Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
28 April 2008
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 3 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Cultura Pagina 56
Arte Cagliari, ricerca dell’ateneo
Bonaria e S. Giorgio, le tracce gotiche nella storia sarda
 
Il termine “gotico” venne usato in origine con una sfumatura spregiativa per indicare la distinzione tra la maniera dei Goti, quindi “barbari”, e la cifra stilistica rinascimentale, ispirata alla civiltà classica. Noi oggi definiamo gotico uno stile, di architettura, scultura e pittura, nato in Francia e diffuso nell’intera Europa, dal Mediterraneo alla penisola scandinava, a partire dal 1100 e fino alla metà del 1500.
L’arte gotica rappresenta l’ultima fase dell’arte medievale e l’avvento di un nuovo ordine economico e sociale che coincide con la nascita delle lingue e delle nazioni europee. La novità architettonica è rappresentata dalle grandi cattedrali che s’innalzano, come mai prima di allora era stato possibile, grazie ai grandi pilastri, agli archi a sesto acuto e alle volte a crociera. Immediata la fortuna del gotico in Francia, Inghilterra e Spagna, più lenta in Germania e Italia.
Per indagare la presenza dello stile gotico in Sardegna bisogna tener conto delle vicende storico-politiche che hanno influenzato la nostra isola e cioè la dominazione spagnola per quattro secoli, a partire dal 1323 e fino al 1714. Per esaminare i monumenti religiosi, civili e militari in stile gotico catalano presenti in Sardegna alcuni studiosi del Dipartimento di Architettura della facoltà di Ingegneria di Cagliari hanno realizzato una ricerca, collegata ad un programma nazionale co-finanziato dal MIUR, finalizzata alla costituzione di un “Repertorio dell’architettura catalana”. Gli esiti complessivi sono riepilogati in nove volumi, nel quarto dei quali è illustrata “L’architettura catalana in Sardegna” (a cura di Gianni Montaldo e Paola Casu, Cagliari, Edizioni Nuove Grafiche Puddu, pagine 126, € 25).
Dalla disamina dei dati raccolti emerge che il più antico monumento gotico-catalano si trova a Cagliari: è il santuario dedicato alla Vergine sul colle di Bonaria e costruito nel 1324, subito dopo la conquista aragonese dell’Isola; ma la maggior parte delle costruzioni ebbe impulso agli inizi del XV secolo, una volta conclusa la guerra tra Corona di Aragona e Giudicato di Arborea, e proseguì fino alla metà del XVII secolo. Questo è anche il lasso di tempo interessato dalla presente ricerca che ha incluso sia i monumenti completi che i singoli elementi decorativi, anche inseriti in contesti misti. L’indagine presenta la documentazione grafica e fotografica delle manifestazioni architettoniche esaminate. Riveste notevole importanza l’elaborazione di una mappa che evidenzia la distribuzione di edifici con caratteri gotico-catalani nei comuni sardi con una percentuale pari al 33% (126 su 377). Da sottolineare l’assenza di fabbriche gotico-catalane in Gallura, in Ogliastra, e nel Sulcis.
Le peculiarità più belle del gotico-catalano sardo, come le volte costolonate, si trovano negli edifici religiosi; si veda in particolare la chiesa di San Giorgio a Sestu, costruita nel XVI secolo, “perfettamente conservata e stilisticamente omogenea grazie al fatto di non aver subito interventi in epoche successive alla sua costruzione”. Negli edifici civili invece gli elementi distintivi sono rappresentati da porte, nicchie e finestre sottolineati dalla pietra lavorata grazie ai picapedrers , artigiani catalani giunti in Sardegna, che hanno trasmesso la loro arte ai maestri locali, artefici di molteplici innovazioni autoctone.
Miriam Punzurudu
 
