Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 March 2008
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 8 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Prima Pagina
Le risorse per la ricerca
Quello che i candidati hanno dimenticato
di Gaetano Di Chiara
 
Iprogrammi dei due maggiori partiti, il Pdl e il Pd, hanno, come si sa, molti punti in comune. Ambedue pongono al centro due obiettivi di forte impatto popolare: aumento dei salari e riduzione della pressione fiscale. E’ facile prevedere tuttavia che queste misure porteranno un miglioramento soltanto effimero del benessere degli italiani se non saranno sostenute da un aumento della produttività, cioè dello sviluppo.
Quali sono le misure previste dai programmi del Pdl e del Pd per assicurare lo sviluppo ?
Per il Pdl, gli incentivi fiscali alle imprese, le grandi opere, il nucleare, la liberalizzazione dei servizi; per il Pd ancora incentivi fiscali e qualche infrastruttura (Tav?). Misure queste che favoriscono lo sviluppo ma che non ne costituiscono il nucleo centrale, il cosidetto ’core’. In ogni paese industrializzato il ’core’ dello sviluppo è la ricerca.
Nel programma del Pd e del Pdl l’unico accenno alla ricerca riguarda la selezione dei ricercatori universitari. Per il resto, silenzio totale. Un vero e proprio buco nero.
Nel 2000 la conferenza di Lisbona indicava al 3% del Pil l’obiettivo di spesa in ricerca da raggiungere entro il 2010 da parte dei paesi dell’Ue. L’Italia è attestata da molti anni sull’1.1% ed è altamente improbabile che raggiungerà l’obiettivo previsto.
Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, tuttavia, la nostra ridotta spesa in ricerca non deriva tanto da una carenza di finanziamento pubblico, che in percentuale del Pil è allineato a quello medio dell’Ue, ma da un quasi assente finanziamento privato. L’impresa non investe in ricerca. Come mai?
In Italia la ricerca viene cofinanziata prevalentemente attraverso il sistema degli stanziamenti di fondi da parte dei vari ministeri e delle regioni. Questi stanziamenti fissano tempi, modi e contenuti ai quali i progetti di ricerca devono uniformarsi. Questi tempi, modi e contenuti tuttavia non necessariamente coincidono con le reali esigenze produttive e di disponibilità finanziaria delle imprese. Inoltre, questo sistema costringe le imprese a collaborare tra loro secondo criteri imposti dalla politica piuttosto che scelti dall’impresa sulla base delle sue necessità di sviluppo. I progetti di ricerca diventano così veri e propri carrozzoni che finiscono per tradire le vere esigenze della ricerca. Senza contare poi le lungaggini burocratiche dovute alla centralizzazione gestionale, ministeriale o regionale, che ritardano di anni la ricerca, rendendola obsoleta. Più adatta alle esigenze di elasticità, autonomia e competitività delle imprese è invece la defiscalizzazione e agevolazione creditizia degli investimenti in ricerca. In questo modo l’impresa, supportata da un credito illuminato, potrà finanziare una ricerca tagliata su misura per le sue esigenze, magari con l’unico vincolo di coinvolgere come partner un laboratorio di ricerca pubblico. Un meccanismo, questo, che avrebbe un ulteriore vantaggio, quello di contribuire alla riduzione della pressione fiscale.
 
2 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari Pagina 38
Sassari
No degli accademici allo scippo della Soprintendenza
 
Gli accademici difendono la sede sassarese della Soprintendenza ai beni architettonici.
Dopo lo sconcerto del primo cittadino, del rettore dell’università, di Provincia e sindacati, ora è la facoltà di Lettere e filosofia dell’Ateneo sassarese a opporsi al decreto ministeriale che prevede l’accorpamento delle due Soprintendenze per i beni Architettonici e il Paesaggio in un unico istituto periferico di ambito regionale con sede a Cagliari. Con un documento dai toni decisi, approvato dal Consiglio di facoltà, i docenti esprimono tutto il loro disappunto per una scelta per nulla condivisa dal territorio, e chiedono al Ministero di fare un passo indietro: «Il Consiglio della facoltà di Lettere e filosofia esprime viva preoccupazione per la scelta ministeriale che annulla una autonomia faticosamente conquistata, indebolisce l’azione di tutela, incide negativamente sull’economia locale, colpisce la fitta rete di rapporti interistituzionali». Le agitazioni proseguono, sulla scia dell’incertezza per le sorti del territorio, via via impoverito: «Particolarmente grave appare il progressivo svuotamento di funzioni della città di Sassari e dell’intera Sardegna settentrionale, mentre procede il fenomeno della polarizzazione su Cagliari di strutture e di risorse umane», continua il documento. «Il Consiglio si augura a questo punto che anche la Regione intervenga positivamente contro ogni tentazione verticistica».
V. G.
 
