Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
25 January 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Rassegna Stampa di martedì 25 gennaio 2005
1 – L’Unione Sarda
Pagine1 - 18 Cagliari
cagliari Si difende in aula il prof antisemita
Denunce e dossier sul professor Pietro Melis, che dopo le polemiche sul saggio antisemita ieri è tornato in cattedra.
 
 
Presentata la denuncia, dossier di Mistretta in Prefettura
Antisemitismo, è bufera Melis si difende in aula
Abito scuro e faccia anche di più, un fascio di fogli sottobraccio e mezz'ora di ritardo. Il professor Pietro Melis si presenta così alla sua prima lezione dopo il diluvio di critiche, proteste formali e interrogazioni parlamentari piovuto sul suo saggio "Scontro tra culture e metacultura scientifica" dai contenuti antisemiti, pubblicato dall'ateneo e indicato come testo d'esame. Alle 10,30, quando il professore arriva in aula, sono già successe alcune cose e altre stanno accadendo. A quell'ora, per esempio, il rettore Pasquale Mistretta ha già inviato alla Prefettura un dossier sulla vicenda, e sta rileggendo la lettera di scuse che spedirà in serata al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Il consiglio di facoltà di Scienze della Formazione è riunito per esaminare la situazione e decidere quali provvedimenti adottare (si ipotizza una censura per il docente, ma solo oggi ci sarà un deliberato ufficiale), mentre l'ebreo cagliaritano Giacomo Sandri si avvia allo studio del suo legale per mettere a punto la querela contro Melis: la presenterà in serata, quattro pagine per spiegare ai magistrati che il docente, nel suo saggio e nella lettera spedita in Rabbinato, ha offeso gli ebrei sostenendo che - in considerazione di quanto la macellazione rituale ebraica è dolorosa per gli animali - «è giusto dichiararsi antisemiti nei riguardi degli ebrei credenti, né ci si può dolere del fatto che questi siano finiti nelle camere a gas naziste». Ce n'è abbastanza, conclude Sandri, per disporre il sequestro di tutte le copie del trattato. Tutto questo i trentuno studenti che aspettano nell'auletta di Sa Duchessa ancora non lo sanno. Sanno che il docente non è di buonumore, questo sì, ma per capirlo basta un'occhiata. Un elogio brusco per rompere il ghiaccio («Complimenti per aver avuto il coraggio di venire alla mia lezione»), una sfregatina di mani a parodiare una grande soddisfazione («Visto che scoop? Sono caduti tutti in trappola, ora saranno costretti a parlare del diritto naturale e di come vengono uccisi gli animali») e un quiz facile facile: «Volete che vi parli di Platone o preferite che vi legga il documento che spedirò alla stampa? Qui c'è tutta la verità, voglio leggerlo anche all'assemblea che l'Università farà venerdì per parlare della Shoah». Gli studenti (29 ragazze e due ragazzi) non hanno dubbi: Platone può attendere. E così la lezione diventano nove cartelle di appassionata autodifesa del professore, che cita a conforto Kelsen e Spinoza, Albert Schweitzer e «signor Ibba, il tipografo che può testimoniarlo: queste cose le avevo già scritte da tempo, non poco prima che si sollevasse questa campagna contro di me». Nove cartelle per ribattere a chi lo accusa di odiare gli ebrei («odio le tecniche di macellazione prescritte dalla loro religione, non loro») e per spazzare via «le sintesi grossolane del mio pensiero». Nove cartelle contro le corride e contro chi mangia carne, contro il marxismo di studenti e professori che nel 1970 emarginavano lui, «socialista nenniano», e contro il nazismo. Contro la religione e a favore, strenuamente, del diritto naturale. La comprensione per le camere a gas? Una provocazione per dire «che sono insensibile alle sofferenze degli insensibili, chiaro?». Evidentemente sì, visto che dagli studenti non arrivano obiezioni. Al massimo un sorriso un po' complice quando una frecciata ai colleghi docenti infiorisce il monologo. Ad interpellarne alcuni, a lezione finita, giusto qualche scrollata di testa: «Il professore è fatto così». Così come? «Così, non come avete scritto sui giornali. Che non è antisemita lo sappiamo, ce lo ha detto più volte». Ma il passaggio sulle camere a gas? La parola a una biondina con la coda di cavallo e gli occhiali da sole lilla: «Se sono le sue opinioni, fa bene a portarle avanti». Università di Cagliari, trentacinque anni dopo il 1970.
Celestino Tabasso
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 18 – Cagliari
venerdì iniziativa pubblica a sa duchessa
 
