Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
28 January 2008
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 4 articoli della testata giornalistica La Nuova Sardegna  

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 14 - Fatto del giorno
Università, la Regione garantisca pari opportunità ai giovani dell’interno 
La rete dei corsi di laurea va ripensata, in modo da stabilire principi di equità altrimenti disattesi tra i futuri lavoratori 
di Mario Demuru Zidda * 
 
Un recente intervento del professor Francesco Pigliaru pubblicato da “La Nuova Sardegna” ha riproposto il tema del rapporto tra istruzione e sviluppo in Sardegna, fornendo alcuni spunti sulla questione universitaria, senza dubbio interessanti e di attualità.
 Pigliaru dice: la Regione ha enunciato un principio di alto profilo sostenendo - come fece Tony Blair nel suo paese - che l’istruzione è la priorità. Tale enunciato è sintono a quanto scrisse Gramsci: istruitevi perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. E la Regione ne ha fatto giustamente lo slogan di una efficace campagna di comunicazione, non fine a se stessa. In Sardegna, dove solo il dieci per cento della popolazione di riferimento possiede un titolo di laurea, fra le irrisolte questioni delle “zone interne” (vero grumo problematico delle nostre carenti politiche di riequilibrio territoriale), vi è la peculiare criticità dell’elevato tasso di abbandoni scolastici nell’età dell’obbligo. Da un punto di vista territoriale, altra criticità del sistema dell’istruzione pubblica riguarda quella universitaria. Si pone intanto una questione di pari opportunità: i giovani di alcune aree della Sardegna - per lo più svantaggiate in termini di sviluppo e di ricchezza, tra cui sicuramente il Nuorese e l’Ogliastra - vedono negato l’accesso all’istruzione universitaria, o lo hanno a condizioni di maggiori sacrifici economici (comparativamente al cagliaritano e al sassarese) per l’obbligo della residenzialità fuori casa. Vi è poi il dato socio-demografico, qualitativo e quantitativo, del saldo fortemente negativo che riguarda la popolazione delle zone interne in età di istruzione post-secondaria. Molti giovani scelgono il proprio corso di studi universitari seguendo le proprie inclinazioni e la propria visione del futuro. Il mercato del lavoro locale non è però in grado di dare poi risposte soddisfacenti alle loro eventuali richieste di inserimento, né vi sono condizioni sufficienti perché si generi una imprenditorialità giovanile. L’esito finale è la perdita non compensata di quell’apporto di intelligenza creativa che viene dai giovani che dispongono di una solida istruzione, la cui mancanza rende declinanti in maniera irreversibile le nostre comunità. C’è chi sostiene l’innegabile importanza di una esperienza di studio fuori casa, magari in contesti molto dinamici e cosmopoliti. Questo già avviene spontaneamente, in particolare per giovani del Nuorese e dell’Ogliastra, che così si orientano quando ne hanno i mezzi. Ma non è una risposta facilmente estendibile, tanto più che una pari opportunità dovrebbe essere data a tutti i giovani sardi. Resterebbe comunque aperto il problema del reinserimento nelle comunità d’origine, connotate da scarso dinamismo economico-imprenditoriale.
Date queste premesse (forse tutte discutibili ma non eludibili aprioristicamente) e quella più puntuale di Pigliaru, quale potrebbe essere una proposta? A mio avviso potrebbe essere quella di riconsiderare il modello di organizzazione universitaria sarda, che oggi è costituito dagli Atenei di Cagliari e Sassari, da qualche sede gemmata e da alcuni corsi sparsi in altre sedi. Meglio sarebbe, forse, un “sistema universitario sardo” che nel valorizzare le peculiarità e le autonomie degli attuali atenei, persegua il fine della integrazione del sistema, attraverso la creazione, ad esempio, di “università di insegnamento”, là dove da tempo sono state avviate significative esperienze di insegnamento universitario. È il caso del polo nuorese che ha la peculiarità di essere stato istituito sulla base di accordi tra Stato, Regione e enti locali del territorio, in cui da oltre 15 anni sono stati attivati corsi di laurea di primo e secondo livello. Lo spazio per valutare l’attuabilità di un nuovo polo, è dunque da vedersi proprio in relazione alla domanda potenziale di istruzione universitaria racchiuso in quel differenziale, inizialmente richiamato, tra il 12 per cento medio dei laureati italiani e il 10 per cento dei laureati sardi, in rapporto alle rispettive popolazioni di riferimento.
 Il sistema universitario sardo potrebbe ammagliare l’intero territorio isolano in un modello “a rete”, in cui attraverso appositi protocolli vengano definite collaborazioni per la creazione di servizi agli studenti, servizi amministrativi, collaborazioni didattiche, scientifiche e di pianificazione dell’offerta formativa tali da ottimizzare il sistema evitando duplicazioni, sovrapposizioni e inefficienze. Non credo infatti che l’indiscutibile autonomia degli atenei possa confliggere con la possibilità di integrarsi in ambiti decisionali in cui vengano definiti obiettivi comuni dell’intero sistema, di più ampia portata a quelli delle singole istituzioni. La Regione potrebbe svolgere un ruolo di partnership nella formulazione di indirizzi, e nella mobilitazione di risorse utili ad articolare funzionalmente e qualificare, conformemente ai propri piani di sviluppo, un sistema universitario isolano più rispondente a criteri di pari opportunità ed equità territoriale.
 Queste considerazioni non hanno alcuna pretesa di esaurire il tema. Voglio semplicemente insistere sulla necessità di correggere il gap fra la Sardegna e molta parte dell’Italia, e così facendo, trovare una risposta che contrasti il declino del Nuorese. Non bisogna sottovalutare nessuna delle dinamiche sociali in atto in questi territori dell’interno, anche alla luce dei fatti drammatici (ma non episodici quanto vorremmo illuderci) che vediamo accadere sotto i nostri occhi giorno per giorno. Prendo a prestito una considerazione, da me condivisa, di Renato Soru riguardo alle ricadute positive della industrializzazione di Ottana, rispetto alla statica società agro pastorale di cui ha segnato un punto di svolta.
 Chiedo: il polo universitario nuorese, reso vivo e vitale tanto da essere attrattivo anche per studenti che vengono da fuori, non potrebbe avere simili e maggiori effetti (questa volta senza controindicazioni), sulla rigenerazione del nostro territorio, su una sua nuova capacità di produrre iniziativa e spirito imprenditoriale? Un conto è dare l’opportunità ai giovani di crescere fuori casa, un altro conto è che vi siano costretti. Un conto è far crescere i giovani, un altro conto è, attraverso di loro, far crescere anche il loro ambiente. La mia città mantiene in questo una grande fiducia - oltre ad una speranza quasi ventennale - che vorrebbe veder diventare certezza. Chiediamo troppo?
* Sindaco di Nuoro
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 9 - Attualità
La notizia da Israele nel Giorno della Memoria 
«Diminuisce l’antisemitismo» 
Ma David Grossman invita a tenere alta la guardia 
 