3 – L’Unione Sarda
Provincia di Sassari Pagina 37
Sassari. Il sindaco invita a lasciare l’auto in garage
A spasso a piedi per il centro per combattere l’inquinamento
 
Una passeggiata per spegnere l’inquinamento. É la proposta che il Comune di Sassari rivolge a tutti i cittadini invitandoli a lasciare l’auto in garage e a mettere in moto le gambe. Si tratta di una campagna sociale antismog nata con la collaborazione fra l’assessorato all’Ambiente di Palazzo Ducale e la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Sassari.
L’iniziativa nasce dall’incrocio di due realtà: la prima, positiva, è un progetto del corso di Sociologia dei processi culturali della Facoltà, con cui gli studenti, coordinati dai docenti Gianfranco Sias e Massimo Ragnedda, sono stati premiati a livello nazionale; la seconda, meno allegra, è la necessità del Comune di mettere un tappo all’inquinamento atmosferico che attanaglia la città. I dati del 2007 sull’inquinamento dell’aria che si respira a Sassari, non annunciano catastrofi ma fanno comunque squillare un campanello d’allarme. Le quattro centraline che rilevano la qualità dell’aria, hanno registrato una situazione preoccupante soprattutto in viale Dante e in via Amendola, dove il limite di presenza del PM10 è stato superato rispettivamente 36 e 33 volte nell’arco di un anno. E i primi due mesi dell’anno non sono stati rassicuranti: nella centralina di corso Vico, il limite di 50 microgrammi per metro cubo è stato superato già 11 volte. «Se continua di questo passo saremo costretti a intervenire già in estate», commenta l’assessore Salvatore Demontis. L’unica possibilità che ha il Comune è quella di bloccare il traffico: «Servono più aree pedonali e una riorganizzazione generale del traffico privato e dei mezzi pubblici», spiega il sindaco Gianfranco Ganau. «Purtroppo però per fare questo dovremo avere pazienza e aspettare che finiscano i lavori in corso».
Nell’attesa Palazzo Ducale prova a sensibilizzare i sassaresi, invitandoli a usare meno l’auto , con la campagna fatta di magliette e cartoline, con lo slogan «Chi va a piedi usa la testa». (v. g.) 
 
4 – L’Unione Sarda
Cronaca di Oristano Pagina 21
Chiostro. Appello ai politici per salvare la sede cittadina
La rabbia degli studenti: «L’università non si tocca»
 
