi, lo stesso evocato in Sardegna nei canti di piazza al passo di “S’andennironnài”. Al primo piano di una casa diventata museo ornitologico, il primo nell’isola, vi fanno trovare la ricostruzione di ambienti naturali, pozze di acqua dolce e salata, un po’ di steppa e un po’ di collina e montagna, un tronco secolare di olivo, un canneto. Ambienti mutanti, a volta notturni talaltra mattutini, dipende. E così muta la posizione del germano reale e del pollo sultano, della volpòca (ecco un maschio in abito riproduttivo) e dell’avocèta col suo becco ricurvo. E ancora - mentre la sapiente regìa fonica del maestro Romeo Scaccia vi fa sentire ancora quei dolcissimi versi del barbagianni dell’assiolo e dell’usignolo - trovate un altro angolo di steppa sarda con la quaglia e la pernice, la calandra e l’occhione, il tuffetto e lo svasso maggiore, il balestruccio e il presuntuoso gruccione multicolor.
 
 È solo un assaggio di che cos’è questo Museo neonato a Siddi, mezz’ora d’auto da Cagliari, dolce villaggio contadino di case in pietra, 750 abitanti nella Marmilla che in maggio è bella e colorata come sempre. Non è strano che questa iniziativa sia decollata qui se è vero, come sostiene il linguista Massimo Pittau nel suo “Nomi di paesi e città della Sardegna”, che Siddi deve il suo nome a “Tziddi” (nella parlata locale starebbe per pettirosso) oppure “Tziddì” (sta per scricciolo). Qualcuno ipotizza - ricordando le vicende del castello-prigione di Burgos -. che il paese abbia preso il nome del guerriero castigliano Cid Campeador. Ma qui poco importa la precisione filologica. È certo che questo è un paese che ha dato l’esempio creando un richiamo tanto insolito quanto intelligente, invitando a battezzarlo Giorgio Celli, entomologo, etologo, ecologo, docente universitario fra i più apprezzati in Europa, buon conoscitore della Sardegna. Ha detto che questa di Siddi “è la formula giusta”, perché “incuriosisce, fa amare apprezzare e rispettare la natura”. Trovate quasi tutte le specie di uccelli presenti in Sardegna. “Si calcola ce ne siano circa 350, qui ne abbiamo trecento, con tutte le schede, i nomi scientifici e in sardo”, dice il sindaco Marco Pisanu, 52 anni, funzionario regionale. Un’idea ereditata da un altro amministratore avveduto, Umberto Murtas che aveva acquistato una collezione privata di uccelli imbalsamati da Mario Sanna di Ussana. Un po’ di progettazione integrata “per creare occasioni di lavoro dopo la chiusura del pastificio Puddu che distribuiva quasi ottanta buste paga”.
 
 Il Museo è un buon tassello. Lo gestisce una cooperativa a tre: Gian Luca Atzori, 37 anni, laurea in Lettere, specializzazione in Studi sardi. Con lui Stefania Vacca, 37 anni, ragioniera, specializzata in marketing e Carmen Pisanu, 38 anni, anche lei diplomata e come i colleghi guida Gae riconosciuta dalla Regione (gruppi ambientalisti escursionisti). In questi giorni parlano di grifoni e aquile reali, di gipeti e gufi, di albatros e strolaghe “esclusivi dell’emisfero settentrionale, becco appuntito e diritto, dita palmate, zampe arretrate ottime per il nuoto, in Sardegna svernano regolarmente pochi individui di strolaga mezzana detta Gavia arctica”). Gian Luca intrattiene due turiste di Perugia e racconta degli uccelli marini che nidificano sulle scogliere deponendo le uova sulle sporgenze rocciose. Stefania si districa tra civette e barbagianni, assioli e sparvieri, falchi e picchi. Carmen esalta le migrazioni (“uno dei fenomeni più accattivanti della vita selvatica, l’origine è fatta risalire all’ultima glaciazione che toccò il suo apice 15 mila anni fa”). Molta attenzione agli uccelli acquatici: hanno habitat circoscritti alle zone umide e alcune specie - come le anatre e molti limicoli - sono identificabili e contabili in termini assoluti. Si parla dell’inanellamento, strumento importante per la ricerca scientifica, risalente al 1889, con gli studi degli storni in Danimarca da parte dell’ornitologo H. D. Mortesen. E le specie estinte? Stefania: “Negli ultimi due secoli sono scomparse cento specie e indicano un tasso di estinzione cinquanta volte più alto di quello naturale che è stato stimato in circa una specie ogni secolo. L’uomo è la principale causa di questa crisi della biodiversità che coinvolge non solo gli uccelli ma tutte le categorie degli esseri viventi nel Pianeta”. C’è davvero da stare a sentire i versi degli uccelli e i commenti degli esperti per ore ed ore, perché ogni specie è ben indicata, spiegata, buona l’illuminazione, tra poco sarà pronto un catalogo da vendere ai visitatori. Con l’imprimatur di Giorgio Celli.
 
