Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
09 February 2005
Università di Cagliari
Ufficio Stampa

 
1 – LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 1 - Cagliari 
Sit in per risolvere i problemi della mensa di via Premuda
Sindacati preoccupati per l’atteggiamento dell’azienda che non vuole lasciare l’appalto 
CAGLIARI. È sempre emergenza per la mensa universitaria di via Premuda e i disagi per gli studenti aumentano. Motivo? La vertenza che da un paio di mesi oppone i lavoratori della mensa Ersu e l’Edilcora: «L’Edilcora, nonostante le determinazioni del consorzio nazionale servizi e dell’Ersu non ha adempiuto agli obblighi per i passaggi dei lavoratori. Coì la nuova azienda che dovrà gestire l’appalto non può subentrare perchè non può fare le assunzioni». I lavorarori sono decisi a proseguire le azioni di lotta e un sit in è previsto per oggi davanti alla sede dell’Edilcora a Quartu. Con una minaccia: «Se l’azienda entro ventiquattrore non dovesse effettuare le necessarie comunicazioni per rendere possibili le assunzioni, ci vedremo costretti a rivolgerci al magistrato per ricondurre l’azienda a comportamenti di legalità».
Sull’argomento esprimono «preoccupazioni» i sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl e UIltucs Uil: «Nonostante le decisioni del Cns di rescindere il contratto con la Edilcora per la gestione della mensa di via Premuda e di affidare il servizio ad un’altra azienda consociata sino alla scadenza del 31 dicembre, la vertenza non è stata conclusa. Nei giorni scorsi sono state convocate le organizzazioni sindacali per conoscere la nuova azienda alla quale verrà affidato l’incarico e per espletare la procedura per il passaggio diretto di tutti i lavoratori. Ma ci è stato comunicato che le operazioni non sono praticabili perchè la Edilcora non ha ancora consegnato i documenti dei lavoratori. Per questo la nuova azienda non può subentrare nel passaggio ed effettuare le assunzioni. Il comportamento dell’Edilcora continua ad essere palesemente scoretto, sia verso i lavoratori che nei confronti di chi quotidianamente usufruisce del servizio».
 
2 – LA NUOVA SARDEGNA
BREVI
CLINICHE UNIVERSITARIE
Sassari. A causa di urgenti lavori di manutenzione straordinaria alla centrale di Ateneo, il servizio telefonico sarà interrotto oggi dalle 14 fino ad ultimazione dei lavori (minimo 3 ore). Sarà possibile garantire un servizio di emergenza, riservato ai reparti della facoltà di medicina e chirurgia: rianimazione (8272), complesso sale operatorie ((8159), chirurgia d’urgenza (9140), clinica chirurgica (8229), clinica medica (8243), clinica neurologica (8232), oculistica (8255), ortopedica (8134), otorinolaringoiatrica (8510), ostetricia (8269), neonatologia (8322), patologia speciale (8312), pediatria (8273), tisiologia (8370).
 
3 – CORRIERE DELLA SERA
Atenei senza pace, la protesta arriva al Tar
«Provvedimenti legislativi scollegati e irrazionali». I rettori uniti contro il governo
Guido Fabiani, di Roma Tre:
la Finanziaria era stato un bel segnale, purtroppo tutto è tornato come prima
«Siamo subissati di provvedimenti legislativi scollegati e irrazionali». La pace tra atenei e governo - siglata all’indomani della legge Finanziaria che ha stanziato un più 7 per cento per il sistema universitario - è saltata: pochi giorni fa, la conferenza dei rettori del Lazio, che riunisce strutture sia pubbliche sia private, ha diffuso un documento chiaro, inequivocabile, diretto. A questo documento - recepito dalla conferenza nazionale - adesso seguono parole. Come queste, pronunciate dal rettore di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agrò: «Negli atenei c’è un rischio ribellione, che se le cose non cambiano sarà difficile tenere a freno. Scioperi e chiusura corsi, mobilitazioni, ma non solo: sono pronto a impugnare davanti al Tar i provvedimenti del ministero. Perché sono incostituzionali, intaccano la nostra autonomia». Roma Tre di Guido Fabiani si dice «pronta a prendere in esame il ricorso», e La Sapienza di Renato Guarini «ha firmato il documento di protesta della Crul».
 