 Al movimento dei giovani universitari si aggiungeranno i consigli comunali di mezza provincia. Tutti voteranno un ordine del giorno per chiedere alla Regione che i corsi oristanesi non siano soppressi.
Alla protesta dura degli studenti si aggiungerà quella ufficiale dei consigli comunali di mezza provincia. Tutti insieme voteranno un ordine del giorno per chiedere alla Regione che l’Università di Oristano non venga soppressa. Per un lungo elenco di ragioni: la qualità dell’offerta formativa, prima di tutto. Ma anche perché i corsi universitari attivi da dieci anni al Chiostro del Carmine non esistono nelle altre città sarde e in poche altre università italiane. Il rischio di chiusura per i cinque corsi di laurea è concreto: la finanziaria regionale ha ridotto i contributi destinati alle università decentrate e il Consorzio Uno inizia a fare i conti con le ristrettezze economiche. «Ancora non ci hanno spiegato perché questa università dovrebbe morire - sottolinea Stefano Collu, rappresentante degli studenti oristanesi - I corsi sono legati al territorio e questo consente ai giovani di trovare molto più facilmente lavoro. I dati lo confermano: quasi il cinquanta per cento dei laureati ha trovato un’occupazione». La media in effetti è più alta di quella nazionale. «A Oristano esistono laboratori che nelle altre città gli studenti si sognano - assicura Alessandra Melario, studentessa di Biotecnologie industriali - Qui gli iscritti non sono troppi e per questo tutti possono fare esperienza e imparare davvero».
In undici anni di attività sono state discusse 345 lauree e sono stati assegnati 75 diplomi universitari. «I primi a non volere questa università sono alcuni docenti - denuncia Greca Firinu, studentessa di Tecnologie alimentari - Preferirebbero fare lezioni a Sassari o a Cagliari».
Gli oltre seicento studenti iscritti ai corsi oristanesi, insieme ai ragazzi dell’associazione "Oristano giovane" annunciano battaglia. «Quella di decurtare i finanziamenti - sostiene Andrea Pigato - è una scelta ingiusta e immotivata». Si attendono spiegazioni da Cagliari. «Questo è un polo universitario eccellente, che funziona - precisa Antonio Iatalese, presidente dell’associazione "Oristano giovane" - Non capiamo però il silenzio di tutti i nostri rappresentanti politici: né il Consiglio comunale, né quello provinciale si sono preoccupati di questo problema. E i consiglieri regionali oristanesi perché tacciono?». «Ancora una volta i politici oristanesi hanno dimostrato il loro scarso interesse ai problemi reali del territorio - aggiunge Nicola Delogu - Visto che loro non hanno fatto ancora nulla saranno gli studenti e tutti i giovani di Oristano a sollevare la voce. La battaglia sarà dura».
Nicola Pinna

 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Fatto del giorno
Le lotte di campanile non aiutano l’università in crisi 
di Giuseppe Pulina * 
 
La polemica sulle sedi gemmate delle Università della Sardegna si sta arroventando. Fra le tante analisi, i pro e i contro il decentramento dei corsi di studio universitari, provo a dare una lettura, forse non ortodossa, delle concause che hanno portato all’attuale distribuzione territoriale della offerta formativa universitaria nella nostra Regione. Posso comunque preliminarmente affermare che tale fenomeno è stato più subito che voluto dai due Atenei isolani. La metastasi accademica è iniziata intorno alla fine degli anni ’80, sostenuta da diversi ordini di motivi, alcuni dei quali esterni all’ambito accademico. Il primo fattore è il localismo. Le comunità locali, sulla spinta di una convinzione che la collocazione di una sede universitaria sarebbe stata un volano di sviluppo, hanno premuto sulle forze politiche regionali e nazionali per trovare le risorse necessarie alla nascita delle sedi gemmate. Il risultato è stata la pressione dell’establishment politico (ecclesiastico, industriale, ecc..) sui senati accademici, sui consigli di amministrazione nonché sui consigli di facoltà per la dislocazione di almeno un corso (anche di solo diploma universitario, come erano chiamati allora i corsi triennali) presso una sede remota. Il secondo fattore è l’aggressività delle Università del continente. Nel festival delle sedi gemmate si erano introdotte con grande vitalità le Università del continente, le quali hanno sfruttato l’occasione offerta dalla telematica e la condiscendenza del Ministero dell’Università propenso a riconoscere l’insegnamento di corsi universitari a distanza. Questo ha comportato l’insediamento di corsi universitari in sedi ritenute, fino al momento, di scarso interesse per gli Atenei isolani. Un caso per tutti è il corso telematico di ingegneria informatica aperto a Scano Montiferru dal Politecnico di Torino. Preoccupate da questa «invasione», le Università della Sardegna si sono trovate costrette a considerare con maggiore attenzione le proposte che provenivano dal «territorio». Terzo fattore, l’opportunità di carriera e i vantaggi economici per i docenti. Sentendosi poco valorizzati o addirittura con la prospettiva di carriera loro chiusa nelle sedi universitarie storiche, molti docenti hanno intravisto nella creazione di nuove sedi delle opportunità di avanzamento conseguenti all’ampliamento dell’offerta formativa. Inoltre, poiché la maggior parte dei corsi nelle sedi gemmate sono tenuti da supplenti (e in qualche caso da contrattisti esterni all’Università), la condizione di disagio, nella gran parte dei casi reale, ha comportato che per mantenere «aperti» i corsi decentrati si doveva consentire di «arrotondare» il salario dei docenti universitari impegnati fuori sede. Peraltro, la non stanzialità della maggioranza dei docenti presso le sedi gemmate non ha consentito che si installassero attività di ricerca di spessore e continuative.
 Quali proposte? Fra le tante posso indicare quelle che a mio avviso sono prioritarie.
 Smettiamola di parlare di università di Nuoro, Oristano, Olbia, ecc.. e iniziamo a parlare di Università della Sardegna con due Atenei (Sassari e Cagliari) e alcune (poche) sedi territoriali. Le nostre università versano in una crisi di reclutamento di studenti che sarà sempre più grave per cui è indispensabile concentrare le risorse nelle sedi principali nelle quali, tra l’altro, sia possibile convogliare una massa critica di studenti e di docenti che non rendano la parola Università sostitutiva di «istituto di formazione superiore avanzato». Apriamo le sedi territoriali soltanto nei centri le cui comunità locali siano in grado di sostenere l’ambiente necessario per la maturazione culturale dei giovani nell’età della formazione superiore e universitaria. Un limite che mi viene in mente è la presenza di strutture sportive e culturali (biblioteche, teatri, cinema, ecc..) oltre che di servizi e strutture recettive in grado di richiamare, per la qualità della formazione complessiva, studenti da tutta la Sardegna, e magari da aree extraregionali. Questo consentirebbe di evitare di condannare gli studenti universitari delle sedi non storiche ad una perniciosa formazione localistica, e al contempo offrirebbe possibilità di crescita al territorio. Facciamo in modo che i docenti conducano nelle sedi territoriali oltre all’attività didattica anche quella di ricerca. Questo appare tanto importante se consideriamo che l’università raggiunge i suoi obiettivi soltanto se gli studenti vivono l’avventura formativa con i docenti e studiano assieme.
* ordinario di Zootecnica speciale alla Facoltà di Agraria di Sassari dal sito www.in sardegna.eu
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 22 - Cagliari
Pesanti critiche alla Regione e ai politici locali accusati di immobilismo 
«Salviamo l’università dimenticata» Gli studenti promuovono una petizione 
 