ROMA. Cala in tutti i paesi d’ Europa l’antisemitismo, pur se con qualche eccezione, come indica il rapporto presentato ieri al governo israeliano in occasione del Giorno della Memoria che è stato ricordato in tutta Italia come in gran parte della stessa Europa. E David Grossman, lo scrittore israeliano che ieri ha ricevuto a Firenze la laurea honoris causa, spiega che ogni ebreo è una sorta di «colombo viaggiatore» della Shoah che lo «voglia o no».
 E anche il presidente della Camera Fausto Bertinotti parlando a Milano - dove è partito per una visita ad Auschwitz un treno di studenti - sottolinea l’importanza del ricordo e del dialogo tra le civiltà. A conclusione della giornata che ricorda il 27 gennaio del 1945 la liberazione di Auschwitz da parte dei sovietici è in corso a Roma il convegno su’Antisemitismo e negazione dell’Olocausto. «Moderni crimini contro l’umanità. Il mondo non ha imparato la lezione?», organizzato dal ministero dei beni culturali, che vedrà la partecipazione del vicepremier Francesco Rutelli e quella del presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Renzo Gattegna. Un convegno che oggi vedrà, tra gli altri, le testimonianze di Franco Frattini per la Ue, del ministro dell’interno Giuliano Amato, ma anche quella di storici importanti come Anna Foa, Vittorio Dan Segre, Riccardo Calimani, Deborah Lipstadt che ha spinto per l’incriminazione dello storico negazionista David Irving, di Charles Small e del Nobel Elie Wiesel, scampato ai campi di sterminio. Quest’anno la ricorrenza del Giorno della Memoria si è intersecata con il 70º anniversario delle leggi razziali del 1938, firmate da casa Savoia, e il sindaco di Venezia Massimo Cacciari sottolinea quest’aspetto: «Sono pochi anni - dice - che si sta studiando quella vergogna, perché poi l’enormità dello sterminio ha fatto sì che quasi si potesse dimenticarla», come se non si potesse paragonare la discriminazione delle leggi razziali alla persecuzione di Auschwitz». Anche il sindaco di Trieste di Forza Italia Roberto Di Piazza - nella cerimonia alla Risiera di San Sabba unico campo di sterminio in Italia - ammonisce che i nazisti «non agirono da soli ma trovarono un complice anche nell’Italia fascista che con l’adozione delle leggi razziali si indirizzò su una strada di non ritorno». Radio e tv hanno dato grande risalto in tutta la loro programmazione al Giorno delle Memoria e anche le manifestazioni politiche hanno avuto momenti dedicati al ricordo come a Riva del Garda l’Assemblea di Rete Italia di Roberto Formigoni. All’estero, in Gran Bretagna, uno dei paesi che il rapporto presentato a Gerusalemme indica come sede di aumento delle manifestazioni antisemitiche, per la prima volta musulmani hanno partecipato alle cerimonie in onore del Giorno della Memoria. Nello stesso paese - che con Francia, Ucraina, condivide quell’aumento, spesso legato alle tensioni per la questione mediorientale, accanto ad un gran numero di siti web «velenosi» in tutto il mondo - ha destato grande imbarazzo un film «Ss experiment Camp», pellicola ultraviolenta che mostra torture e abusi sessuali ai danni di donne in un campo nazista. La pellicola è stata girata nel 1976 dall’italiano Sergio Garrone.
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
Antonio Romagnino, cantore e critico della città del sole 
Le mie tre icone: Castello, San Benedetto e Monte Urpinu 
 