4 – CORRIERE DELLA SERA
«Il ministero ci chiede il piano triennale, ma senza conoscere i fondi è impossibile». Contestati alcuni provvedimenti «scollegati e irrazionali»
Atenei-governo: addio tregua, pronte le carte bollate
Autonomia e finanziamenti,
la crisi rinsalda l’alleanza fra La Sapienza, Tor Vergata e RomaTre
«Siamo subissati di provvedimenti legislativi scollegati e irrazionali». La pace tra atenei e governo - siglata all’indomani della legge Finanziaria che ha stanziato un più 7 per cento per il sistema universitario - è saltata: pochi giorni fa, la conferenza dei rettori del Lazio, che riunisce strutture sia pubbliche sia private, ha diffuso un documento chiaro, inequivocabile, diretto. A questo documento - recepito dalla conferenza nazionale - adesso seguono parole. Come queste, pronunciate dal rettore di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agrò: «Negli atenei c’è un rischio ribellione, che se le cose non cambiano sarà difficile tenere a freno. Scioperi e chiusura corsi, mobilitazioni, ma non solo: sono pronto a impugnare davanti al Tar i provvedimenti del ministero. Perché sono incostituzionali, intaccano la nostra autonomia». Roma Tre di Guido Fabiani si dice «pronta a prendere in esame il ricorso», e la Sapienza di Renato Guarini «ha firmato il documento di protesta della Crul». Altro che pace, i rapporti tra atenei e governo sembrano sintetizzabili col concetto opposto. «Il provvedimento dei requisiti minimi, il blocco dei concorsi, il piano triennale». È a questa frase che va collegata quella iniziale: provvedimenti scollegati e irrazionali. Finazzi Agrò ha il tono pacato, e anche i concetti: «Vorrei precisare che molti di questi provvedimenti si basano su principi giusti. Il modo di applicazione, però, è, come detto, irrazionale». Tanto, dice Finazzi Agrò, da «non consentirci di lavorare, almeno non in modo sereno». È così che le università del Lazio hanno deciso di protestare assieme, con un documento durissimo. Si leggono richieste: «Tempi e modi adeguati». Giudizi, anche: «...secondo regole condivise che non mortifichino l’autonomia decisionale degli atenei e che siano connesse esclusivamente con la certezza delle risorse». Perché il punto, ancora una volta, è quello: le risorse. O meglio: «Ci chiedono un piano triennale di sviluppo. D’accordo, giustissimo. Solo che - attacca il rettore - è un po’ difficile presentare il piano entro il 31 marzo: per quella data, non sapremo neanche i fondi che avremo a disposizione per il 2005. Ma come si fa? Ma com’è possibile?». Si aggiunga il resto: «Il ministro ha congelato i concorsi. Altro che piani triennali. A proposito: ma su quali parametri saranno valutati?». Esempi di provvedimenti «scollegati e irrazionali», dicono i rettori, «non mancano». «Prendiamo quello dei cosiddetti requisiti minimi. Si tratta, in sostanza, di presentare i nostri corsi al ministero: una spiegazione completa di tutto, dai docenti alle ore. Bene, anche in questo caso: principio giusto. Solo che poi ci si accorge che il provvedimento, varato il 27 gennaio, chiedeva la presentazione dei corsi il 31 dicembre, quattro giorni dopo. Dopo le prime proteste, la data di consegna è stata spostata: al 19 febbraio. Sia chiaro che in ballo c’è la perdita di validità dei corsi, non una cosa da nulla». In effetti, però, che questi prospetti dovessero essere presentati si sapeva da tempo: «Vero, certo. Ma prima si fanno le regole, poi si chiedono i prospetti. Ci si dica: per una facoltà ics, occorrono un numero di docenti e un numero di ore. Invece, nulla. I nostri corsi saranno valutati come?». Il rettore non aspetta domande: «Avevamo appena tirato un sospiro di sollievo con la Finanziaria che aumentava le risorse, e ci ritroviamo con uno stillicidio di norme che restringono l’autonomia». Così, adesso, dalle parole si passerà alla via giudiziaria «Non accetto che la Costituzione venga contraddetta in questo modo, non accetto l’autonomia degli atenei sia limitata in modo surrettizio, non accetto questo modo di procedere, irrazionale, confuso e scollegato». 
Alessandro Capponi
 