ORISTANO. Le accuse volano. E sono per tutti. Ci passano la Regione, le Università di Cagliari e Sassari, la Provincia e il Comune. Non è un nuovo caso Nuoro, ma dall’ateneo oristanese parte un nuovo grido d’allarme sul futuro dei corsi universitari, nel giorno in cui si tiene un’affollata assemblea degli studenti.
 È stato il presidente dell’associazione Oristano Giovane, Antonio Iattalese, a farsi portavoce del malcontento che serpeggia da diverso tempo in via del Carmine, sede dell’Università. Il tutto è legato alla gestione dei fondi di razionalizzazione che usciranno dalle casse della Regione ma sui quali gli studenti oristanesi non sono stati chiamati ad esprimere un parere, nonostante da questi finanziamenti dipenda il domani della loro università.
 Le scelte, ancora una volta, verranno prese lontano e saranno poi calate dall’alto su una realtà che avrebbe voluto dire la sua e che, al contrario, si accontenterà di decisioni prese tra Cagliari e Sassari.
 Il primo bersaglio delle accuse è centrato. Ecco il secondo, ovvero i politici locali quanto mai silenziosi sulla questione Università. Nessuno di loro ha sollevato la voce per porre almeno il problema e così tocca agli studenti farsi sentire, ricordando che il loro è un piccolo esercito di 700 persone, che l’ateneo ha 35 dipendenti e che il 47% dei laureati trova lavoro. Del resto la pèculiarità oristanese è quella di avere dei corsi molto specifici che ben si assimilano con la realtà produttiva locale e con le richieste di un pur asfittico mercato del lavoro.
 L’associazione degli studenti ha così deciso di dare vita ad una petizione popolare e di fare pressioni sui Comuni dell’Area Vasta affinché inseriscano nella loro agenda politica il dibattito sul futuro dell’Università. (e.c.)
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 26 - Sassari
Traffico e smog, la città la prende con filosofia 
Comune e facoltà di lettere promuovono la campagna “chi va a piedi usa la testa” 
Un progetto del corso MediaRes propone dieci buoni motivi per lasciare l’automobile in garage 
di Antonello Palmas 
 