 Trecento uccelli, si è detto. “Faremo di tutto per avere qui tutti i tipi presenti nell’isola”, spera il sindaco. Che fa notare altre eccellenze del territorio: l’antico ospedale Managu (fu aperto nel 1861, in occasione della proclamazione dell’unità d’Italia, disponeva di cinquanta posti letto), la tomba dei giganti, un nuraghe a corridoio a Sa Fogaia, la chiesa romanica di san Michele Arcangelo con una abside unica e insolita pianta a due navate, sull’architrave cinque misteriose figure antropomorfe che rappresentano - si legge in una brochure - “un’opera unica nel panorama scultoreo medioevale sardo”.
 Beni immateriali, ma non solo. C’è un bella pattuglia di “quelli che fanno”, che lavorano, che si ingegnano. Anzi, di quelle che fanno. Come le donne nel laboratorio di una casa padronale rimessa a nuovo. Il grano è eccellente, eccellente la pasta nel solco della pasta Puddu dei primi anni dell’Autonomia. Qui preparano i “marraconis fibaus”, gli spaghetti fatti a mano, quasi a fisarmonica, lavorati con un filo. E ci sono “is tallutzas”, un po’ cialde un po’ ostie. Oppure i “marraconis de xibiru”, passati al crivello-setaccio. Provateli con i sughi che volete, con frutti di mare e verdure, con i formaggi fusi, oppure una spruzzata di ricotta secca di capra con noci e buon appetito. A lavorar la pasta ci pensano per ora tre simpatiche e dinamiche mamme, Donatella Lampis (due figli), Teresa Siresu (quattro), Maria Rosaria Moi (due). Paste prenotate dai migliori ristoranti di Cagliari, Nuoro e Oristano. Produrre di più? “È possibile, ci vogliono braccia, amplieremo la cooperativa, dovremmo arrivare a otto, il segreto è nella bontà del grano coltivato nei nostri terreni e anche l’acqua”. Pasta e dolci caratteristici. Che potete trovare (o prenotare) al forno di Antonio Porcedda o nel laboratorio di Sandra Branca e Maria Pietrina Scanu (“I sapori antichi”). Si produce anche un miele particolare, quello al mirto ma anche al gusto di asfodelo, agrumi, eucaliptus e di sulla, una foraggera con fiori tra il violetto e il rossiccio. “Il miele mi dà da vivere”, dice Massimiliano Cau, 34 anni, geometra, titolare di un’azienda apistica. “C’è da sperare solo che l’ambiente rimanga intatto perché le api - per mille problemi ancora misteriosi - cominciano a scomparire anche dalla Sardegna e dalla colline della Marmilla”. C’è un fare manifatturiero in crescita. C’è chi plasma originali sculture in ceramica, ottimi pezzi da arredo (per i curiosi buona navigazione nel sito www.mariangelamatta.it). Giambattista Asuni il farmacista si diletta di erbe officinali (e tutta la Marmilla è un tesoro verde a cielo aperto). I fratelli Mario e Luciano Vacca si preparano a imbottigliare vini da tavola, i Boi, i Murru e i Floris confezioneranno l’olio che da queste parti, in queste campagne incontaminate, è naturalmente buono.
 