2 – L’Unione Sarda
Cronaca Regionale Pagina 5
Sul ponte sventola bandiera stanca
Il tricolore secondo Luigi Cocco, delegato studentesco all’università
L’articolo 12 nell’analisi di uno studente nato e cresciuto a Carbonia ma che frequenta l’ateneo di Cagliari
di Paolo Paolini
 
Chi la vorrebbe rossa, interamente rossa, e chi della bandiera tricolore farebbe volentieri strame. Luigi Cocco storce il naso: «Parto dal presupposto che la cosa più importante sia ciò che rappresenta, cioè l’unità nazionale, il sacrificio di tante persone, senza farla troppo eroica si può dire che è il vessillo delle persone che ogni giorno vanno al lavoro e sudano per guadagnare il pane. Quando penso al tricolore penso a tutti gli italiani».
Ventun anni, studente di Medicina e chirurgia al terzo anno, è una delle voci degli studenti nel Consiglio del corso di laurea e in quello di Facoltà. Pronipote, nipote e figlio di minatori, è stato il primo della famiglia - da decenni residente a Carbonia - a indirizzare la vita su un’altra traiettoria: «Sono grato per l’educazione che mi hanno dato».
D’accordo con Ciampi che, da presidente della Repubblica, chiese agli italiani di esporre il tricolore nelle case?
«Se è sentito, allora è giusto mostrarlo in ogni appartamento. Sarebbe un segno tangibile dell’unità del Paese».
Perché tanti giovani non la sentono come un valore?
«C’è una sorta di degrado, di disaffezione, di lassismo nei valori».
Giovani a corto di idee?
«Si è persa l’abitudine a discutere. Si preferisce lasciar scorrere il fiume del disinteresse, tanto qualcuno risolverà i problemi al tuo posto. Faccio un esempio: ho discusso l’aumento delle tasse universitarie con i colleghi, molti evitavano accuratamente il confronto, eppure il problema li toccava di vicino».
Bisognerebbe insegnare l’educazione civica a scuola?
«È tutto il contesto sociale, le istituzioni, la famiglia, il paese o la città, a determinare il degrado. Si inizia buttando per terra la carta, già da un gesto così semplice si capiscono molte cose».
Condivide l’abolizione della leva obbligatoria?
«Sono del 1986, la prima classe esonerata, ma non faccio salti di gioia. Penso che sia giusto dedicare un periodo al proprio Paese, difendendolo con le armi o in un altro modo. Aggiungo che per tanti ragazzi rappresentava la prima occasione di avere una visita medica completa».
Il rientro dei Savoia?
«Non voglio scaricare sui figli le colpe dei padri e dei nonni, ma mi preoccupano i loro continui sconfinamenti nel mondo della politica e dalla vita pubblica. Una volta chiarito che per la Costituzione Vittorio Emanuele di Savoia non ha alcun titolo nobiliare, trovo che la sua sia una figura piuttosto discutibile, anche senza ricordare che è finito in un’indagine per sfruttamento della prostituzione».
Cosa cambierebbe della Costituzione?
«È un punto d’incontro tra tutte le forze che hanno dato vita alla Repubblica, modificare quell’equilibrio è davvero difficile. Gli eredi dei padri costituenti non mi sembrano altrettanto equilibrati. Più che modificarla, bisognerebbe applicarla per intero».
Di quanti articoli si compone?
«Centotrentanove, meno i cinque aboliti qualche anno fa».
Bossi sostiene che la userebbe per scopi igienici.
«Più che Lega Nord, mi perplime il movimento che, dal Monviso al delta del Po, pensa di fare a pezzi la bandiera con tutto ciò che rappresenta».
L’università è solo per i ricchi?
«Ancora no, ma c’è qualche segnale in questo senso. Io non so se sia stato giusto l’aumento delle tasse a Cagliari, però so che tanti hanno difficoltà a pagare quelle cifre».
L’hanno definita un parcheggio per benestanti.
«La borsa di studio mi permette di sopravvivere. Con quei soldi riesco a pagare la casa, ma tutto il resto? Vestiti, pranzo e cena, trasporti, una pizza ogni tanto. Nonostante le difficoltà, considero l’università un’esperienza unica, che ti forma».
I fannulloni?
«Nella facoltà a numero chiuso il numero è nei limiti fisiologici. In altre, la percentuale sale».
Quali?
«Preferisco non fare nomi».
I docenti pigri?
«Ne ho incontrato pochissimi».
Quale riforma sogna per gli atenei?
«Non dovrebbe essere fatta da persone che non li hanno frequentati, oppure ne hanno un ricordo di mezzo secolo fa».
Le cattedre che passano di padre in figlio?
«Il cognome in quanto tale non deve essere un ostacolo, l’importante è che insieme ci sia il merito. Stessi diritti e stesse possibilità per il figlio dell’operaio e quello del rettore».
La sua è una poltroncina?
«Più che privilegi comporta doveri. Ho preso questi incarichi sul serio, credo fermamente nella rappresentanza studentesca».
Difende ad oltranza la categoria?
«Spesso gli studenti vanno difesi, ma non bisogna avere paura di dire quando sbagliano. Il mio compito è anche questo».

