Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
08 October 2007
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 1011
Tasse universitarie, studenti in ginocchio
La protesta. S’infiamma la polemica sugli aumenti: «La Regione non interviene, da che parte sta?»
 
«Il rettore si prepara ad aumentare le tasse universitarie. La Regione è d’accordo con questo incremento o interverrà a sostegno degli studenti?» A chiederlo è proprio uno dei loro rappresentanti nel consiglio d’amministrazione dell’Ateneo, Giuseppe Frau.
A cinque anni dalla precedente manovra il mondo universitario invoca l’intervento della Regione, come avvenne nel 2002: «Noi - ricorda Frau - ci opponemmo all’aumento delle tasse con il voto contrario in consiglio di amministrazione. Ma ci fu anche la mobilitazione nei confronti della Giunta e del Consiglio regionale che approvò, su nostra richiesta, una legge con la quale vennero stanziati 2 milioni di euro per i servizi agli studenti, e venne anche abolita la tassa regionale per il diritto allo studio di 62 euro per tutti gli studenti con un reddito inferiore ai 25mila euro».
Da quel momento le condizioni economiche non sono cambiate e il Consiglio degli studenti, prima dell’estate, ha manifestato le sue perplessità sul possibile aumento perché andrebbe a incidere profondamente nel bilancio economico di tante famiglie, che devono sopportare numerose spese come quelle per gli affitti, per i libri di testo e per le dispense. «L’Ateneo cagliaritano - evidenzia il rappresentante del gruppo Università per gli studenti - non vive un buon momento dal punto di vista finanziario. Per questo abbiamo chiesto al rettore di attuare un piano di razionalizzazione degli sprechi e delle spese, di riduzione di dipartimenti e centri di spesa inutili. Accanto alle azioni di tutte le componenti dell’Ateneo serve però un intervento forte e deciso della Regione. Chiediamo al presidente Soru di esprimersi pubblicamente per far sapere ai circa 40 mila giovani che stanno iniziando l’anno accademico se è d’accordo con l’aumento delle tasse universitarie. Abbiamo alcune perplessità e ci chiediamo come mai il tavolo aperto dall’ex assessore Pilia per far nascere l’Università della Sardegna dopo tre anni non si sia più riunito e perché, dopo un anno di richieste ufficiali, il presidente della Regione non abbia mai ricevuto il Consiglio degli studenti». Gli studenti sperano quindi in un intervento per evitare l’aumento delle tasse: «Si dovrebbe impegnare - conclude Frau - a garantire l’approvazione di un consistente finanziamento, raddoppiando i fondi per la legge 25 sui servizi agli studenti». Altrimenti si dovranno rassegnare a pagare di più. Il rettore a fine giugno era stato categorico: «Servono quattro milioni di euro e le tasse nell’Ateneo cagliaritano sono ferme da cinque anni e sono tra le più basse d’Italia». Poi la decisione di rinviare il dibattito sull’incremento all’inizio dell’anno accademico. Le prossime settimane saranno quelle decisive.
Matteo Vercelli
 
2 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari – pagina 13
Brevi – 24 ore
Convenzione vigili-università
Sarà stipulata mercoledì una convenzione tra la facoltà di Giurisprudenza e il comando del corpo di Polizia Municipale di Cagliari. La cerimonia si svolgerà alle 9,30, nell’aula B della facoltà, in via Sant’ Ignazio 76.