CAGLIARI. Canto d’amore alla città del sole: l’esistenza di Antonio Romagnino insegnante, giornalista, scrittore e poeta cagliaritano potrebbe essere sintetizzata in questo atto di fede. L’intellettuale che percorre con passo agile e in piena forma fisica il viale alberato della sua terza età (da due mesi è un novantenne fiorente) parla sempre volentieri della sua città natale, quella di ieri e quella di oggi, dall’infanzia nel quartiere nobile di Castello alla sua residenza attuale ai piedi del Monte Urpinu, uno dei luoghi incantati della Cagliari del nuovo millennio. Continuano ad affascinarlo i luoghi della patria del cuore, nelle passeggiate a piedi e nei percorsi quotidiani in filobus e in autobus. E la vorrebbe più vicina al cuore dei giovani cagliaritani di oggi, questa sua città inondata di luce anche nelle mattinate gelide di gennaio.
 La chiacchierata con lui nell’attico della sua casa di via Gazano, la stessa strada in cui visse il compianto linguista bonorvese Antonio Sanna, muove dalla Cagliari degli anni Venti. Da un ricordo di scuola, più precisamente: la rievocazione del suo compagno di banco che sarebbe poi divenuto un attore comico: Gianni Agus.
 «La mia città di allora aveva quello che poi non ha più avuto: la filodrammatica. C’erano i grandi animatori: i Girau, per esempio, che facevano i registi. Gianni Agus è nato lì, poi ha fatto il concorso al centro sperimentale di cinematografia. Gianni era mio compagno di banco, ogni giorno mi rubava la merenda e poi rideva di gusto. Era un ragazzino gioioso. Ma io piangevo. Eravamo in Castello: lui veniva da Villanova, io abitavo in via Lamarmora, s’arruga dereta chi dereta no est, chissà perché era chiamata via dritta».
 Per il professor Romagnino la via Lamarmora «si può prendere a simbolo di una città finita. Quella via stretta, con i balconi dei due lati vicinissimi tra loro, produceva una civiltà. In Castello c’era una comunità vera. Don Mondino De Magistris era un medico prestigioso, ma anche un personaggio influente nel quartiere con i diversi ceti: borghesi, popolani, nobili».
 Antonio Romagnino parla di una vera e propria “civiltà del balcone” in una Cagliari ormai scomparsa. «Io ci torno spesso, ma le finestre sono chiuse. Non lo riconosco più, il mio quartiere. La finestra di una volta era amicizia e conflitto, le donne erano le regine. E i ceti diversi erano fra loro in comunicazione fiduciosa». La decadenza del quartiere più alto di Cagliari inizia dalla perdita progressiva delle scuole: il liceo musicale, il ginnasio Siotto vicino alla torre e alla chiesa di San Giuseppe, l’istituto magistrale che era proprio nella via Lamarmora.
 Castello era - ed è - anche il rione della cattedrale. «Con mia moglie alla vigilia delle nozze c’è stato il problema della differenza del quartiere», racconta il professore. «Lei veniva da Villanova e gradiva sposarsi a San Giacomo, la sua chiesa, anziché in cattedrale. Io l’ho accontentata ma mi sono dovuto giustificare con l’arcivescovo». Già. C’era un rapporto intenso tra l’autorità e il popolo, che andava al di là del rito. «Immaginiamo che cosa era l’arcivescovo nella vita pubblica», invita a meditare Romagnino. «Contava quanto il prefetto. I due palazzi, Arcivescovado e Prefettura, erano nella stessa piazza di Castello». La poesia del quartiere, invece, «era data dal balcone, capace di mettere in comunicazione la gente di ceto diverso. Attraverso il balcone si comunicava e insieme ci si sosteneva, erano tempi difficili».
 Ha conosciuto anche la fame, lui, l’ha vista in faccia? «In faccia no, l’ho vista nel racconto degli altri. Ho fatto una guerra lunga, io, in Africa prima e negli Stati Uniti poi, prigioniero degli americani per due anni e mezzo. Quei racconti si riferivano allo spopolamento di Cagliari, quando i cagliaritani benestanti andarono a vivere nei paesi del Campidano. Gli aspetti più dolorosi della guerra nascevano dall’impossibilità di avere un rifugio in campagna nei bombardamenti aerei. Però chi l’ha avuto, questo aiuto, lo ricorda in maniera positiva. La campagna del Campidano, nelle narrazioni che ne fecero poi i cagliaritani, era stata un grande sostegno alla città bombardata. Noi avevamo il privilegio di avere il legame parentale fuori città, mia madre era di Serramanna».
