Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
13 June 2008
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 2 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Cultura – pagina 9
Al museo di Cabras la nave romana con il piombo ispanico dei Pontilieni Dai fondali azzurri di Mal di Ventre ai laboratori di fisica Fantasmi del mare, il relitto dei lingotti
ROBERTO RIPA
 
Cabras. È colata a picco con la prua, puntando il fondo e poggiandosi su una distesa di sabbia a circa 30 metri di profondità, leggermente inclinata sul lato sinistro. La poppa con la fiancata di destra sarebbe rimasta più sollevata. Le cause del naufragio? Solo ipotesi: forse una tempesta ma non si esclude neppure un arrembaggio di pirati o un attacco militare.
La drammatica storia del relitto di Mal di Ventre, la nave romana carica di mille lingotti di piombo e affondata intorno al I secolo avanti Cristo davanti alle coste del Sinis, nasconde ancora tanti misteri. Dopo circa vent’anni dal ritrovamento dell’importante giacimento archeologico, i resti di quel naufragio, il prezioso carico e i reperti, finalmente sono esposti e raccontati nel museo comunale di Cabras, in una sezione ideata dalla curatrice e archeologa, Carla Del Vais.
IN MOSTRA Escono dal silenzio del mare i famosi piombi dei Pontilieni che per duemila anni sono stati custoditi nei fondali del Sinis. Nella sala del museo è possibile ammirare i lingotti poggiati su una base in legno, e a corredo sulle pareti alcune gigantografie delle fasi salienti del recupero. Esposte al pubblico anche le anfore vinarie (in una di esse sono state ritrovate riserve alimentari, resti di pesce, forse, in salamoia). Recuperate dalla prua quattro ancore in piombo mentre è rimasta sul fondo l’ancora in ferro che si trovava a poppa. Completano l’esposizione proiettili in piombo, macine, stoviglie e infine una moneta e una lucerna: due oggetti da corredo della nave che farebbero risalire la costruzione dello scafo al II secolo a. C.
LA SCOPERTA La voce che a poche miglia dalla costa, a sud est dall’isola di Mal di Ventre, vi fosse un relitto di una nave romana, circolava da tempo tra i pescatori del mare del Sinis e appassionati di subacquea. Mai nessuno però era riuscito a fare quel mirabile incontro col fantasma sommerso. Il relitto sembrava una leggenda di cui molti parlavano ma che nessuno aveva visto. Fu un subacqueo cagliaritano, Antonello Atzori, appassionato di mare e conoscitore dei fondali sardi a stanare la nave dei piombi. Era il 1988 e Atzori nel corso di alcune immersioni intercettò un’enorme distesa di lingotti che per duemila anni il mare e la sabbia avevano tutelato. Venne fatta la denuncia alla Guardia di Finanza e segnalata la presenza del relitto alla Sovrintendenza ai beni archeologici che nel 1989 avviò una campagna di scavo. «Dopo questo primo intervento ne seguirono molti altri, sino ad arrivare all’ultimo che si è svolto nel 1996». Donatella Salvi è l’archeologa della Sovrintendenza che ha diretto meticolosamente tutte le operazioni di recupero e studio di questo prezioso giacimento archeologico. Suoi infatti sono i testi che raccontano la storia del relitto esposti al museo di Cabras.
