Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
14 January 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Rassegna Stampa di venerdì 14 gennaio 2005
1 – L’Unione Sarda
Pagina 20 – Cagliari
Crisi nera Nel 2004 chiuse cinque librerie
Il 2004 verrà ricordato anche come l'anno del disastro per le librerie cittadine. Cinque hanno chiuso, una dietro l'altra. Prima la storica "Cocco" in via Manno, poi Dattena in via Garibaldi per lasciare il posto a una celebre marca di scarpe sportive, quindi la "Bancarella" in via Roma davanti alla stazione, la "Città di K" in via Azuni che aveva tentato senza successo la strada dell'abbinata libro più angolo caffè, e infine "Scuola domani" in via Farina. Col rischio che altre possano chiudere in tempi brevi trascinate dalla crisi economica, dall'attacco della grande distribuzione e dalle promozioni in edicola. Un disastro. Ma ora il caso della "Cocco" finisce in Consiglio comunale: la libreria appartiene al Comune che dal 1998 cerca di riprenderne possesso nella speranza di rilanciarla. «La chiusura della libreria Cocco è stata davvero un trauma per la cultura cittadina», racconta il professor Antonio Romagnino: «In via Manno per oltre mezzo secolo le librerie erano due: la più antica era Il Nuraghe, all'inizio della salita sulla destra, di proprietà del celebre storico Carta Raspi. E poi quella dei fratelli Giovanni e Antonio Cocco, fondatori di una dinastia di librai che hanno segnato la vita culturale cittadina. Antonio continuò a lavorare sino a tarda età nel Largo Carlo Felice, lasciando il nipote Gianfranco in via Manno». Romagnino ricorda che l'intero rione della Marina, così affollato di scuole e di studenti, era pieno di librerie. «Pensate a tutte le scuole che c'erano: dalle medie ai licei. Nelle zona erano più di una decina. Oggi credo ne sia rimasta una sola».
 