5 – CORRIERE DELLA SERA
Entro tre anni un «Palazzotto» da ottomila posti, cinque piscine e un’arena nel campus universitario
Un «palazzotto» dello sport da 8.000 posti, un complesso natatorio con cinque piscine, un’arena polifunzionale all’aperto per altre discipline sportive ed eventi culturali. Un struttura, insomma, ideale per ospitare i grandi eventi sportivi internazionali e, al tempo stesso, ottimale per far praticare attività sportive a tanti romani. La capitale avrà presto la sua «città dello sport e della cultura». Sorgerà, su una superficie di 150 ettari, nell’area dell’università di Tor Vergata. I lavori cominceranno nel maggio 2006. E si conta di effettuare il fatidico taglio del nastro nella primavera del 2008, in tempo utile insomma per ospitare i mondiali 2009 di nuoto e pallanuoto, per cui Roma ha già avanzato ufficialmente la sua candidatura, ed i tornei iridati maschili di volley e basket del 2010. La genesi del progetto, gli obiettivi strategici, i tempi di realizzazione ed i costi di «una delle opere più importanti per lo sport nella città di Roma», come l’ha definita Walter Veltroni, sono stati illustrati ieri in Campidoglio dal primo cittadino della capitale, dal presidente del Coni, Gianni Petrucci, e dal rettore della seconda università, Alessandro Finazzi Agrò. L’idea di un terzo polo sportivo (dopo quelli del Foro Italico-Flaminio e dell’Eur), che secondo il sindaco di Roma ha il triplice obiettivo di «rompere la monocultura del calcio e dare spazio a sport come volley, basket e nuoto che hanno nella capitale decine di migliaia di praticanti; di fare di Tor Vergata un campus internazionale e soddisfare le esigenze sportive degli abitanti di Roma est», era venuta a Veltroni ad Atene, durante le olimpiadi dello scorso agosto.
A settembre sono cominciate le riunioni coi i presidenti delle principali federazioni sportive interessate (basket, volley e nuoto). Come area si è subito pensato a Tor Vergata, che era giù stata monitorata ai tempi della candidatura ai giochi olimpici del 2004 e dove, com’è stato ricordato dall’assessore all’urbanistica Roberto Morassut - curatore del progetto insieme al segretario generale del Coni, Raffaele Pagnozzi -, si sta lavorando per far arrivare una linea della metropolitana. Nel prossimo mese di marzo ci sarà la firma di un protocollo d’intesa. A maggio scatterà il bando per la progettazione preliminare (un concorso internazionale che richiederà alti standard qualitativi). A novembre avverrà l’affidamento del progetto esecutivo. Il bando di gara per l’appalto dei lavori è previsto per il febbraio 2006. Nel maggio (al più tardi, giugno) dello stesso anno ci sarà l’apertura dei cantieri e l’inizio dei lavori, che termineranno nella primavera del 2008. Il costo, fatta eccezione per la costruzione dei parcheggi, è stimato sui 60 milioni di euro e sarà interamente sostenuto dal Comune di Roma con i fondi di «Roma capitale». L’Università di Tor Vergata metterà a disposizione l’area e parteciperà al consorzio di gestione, che - in un misto «pubblico-privato» -, la vedrà insieme al comune di Roma ed al Coni. La gestione, che si avvarrà degli studi in materia della facoltà d'economia dell’università, mirerà alla chiusura annuale in pareggio.
Ma cosa ci sarà ne «la città dello sport e della cultura» di Tor Vergata, promossa dal Comune, dall’università di Tor Vergata e dal Coni? Un palasport,invocato da anni, intermedio tra il Palalottomatica «troppo grande» con i suoi 12.000 posti ed il palazzetto di viale Tizano, «troppo piccolo» con la capienza di 3.000 unità. Sarà ultramoderno con schermi e negozi e potrà contenere 8.000 spettatori (da qui l’espressione «palazzotto»). La dimensione annunciata per il parterre per gli sport indoor di metri 24x44. Ma sarà leggermente modificata. I dirigenti della pallavolo laziale hanno fatto notare che dovrà essere almeno di 26,50 metri per le esigenze dalla federazione internazioanale. Il complesso natatorio avrà tre vasche al chiuso (una di metri 53x25 per le gare, una di 50x8 per il riscaldamento ed una di 25x25 per i tuffi) e due all’aperto (una di 50x25). Sono previste tribune da 3-4.000 spettatori. Ma la capienza esterna, grazie a tribune montabili ad hoc, potrà arrivare a 14.000 unità. Per eventi come i mondiali l’impiantano è predisposto per accogliere altre due vasche all’aperto di mt34,50x25. Parte dell’impianto natatorio diventerà lido nel periodo estivo.
L’arena all’aperto offrirà infine sei campi polivalenti in sintetico con tribune permanenti di 5.000 spettatori e potrà essere teatro di eventi extrasportivi. Non mancheranno aree per il fitness. Il bacino d’utenza è stimato in un milione e trecentomila romani che sono residenti nella fascia di «mezz’ora di macchina». Anche se i primi destinatari sono i 30.000 studenti di Tor Vergata. L’idea è quella di un campus dove studiare e praticare sport. Come avviene in quelli americani. Immagine evocata dal sindaco Veltroni e condivisa da Gianni Petrucci ed Alessandro Finazzi Agrò.
 
6 – CORRIERE DELLA SERA
LE REAZIONI
Il mondo dello sport italiano e non solo plaude alla «città dello sport e della cultura» di Tor Vergata. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha auspicato che «altre città italiane seguano quanto sta facendo il sindaco Veltroni a Roma per lo sport». Il rettore dell’Università di Tor Vergata, Alessandro Finazzi Agrò, ha parlato di un’idea «coraggiosa ed importante». Il presidente della federbasket, Fausto Maifredi, si è dichiarato entusiasta dell’iniziativa.
Il presidente della federvolley, Carlo Magri, ha fotografato l’importanza della struttura in una battuta: «Sembra una di quelle opere di cui si sente parlare sempre ma che non si fanno mai. A Roma invece la vedremo finalmente realizzata».
Il presidente della federnuoto, Paolo Barelli, ha ricordato, voltandosi indietro nel tempo, come «l’unica piscina coperta da 50 metri della capitale era stata costruita nel 1936...».
Roberto Stracca
 