SASSARI. “Chi va a piedi usa la testa”. Bello slogan che la facoltà di lettere e filosofia dell’ateneo sassarese e l’assessorato all’ambiente vorrebbero trasformare in un cambio di abitudini. La lotta non è facile, perchè il sassarese, come si dice, è comodo e usa l’auto per ogni minimo spostamento, anche se la ricerca di un parcheggio gli consiglierebbe di andare a piedi per risparmiare tempo. Ma professori e studenti di sociologia dei processi culturali, corso specialistico di laurea MediaRes (Media Studies, arti della rappresentazione, eventi, spettacolo) premiati come uno dei cinque migliori gruppi a livello nazionale per l’elaborazione di una campagna sociale, hanno deciso di utilizzare le loro capacità di convincimento per provare a schiodare la città da queste abitudini.
 L’iniziativa è stata presentata ieri a Palazzo Ducale in maniera simpatica. Meno simpatici i dati di una città che presenta livelli di traffico e smog notevoli. Così il corso tenuto dai professori Gianfranco Sias e Massimo Ragnedda ha realizzato una campagna di comunicazione sociale votata all’esigenza di andare a piedi. Manifesti di 6 per 3 sono già visibili, a giorni l’invio di cartoline informative a tutte le famiglie e uffici della città con un elenco di 10 buoni motivi per cui è meglio lasciare l’auto in garage: respiri aria più pulita, eviti lo stress da traffico, non hai problemi di parcheggio, riduci le spese di carburante, rendi la tua città più tranquilla, incontri più gente, ti tieni in forma riscopri gli angoli della città, lasci più spazi ai bambini, pensi meglio.
 L’assessore all’ambiente Salvatore Demontis ricorda che nel 2007 scattò l’allarme inquinamento: «Le centraline segnalarono il possibile sorpasso della soglia critica dei 35 superamenti del limite del particolato atmosferico pm10 in viale Dante, cosa che poi avvenne perchè si arrivò a 36 (ma via Amendola non è andata molto meglio, con 33. con i 21 di Corso Vico, che però nei primi mesi di quest’anno si è portato nettamente in testa, e i 19 di via Budapest). Non è emergenza, ma qualcosa si deve fare. Il traffico è l’unica variabile che possiamo controllare anche se non è l’unica: a volte sono stati segnalati picchi anomali in giornate come la domenica mattina, nella quale il traffico è quasi inesistente, segno che esistono anche altri fattori come il vento. Il lavaggio delle strade non ha dato risultati. Speriamo di ottenerne di migliori partecipando nei costi alla campagna della facoltà»
 Il preside Aldo Maria Morace, lodando l’interazione tra istituzioni, ha scherzato col sindaco Gianfranco Ganau precisando di essere arrivato sin lì a piedi, ma il primo cittadino gli ha ricordato che comunque sarebbe stato impossibile... «Ci sono dati che non ci piacciono - afferma Ganau, che insieme a tutti gli altri di lì a poco avrebbe indossato le t-shirt col logo dell’iniziativa - e che purtroppo ci pongono ai livelli di città più grandi - per questo vogliamo allargare le zone pedonali, operazione spesso malvista» annunciando un rinnovo dell’80 per cento del parco bus, datato a 25 anni fa.
 Massimo Ragnedda ha ricordato che la sua facoltà è stata la prima tra quelle sassaresi a impegnarsi nella raccolta differenziata e ha evidenziato quello che potrebbe essere il miglior risultato inseguito dall’iniziativa: «Sarebbe più facile sorridere».
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 41 - Cultura e Spettacoli
I risultati di una ricerca sociologica condotta da Benedetto Meloni e da Stefano Carboni 
Così nell’isola arriva la mafia 
Turismo e controllo dei flussi di denaro pubblico 
 
Pubblichiamo un estratto del saggio «Criminalità in Sardegna, la dimensione territoriale e le vittime» scritto da Benedetto Meloni e da Stefano Carboni. Il saggio, che espone i risultati di una ricerca condotta dall’Università di Cagliari sulle nuove forme delle criminalità in Sardegna, è contenuto nel numero 5 della rivista «Cooperazione mediterranea», appena mandata in libreria da Am & D Edizioni.
 