I lavoratori dell'ex Cocco di via Manno: «Così muoiono sessant'anni di storia sarda»
Sulla cultura cala la saracinesca
La libreria è del Comune, che vuole riaprirla ma non può
Una libreria che chiude mette di malumore. Se dopo un anno è ancora chiusa, e per di più si tratta di un luogo storico del libro cagliaritano, il malumore diventa malinconia. Le saracinesche abbassate sono quelle della vecchia «Cocco» di via Manno, inaugurata il 29 ottobre del '45 nella sede che il Comune ha avuto in donazione nell'86; a tenerle sigillate è il mastice di un contenzioso legale lungo e complesso. Davanti alle saracinesche e al cartello pudico che recita «chiuso per inventario», Aurora Pigliapochi racconta il rammarico di chi la libreria ha iniziato a frequentarla «negli anni '60, quando signor Gianfranco Cocco era un punto di riferimento per tutti gli amanti dei libri della Sardegna, anche per noi studenti che magari su dieci volumi che sfogliavamo a malapena potevamo comprarne uno». L'amore per i libri è rimasto, ma col tempo la frequentazione si è trasformata in professione: «Vendo libri da ventisette anni». Sarebbero ventotto, se nell'inverno del 2004 la società che aveva preso in mano l'attività non avesse rinunciato: «Troppe spese, ci hanno spiegato, e troppa concorrenza da parte dei centri commerciali». Le saracinesche si abbassano sui libri dei nuovi autori sardi e di quelli storici, sui reading («Ma io le chiamavo letture, o meglio ancora letturas»), su sessant'anni di storia, di pagine sfogliate, di suggerimenti ai lettori, di appuntamenti culturali. I dipendenti della società vorrebbero riaprire la libreria e cercano il padrone di casa per proporsi. «Non solo per riconquistarci il posto di lavoro - spiega Aurora Pigliapochi - ma anche e soprattutto per tenere viva un'attività che ha sempre promosso e aiutato i libri sardi: possiamo riappropriarci della nostra autostima solo attraverso la conoscenza, i documenti, le testimonianze. Se i nostri intellettuali scrivono e le loro pagine finiscono in un deposito il loro lavoro diventa inutile». Lettera al Comune, quindi, con risposta a stretto giro di posta: sono in corso accertamenti tecnici e amministrativi. E in effetti c'è molto da accertare: dopo mesi di verifiche al municipio risulta una storia piuttosto bizzarra. Vale a dire: nel locale donato al Comune lavorava una società, che gestiva la libreria. Dopo quasi quindici anni l'attività passa di mano. La società che subentra, a sua volta, affida l'attività a una terza società, quella che concluderà la vicenda abbassando le saracinesche di via Manno. Peccato che il Comune avesse già deciso nel 1998 di rientrare in possesso del locale, avvisando la prima società. Una situazione piuttosto complicata, di cui si sta occupando l'ufficio legale del Comune. Il problema è: se il Municipio dovesse tornare in possesso del locale, riapparirebbero i libri sugli scaffali o lo venderebbe per fare cassa? Per Piero Comandini, consigliere comunale dello Sdi, la libreria «è una risorsa culturale da difendere» e infatti ha depositato un ordine del giorno che impegna la giunta a non cambiare la destinazione d'uso dell'immobile. Ma la giunta è già orientata in questo senso: «La vicenda è complessa- dice l'assessore al Patrimonio Tonio Melis - ma ci sono alcuni punti fermi. Il primo: l'immobile appartiene al Comune. Il secondo: lì deve continuare ad esserci una libreria. Quanto alla gestione, siamo orientati ad affidarla ai dipendenti dell'ultima società». (c. t.)
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 47 - Cultura e Spettacoli
 Sassari, Alghero e Porto Torres, un triangolo in equilibrio precario
«La vulnerabilità urbana. Segni, forme e soggetti dell’insicurezza nella Sardegna settentrionale» (Liguori Editore, 303 pagine, 26,00 euro) è una raccolta di saggi curata da Antonietta Mazzette, docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari.
 La vulnerabilità urbana, la conseguenza più visibile dell’insicurezza e della paura della criminalità, è connessa ai cittadini potenzialmente a rischio, ai luoghi le cui condizioni appaiono più favorevoli al crimine ed agli eventi che vengono considerati pericolosi. Le ricerche condotte nelle città della Sardegna settentrionale (Sassari, Alghero e Porto Torres) analizzano in profondità i nuovi termini della vulnerabilità dei cittadini e dei luoghi.
 I saggi del volume, che di queste ricerche danno conto, affrontano il problema «sicurezza urbana» assumendo tanto il punto di vista dei cittadini spaventati che reclamano maggiore sicurezza che quello delle istituzioni alle prese con il difficile equilibrio tra efficaci politiche di intervento ed i rischi che il controllo tecnologico, sempre più evidente, sembra presentare.
 Il gruppo di studiosi coordinato da Antonietta Mazzette comprende: Piero Borelli, Francesca Dettori, Patrizia Patrizi, Gianfranco Sias, Sandro Roggio e Camillo Tidore.
 
 
 
I due terzi della popolazione sarda vive ormai nelle grandi città e sulle coste, mentre le zone interne si spopolano
 
La Sardegna che fugge verso le città
 
In un libro una raccolta di saggi curata da Antonietta Mazzette
 
 
 
«La vulnerabiltà urbana», il rapporto tra città e insicurezza sociale nella Sardegna del nord
 
 
 
Pubblichiamo uno stralcio del saggio di Antonietta Mazzette «Perché la città è “vulnerabile”», che apre il volume «La vulnerabilità urbana» (vedi la scheda qui sotto), dedicato all’analisi del rapporto tra realtà urbana e insicurezza sociale nella Sardegna settentrionale.