7 – CORRIERE DELLA SERA
La benedizione è arrivata direttamente dal ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti.
E con la benedizione sono arrivati anche i primi fondi: due milioni di euro che diventeranno sei nel giro di poco. Nasce l’Alta Scuola Politecnica per il biennio universitario, frutto della collaborazione tra Milano e Torino. Il progetto dei Politecnici della due città offre a 150 studenti - selezionati tra i talenti iscritti al primo anno di laurea magistrale dei due politecnici - una doppia laurea e un diploma dell’alta scuola. Almeno il 50 per cento degli allievi dovrà provenire da fuori Piemonte e Lombardia. Almeno il 25 per cento sarà straniero e un requisito è quello di avere una media maggiore o uguale al 27. C’erano tutti ieri alla Camera di Commercio presieduta da Carlo Sangalli. Oltra al ministro Moratti, il sindaco Gabriele Albertini, il suo collega di Torino, Sergio Chiamparino, il presidente della Regione, Roberto Formigoni, il suo collega piemontese Enzo Ghigo e i due rettori del Politecnico, Giulio Ballio e Giovanni Del Tin. «La priorità dell'alleanza tra le due città - ha detto la Moratti - sarà di realizzare un'area policentrica collegata da una rete non soltanto di infrastrutture materiali, ma basata sul valore del capitale umano quale prerequisito fondamentale per la crescita e lo sviluppo dell'area e del Paese».
Intanto la Camera di Commercio ha fornito i dati di due ricerche sugli universitari a Milano. Di fronte ad un mercato del lavoro sempre più competitivo, cresce la voglia dei milanesi di andare avanti negli studi: il numero degli iscritti ai corsi post-laurea cresce di ben il 188 per cento in 10 anni (da 2.400 a circa 7 mila); e così a Milano oggi per ogni 5 immatricolati ad un corso di laurea ce n'è uno che si iscrive a corsi post-laurea, come master, dottorati, scuole di specializzazione. L’altra ricerca riguarda la disponibilità degli studenti a trasferirsi dalla propria città per trovare lavoro. Anche in questo caso Milano ha il primato (e non è detto che sia positivo). Gli studenti milanesi sono pronti a seguire le opportunità di lavoro all’estero, non in Italia.
In ogni caso il 70 per cento della popolazione studentesca italiana è pronta a prendere armi e bagagli per andare all’estero e trovare un lavoro che li soddisfi economicamente e professionalmente.
I milanesi, ma anche i torinesi, puntano ai guadagni (29,5 per cento contro la media italiana di 22,2 per cento), anche se, almeno per i milanesi, qui in buona compagnia dei romani, vince la soddisfazione personale (32,8 per cento e 40 per cento contro una media del 21,9 per cento) e in più, soli tra gli italiani hanno voglia di sprigionare fantasia e creatività (13,1 per cento contro una media del 6,8 per cento).
 
8 – CORRIERE DELLA SERA
Nella capitale della didattica
FAST FOOD ISTRUZIONE
A chi seguisse dall'esterno le traversie del mondo universitario, la recente richiesta ministeriale di indicare entro la fine di marzo, ateneo per ateneo, il fabbisogno del personale, da qui a tre anni, potrebbe apparire scontata, senza assumere il carattere surreale che molti addetti ai lavori vi riscontrano. I rettori del Lazio, in un documento di cui Alessandro Capponi riferisce in queste pagine, chiedono una proroga dei tempi entro cui consegnare le previsioni d’organico. Inoltre, evidenziando il contemporaneo invito a sospendere l’avvio di ogni procedura concorsuale, mostrano qualcosa in più di una semplice insofferenza e sembrano implicitamente condividere l’indignazione manifestata nei giorni scorsi da Riccardo Muti, con tutta la possibile autorevolezza, riguardo all’esiguità dei fondi destinati alla ricerca. Attenzione: sarebbe da sprovveduti non mettere in conto le sacche di sprechi, ingiustizie e privilegi purtroppo insiti nel sistema accadenico. Ma qui, invece di tagliare i rami secchi, si rischia di compromettere il tronco dell’albero.
Quale sia la condizione in cui versano le università della nostra regione, battistrada di quelle nazionali, forse non è ancora chiaro a tutti: eppure la scissione fra ricerca e didattica sembra essere cosa fatta. Gli istituti scientifici sono diventati esamifici coi docenti che, oberati dagli impegni burocratici, ricorrono alla calcolatrice per valutare i crediti degli studenti.
I quali, disorientati e confusi, in una maggioranza sempre più numerosa, si rivolgono ai titolari di cattedra ormai quasi soltanto per chiedere informazioni pratiche: quando c’è l’appello? A che ora? In quale aula? Quattro anni fa venne varata la riforma universitaria che, fra l’altro, sanciva una nuova scansione formativa: il triennio del diploma e il successivo biennio necessario per conseguire la laurea vera e propria. Quest’ultima area, chiamata specialistica, in pratica è ancora tutta da organizzare, benché siano prossimi a laurearsi i primi studenti, figli del nuovo sistema. Nella cittadella di Tor Vergata, per fare un solo esempio fra i tanti possibili, gli iscritti al biennio finale, in mancanza di adeguati spazi, sono ridotti ad assistere alle lezioni negli studi dei professori. Molti corsi non vengono ancora attivati. Le materie esistono spesso solo sulla carta. Frattanto non pochi docenti, dichiarati idonei, attendono di essere chiamati dai consigli di facoltà.
Si spiega anche così il malcontento espresso dai rettori laziali che, al termine della loro assemblea, hanno detto di veder mortificata l’autonomia decisionale di cui solo a parole disporrebbero, lamentando il sostanziale blocco delle assunzioni per tutto l’anno in corso. Nella capitale italiana la didattica accademica scorre su un rullo di velocità e nozionismo: questo è il fast-food dell’istruzione universitaria, non lo spazio di approfondimento e riflessione sistematica che un Paese come il nostro dovrebbe garantire ai suoi giovani.
Eraldo AFFINATI
 