IL GIACIMENTO Quella nave segnò una novità scientifica di rilievo. «Si trattava infatti di un carico specializzato, che non trovava confronto nelle scoperte precedenti e raddoppiava, con un solo ritrovamento, il numero dei lingotti di piombo iscritti conosciuti», racconta ancora la studiosa. Insomma, non era una novità per gli archeologi trovare nelle navi romane lingotti di piombo. Ma certamente non in quel quantitativo. «Il numero dei pani era sempre contenuto così da far ipotizzare che costituissero una riserva per eventuali necessità della nave». Stavolta non fu così. Il piombo aveva un grosso mercato per il grande uso che se ne faceva. Compresa l’estrazione dell’argento, «indispensabile non solo per la produzione di oggetti di pregio, ma soprattutto per la coniazione delle monete, che nella prima metà del I secolo a.C., secondo le stime moderne, furono prodotte in 450 milioni di esemplari».
LE MINIERE Già dai primi contatti con quel materiale gli studiosi riuscirono a ipotizzare la provenienza del carico: le miniere della Spagna. A indirizzarli inizialmente in questa ricostruzione furono i cartigli, ovvero le iscrizioni impresse sulla sommità ricurva dei pani, con il nome e i simboli del produttore. Il raffronto con altri ritrovamenti più antichi e in altre zone del Mediterraneo diede un grosso aiuto alla ricerca. Di 999 lingotti ben 709 si riferiscono a Marco e Caio della famiglia dei Pontilieni. Ma sono presenti anche i marchi di Quinto Appio e Lucio Carulio Hispalo, di Caio Utio, Cneo Atellio, Planio Russino e di Lucio Pilon e Marco o Lucio Apinario. «Che l’area di produzione fosse la Spagna, dove sono state individuate e censite le miniere attive fino alla metà del I secolo a.C., appariva già chiaro dai ritrovamenti del passato», aggiunge la Salvi. «I nomi dei produttori, la tipologia dei marchi, la presenza del delfino sui marchi stessi erano già elementi utili alla definizione della provenienza. Ma ulteriori conferme sono state fornite dalle indagini archeometriche condotte sul piombo dall’Istituto nazionale di fisica nucleare e dall’Istituto di geochimica isotopica del Cnr di Pisa, che hanno definitivamente riconosciuto nell’area di Cartagena le miniere coltivate per la produzione del metallo».
LA DATAZIONE Ma i cartigli furono essenziali per avanzare anche una prima datazione. Si pensa a due date-limite. «L’89 a.C. rappresenta il termine più alto dell’arco di tempo entro il quale è possibile datare il naufragio, quello più basso va posto intorno al 50 a.C. quando le miniere di Cartagena vengono progressivamente abbandonate».
IL PROGETTO L’apertura di una sezione del museo (finanziata dal Comune di Cabras) dedicata al relitto è il primo passo di un progetto che potrebbe portare al recupero e trattamento dei legni dello scafo. Un intervento auspicabile ma costoso. Per l’archeologa Carla Del Vais l’inaugurazione della sala è già un grande risultato: «Siamo soddisfatti che da una proficua collaborazione tra Comune e Soprintendenza sia scaturito un lavoro grazie al quale il territorio potrà fruire di un bene archeologico importante».
REPERTI Tra i tanti oggetti recuperati anche due scandagli in piombo. «L’utilizzo a bordo di questo strumento era determinante per l’analisi dei fondali e della profondità», riprende Donatella Salvi. «La parte inferiore veniva rivestita di grasso, così da far aderire, calandola in acqua, la sabbia o il limo del fondale».
I PIOMBI Parte dello scavo venne finanziato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare. Quel piombo infatti venne considerato eccellente, data la sua purezza, per numerosi esperimenti e per schermare i laboratori del Gran Sasso. Fu utilizzato nel tunnel dell’Infn tra Teramo e Aquila dove si svolgevano, tra le altre cose, le ricerche per chiarire la natura di una particella prospettata da Fermi chiamata neutrino. Il piombo presenta però un inconveniente, il Piombo-210, un isotopo radioattivo che si dimezza in 22,3 anni. Nei lingotti millenari di Mal di Ventre era inesistente.