di Antonietta Mazzette
Come si è concretamente realizzato il processo di urbanizzazione? In gran parte in modo frettoloso, frammentario e disordinato, non ultimo per la forte domanda abitativa dovuta alla mobilità in entrata, ma anche per le necessità speculative di trasformare rapidamente il territorio in suolo edificabile. E ciò perché nelle città si concentrano risorse umane, flussi finanziari, attività produttive e funzioni quali: i servizi primari e secondari, le strutture della grande distribuzione, quelle della sanità, i centri di collegamento con l’esterno e con l’interno dell’isola (porti e aeroporti), le scuole di grado superiore e le università, centri distaccati di ricerca e di alta formazione, e così via.
 Attualmente risiedono nella città e nelle aree urbanizzate circa 2/3 della popolazione sarda, mentre la restante parte fruisce stabilmente delle sue risorse. [...] Pur in un complessivo contesto di fragilità del sistema territoriale, anche la Sardegna, dunque, è stata sottoposta ad una «metamorfosi della forma urbana», che ha dato luogo a una entità informe e di difficile definizione, che alcuni studiosi assimilano a una rete, o a un reticolo di funzioni urbane distribuite in modo frammentato e disordinato in un vaso territorio.
 Sono per l’appunto questi mutamenti interni alla città ad aver indotto altri cambiamenti coinvolgendo, direttamente e indirettamente, i diversi tipi di insediamento storicamente presenti nell’isola. In questo caso la vicinanza e la distanza territoriale non appaiono determinanti, se non per il fatto che gli insediamenti (i comuni) più vicini alle aree urbane trainanti ormai sono diventati un tutto compatto anche dal punto di vista della rappresentazione spaziale oltre che da quella culturale: ad esempio, è immediatamente visibile il fatto che l’area di Cagliari estende la sua influenza oltre l’area metropolitana e anche al di fuori dei suoi confini provinciali. Mentre i comuni più lontani dalle aree urbane, non essendo riusciti ad invertire il processo di spopolamento iniziato ormai alcuni decenni or sono, si vanno caratterizzando per il progressivo impoverimento che gli amministratori locali cercano faticosamente di ostacolare riconvertendo i loro territori ai fini turistici.
 Ciò nonostante, non possiamo certo dire che le aree urbane siano trainanti sotto il profilo economico e dell’occupazione. Si tratta infatti di aree in cui l’organizzazione della produzione e del lavoro continua ad essere basata principalmente sulle attività terziarie tradizionali che solo recentemente hanno iniziato ad aprirsi ai settori più dinamici dei servizi e alle nuove tecnologie, caratterizzati questi ultimi da una struttura produttiva flessibile, diffusa e delocalizzata, in grado di superare gli ostacoli insiti nela rigidità del sistema burocratico-amministrativo oltre che nella rete obsoleta delle infrastrutture presenti nell’isola: Tiscali costituisce certamente l’esempio più noto di impresa di new economy diffusa e de-localizzata. Attività e servizi che prima hanno occupato parti interne alla città e che ben presto si sono dislocate in territori più estesi, esterni alla cosiddetta città compatta e situati lungo le arterie di collegamento urbano e costiero, oltre che vicino ai sistemi di collegamento con la Penisola e con le altre nazioni europee (aeroporti e porti).
 In termini generali, le parti dell’isola più urbanizzate sono diventate un reticolo di insediamenti i cui confini sono comunque individuabili, a differenza delle reti urbane situate in altre regioni, perché la bassa densità demografica che diventa ancor più significativa se la rapportiamo all’estensione del territorio (poco più di 24 mila kmq e poco più di un milione e seicentomila abitanti) è un elemento che in Sardegna consente di distinguere nettamente il territorio urbano da quello rurale o non urbano. Ma la bassa densità demografica ha sempre costituito un elemento di fragilità del sistema territoriale, anche perché finora è stata una delle cause dello scarso potere di contrattazione dell’isola sul piano politico ed economico, e che sul piano territoriale ha assunto un particolare significato perché la popolazione è distribuita in modo visibilmente squilibrato: circa il 75% della popolazione si concentra in aree delimitate e per lo più costiere delle province di Cagliari e di Sassari, la restante parte si distribuisce nei capoluoghi di Nuoro e Oristano, e, frammentariamente, in numerosi piccoli insediamenti situati soprattutto nelle aree più interne.
 Nelle dinamiche territoriali interne all’isola, almeno dall’avvio della modernizzazione fino alla sua realizzazione, emerge il fatto che la città prevale nettamente sulla campagna, non tanto perché gli ambiti urbani siano diventati economicamente forti, quanto soprattutto perché il tessuto rurale aveva già in sè molti elementi di debolezza che hanno subito una rapida accelerazione per l’appunto per il tipo di modernizzazione che si è materialmente affermato.
 Con ciò non vogliamo sostenere che la modernizzazione praticata in Sardegna non abbia migliorato complessivamente le condizioni di vita della popolazione; anzi, in pochi decenni l’isola ha raggiunto uno standard che non si discosta da quello di molte regioni italiane, esclusve ovviamente le più ricche del nord. Ma la fragilità dell’attuale sistema territoriale è data dalle forti differenziazioni interne all’isola che, se per un verso, affondano le loro radici nel tipo di approccio allo sviluppo da cui sono derivate precise politiche pianificatorie, per un altro verso, derivano da ragioni precedente all’avvio della modernizzazione. Ragioni strutturali, culturali e sociali che hanno caratterizzato la storia anche recente di molte parti della Sardegna, a partire da quelle interne, e che solo la narrativa ha potuto efficacemente descrivere: si pensi ai racconti di Michele Columbu e di Paride Rombi. La fragilità del sistema territoriale ha assunto anche altre caratteristiche, quali quelle legate alla diffusione - in modo particolare nella Sardegna settentrionale, e in specie nella parte orientale - degli insediamenti tursitici e di seconde case, frequentati esclusivamente nei mesi estivi (nonostante i reiterati tentativi di renderli operanti per un periodo più lungo). Tali insediamenti «fantasma» sorti per lo più di fuori del tessuto sociale, se nono privi di controllo, si possono trasformare in luoghi di vita sotterranea, perché luoghi «accessibili» per le attività illecite, altrimenti sono blindati mediante l’utilizzazione di società private di vigilanza: si pensi agli insediamenti «inventati» ex novo, come molti di quelli esistenti in Costa Smeralda.
 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 9 - Sardegna
 Consolo condannato per plagio
 Il senatore di An avrebbe copiato interi brani di libri per poi presentare la sua opera a un concorso a cattedre
 