 Guerra lunga, dal 1943 al 1945. «Io sarei potuto venire a Cagliari, invece mi impuntai per andare in Africa, ero un pò acceso in quella direzione. Ho fatto la guerra dopo El Alamein, tutta la ritirata. Fui catturato in Africa dagli Inglesi, che però avevano un gran numero di prigionieri italiani e chiesero agli Americani di prendersene una certa quantità. Così sono finito negli Usa, esattamente nel Missouri, per due anni e mezzo».
 Nel 1945 il ritorno a Cagliari. E l’inizio della carriera di insegnante di italiano e latino. Qui il professore si illumina. «Mi piaceva la cattedra, la lezione che sostenevo. Avevo fatto precedentemente un’esperienza a Iglesias nel 1939, appena laureato. A Cagliari, nel 1945, molte cattedre erano scoperte: ebbi l’incarico prima alle magistrali e poi al Liceo Dettori. A me insegnare piaceva, fammelo dire, a volte parlavo per un’ora, tra una campana e l’altra. La mia era un’orazione: ho sempre curato molto la forma. Prevaleva la parola detta sulla lettura. C’era una comunicazione affettuosa tra ragazzi e insegnanti e un bel rapporto con le famiglie. Tra le cose importanti della mia esperienza scolastica metto i colloqui periodici con i parenti degli alunni, spesso alla presenza degli stessi ragazzi. Non voglio essere severo, ma molti questa esperienza l’hanno dimenticata. Nei miei trent’anni di docenza vedo il meglio che la vita mi abbia potuto offrire, soprattutto al Dettori. Per me quell’esperienza è anche di ordine sentimentale, affettivo. Il preside Rachel, uomo di valore, diceva sempre, a proposito della durata dei colloqui: «Ma non dd’acabbais prus, ma non la finite più? In realtà quella battuta rimarcava la grande partecipazione dei genitori».
 Scuola come centralità di un percorso culturale. E l’esperienza giornalistica? «Prima della guerra avevo scritto su giornalini del regime. Quando rientrai dagli Stati Uniti iniziai a collaborare con l’Unione Sarda». Diversi anni dopo un suo ex alunno, Gianni Filippini, divenne responsabile della terza pagina del quotidiano e la collaborazione del professore si intensificò. «Sì, certamente. Gianni era stato un alunno molto bravo ed era già un giornalista brillante. Ho sempre collaborato volentieri con lui».
 Torniamo al suo rapporto con Cagliari. Come la sente, oggi, questa sua città il professor Romagnino? «Come allora, la mia relazione con Cagliari è rimasta sempre viva. Quando esco a passeggio o attraverso il centro urbano con i mezzi pubblici di cui sono fedele frequentatore, mi torna davanti agli occhi la città che amo. La presenza di Cagliari la porto dal sentimento alla valutazione estetica, continuo a sentirla molto bella. Nelle mie traversate quotidiane ammiro ancora una città di grande bellezza».
 Dalla terrazza della sua casa si vede la pineta, un quadro straordinario. «Quando ero bambino nella mia scuola di Castello risuonava come in tutte le scuole elementari la promessa della passeggiata. La meta che godeva di maggior fascino in quegli anni remoti era Monte Urpinu. Vivo qui da una quarantina d’anni. Con il matrimonio, dal quartiere di Castello sono andato ad abitare in via Manzoni, rione di San Benedetto, poi sono venuto qui. I miei luoghi cagliaritani del cuore sono tre: Castello, San Benedetto, Monte Urpinu».
 Ha scritto Victor Hugo: «C’è un’alba indicibile nella vecchiaia felice».
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 17 - Cronaca
Dottorato di ricerca, sei titoli 
Università, traguardo nella facoltà di Scienze ambientali 
 