L'ateneo e la ShoahÈ fissata per venerdì 28 a Sa Duchessa l'iniziativa pubblica dell'Università di Cagliari per ricordare la tragedia della Shoah. Un'iniziativa «fuori dalla retorica celebrativa», organizzata per approfondire la conoscenza storica ma anche per rispondere alle polemiche di questi giorni.
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Nuoro
 Passo avanti da un milione per la caserma
 La Regione assegna il finanziamento destinato alla struttura di Prato Sardo
 
 NUORO. «È una buona notizia che accelera le procedure per la realizzazione della caserma di Prato Sardo e quindi per la realizzazione del campus universitario». E’ il commento del sindaco Mario Demuru Zidda alla comunicazione dell’assessore regionale alla Programmazione Francesco Pigliaru che conferma il finanziamento di un ulteriore milione di euro nella Finanziaria regionale.
 Sino ad oggi infatti, dalla Regione era arrivato il finanziamento di 10 milioni di euro, non sufficiente, aveva già fatto osservare l’amministrazione comunale, per attivare le procedure dell’appalto-concorso per aggiudicare i lavori di costruzione della caserma. La realizzazione della nuova caserma di Prato Sardo permetterà al Comune di entrare in possesso della caserma dell’ex artiglieria che verrà trasformata in campus universitario grazie ai finanziamenti previsti nei prossimi anni.
LA STORIA. Il 23 febbraio 1994 l’allora assessore regionale alla Pubblica Istruzione comunicò la concessione a favore del Comune di Nuoro nell’arco del triennio 1994/1996 di un contributo di 40 miliardi di lire per l’acquisizione, la costruzione e l’ampliamento dei locali da destinare a sedi di corsi di laurea universitari.
 Le previsioni di entrata e di spesa relative all’anno 1994, che ammontavano complessivamente a cinque miliardi, vennero iscritti nel bilancio comunale nel medesimo anno.
 Il 22 dicembre del 1997 venne stipulato l’accordo di programma tra il Ministero della Difesa, il Ministero delle Finanze, la Regione Autonoma della Sardegna ed il Comune di Nuoro per la realizzazione dei lavori di costruzione di una nuova caserma a destinazione militare da realizzare in Nuoro, località Prato Sardo, per un importo complessivo di venti miliardi di lire da finanziare con i fondi in questione.
 Nel bilancio comunale relativo all’anno 1998, quello immediatamente successivo alla stipula dell’accordo di programma, vennero pertanto iscritti, nei capitoli specifici, gli stanziamenti di entrata e di spesa degli ulteriori quindici miliardi e assunti l’accertamento di entrata e l’impegno di spesa.
 Il finanziamento venne ripristinato pochi mesi fa grazie ad un emendamento proposto dai consiglieri di centrosinistra accolto dalla maggioranza di centrodestra
 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Nuoro
 PROVINCIA, INTERROGAZIONE DELLA MARGHERITA
 Università, statuto aperto anche agli studenti nel Cda
 
 NUORO. I consiglieri provinciali del gruppo della Margherita: Manuel Delogu, Andrea Pisano, Tonino Ladu, Luciano Pittorra, Giuseppe Pischedda e Piero Marteddu, hanno presentato una interrogazione urgente al presidente Francesco Licheri perchè ponga il problema della modifica dello statuto del Consorzio per gli studi universitari nella Sardegna Centrale, sì da prevedere l’inserimento nel consiglio di amministrazione di una rappresentanza degli studenti. I consigli comunali e provinciale, già tre mesi fa, avevano espresso, con votazione favorevole, il recepimento della proposta. Piero Marteddu ha caldeggiato l’adozione della deliberazione, giusto perchè se il polo universitario nuorese deve crescere, deve anche contribuire a un più organico sviluppo del territorio provinciale.
 «Riteniamo - ha detto Marteddu - che con il prossimo mandato amministrativ ci debba essere, da parte del Comune e della Provincia, un maggiore impegno per far diventare l’Università una Università di serie A, oltre che un punto di attrazione per gli studenti sardi come di quelli del continente. I due enti, dal canto loro, devono svolgere un ruolo centrale nei confronti della Regione e dello Stato»
 Il presidente Francesco Licheri ha assicurato che la proposta di modifica dello statuto sarà all’ordine del giorno della commissione consiliare affari istituzionali fin dalla sua prossima riunione, in programma per fine settimana.(a.b
 