 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 21 - Sassari
Raggiunto l’accordo tra il rettore Maida e l’assessore regionale Dirindin 
Azienda mista, un manager a tempo 
Decapitato il vertice: sollevato dall’incarico anche il direttore sanitario 
Zanaroli in sei mesi dovrà predisporre l’Atto aziendale 
PIER LUIGI PIREDDA 
 
 SASSARI. Ha voluto incontrarli per spiegargli di persona i motivi per i quali li stava sollevando dall’incarico. L’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, ha comunicato a David Harris e ad Antonello Ganau perchè non sono più direttore generale e direttore sanitario dell’Azienda mista.
 Perchè al momento non hanno i requisiti e la Regione non vuole rischiare di vedersi annullare l’Atto aziendale, un passaggio fondamentale per il decollo dell’Azienda mista ospedaliera e per il rilancio della sanità sassarese.
 Ecco perchè la scelta di Bruno Zanaroli che, «per questo sacrificio», avrebbe ottenuto dall’assessore Dirindin carta bianca sulle scelte dei collaboratori con i quali predisporre l’Atto. Quella dell’ex manager dell’Asl 1 dovrebbe essere una scelta a orologeria: al massimo sei mesi o comunque il tempo necessario per stilare l’importante documento. La Regione avrebbe deciso che attenderà questo periodo di tempo per verificare se potrà essere sanata la posizione di David Harris dal punto di vista dei requisiti richiesti dal bando per la nomina a direttore generale e relativi al riconoscimento in Italia dei suoi titoli di studio conseguiti in America.
 L’accordo sulla nomina temporanea di Bruno Zanaroli sarebbe stato raggiunto la scorsa settimana (dopo un incontro tra lui e il rettore), ma il parere favorevole dell’università di Sassari è arrivato ieri, al termine di un summit tra l’assessore regionale Nerina Dirindin e il rettore Alessandro Maida.
 Dopo aver definito nei dettagli temporali tutta l’operazione, l’assessore e il rettore sono andati in tribunale per affrontare, con il procuratore della Repubblica, Giuseppe Porqueddu, la situazione delle Cliniche universitarie dal punto di vista penale, visto che sono in corso alcune inchieste sulle precarie condizioni, igieniche e strutturali, in cui versano diversi reparti all’interno della cittadella universitaria.
 Nell’incontro della mattina, svoltosi all’Università, il rettore e l’assessore avrebbero invece messo alcuni punti fermi in una trattativa che si è protratta per mesi con momenti di forte tensione ed è stata contraddistinta da continui capovolgimenti di decisioni che hanno portato la sanità sassarese sull’orlo del baratro.
 Dopo la prematura scomparsa di Gianni Cherchi, il primo direttore generale dell’Azienda mista sassarese partito subito con una serie di grandi iniziative orientate all’immediato rilancio della sanità sassarese, l’incarico era stato «girato» al suo numero due: l’italo-americano David Harris. E da quel momento sono cominciati i problemi. Non per le capacità del manager, che anzi in pochissimo tempo ha dimostrato di avere le carte in regola per dirigere una struttura così complessa come l’Azienda mista ospedaliera, ma per i suoi requisiti professionali, che non rispondevano a quelli richiesti per la nomina a direttore generale.
 E lo stesso problema era stato poi rilevato anche per il direttore sanitario Antonello Ganau. Ma se per David Harris, dopo l’acquisizione della cittadinanza italiana, le difficoltà sarebbero di natura strettamente tecnica a causa del finora mancato riconoscimento in Italia dei suoi titoli di studio americani, per Antonello Ganau il problema sarebbe di più difficile soluzione.
 Ecco perchè l’assessore Dirindin ha deciso di «tagliare» l’intero vertice facente funzioni dell’Azienda mista e nominare Bruno Zanaroli. Una scelta che non piacerebbe a molti, tanto che sono già arrivate sulla scrivania del presidente della Regione Renato Soru le interrogazioni dei consiglieri regionali di Alleanza nazionale, Mario Diana e Antonello Liori, e dei Riformatori, Gavino Cassano, ma che l’assessore ha fatto perchè si fida dell’esperienza e delle capacità del manager emiliano. Così tanto da accettare il quasi «aut aut» imposto dal rettore Alessandro Maida, presentatosi all’incontro con un mandato ben preciso del Senato accademico: nominare Zanaroli a tempo in attesa di sciogliere le riserve sulla posizione di Harris, a conferma dell’ottimo lavoro svolto dall’italo-americano.
 L’accordo sarebbe stato raggiunto su questi termini: Bruno Zanaroli, che avrà carta bianca e potrà scegliersi i suoi collaboratori, dovrà predisporre il fondamentale Atto aziendale dell’Azienda mista. Portato a termine questo mandato, con l’approvazione del documento, sarà sostituito. Da Harris, se nel frattempo l’italoamericano sarà riuscito a mettere a posto la sua posizione, oppure da un altro manager.

Questionnaire and social

Share on:
Impostazioni cookie