  ROMA. Ha pubblicato come propri alcuni testi giuridici di altri autori, utilizzando quelle opere, esibite come lavoro personale, anche per partecipare a concorsi per professore. Con questa accusa è stato condannato a sei mesi di reclusione e a mille euro di multa il senatore di An Giuseppe Consolo.
 Consolo nel 2000 partecipò a un corso per professore ordinario all’università di Cagliari proponendo come propria un’opera risultata la riproduzione di lavori altrui. La decisione è del giudice della capitale Paola Roja che ha accolto sostanzialmente le richieste del pm Caperna. Il giudice monocratico ha ritenuto Consolo responsabile di violazione del diritto d’autore per avere pubblicato come proprio il testo “La sfiducia a un singolo Ministro nel quadro dei poteri di indirizzo e controllo del Parlamento” del 1999 “costituito - si legge nel capo di imputazione - dalla pedissequa riproduzione e dalla trascrizione di interi brani delle opere di Sicardi, Olivetti, Chiola, e Cicconetti.
 All’imputato è stata addebitata anche la violazione della legge sulla “repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche” per avere presentato il 12 novembre del 1999 come propria l’opera “in occasione della partecipazione al concorso per la conferma nel ruolo di professore associato, conseguendo il titolo il 20 marzo del 2000”, e il 26 luglio 2000 “in occasione della partecipazione al concorso per la copertura di un posto di professore ordinario di ruolo presso l’Università di Cagliari pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 14 luglio 2000”.
 Al senatore, che dovrà anche pagare le spese processuali, sono state, tuttavia, concesse le attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna. Il giudice ha dichiarato, invece, il non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, limitatamente al testo “Aspetti pubblicistici e privatistici del mutuo di scopo” presentato nel dicembre del’90 per la partecipazione al concorso per il conferimento del posto di professore associato.
 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari
 Una via dedicata alla memoria di Marco Aimo
 