1 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Sardegna
«Riti e miti del pastoralismo contro la globalizzazione» 
Maschere di Carnevale e forme musicali arcaiche della Sardegna centrale sono esperienze uniche al mondo 
di Paolo Pillonca
 
CAGLIARI. Sono giorni di grande festa pastorale, questi primi di ottobre in Sardegna, culminati ieri nei due appuntamenti di Gavoi e Ollolai - ampiamente pubblicizzati - e una serie di altri eventi a cui si è dato poco spazio nelle comunicazioni di massa, ma non per questo sono meno significativi. Sul pastoralismo e la cultura che lo sostiene, i valori di riferimento su cui si fonda e le polemiche spesso aspre che accompagnano da sempre le dispute su questo argomento abbiamo incontrato Bachisio Bandinu, lo studioso che più di tutti negli ultimi trent’anni ha dedicato attenzione al pianeta del noi-pastori, dai tempi di «Il re è un feticcio» al recente «Il pastoralismo in Sardegna», passando attraverso gli studi sulle maschere, il canto a tenore e il ballo. Il professor Bandinu fa una premessa semplice: «Il pastoralismo investe l’economia e la cultura della Sardegna di oggi. Siamo forse l’unico caso in Europa. In Grecia, nei Pirenei e nelle Alpi francesi il pastoralismo non esiste più, almeno nella formula tradizionale. Da noi sì».
 -Come e perché?
 «Qui costituisce un’ossatura dell’economia e un universo rituale. E soprattutto un modo di parlare, di organizzare il discorso nell’uso di tempi e modi verbali, segni molto profondi quando si parla di una cultura».
 -Possiamo dire anche di una civiltà?
 «Così l’hanno visto due illustri studiosi francesi: Blaudel e Le Lannou. Giovanni Lilliu la pensa allo stesso modo. Nel Mediterraneo questa civiltà è stata sempre vista come egemone rispetto alla cultura agraria, il pastore come più creativo rispetto al contadino».
 -In Sardegna?
 «La situazione sarda è ancora più interessante, qui il pastoralismo continua ad essere anche una economia. Cosa sarebbe la Sardegna centrale senza pastori? Le maschere di Mamoiada, Ottana, Orotelli e le forme musicali arcaiche del pastoralismo sardo sono esperienze uniche al mondo».
 -Pensi al canto a tenore?
 «Il canto a tenore è riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità soprattutto per ragioni musicologiche, i tratti distintivi dei suoni del basso e della contra che vengono dal profondo delle viscere. Tutti elementi di enorme importanza per capire il valore di questa civiltà».
 -Come vedi i pastori delle nuove generazioni?
 «Vestono in blue jeans, vellutino e maglietta ma se vai a scavare noti che molti elementi tradizionali permangono. C’è una modernizzazione ma sopravvive un sostrato interessante sotto molti aspetti».
 -Oggi però il settore soffre di una doppia crisi: prezzo del latte basso e mangini in aumento.
 «Tuttavia nei paesi si resiste, l’attività prosegue. Questo dramma è vissuto resistenzialmente. E non dimentichiamo che le produzioni pastorali costituiscono ancora il nucleo fondamentale del nostro prodotto interno lordo. Ma il discorso non può essere soltanto economico».
 -Che cosa vuoi dire?
 «Il pastoralismo ha dato vita all’intellettualità sarda: proviamo a unire gli spezzoni della Sardegna a caratterizzazione pastorale, a partire da Emilio Lussu e i cosiddetti re-pastori di Armungia».
 -Per arrivare dove?
 «In Ogliastra, Barbagia, Mandrolisai, Marghine, Logudoro e non solo. Pensiamo a Peppino Mereu, Mossa, Cubeddu, Murenu, la poesia orale degli improvvisatori, Deledda, Cambosu, Sebastiano e Salvatore Satta, Nivola, Ballero, Ciusa, i grandi avvocati nuoresi Mastino, Oggiano e Pinna, per non parlare di Antonio Pigliaru, Michelangelo Pira e Antonello Satta. In senso antropologico vengono tutti dal mondo pastorale: escludiamo questa gente e vediamo cosa resta».
 -Eppure questo pianeta è visto con ostilità.
 «Troppi intellettuali sardi si sono scagliati contro questo mondo. Per loro è un relitto del passato e un peso da eliminare in nome del progresso. Oggi, però, un politico come Renato Soru crede invece che lo sviluppo pastorale di un certo tipo - prodotti di eccellenza, ambiente, identità, lingua: tutti tratti caratteristici del pastoralismo - rappresenti la più importante tra le risorse vere della nostra terra. Soru ha letteralmente capovolto la visione marxista che aveva dominato la cultura sarda dagli anni Sessanta a oggi».