 
5 -  La Nuova Sardegna
Pagina 38 – Cultura
«Ma Atlantide è un falso problema»
Frau replica alle accuse: «Il punto è un altro, vi spiego dove e perché sbagliate»
 
Riportiamo il testo dell’appello contro le tesi di Frau pubblicato nel sito internet dell’Iipp. In neretto i punti in cui si articolano le obiezioni dei firmatari; in corsivo le argomentazioni di Sergio Frau.

Archeologi, geologi, storici, filologi, glottologi, antropologi, studiosi e professionisti di varie discipline, impegnati a vario titolo nello studio delle antiche civiltà del Mediterraneo e particolarmente della Sardegna, ritengono importante fare alcune considerazioni su recenti operazioni mass-mediatiche intorno al passato della Sardegna. Premesso che ognuno può trattare e interpretare ciò che vuole come meglio crede, è bene precisare che dal punto di vista della ricerca scientifica, da cui gli studiosi estensori di questo appello non intendono prescindere, è utile fare le seguenti precisazioni:

 Solo su un piano di fantasia può essere divertente ipotizzare una identificazione della Sardegna con la mitica isola platonica di Atlantide, con l’immaginaria sede dei beati Iperborei, con l’Eden biblico e col mondo dell’aldilà della tradizione classica e cristiana.
 
Verissimo! Mi sono divertito molto - pilotato da un dubbio geologico - a verificare le fonti greche (non quelle cristiane) e a scriverne. A quanti di voi è mai capitato di ricercare, scrivere qualcosa e, anche, di farsi leggere, poi da qualcuno su pagine non pagate dallo Stato? Una sola chiosa (soprattutto per eventuali lettori esterni, chiarendo fin d’ora che non è mia intenzione convincere nessuno. Ma solo invitare a ragionarci su): immaginaria anche la roccia di Prometeo, fratello di Atlante? E, quindi, anche quel suo Caucaso all’alba, in Oriente? Tutte fantasticherie quelle degli antichi?

 In modo particolare, l’Atlantide di Platone non è un dato storico riferibile a un determinato luogo e a un determinato tempo, ma è solo una costruzione poetica e utopistica a fini esplicativi, riconosciuta come tale già dal discepolo Aristotele, che affonda le radici in una serie di miti largamente diffusi nel mondo antico, radicati nella consapevolezza della fragilità delle conquiste della civiltà di fronte allo strapotere della natura e rafforzati dalla memoria di catastrofi naturali effettivamente accadute e documentate come l’eruzione del vulcano di Thera nelle Cicladi, tra il XVII e il XVI sec. a. C..
 
Be’, veramente Platone fa dire proprio a Timeo: «...purché i nostri discorsi non siano meno verosimili di quelli tenuti da altri, contentiamocene pure, ricordando che io che parlo e voi che giudicate, abbiamo natura umana: cosicché a noi basta, intorno a queste cose, accettare un mito verosimile, e non dobbiamo cercare più lontano...». Tutt’altro metodo il suo, dal vostro. Tra lui e tutti voi - se permettete - continuerei a scegliere lui, se non altro per una questione di stile.

 La moderna ricerca archeologica e storica evita il ricorso a cataclismi, invasioni e migrazioni come spiegazione risolutiva dei cambiamenti culturali, e può accogliere tali elementi solo come fattori concomitanti nel quadro di ricostruzioni interpretative di tipo sistemico su scala geografica adeguata.
 
A ciascuno il «tipo sistemico» che preferisce. Mi accorgo di essere assai differente da voi, e non me ne farò un dramma. Liberi voi, libero io. O no?

 Quanto espresso al punto precedente vale in particolare per la dissoluzione delle organizzazioni politico-economiche esistenti nel Mediterraneo orientale negli ultimi secoli del II millennio a.C..
Sorpresa: quindi ora siete gli unici al mondo che avete ben chiara quella che tutti, da sempre, chiamano «L’Età buia». Complimenti!