 NUORO. Sei giovani laureati della facoltà di Scienze ambientali dell’università nuorese hanno conseguito il dottorato di ricerca in “Monitoraggio e controllo degli ecosistemi forestali in ambiente mediterraneo”, con le tesine, rispettivamente, su “Studio sui neutroni della Sardegna”, “Monitoraggio di indagine ecologica im ambiente fluviale e perifluviale nel fiume Cedrino”, “Sperimentazione di modelli suolo-zeolite per la mitigazione di reflui urbani depurati: andamento della componente inorganica”, “Biodiversità della microflora edafica in funzione della copertura vegetale in ambiente mediterraneo mediante tecniche funzionali e di microbiologia classica”, “I ragni di alcuni sistemi arborei della Sardegna con considerazioni sulla fauna regionale”.
 Si è trattato di sei giovani laureati in Scienze agrarie e Scienze forestali, tre donne e tre maschi della provincia di Nuoro e di Sassari, che per tre anni hanno frequentato i corsi di ricerca legati ai temi dell’ambiente, degli ecosistemi forestali, dell’acqua e ai sistemi arborei.
 Filosofia, questa della ricerca, che dimostra che nell’Università Nuorese, anche se il numero dei docenti continua ad essere limitato, la parte sperimentale e di ricerca viene fatta con interesse e grande impegno.
 In alcuni casi frequentando anche corsi all’estero, come quello che si è svolto in Bulgaria per la microbiologia. I dottorandi erano: Gianfranco Puddu, Antonio Sassu, Giuseppina Selis, Carlo Cesaroni, Anna Lisa Cuccui e Maria Giustina Duras. Coordinatore del dottorato il professor Antonio Franceschini, mentre i tutori erano: i professori Roberto A. Pantaleoni, Andrea Cossu, Maria Itria Pilo, Pietrino Deiana e Sergio Vacca.
 
 
 
 

Questionnaire and social

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