L’analisi quantitativa della criminalità finalizzata al controllo delle risorse locali (vedi la tabella in questa pagina) mostra che:
1) nel periodo 1966-1970 prevalgono i reati compiuti contro i pastori-agricoltori e loro strutture, con una percentuale del 42,2%, seguita dall’aggregazione di imprenditori-commercianti e loro strutture e cooperative-professionisti con una percentuale del 35,0%.
2) Nel quinquennio ’89-93 emerge la categoria dei reati contro gli imprenditori-commercianti e loro strutture e cooperative-professionisti, con una percentuale del 41,3%. Segue la categoria degli amministratori, aggregati con pubblico impiego e strutture pubbliche (17,5%). In questo periodo i reati compiuti contro i pastori-agricoltori e loro strutture mostrano un netto calo rispetto al periodo precedente, con una percentuale del 16,4%. 3) Nel quinquennio 1999-2003 prevalgono, anche se in misura minore rispetto al periodo immediatamente precedente, i reati compiuti contro imprenditori-commercianti e loro strutture e cooperative-professionisti (34,7%); sale l’incidenza degli amministratori, pubblico impiego e strutture pubbliche (21,1%) [...].
 Oggi in Sardegna, così come in altre regioni soprattutto meridionali, le risorse pubbliche sono centrali nell’economia e di conseguenza l’amministrazione pubblica, compresa quella locale, è diventata centrale nell’allocazione di queste risorse, attraverso una serie di competenze che riguardano il governo del territorio: i piani regolatori, la gestione del collocamento nei cantieri, l’assistenza socio-sanitaria, le mense, i trasporti, le attività culturali.
 La gestione dei servizi da parte delle amministrazioni comunali fa sì che esse funzionino sostanzialmente da agenzie di collocamento. La significativa rilevanza delle risorse di natura pubblica da distribuire, di conseguenza, porta alla costruzione di gruppi di interesse e posizioni professionali finalizzate al controllo di queste risorse e a rafforzare gruppi di pressione interessati ad ottenere privilegi. A partire dagli anni ’80, si è andato formando un ceto imprenditoriale, fatto di appaltatori, uffici di progettazione, specializzati nei meccanismi di accesso alle risorse pubbliche, che si formano e si affiancano a coloro che hanno interessi specifici in qualche modo riconoscibili (aree turistiche, piani urbanistici). Si tratta di professionisti della progettazione chiavi in mano. Ciò che interessa è che questi gruppi si costituiscono come soggetti attivi nella gestione del potere locale. Non arrivano in seconda battuta ma in prima, perché eleggono i propri rappresentanti nei consigli, non solo delle amministrazioni, ma anche negli enti e nei partiti. In Sardegna le combinazioni degli interessi pubblici possono essere diverse da quelle delle regioni meridionali, perché diverse sono le risorse in gioco. Non è detto che diano luogo a forme mafiose, ma è importante capire a cosa danno luogo. Il problema non è comprendere se la gestione delle risorse curata per gruppi di interesse e il clientelismo esistano o meno, quanto cogliere quale logica combinatoria si crea con altri comportamenti e logiche distributive e con le logiche degli investimenti. [...]
 Se le risorse principali a livello territoriale sono quelle derivanti dalla centralità dell’amministrazione locale nel sistema degli appalti e dei lavori pubblici e dei massicci investimenti privati nel settore dell’edilizia e del turismo, l’uso della violenza contro gli amministratori e gli imprenditori diventa un elemento condizionante le pratiche di governo del territorio, anche se poco o nulla si sa sulle forme di organizzazione.
 L’assunzione di questa impostazione consente di mettere in discussione l’interpretazione ormai stereotipa che collega i fatti criminali al centro dell’isola e ancor più precisamente al pastoralismo. In generale infatti tutte le province della sardegna presentano, negli anni dal 1975 al 2001, una tendenza alla creascita del totale dei delitti denunciati. Emerge sostanzialmente che non esiste più quella contrapposizione tra zone interne e resto dell’isola, ovvero tra tradizione e modernità. Le categorie dell’arcaico non sono più utili per spiegare l’evoluzione dei caratteri della criminalità in Sardegna. È possibile osservare cioè fenomeni significativi in tutte le province e saltano le nette differenziazioni territoriali. È necessario, in altre parole, superare l’idea stereotipa che tende a confinare la criminalità sarda all’interno di un mondo tradizionale isolato, quello pastorale e arcaico del centro Sardegna, non intaccato e resistente alla modernità.