 Sulla base dei risultati acquisiti in circa 200 anni dalla ricerca archeologica e geologica, è possibile affermare che non esiste in Sardegna alcun indizio di un’ipotetica inondazione, provocata da un fenomeno geologico ipoteticamente verificatosi nei mari circostanti la Sardegna intorno all’anno 1175 a. C..
 
Da 200 anni, quindi, si cercherebbero tracce di maremoti per smentire quelle dieci pagine in cui io ne parlo? Oppure l’hanno fatto contro il geologo del Cnr Mario Tozzi che - dopo un check up in zona - ha ritenuto talmente interessanti quei miei punti interrogativi e l’ipotesi da dedicare un’intera trasmissione televisiva al problema? «Non c’e’ traccia», dite voi. Strano, però, che anche molti altri geologi ammettano che, per ora, si sa pochissimo del Mediterraneo d’Occidente, e meno ancora dei suoi fondali.

 Non esistono indizi di una tale inondazione nemmeno nelle terre che circondano la Sardegna lungo tutto l’arco costiero del Mediterraneo occidentale.
 
Sicuri voi, sicuri tutti? Ma andiamo...

 La civiltà nuragica non scomparve improvvisamente nel XII sec. a.C. e men che mai a seguito di un cataclisma: ci è testimoniato senza ombra di dubbio dalla grande fioritura, in ogni angolo dell’Isola, degli insediamenti riferibili alla fase denominata Bronzo Finale, che secondo i più recenti aggiustamenti cronologici occupa proprio il periodo compreso tra l’inizio del XII e la seconda metà del X sec. a. C. e a cui risalgono i manufatti nuragici rinvenuti sull’acropoli eoliana di Lipari in associazione col contesto indigeno Ausonio II e con ceramiche micenee del periodo detto Tardo Elladico III C.
 
Finalmente eccole le date che, da anni e anni, tutti aspettavano dalle Soprintendenze sarde. Una domanda, però: come mai Giovanni Lilliu all’interno di Barumini trova roba del XII secolo a. C.? Come mai Raimondo Zucca legge (e scrive) Tharros «inspiegabilmente abbandonata nel XII secolo a.C.»? Come mai Badas nella «sua» Villanovaforru trova sotto il fango roba del XII secolo a. C.? Come mai un mastodonte come il S’uraki diventa «obsoleto» nel XII secolo a. C.? Come mai due terzi (25 su 37) dei nuraghe di Marmilla vengono abbandonati nel XII secolo a. C. come scrive la firmataria Emerenziana Usai? E - soprattutto - se la Sardegna era davvero così «fiorita» come dite, in che modo i fenici riescono a impadronirsene?

 Non è mai esistita un’«età del fango» e non è mai esistita una contrapposizione tra la «Sardegna dei giganti abbattuti» (cioè dei nuraghi distrutti del Campidano, della Marmilla e del Sinis) e una «Sardegna dei giganti intatti dell’interno»: a chiunque li osservi con un minimo di spirito critico appare evidente che tutti i nuraghi si presentano danneggiati in misura dipendente dai tipi di pietra impiegati, dai vari fattori di dissesto (imperfezioni strutturali, agenti atmosferici e altri agenti naturali come le radici degli alberi, demolizioni intenzionali) e infine dal plurimillenario prelievo di materiale lapideo per la costruzione dei fabbricati di età successiva, dai tempi dell’espansione fenicia a oggi; ed è evidente che quest’ultimo fattore deve essere stato determinante proprio nel Campidano, nella Marmilla e nel Sinis, regioni agricole e povere di pietra da costruzione. Quel che ricopre non solo i nuraghi del Bronzo Medio e Recente, ma anche gli insediamenti del Bronzo Medio, Recente e Finale e dell’Età del Ferro, e perfino le strutture erette durante i secoli sopra e accanto ad essi, non è «fango»: sono invece diversi strati di crollo e di ricostruzione, riferibili a molte fasi scaglionate nel tempo.
 
Lo giurate voi? E se, per caso, le analisi dimostreranno che sbagliate? Che penitenza promettete? Dimissioni in massa? Se sbaglio io - in cambio - giuro che rimetto le Colonne a Gibilterra e non vi disturbo più.