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
I giovani hanno fame d’identità 
Il rapporto sui migrantes di seconda generazione che pensano all’isola 
 
 CAGLIARI. Il futuro dei “Sardi nel mondo” s’è materializzato su tre tavoli, quelli delle sessioni tematiche che hanno fatto da contorno alla conferenza. A cominciare dal forum su “Giovani e nuova emigrazione”, coordinato da Maria Luisa Gentileschi e da Giuseppe Puggioni dell’università di Cagliari. Era il più atteso, per capire i progetti degli emigrati di seconda generazione. Ebbene, chi ormai vive lontano dalla madre-patria “non progetta il ritorno immediato in Sardegna, ma chiede comunque di essere informato - e adesso non lo è - sul mercato del lavoro nell’isola”. Di fatto quel sogno che i padri continuano a cullare, per chi ha meno di trent’anni è “una possibilità ma senza essere un futuro salto nel nulla visto che i figli degli emigranti sono integrati, hanno già raccolto successi o sperano di ottenerli presto dove oggi risiedono”. Dal forum è arrivata anche una risposta chiara alla preoccupazione degli anziani sulla mancata partecipazione dei giovani alla vita dei circoli: «Ad allontanarli - si legge nelle conclusioni - è sentire sulla pelle il rischio di finire anche loro prigionieri della nostalgia che pesa ancora sulle spalle della generazione precedente. No, i giovani amano la Sardegna, credono nelle radici, vogliono essere ambasciatori della terra-madre ma pretendono che l’insieme dell’identità sia inserito e proposto in una nuova visione multiculturale e transnazionale». Chi vive la globalizzazione non permetterà a nessuno (neanche alle tradizioni) di essere tagliato fuori: vuole vivere al passo con i tempi ed ecco perché i circoli dovranno essere subito svecchiati anche nelle proposte. E proprio il rapporto tra emigrazione e globalità è stato il tema del secondo tavolo tematico, coordinato da Alberto Merler dell’università di Sassari e da Marco Zurru dell’ateneo cagliaritano. In questa sessione, s’è parlato soprattutto di quello che i sardi all’estero vogliono fare per la Sardegna: «Ognuno di loro - è scritto nella relazione finale - vuole essere un promotore culturale, per sostenere con forza l’esistenza della limba, che oggi rappresenta quel cemento d’identità destinato a fortificare non solo l’appartenenza ma anche la voglia di apertura verso le altre culture”. Infine, la terza sessione, quella sul rapporto tra emigrazione e ruolo delle istituzioni, coordinata da Paolo Fois dell’università di Sassari, e qui la richiesta dei sardi all’estero è una sola: vogliono votare anche loro per il Consiglio regionale. (ua)
 

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