 SASSARI. Il Comune ha deciso di intitolare una via al filosofo Marco Aimo. Nei giorni scorsi, la giunta di Palazzo Ducale, accogliendo una richiesta del consigliere Giuseppe Conti (Forza Italia), ha deliberato l’intitolazione di una strada alla memoria del compianto docente universitario. Via Aimo sorgerà in via Luna e Sole alta e collegherà il quartiere con quello di Serra Secca. Figura di spicco del panorama culturale sassarese, Marco Aimo aveva cominciato la sua carriera come titolare della cattedra di Filosofia all’istituto Magistrale. Fra i promotori della nascita della facoltà di Magistero, aveva assunto in seguito la cattedra di Storia della Filosofia. Incarico che ha mantenuto fino alla trasformazione del Magistero in facoltà di Lettere e Filosofia, per assumere poi quella di Storia delle Dottrine Politiche. Autore di numerose pubblicazioni, Aimo è stato curatore di alcune voci del dizionario Utet e dell’enciclopedia Treccani. Critico d’arte e umanista, si è distinto anche come uomo politico: due volte assessore comunale, prima con il sindaco Benito Saba e poi con Sebastiano Virdis.
 
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 17 - Fatto del giorno
 La 482 è una svolta storica per la Sardegna
 La nostra lingua non è più un fatto folcloristico ma una diversa identità
 