 Se a puro titolo di esempio si considera il noto complesso nuragico di Barumini (dove gli scavi e i restauri continuano ancora oggi procurando informazioni perfettamente in linea con tutto quanto si ricava dalle numerosissime indagini compiute o in corso in tutta la Sardegna), emerge con assoluta evidenza che gli strati di crollo del monumento e dell’abitato circostante ricoprono omogeneamente i resti delle strutture nuragiche e punico-romane realizzate nel corso dei secoli, in parte prima e in parte dopo la data della presunta inondazione; anzi i resti evidenti degli abitati del Bronzo Finale e della Prima Età del Ferro, successivi a tale ipotetico fenomeno, si conservano ben sotto il livello considerato come prova del ristagno conseguente all’inondazione, e che invece non costituisce altro che un labile segno di interruzione tra una campagna di scavo e la successiva.
 
La si deve considerare un’autorizzazione alla verifica scientifico/geologica del sito?

 Non esiste in Sardegna alcuna traccia delle migliaia di cadaveri umani ed animali che il presunto cataclisma avrebbe dovuto provocare, e di cui immaginando che siano stati recuperati uno per uno dal fango e bruciati senza spiegare chi e come avrebbe potuto recuperarli e bruciarli.
 
A parte questi macabri compiacimenti (solo vostri: visto che io nel libro mi fermo alla geologia, per rispetto), a Ercolano e Pompei il primo consistente nucleo di corpi è saltato fuori solo una quindicina di anni fa, dopo secoli di scavi. Vi dice nulla?

 Al di là dei dettagli interpretativi, che restano legittimamente sottoposti alle discussioni e alle verifiche anche interdisciplinari, vi è sostanziale concordanza di principi, metodi e conclusioni tra gli archeologi pertinenti alle varie scuole e a diverse nazionalità.
 
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 – Cagliari
C’è la faccia buona della globalizzazione
L’analisi dell’economista Gianfranco Sabattini nel suo ultimo libro
 
 CAGLIARI. È possibile la globalizzazione tra popoli, con l’obbiettivo di abbattere gli steccati culturali e economici e far sì che «tutti si sentano partecipi del bisogno di creare migliori condizioni?». La risposta sembra essere sì, a patto che i singoli stati si scrollino di dosso gli odiosi apparati burocratici per dar vita a un governo dominato dalla “pax democratica” basato sull’accordo fra tutti i paesi. Queste le conclusioni de l’economista Gianfranco Sabattini (ordinario di politica economica alla facoltà di Economia) nel suo ultimo libro “Globalizzazione e governo delle relazioni tra popoli”, presentato nell’incontro organizzato dall’associazione Pro Libera Civitate. Sabattini, che definisce la globalizzazione “una gran cosa”, nella sua analisi parte da lontano: da quando a metà degli anni Settanta i capi di stato e di governo dei paesi maggiormente industrializzati s’incontrarono a Rambouillet per «Porre rimedio al disordine politico ed economico» che caratterizzava il periodo. «In sostanza - dice Sabattini - la globalizzazione è una risposta attraverso cui i sostegni economici nazionali cercano di contrastare gli effetti indesiderati dei processi di sviluppo economico». Ma è proprio qui che iniziano i problemi: insieme alla globalizzazione economica, negli anni, non c’è stata anche quella politica, e il processo sociale è scivolato su connotati di ingovernabilità i cui disagi hanno quasai superato i benefici. «In pratica - dice Sabattini - si è assistito a una spinta economica finita nel nulla delle istituzioni». Squilibri tra stati, malcontento delle popolazioni, regioni più ricche e altre che gridano miseria: sono stati questi gli effetti del processo. Cosa fare dunque per porvi rimedio? Sabattini suggerisce una risposta illuminante: un governo di tutti i paesi, democratico, dove «deve esserci l’assunzione di obblighi comuni da parte degli stati integrati nel mercato mondiale, per promuovere la crescita culturale e materiale in assenza di posiziioni egemoni». Un’utopia? «Tuttaltro», risponde Sabattini. Che per dare forza alla sua tesi porta esempi concreti. «Esiste l’Onu: snellito del suo apparato burocratico diventerebbe un organismo in cui per i singoli stati sarebbe possibile sedersi attorno a un tavolo e discutere». Insomma, quasi un modo per andare avanti «in assenza di una legge del più forte», che permetterebbe di entrare in un processo di crescita e sviluppo anche alle aree più deboli. Non ultima la Sardegna. «Dalla globalizzazione - dice Sabattini - potrebbe ottenere solo vantaggi». (s.z.)

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