9 – CORRIERE DELLA SERA
UNIVERSITA’ E RISORSE
Più servizi per i centri allo studio
Da qualche anno Milano porta dentro la testa la sua fabbrica più importante, con più addetti e maggiore fatturato. Sono dieci università, ogni dodici mesi esse aumentano di settemila unità i loro iscritti, rovesciando la tendenza demografica negativa che si registra invece all’anagrafe milanese. La produzione formalmente immateriale della grande macchina universitaria è la meno virtuale nel panorama economico finanziario. Molte sono le caratteristiche controtendenza, rispetto alla generale delocalizzazione del lavoro e al mediocre tasso di innovazione e alla povertà degli investimenti nella ricerca. Al contrario di quanto avviene in tanta industria i dieci atenei realizzano sul posto anche i servizi a fornitura decentrata. Proprio in questi giorni la Bicocca ha presentato un piano eccezionale di teleuniversità. E non è il solo ateneo che affronta le sue lezioni in questo modo e che si giova di un alto grado di internazionalizzazione, sia per la lingua usata, sia per la docenza che è in notevole parte straniera. Milano non ha però ancora preso consapevolezza intera del suo nuovo ruolo di città universitaria. I poli dello studio sono distribuiti urbanisticamente all’interno di un territorio metropolitano finora solo parzialmente adattato a questa metamorfosi.
Un distretto universitario e di ricerca diventa sistema quando sa utilizzare al meglio il plusvalore umano che ha realizzato. L’indotto universitario, non è costituito da affittacamere e pizzaioli, servono ma non è qui il fenomeno della novità. È la città stessa, quando dimostra capacità di giovarsi dell’accumulo di conoscenza e di preparazione che i suoi atenei realizzano, a diventare indotto. Per loro conto le università milanesi hanno già l’obiettivo di investire stabilmente nelle menti che via via preparano. Per fare un esempio oggi la Bocconi sostiene al terzo livello degli studi gruppi giovanili di eccellenza che vanno poi sul mercato internazionale, del lavoro e dell’insegnamento, per tornare poi talvolta a casa, e magari salire in cattedra nello stesso ateneo.
Giovani docenti stranieri sono reclutati direttamente all’origine con generoso sforzo finanziario. La Bocconi lo fa sistematicamente. L’attrito delle globali difficoltà create dalla lunga riforma a rate con continui «stop and go» pesa con le sue contraddizioni e le sue incrostazioni. Milano può però avvantaggiarsi di una collocazione europea strategica e di una osmosi favorita da alcuni dei suoi più avanzati laboratori di ricerca. La componente universitaria privata nel distretto universitario milanese favorisce del resto l’internazionalizzazione. Resta la sfasatura fra le opportunità della macchina universitaria e la scarsità dei servizi offerti invece dal tessuto pubblico. 
Gaspare BARBIELLINI AMIDEI
 
10 – CORRIERE DELLA SERA
L’ACCUSA DELL’AVVOCATO DERSHOWITZ
«La Columbia University discrimina gli studenti ebrei»
NEW YORK - Sulla Columbia University piovono nuove accuse di essere contro Israele e di simpatizzare con i terroristi. Questa volta a puntare il dito contro l’ateneo di New York è un noto docente di legge dell’Università di Harvard. Alan Dershowitz, celebre avvocato, in una conferenza stampa proprio alla Columbia, ha accusato pubblicamente il dipartimento di studi sul Medio Oriente dell’università: «Incoraggiano i terroristi. Gli dicono che avranno appoggio accademico anche se si oppongono al progetto di pace». Le accuse di Dershowitz, un docente ebreo noto anche per essere stato avvocato difensore in alcuni processi famosi, come il caso von Bulow e quello di O. J. Simpson, si aggiungono a quelle di un gruppo di studenti ebrei della Columbia che hanno sostenuto di essere stati derisi e discriminati da professori di simpatie filopalestinesi. L’ateneo ha avviato un’indagine interna per verificare le accuse, ma i docenti chiamati in causa hanno respinto le insinuazioni e hanno denunciato a loro volta di essere nel mirino di una lobby ebraica che li vuole danneggiare.
Dershowitz ha detto di considerare Edward Said, morto pochi anni fa, il più celebre studioso di Medio Oriente della Columbia, il responsabile di questa situazione di estremismo: «Se un alieno atterrasse oggi a Columbia - ha detto Dershowitz - non penserebbe che la soluzione al conflitto mediorientale sia nella formazione di due Stati. Penserebbe che c’è un’altra possibilità, un solo Stato, quello della Palestina».
 