di DIEGO CORRAINE*
Oggi la Sardegna può vantare un significativo primato, che dà ragione e sostanza a quella che è la nostra specialità, su cui forse varrebbe la pena iniziare il dibattito sul nostro futuro anche istituzionale: da sei anni a questa parte la Sardegna costituisce ufficialmente la prima comunità di lingua diversa dall’italiano (1.300.000 su un totale di due milioni e mezzo di italiani appartenenti a minoranze linguistiche) e, quindi, la seconda lingua dello Stato.
 È bene ricordare che il 15 dicembre 1999 è stata varata la Legge statale n. 482, per la “Tutela delle minoranze linguistiche storiche”, quelle che occupano da secoli una porzione di territorio dello Stato.
 Si tratta di una svolta storica, perché rappresenta l’attuazione dell’art. 6 della costituzione della Repubblica, e perché frutto di una battaglia cinquantennale per la democrazia e la diversità linguistica attuata dalle Minoranze e dai partiti del nostro Parlamento.
 La nostra identità linguistica, quindi, non rappresenta per lo Stato una particolarità folclorica della italianità dialettale ma l’espressione di una diversità e identità profonda, veicolata dalla lingua. Il sardo assurge, per legge, all’uso ufficiale accanto all’italiano perché lingua della Minoranza Sarda.
 La legge 482/99, che segue e si basa, nelle sue linee generali e nei principi, sulla Carta Europea delle Lingue, sottoscritta dal Consiglio d’Europa nel 1992, soddisfa il diritto dei Sardi all’ufficialità della propria lingua che deriva loro dalla storia e ufficializza una realtà comune agli stati d’Europa e del mondo: un’Italia plurilingue e multiculturale, con più di 10 minoranze, in un’Europa di più di 100 lingue, in un pianeta di più di 6000 lingue.
 Il sardo è la lingua propria della Sardegna, non è dialetto che vuole essere lingua, ma una lingua a tutti gli effetti, espressione della continuità storica dei Sardi.
 La conoscenza piena e l’uso di altre lingue, necessario e auspicato complemento per mettere la nostra comunità linguistica in relazione con l’esterno, non può prescindere da questo dato storico-culturale. Chi vuole confinare la nostra lingua solo a un uso vernacolare, sentimentale, estetico, secondario e subalterno, espressione del genio “poetico” individuale, è fuori dalle più moderne correnti politico-culturali favorevoli al plurilinguismo come antidoto del pensiero unico, ma soprattutto fuori dalla legge.
 Con la 482, non si tratta più di valorizzare paternalisticamente il sardo, confinato a usi accessori, non si tratta solo di dichiarare la pari dignità ma soprattutto di assicurare pari opportunità di sviluppo e uso moderno nei media, nella scuola, nell’amministrazione, così come ha già fatto opportunamente il Regno Unito con il gallese e lo scozzese o la Spagna postfranchista con catalano, basco e galiziano.
 A ben vedere, a osteggiare l’uso ufficiale e pieno delle lingue diverse dallo spagnolo, sono solo alcuni settori oltranzisti e retrivi del vecchio franchismo.
 Invocando questa nuova visione e volontà dello Stato italiano, più di 270 comuni sardi hanno ottenuto la tutela prevista, le province sarde hanno delimitato (come richiesto dalla 482) il territorio linguistico della Minoranza. Così è nato il Coordinamento della Minoranza linguistica sarda, previsto dalla stessa 482 (art. 3, comma 3), per ora formato dalle province di Nuoro e Oristano.
 Così sono nati l’Ufitziu de sa Limba Sarda, gli accordi con più di 20 enti territoriali e comuni che hanno istituito un servizio linguistico per estendere l’uso ufficiale del sardo, orale e scritto, nella società, nell’amministrazione e nel territorio. Così, a Nuoro, si sta ampliando l’uso ufficiale del sardo, con cartelli, insegne e avvisi in sardo, da parte di Asl, Questura, Inpdap, Consorzio Universitario, di trenta scuole superiori, centinaia di imprese private.
 Tutto ciò non è frutto della volontà di pochi maniaci del sardo, ma la condotta cosciente e deliberata di istituzioni in applicazione di una legge dello Stato, secondo le indicazioni e la volontà del Consiglio d’Europa e della stessa Unione.
 Credo che sia interesse di tutti rispettare le leggi, superando pregiudizi ideologici appartenenti al passato, ora che i Sardi, a Cagliari e a Roma, hanno ottenuto che il sardo sia una lingua della Repubblica e dell’Europa.
 Proviamo a toglierci di dosso il pregiudizio che vuole il sardo inadatto alla modernità, ora che, finalmente, dopo tanti decenni, lo Stato riconosce e vuole per il sardo un uso pieno e ufficiale e lo sancisce con legge.
 Semmai, diamoci tutti da fare per svilupparlo e farlo crescere, anche guardando a ciò che fanno, per la terminologia tecnica e scientifica, le altre lingue, quelle internazionali e, soprattutto, quelle di recente ufficializzazione come il catalano e il galiziano, per restare nella stessa famiglia linguistica neolatina.
 Non possiamo negare l’applicazione della 482, che consente di fare in sardo tutto ciò che è possible fare in italiano, in favore della quale si sono mossi partiti, commissioni parlamentari, associazioni culturali, stuoli di giuristi, politici, linguisti come Tullio De Mauro o semplici cittadini. Essere rinunciatari ora che “possiamo” anche in forza di legge, ora che tutti hanno capito che l’uso delle due lingue non è alternativo ma complementare, che aggiunge qualcosa e nulla toglie alla nostra personalità, e voler tornare alla semplice valorizzazione del sardo rinunciando al suo uso ufficiale, può risultare fatale per il sardo e per la nostra specialità che da esso trae forza e sostanza.
 
 
* direttore Ufitziu de sa Limba Sarda - Nuoro

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