 Nel centenario della nascita dell’antropologo Claude Levi-Strauss sembra di assistere anche da queste parti a un elogio del lavoro manuale, della cultura materiale. “Puntiamo - dice il sindaco Pisanu - a consolidare le microproduzioni con un’economia agricola di trasformazione, una ripresa dell’artigianato e la creazione di un albergo diffuso nel rione di Riu Nieddu. Dovremmo garantire almeno trenta posti letto, trasformando in abitazioni confortevoli per tutto l’anno le vecchie case contadine, abbiamo un patrimonio immobiliare che non può andare in rovina. È assurdo cementificare una Sardegna che è fatta oggi di case vuote ricche di storia”.
E c’è anche chi rientra, chi fa il back senza aver avviato il master, almeno quello post lauream. È un back tutto sardo, post-emigrazione ventennale. Paolo ed Ester hanno lasciato gli hotel di Cervinia in inverno e quelli dell’isola d’Elba in estate ed eccoli in un bar a Siddi, “a traballai in bidda” perché “qui si vive meglio”. Ragionano come i figli di “zio Mundeddu”, il personaggio centrale del bel romanzo di Antonio Puddu che qui è nato e ha casa, con quell’opera aveva vinto il premio Deledda nel 1968 proiettando Siddi nella letteratura nazionale.
 
 Paolo ed Ester non sono gli unici a essere tornati a casa. E così non saranno gli unici a rileggere quella bella frase da “Zio Mundeddu” scolpita su un cippo di marna giallastra davanti alla chiesa dedicata a “Sa gloriosa”. Descrive un cortile “che aveva i ciottoli lucenti al lucore e lucente era il fienile, un ammasso di fascine strette che anche formavano un tetto, sopra lo steccato della porta”. Cronache contadine, la stessa dolcezza delle pagine di Ignazio Silone, storie di povertà e tanta dignità. Ma questa dei Paolo e delle Ester è un’altra pagina da scrivere presto con maggiori dettagli di cronaca. Nel frattempo a Siddi cominciano a giungere molti visitatori, da domani ci sono le prenotazioni da parte delle scuole, da Oristano e da Nuoro, da Sanluri e da Laconi. Biglietto di ingresso appena due euro (non è troppo poco?), biglietto ridotto un euro. Per gli amanti della buona tavola, in attesa di poter mangiare a Siddi dalle donne de “is marraconis fibaus”, ci sono buoni ristoranti e trattorie nei paesi vicini, anche in alcuni discreti agriturismo. C’è un attivo presidio slow food. La Marmilla tutta, con i suoi nuraghi e i suoi musei (il buon esempio viene da Villanovaforru), uccelli compresi, val bene più di una gita. Prenotazioni? Al telefono 070-939888, cellulare: 347-5116787, posta elettronica: coopvillasilli@gmail.com. Siddi ringrazia.
2 – La Nuova Sardigna
Pagina 5 - Sardegna
Alla ricerca ha partecipato il Cnr di Cagliari 
Geni: obesità e diabete hanno complici nel Dna 
 
CAGLIARI. Il gene Fto, che lo scorso aprile è stato indicato come il principale responsabile dell’obesità, ha almeno un complice nel Dna, che si chiama Mc4r. Lo ha scoperto uno studio internazionale su più di 90mila soggetti pubblicato da Nature Genetics, a cui ha partecipato il Cnr di Caglari. Secondo lo studio le varianti cattive dei due geni insieme sono responsabili in media di 3,8 chili di aumento di peso.
 La ricerca ha coinvolto 77 istituzioni di diversi paesi (per l’Italia ha partecipato l’Istituto di neurogenetica e neurofarmacologia del Cnr di Cagliari) ognuna delle quali ha cercato nella popolazione dei geni ricorrenti legati all’aumento di peso. Il colpevole è stato individuato nel segmento di Dna che esprime la proteina chiamata Mc4r, di cui sono state trovate diverse varianti, alcune delle quali legate ad obesità molto gravi. In tutti i casi il nuovo gene e Fto hanno mostrato di saper lavorare bene insieme, dando effetti peggiori. Lo studio ha anche dimostrato che le varianti cattive sono un terzo più comuni in chi ha antenati asiatici che europei, anche se solo negli inglesi è presente in circa il 50% della popolazione. L’Mc4r da solo si è mostrato responsabile di almeno due centimetri di espansione nel giro-vita, due chili di aumento di peso e soprattutto dell’aumento della resistenza all’insulina, che porta al diabete di tipo 2. Ovviamente non si può cambiare la predisposizione genetica ma conoscendo i soggetti a rischio si possono far adottare stili di vita più sani e sviluppare farmaci specifici.
 

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