11 – CORRIERE DELLA SERA
Clonazione umana, via libera al «papà» di Dolly
Per la seconda volta la Gran Bretagna autorizza un intervento a scopo terapeutico
Ian Wilmut: «E’ uno strumento che ci può aiutare a capire e curare malattie incomprensibili»
LONDRA - Dopo la pecora Dolly, gli embrioni umani. Per la seconda volta nella sua storia, l’Authority britannica per la fecondazione e l’embriologia, Hfea, ha concesso una licenza per la clonazione a scopo terapeutico, legale in Gran Bretagna dal 2001. A ricevere il via libera è l’uomo che ha cambiato la storia della scienza, il professor Ian Wilmut del Roslin Institute di Edimburgo, colui che nel luglio 1996 riuscì a dar vita al primo animale al mondo clonato da una cellula adulta. Sei mesi fa era stata un’équipe dell’università di Newcastle a ottenere la «luce verde» per ricerche su cellule produttrici di insulina da trapiantare in malati di diabete. Il progetto di Wilmut riguarda un’altra patologia killer, la malattia dei motoneuroni, Mnd, ed è completamente diverso in quanto, invece di fermarsi alla produzione di cellule staminali, prevede lo studio progressivo dell’embrione clonato nell’arco di 14 giorni di vita. Già ad agosto la decisione della Hfea aveva provocato critiche ed anche questa volta l’annuncio ha innescato un coro di voci contrarie: «Che triste voltafaccia per questo pioniere della medicina», ha sottolineato il gruppo Comment on Reproductive Ethics. «Ai tempi di Dolly, Ian Wilmut aveva promesso che mai e poi mai avrebbe clonato una vita umana». Donald Bruce, della Chiesa di Scozia, ha aggiunto che, mentre Wilmut sicuramente è in buona fede, «sino a quando la clonazione umana a scopo riproduttivo non verrà vietata a livello globale, ci sarà il pericolo che uno di questi embrioni cada nelle mani sbagliate. La scienza non rispetta i confini».
In risposta ai critici, Wilmut assicura di non aver alcuna intenzione di clonare un bimbo: rimane totalmente contrario alla clonazione riproduttiva. «La clonazione terapeutica è uno strumento che ci può aiutare a capire malattie sinora incomprensibili e, si spera, a trovare un giorno una cura per patologie che fanno soffrire milioni di persone. Rifiutare questa possibilità significherebbe infliggere un grande danno alla scienza, così come lo sarebbe procedere con la clonazione riproduttiva. Senza entrare in considerazioni etiche, mancano i mezzi e la conoscenza per portare a termine una procedura del genere». Dolly, ha ricordato, è morta nel 2003 per complicazioni respiratorie che generalmente colpiscono pecore più anziane. «Anche solo pensare di clonare un essere umano quando ancora esistono dubbi sugli effetti a lungo termine della tecnica sarebbe un atto criminale».
I suoi embrioni vivranno solo per il periodo concesso dalla legge, non un secondo di più. Poi verranno distrutti. L’obiettivo è creare embrioni affetti da Mnd, sia per sperimentare l’efficacia di nuovi farmaci, sia per osservare il comportamento dei motoneuroni colpiti. Le ricerche di Wilmut saranno effettuate assieme a un’équipe scelta dal Roslin Institute e dall’Istituto di psicologia del King’s College di Londra diretto da Christopher Shaw. «I motoneuroni - ha spiegato Shaw - sono particolarmente difficili da studiare perché nascosti nel cervello e nel midollo spinale. La clonazione terapeutica ci permetterà di effettuare accertamenti altrimenti impossibili». La Mnd è una malattia irreversibile e incurabile, in cui i motoneuroni, le cellule responsabili dei movimenti, muoiono gradualmente. Quando arriva a interessare i muscoli del viso e della gola, subentrano problemi respiratori e di masticazione. In media il paziente muore a 14 mesi dalla diagnosi.
Paola De Carolis


12 – IL MESSAGGERO
Tante specialità: un centro aperto a tutti
Un bacino d’utenza di 30 mila studenti e personale universitario. Ma con circa mezzo milione di romani in grado di raggiungerlo nel giro di venti minuti e 1 milione e 300 mila ad una distanza inferiore ai 30 minuti. Ecco a chi si rivolgerà il nuovo Campus. Non solo una “palazzotto”. Ma anche due vasche all’aperto, una vasca al chiuso, tribune in grado di ospitare complessivamente 14 mila spettatori. E servizi vari per gli atleti. E ancora: 6 campi polivalenti in sintetico, tribune e spazi per spettacoli extrasportivi e per concerti. Il nuovo Campus di Tor Vergata. Una struttura che verrà gestita da un consorzio di cui faranno parte l’Università e il Coni. Ma secondo le previsioni non dovrà pesare sulle casse di nessuno: si calcolano una volta a regime incassi per 4 milioni di euro, con un milione di utile netto.
Il 2005 sarà dal punto di vista tecnico l’anno della progettazione esecutiva e preliminare. Tra giugno e luglio si arriverà alla delibera di indirizzi del sindaco, alla convenzione con il soggetto attuatore e all’affidamento dei lavori di urbanizzazione. Il bando di gara per l’appalto dei lavori verrà lanciato nei primi mesi del prossimo anno con l’obbiettivo di aprire i cantieri entro l’estate e concludere l’opera nel 2008. In tempo per i mondiali di nuoto del 2009. «Vivrò questa struttura da praticante ma sarà comunque una cosa stupenda», ha commentato il campione di nuoto Massimiliano Rosolino intervenuto alla conferenza stampa - è fondamentale importare la cultura dei campus universitari per promuovere insieme sport e cultura. Strutture come queste sono importanti per noi big ma anche per i cittadini che vogliono praticare lo sport».
 