 -Nonostante i suoi primi consiglieri venissero quasi tutti dal marxismo?
 «Soru ha percorso la strada contraria. C’è una carta da giocare in termini di produttività migliore, marketing e competizione di mercato: Soru ne ha fatto una prospettiva politica reale. È significativo che il problema identitario sia diventato fondamentale anche nella produzione, rispetto a un universalismo generico. Tu devi fare il miglior formaggio del mondo e il migliore formaggio è quello sardo confezionato secondo certi criteri. Stesso discorso per il turismo: c’è una risorsa nostra interna sempre negata e combattuta da chi ripeteva alla noia il ritornello “ci dobbiamo agganciare al treno”.
 -Ma quale treno, dove va questo treno? A Bruxelles, forse.
 «Ma ci devi andare con i tuoi piedi, i tuoi prodotti, la tua identità. Il futuro della Sardegna viene anche da quell’universo: beni ambientali, turistici, di produzione identitaria eccellente. Un prodotto della montagna sarda non lo puoi mettere alla pari con un prodotto che viene da Lodi. Il nostro è un plusvalore incredibile in cui la Sardegna può giocare. L’identità è un fatto economico, non un’idea sovrastrutturale, come si diceva una volta».
 -Una delle caratteristiche dei nostri pastori è la persistenza della memoria: il ricordo dei morti, ad esempio, è una sorta di culto.
 «All’interno di questo segno identitario si colloca un rapporto profondo con la morte. In un paese pastorale chi muore non viene eliminato, come nella memoria artificiale della società dei consumi. Dunque il rapporto con la morte viene disteso nel tempo lungo. Oggi invece nella società del globale non c’è posto per la memoria, la morte è confinata in un ambito esorcizzante, come se non si morisse: nelle città per lo più si muore in ospedale».
 -Alla base di tutto questo c’è la lingua. Argomento difficile.
 «Il discorso della lingua è stato sempre visto da molti intellettuali sardi come una forma regressiva, senza spazio né tempo davanti a sé, un ritorno a un passato che non esiste. Non è stato colto un fatto fondamentale: il sardo è una lingua parlata, vissuta, con un’esperienza di sentimenti, sogni, ideali, paure, tormenti, vita reale di ogni giorno vissuta attraverso la parola».
 -Ne deriva?
 «Una deduzione: non è il passato, ma il presente che sperimenti nella quotidianità: parlando, soffrendo, lamentandoti, pregando, poetando. Dov’è il ritorno al passato? Questi signori hanno un concetto cronologico della storia: siccome la lingua si parlava nel passato è meglio che faccia il suo tempo e muoia».
 -Invece?
 «Invece la lingua è una scommessa nuova, che può parlare il presente allo stesso modo dell’italiano e dell’inglese. Se tu parli anche in sardo la politica e l’economia, arricchisci il messaggio di altre lingue, nel senso che lo estendi meglio dal locale al globale. Soru ha intuito molto bene tutto questo e l’ha espresso con chiarezza: la lingua è un elemento fondamentale nel suo concetto di promozione della nostra identità a tutti i livelli. Ha detto anche altro, Soru».
 -Cos’altro?
 «Ho letto tutti i suoi discorsi, li ho studiati per capire a fondo il messaggio sostanziale. Soru dice: l’identità riguarda l’economia. Se è così, come credo, si tratta di una scommessa per il futuro. Altro che ritorno al passato: è l’esatto contrario».
 -A livello culturale?
 «Dalla ricerca promossa proprio da Soru e affidata alle due Università di Cagliari e Sassari risulta che la gente parla la lingua più di quanto non si credesse. La parla e la capisce. L’uso della lingua potrebbe anche essere interessante per filtrare il globalismo e il mondialismo generico».
