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08 January 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Rassegna Stampa di sabato 8 gennaio 2005
1 – Corriere della Sera
«Per la prima volta abbiamo scoperto un altro luogo ...
Dovevano resistere novanta giorni, invece dallo scorso gennaio sono nello spazio a caccia di misteri
«Per la prima volta abbiamo scoperto un altro luogo nell’Universo dove la vita probabilmente esisteva. E ne abbiamo le prove». Steve Squyres risponde così a chi gli chiede quale sia il più importante risultato conquistato dai due robot della Nasa da un anno al lavoro su Marte. Squyres, geologo planetario della Cornell University, a Ithaca (Usa), guida gli scienziati impegnati a decifrare i misteri del Pianeta Rosso. Toccò a lui, dopo lo sbarco di Spirit il 3 gennaio 2004 nel Gusev Crater, raccontare ciò che gli occhi del robot vedevano e trasmettevano. Erano immagini impressionanti per i dettagli e rivelavano un ambiente completamente diverso da quello esplorato in passato. Squyres aveva atteso impaziente che Spirit guarisse da un male che in un primo tempo sembrava incurabile (non parlava più con la Terra, o inviava segnali sconnessi come fosse impazzito). Ma gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena che lo avevano ideato e ora lo accudivano, riuscirono a trovare un salutare rimedio in un software che lo riportò alla vita. I primi dati e i primi panorami eccitavano Squyres, che nelle conferenze stampa gesticolava, rideva soddisfatto, illustrando appassionatamente i significati. Erano solo indizi, ma sembrava quasi presagisse le future, straordinarie, conclusioni a cui lui e i suoi collaboratori sarebbero presto giunti, grazie agli occhi dei due robot. Il 24 gennaio un gemello di Spirit, Opportunity, appoggiava le sue ruote a 10.600 chilometri di distanza, dall’altra parte del pianeta, nell’area Meridiani Planum, dopo uno sbarco protetto sempre da un grappolo di airbag. Entrambi erano poco sopra l’Equatore e i due luoghi erano stati scelti seguendo le indicazioni raccolte con le sonde da tempo in orbita marziana, Global Surveyor e Odissey, secondo le quali essi dovevano nascondere dei minerali frutto di un’antica presenza dell’acqua. Ma bisogna trovarli. Ci riuscirono: la loro scoperta diventava la «scoperta dell’anno» per la rivista Science .


LE SCOPERTE - Opportunity si trovava sul fondo salato di un mare poco profondo, dove l’acqua appariva e scompariva lasciando nei millenni uno strato di trecento metri di materiale salato. Ciò favoriva la formazione di piccole sfere ferrose di ematite grigia di alcuni millimetri di diametro che gli scienziati battezzavano «bacche» o «mirtilli», blueberries , e la cui origine è legata all’acqua. Inoltre, un altro minerale, la jarosite, contenente zolfo probabilmente proveniente dalle eruzioni vulcaniche, certificava che il liquido doveva essere acido.
Spirit completava il panorama nel Gusev Crater correndo su un antico strato di lava polverizzata da impatti. Le rocce che incontrava rivelavano tracce di un suolo una volta bagnato e tutto diventava certezza quando Spirit raggiungeva le colline Columbia (così battezzate per ricordare l’omonimo shuttle disintegratosi al rientro sulla Terra nel febbraio 2003). Qui gli obiettivi mostravano sottili strati di roccia alterati dall’acqua. A confermarlo c’era la goethite, un minerale di ossido di ferro.
«Insomma - dice Squyres - Marte circa tre-quattro miliardi di anni fa era un ambiente umido e per un certo periodo ha mantenuto le condizioni ideali per la vita. E anche se il sale rendeva difficile la sua presenza, sulla Terra abbiamo trovato microorganismi in grado di sopravvivere in condizioni analoghe. Quindi il nostro prossimo passo sarà di indagare direttamente queste "bacche", perché nel loro interno potrebbero esserci i resti fossilizzati di antichi batteri».
Quando poi gli obiettivi si rivolgevano al cielo, talvolta comparivano deboli nubi biancastre stirate dal vento. «Nell’aria c’è vapore acqueo - aggiunge Squyres - e al mattino spesso abbiamo trovato la meridiana di Spirit ricoperta di ghiaccio».


I ROBOT - Spirit e Opportunity hanno superato tre volte la lunghezza di vita di 90 giorni stabilita dagli ingegneri. «Iniziano un nuovo anno e sono in ottima forma per la loro età», nota Jim Erickson, il loro sovrintendente al centro di Pasadena. In effetti hanno superato indenni il rigido inverno marziano, che nei mesi scorsi li ha costretti a ridurre l’attività perché la luce ridotta tagliava l’energia fornita dalle celle solari. Solo Spirit ha un problema ad una delle sei ruote: non funziona, ma le altre cinque gli consentono comunque di scalare adesso le colline Columbia, alte un centinaio di metri; un obiettivo che nei giorni dopo lo sbarco sembrava impossibile, «praticamente un sogno», ci diceva Squyres. Complessivamente ha percorso oltre tre chilometri e un altro paio il suo gemello Opportunity. «Capire quanto si è consumato - dice Erickson - ci aiuterà a progettare i futuri sbarchi su altri pianeti». «I due robot - conclude - sono assolutamente in grado di continuare le indagini, anche se non possiamo dare alcuna garanzia. E oggi gli scienziati, via Internet, impartiscono ordini ai due automi rimanendo nei loro laboratori, senza nemmeno venire a Pasadena».


IL FUTURO - Dunque l’avventura continua, al di là di ogni aspettativa. E mentre intorno al Pianeta Rosso continuano a ruotare altri tre veicoli spaziali (tra cui l’europeo Mars Express), la Nasa prepara i nuovi passi. Il prossimo agosto partirà la sonda Mars Reconaissance Orbiter, che dall’orbita cercherà conferme della presenza dell’acqua sia in luoghi diversi, sia nel sottosuolo, grazie al radar italiano Sharad fornito dall’agenzia spaziale Asi.
Ma per il 2008 si sta organizzando un nuovo sbarco. Nei laboratori di Pasadena sta nascendo Phoenix, che atterrerà probabilmente vicino ad una zona polare per indagare le caratteristiche del ghiaccio d’acqua presenti nelle calotte che con le stagioni si ritirano e si espandono. L’anno successivo, invece, si spedirà il grande robot Mars Science Laboratory, un vero laboratorio chimico su ruote con l’arduo compito di analizzare le rocce in profondità, con l’ambizione di scoprire eventuali fossili. Poi toccherà al recupero di campioni da portare sulla Terra, ma nel frattempo si saranno raccolte conoscenze ambientali e tecnologiche indispensabili per organizzare finalmente lo sbarco dell’uomo immaginabile dopo il 2020.
Ma l’esplorazione di Marte interessa? Se ci fosse qualche dubbio, basta guardare la cifra dei contatti al sito «marziano» della Nasa: oltre nove miliardi nel 2004; mai nessun sito è stato tanto consultato nella storia di Internet. Marte ha sempre acceso la fantasia, e continua a farlo.
Giovanni Caprara
 
 
 

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