13 – IL MESSAGGERO
Sognando i mondiali di nuoto del 2009, ecco il progetto della città dello sport. Entro tre anni è prevista la fine dei lavori
Tor Vergata, università a tutto campus
Piscine scoperte, un “palazzotto” da 8 mila posti, strutture sportive a servizio del quadrante est
Le buone notizie sono almeno due. La prima è che il Campus universitario di cui si parla già da almeno dieci anni questa volta si farà. E si farà a Tor Vergata, nella periferia est della città con i fondi di Roma capitale già accantonati e messi da parte («ecco come li utilizziamo», ha polemizzato Veltroni con i manifesti dell’opposizione). La seconda è che sono tutti d’accordo: sì alla candidatura di Roma ai prossimi mondiali di nuoto del 2009.
Il nuovo e multifunzionale impianto verrà realizzato nel giro di tre anni e sarà il fiore all’occhiello di questa scommessa. Stiamo parlando di un’opera da sessanta milioni di euro. Di una cittadella dello sport che potrà ospitare attività sportive a vario livello. Che al suo interno conterrà un “palazzotto” da 8000 posti, il nuovo epicentro dei canestri e delle schiacciate.
Il tono per certi versi enfatico con il quale i vari protagonisti dell’accordo - Comune, Coni, Università, Provveditorato alle Opere pubbliche - hanno annunciato il via libera si giustifica con le grandi attese di una città che in fatto di impianti sportivi è rimasta ferma alle dotazioni di 4 decenni fa. O quasi. «È dalle Olimpiadi del '60 che non si realizzano impianti sportivi multidisciplinari di alto livello - ha ammesso Veltroni - . Mancano strutture intermedie: c'è il palazzo dello sport al Flaminio con 3.000 posti e il Palalottomatica da 12/13.000 non il Palazzotto che realizzeremo».
L’idea della “cittadella” è sua, del sindaco Veltroni. Risale alle scorse Olimpiadi di Atene. Quella del Campus è nata praticamente insieme all’Università di Tor Vergata, un ateneo che ha tutte le caratteristiche per ospitare una struttura sul modello americano. «Dagli Usa prendiamo tante cose - ha commentato il sindaco - non tutte necessariamente buone. Questa sarà positiva per gli effetti che avrà sullo sport di base e studesco».
Piscine, campi sportivi, palestre, parcheggi, bar, ristoranti e servizi commerciali su un'area di circa 150.000 metri quadri. «In questi giorni, anzi in queste ore - si è corretto l’assessore all’Urbanistica Morassut - la Regione Lazio sta per approvare il piano particolareggiato di zona». Morassut ha tenuto insieme tutti i fili e impresso una forte accelerazione all’“idea” del sindaco. ma il valore aggiunto lo daràla mobilità: la metropolitana quando arriverà e lo svincolo sulla Roma-Napoli già in fase di realizzazione.
Le piscine all'aperto saranno 3, una per il nuoto da 53x25 metri e due da 33x21 metri per la pallanuoto e il nuoto sincronizzato. Roma, nel periodo scelto per i mondiali di nuoto del 2009, cioè dal 18 luglio al 2 agosto, Roma diventerà una ulteriore attrazione per 20.000 turisti.
Lo sport era presente ieri in grande stile: il presidente del Coni, Petrucci, il segretario generale, Raffaele Pagnozzi, il presidente della Federbasket, Fausto Maifredi, della Pallavolo, Carlo Magri e della Fin, Paolo Barelli.
La nuova struttura sarà, insieme agli impianti dello stadio del Nuoto del Foro Italico, il punto di riferimento per lo svolgimento delle gare. A parte la gara di fondo di nuoto, per la quale la scelta è ricaduta sul lido di Ostia, dotato anche di varie piscine per gli allenamenti. «Siamo vicini a realizzare un sogno che coltiviamo da sempre - ha dichiarato il rettore di Tor Vergata, Alessandro Finnazzi Agrò - darà impulso al nostro ateneo che conta già migliaia di studenti e sarà aperto ai quartieri dell’hinterland».
Ma quante possibilità avrà Roma di aggiudicarsi i mondiali? «La nostra è una candidatura importante - ha osservato Barelli - in corsa c’è anche Parigi, ma ce la metteremo tutta». Barelli ha dato atto al sindaco Veltroni di dare il via alla realizzazione della seconda piscina al coperto da 50 metri. «Finora c'era solo quella del Foro Italico, sappiamo - ha osservato scherzosamente il senatore di Forza Italia Barelli alludendo al Ventennio - in quale periodo storico fu realizzata. Dopo 70 anni, non so se il parallelo piace al sindaco, si realizza la seconda». «È la dimostrazione che si può fare tutto, anche con meno poteri», lo ha interrotto, ironico, il delegato del sindaco per lo sport Gianni Rivera. Sorrisi.
Claudio MARINCOLA