 Si pone poi a livello di spiegazione generale il problema del rapporto tra forme di organizzazione e forme di violenza diffusa. È stato sostenuto a più riprese, negli Atti della Commissione Regionale del 1987, che la differenza più significativa tra la criminalità sarda e quella mafiosa consiste nel fatto che la prima non si basa su un gruppo strutturato, né su un’organizzazione che dura nel tempo. Molte analisi sull’origine della criminalità contemporanea convergono sul fatto che la mafia come organizzazione gerarchizzata e centralizzata a livello regionale è un fenomeno recente, del secondo dopoguerra, mentre all’origine vi erano gruppi di violenti che controllavano le risorse di specifici contesti locali circoscritti, strutturati sulla base di rapporti di parentela, amicali e di comparaggio. [...] Ed è interessante osservare come questi aspetti dell’organizzazione, su base amicale o parentale, vengano negli atti della Commissione del 1987 più volte messi in risalto come aspetti caratterizzanti la situazione sarda. Fino alla fine degli anni ’60 in realtà sarà la famiglia a rappresentare il microcosmo fondamentale dell’organizzazione criminale mafiosa. È la famiglia che controlla il proprio territorio. Dalla fine degli anni ’60 si accentuerà invece il carattere verticistico e piramidale, con conseguente spostamento di potere dalle famiglie ai mandamenti e alle commissioni provinciali e regionale. La mafia si struttura a partire dalle “famiglie” che individuano un capo famiglia “rappresentante” gli interessi all’interno di una struttura regionale (Cosa Nostra). Le famiglie sono non solo organizzate al proprio interno, ma in strutture intermedie (mandamenti provinciali) e in una struttura centrale (mandamento regionale).
 Si può osservare che in Sardegna, pur non esistendo un’organizzazione così centralizzata, esistono comportamenti specifici della criminalità sarda che non escludono l’organizzazione su base territoriale e familiare: l’abigeato e il sequestro di persona.
 L’abigeato richiede di fatto organizzazione, conoscenza dei territori, reti di relazione per poter portare a termine le azioni necessarie, mediazioni in caso di riscatto, in pratica uno scambio sociale, una forma di reciprocità anche se negativa. [...] Per quanto riguarda poi il sequestro di persona si riteneva fosse portato a termine da gruppi la cui caratteristica fosse l’estrema flessibilità e mobilità degli appartenenti; che una stessa banda, nata sulla base di un reticolo paesano-amicale-familiare, non ripetesse più di un sequestro, e si sciogliesse subito dopo la conclusione. La relazione sui sequestri di persona a scopo di estorsione della Commissione antimafia evidenzia invece (ottobre 1998) come non sia più la cultura barbaricina a caratterizzare i sequestri, che sono sempre più effettuati da bande organizzate, senza le quali sarebbe impossibile portare a termine un sequestro, che durano nel tempo e che hanno connessioni con altri contesti di criminalità organizzata. Sempre il Comitato contro i sequestri di persona istituito all’interno della Commissione antimafia parla di «zona grigia», in riferimento ad alcuni casi specifici, all’interno della quale si sarebbero saldati vincoli illeciti tra istituzioni e criminalità. [...] Porre il problema in questi termini consente anche di interrogarsi sulle forme organizzate attuali della criminalità, non necessariamente mafiose ma specifiche, senza escludere a priori l’esistenza di elementi collegabili ai modelli mafiosi.
 Rifiutare di esaminare questa eventualità potrebbe essere indice di un’irresponsabile cecità. Anche perché a partire dalle forme di violenza diffusa, soprattutto contro amministratori e imprenditori, la criminalità può subire un’espansione. E l’organizzazione e la strutturazione durevole potrebbero essere, come abbiamo osservato per altre regioni meridionali, il passo successivo.
 
 
 
 

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