 -Spiegalo.
 «Se parlo in sardo anche la pubblicità, c’è spesso un filtro ironico dove io non sono vittima della merceologia consumistica. La pubblicità massiva è debordante e fatta di formule stereotipe. Se la facessimo in sardo avremmo una maggiore presenza del soggetto consumatore: intervengo filtrando tutto con la mia soggettività, cosa impossibile nella pubblicità ordinaria. Il Vangelo comanda: ama e fai quello che vuoi e la pubblicità esorta: fai ciò che vuoi, purché consumi. La lingua ha il grande potere di addomesticare e metamorfizzare le cose».
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Sardegna
Alghero, concluso l’11º congresso dei ginecologi italiani del Sim 
Pillola, ragazze sarde da primato 
Ma le madri snobbano le terapie contro i sintomi della terza età 
 
ALGHERO. Ma com’è possibile che le adolescenti sarde siano al primo posto in Italia nell’uso della pillola mentre delle donne isolane in menopausa solo una su dieci va dal ginecologo quando avverte i disturbi tipici delle terza età femminile?
«Queste informazioni potrebbero sembrare in contraddizione tra di loro, ma non è così», spiega il professor Salvatore Dessole, direttore della Clinica Ginecologica dell’università di Sassari, uno degli organizzatori del congresso nazionale della Società italiana di Menopausa, appena concluso, con successo, all’hotel Catalunya di Alghero. «Il dato sulle adolescenti - dice - riguarda l’uso della pillola che è il contraccettivo per eccellenza. La Sardegna, in rapporto al numero di abitanti, è vero, guida la classifica dell’uso di questo strumento. Una percentuale simile a quello della Valle d’Aosta. Ma per quella regione si invoca la vicinanza con la Francia che tradizionalmente è un paese all’avanguardia. In Sardegna, invece, molti non sanno che c’è un livello mediamente alto di cultura sanitaria, soprattutto tra le donne».
 «Le ragazze vanno dal ginecologo e si fanno prescrivere la pillola -dice il professore- Poi magari trovano il modo di giustificarne l’uso in famiglia (per regolarizzare il ciclo o altre spiegazioni plausibili). Ma l’eta del primo rapporto sessuale si abbassa sempre di più. E oggi molte ragazze di 14-15 anni hanno rapporti più o meno regolarmente. E questo succede sia nelle città che nei paesi dell’interno con effetti positivi rispetto al numero di interruzioni volontarie delle gravidanze indesiderate. La spiegazione? Si possono fare delle ipotesi: qualcuno dice che il turismo ha accelerato, come dire?, l’educazione sentimentale delle ragazze sarde. Altri dicono che una maggiore cultura sanitaria dipoende anche dalla presenza di due unversità nell’isola». Ma tanta emancipazione «sanitaria» non pare appartenere alle madri di quelle ragazze. «Non è vero neanche questo- dice Dessole - La donna sarda accetta tradizionalmente il passaggio alla terza età senza eccessivi drammi. E’ considerato un fatto naturale che le persone, anche le donne, col passare del tempo mostrino i segni del tempo. In questo, dunque, la donna sarda si dimostra molto saggia ed equilibrata. Non fanno drammi, dunque, quando si presentano anche i primi disturbi. L’altra spiegazione potrebbe essere legata alle informazioni negative e agli effetti collaterali che nel periodo passato hanno accompagnato il ricorso alla terapia ormonale sostitutiva».
 «E poi- conclude Dessole - c’è anche l’aspetto economico per spiegare il mancato o ridotto ricorso alla terapia ormonale sostitutivo da parte delle sarde. Molte famiglie, si sa, non navigano in buone acque. Ma non è certo per ignoranza che le donne sarde non amano molto la terapia ormonale sostitutiva per contrastare o prevenire i disturbi della menopausa».
Pasquale Porcu
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 17 - Cronaca
Novantamila sardi lontani dall’isola 
Il ‘Rapporto italiani nel mondo’ conferma: l’emigrazione continua 
di Maria Grazia Marilotti 
 
CAGLIARI. Ora non partono più con la valigia di cartone legata con lo spago, quella è un’immagine da pagine ingiallite dal tempo. Però il fenomeno dell’emigrazione è ancora una realtà: sono novantamila i sardi che vivono fuori dall’isola.
 I numeri parlano chiaro: è del 5,6% l’incidenza della collettività sarda all’estero contro una media nazionale del 6,2%. Numeri contenuti nelle ampie pagine del ‘Rapporto italiani nel mondo 2007’, realizzato dalla Fondazione Migrantes, un’organizzazione ecclesiale, in collaborazione con Acli, Inas-Cisl, Mci e i missionari Scalabriniani. Elaborato da 47 redattori il rapporto è fatto di 37 capitoli e 464 pagine per tracciare un quadro della distribuzione degli italiani all’estero e cercare di capire qualcosa in più aldilà delle cifre, della loro vita lontano dalla terra di origine. Il volume è stato presentato nella sala riunioni della Camera di commercio, da don Gian Piero Zara, referente Migrantes per la Sardegna, Raffaele Callia del comitato di redazione del rapporto italiani nel mondo, Maria Luisa Gentileschi dell’Università di Cagliari in un incontro coordinato dal presidente de ‘Il Messaggero sardo’ Gianni De Candia: «Francia e Germania contano ancora uno strato grosso della vecchia emigrazione - ha sottolineato Maria Luisa Gentileschi - e in controtendenza rispetto al resto d’Italia, solo l’8,5% sceglie paesi extraeuropei». Tra questi ultimi si contano soprattutto laureati o artisti. Giovani che cercano la fortuna all’estero e che tentano di soddisfare le proprie ambizioni o mettere a frutto anni di studi in terra straniera: opportunità ancora troppo spesso negate nella nostra terra.
 «I laureati sardi che espatriano sono appena lo 0,9% contro i colleghi lombardi (4,3%), ma sono lo specchio della disoccupazione intellettuale che si fa sentire nella nostra isola» aggiunge Gentileschi. Il volume mostra anche il passaggio dalla prima fase dell’esodo ai giorni nostri, dai primi interventi, soprattutto ad opera della Chiesa, al superamento della cultura dell’assistenzialismo: «Gli anni sessanta sono l’epoca dello spopolamento dei paesi e dei contratti ‘con paesi quali Germania, Belgio, Olanda, all’insegna dello slogan ‘braccia in cambio di carbone’. Quel carbone - ha sottolineato de Candia - che è servito per rimettere in moto l’industria italiana. Erano anni di povertà e si contavano gli occupati non i disoccupati». Si partiva al grido di ‘vado tre mesi e torno’, ma sono passati trent’anni e tanti non sono più tornati. Mantengono però forte il legame con la Sardegna grazie ai 128 circoli dei sardi dislocati in tutto il mondo: «Questo lavoro vuole essere uno strumento per sensibilizzare i cittadini e riaccendere in amministratori e politici l’interesse verso un universo che ‘ci riguarda da vicino e che non si può ignorare’, per pensare a concrete politiche di intervento - ha sottolineato Don Gian Piero Zara - occorre un’attenzione maggiore, benché la Sardegna sia all’avanguardia nelle politiche per l’emigrazione. Per prima si è data una legge, nel ’68, poi è arrivato nel ’77 lo strumento della Consulta.
 Le cose sono cambiate. Ora si pensa ai flussi di ritorno, cominciati negli anni ’80. Gli italiani che partono a cercare fortuna nelle pianure della pampa argentina sono un capitolo che appartiene alla storia. Da tempo è cominciato il controesodo. Ma servono progetti di avvicinamento e rientro. La Regione pensa a un’anagrafe dei sardi all’estero, sarebbe un primo passo.
 
 
 

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