14 – IL MESSAGGERO
Saranno clonati embrioni umani
Il “papà” di Dolly ottiene l’autorizzazione per scopi terapeutici
LONDRA - Aveva conosciuto la notorietà internazionale nel 1996, quando era stato il primo scienziato a clonare con successo un animale, la pecora Dolly, suscitando un enorme dibattito sull’etica della clonazione. Ora il professor Ian Wilmut torna alla ribalta della cronaca avendo ricevuto da parte dell’autorità britannica per la fertilizzazione e l’embriologia umana (HFEA), la licenza di clonare embrioni umani a scopo terapeutico nell’ambito di una ricerca sulla malattia degenerativa dei motoneuroni, le cellule addette al controllo dei movimenti.
L’obiettivo di Wilmut e dei suoi collaboratori, Christopher Shaw del King’s College di Londra e Paul de Sausa del Roslin Institute di Edimburgo, è di studiare queste cellule per comprendere meglio la dinamica dello sviluppo della malattia. Sulle cellule verranno inoltre sperimentati nuovi farmaci che potrebbero fermare lo sviluppo della malattia. «Abbiamo trascorso 20 anni a cercare i geni che causano le malattie del motoneurone e finora ne abbiamo trovato solo uno. Questo potenzialmente potrebbe essere il grande passo avanti», ha dichiarato Shaw.
La malattia del motoneurone colpisce circa 5.000 persone in Gran Bretagna, che oggi hanno accolto con favore l’avvio delle ricerche. La maggior parte dei pazienti muore nel giro di cinque anni, dopo essere caduto gradualmente in uno stato di totale paralisi.
Nel Regno Unito la clonazione a scopo riproduttivo è illegale, ma quella terapeutica, il cui obiettivo è di creare embrioni dai quali estrarre cellule staminali utili nella cura di diverse malattie, è legale dal 2001. Wilmut ha sottolineato che «il nostro obiettivo è di ottenere cellule staminali puramente a scopo di ricerca. Non si tratta assolutamente di clonazione a fini riproduttivi».
La HFEA aveva già concesso una simile licenza nell’agosto scorso ad un gruppo di ricercatori dell'università di Newcastle al fine di clonare embrioni da utilizzare in nuovi trattamenti contro malattie incurabili come l'Alzheimer ed il morbo di Parkinson.
Già in agosto la concessione della licenza aveva sollevato le polemiche dei gruppi antiaborto secondo i quali la clonazione di un embrione umano implica la creazione e la successiva distruzione di una vita. «Ammiriamo gli obbiettivi degli scienziati del Roslin, quello di produrre cellule affette da malattia del motoneurone per studiarne le cause, ma è questa una ragione sufficiente a creare embrioni clonati?» ha commentato oggi Donald Bruce, esponente della Chiesa di Scozia.
Si teme inoltre che tali ricerche possano aprire la strada alla clonazione a fini riproduttivi in paesi dove non esistono regole a riguardo. «Non è saggio permettere la ricerca su embrioni clonati fino a quando le Nazioni Unite introdurranno un divieto globale sulla clonazione riproduttiva», ha detto Bruce.
Riguardo alla clonazione le Nazioni Unite si trovano in uno stato di empasse: alcuni Paesi, fra cui Italia, Irlanda, Usa e Polonia vorrebbero infatti un bando totale, mentre altre nazioni, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Corea del Sud, la appoggiano fermamente nell’ambito medico-curativo.
Carolina STUPINO
 
15 – IL MESSAGGERO
Ricerca italiana
Passeggiare fa dimagrire di più che correre
ROMA - L'attività fisica ideale per diminuire i grassi in eccesso ed evitare così i rischi legati al sovrappeso? È una lenta camminata, come ha dimostrato una ricerca tutta italiana, che ha identificato quale sia l'andatura ”sciogli-grassi” per eccellenza, pubblicata sulla rivista americana Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism.
Per buttare giù i chili di troppo non serve andare di corsa nè a passo spedito. Il rimedio più efficace è proprio una lenta passeggiata. La scoperta è arrivata da un gruppo di ricerca dell'Università di Verona, che ha messo sotto osservazione una trentina di ragazzi con un soprappeso che variava da lieve a grave. Scopo dello studio: calcolare il consumo delle diverse riserve energetiche durante camminate a diverse intensità e identificare le velocità associate al maggiore consumo di depositi di grasso.
«Abbiamo identificato l'andatura ”sciogli grasso” per eccellenza: si tratta della camminata costante a 4 km/h. È la dimostrazione - ha affermato Claudio Maffeis, docente di Clinica Pediatrica all'Università di Verona e responsabile dello studio - che un'attività consueta, economica e facilmente praticabile ovunque come il cammino è molto utile per combattere l'obesità». A 4 km/h, ha spiegato, «il 40% delle calorie bruciate deriva dai grassi. Aumentando la velocità, questa percentuale si riduce: a 6 km/ora, ad esempio, il consumo di grassi si ferma attorno al 20%».
 
16 – IL MATTINO
ALBANO LEONI, DOCENTE DI GLOTTOLOGIA: COSÌ CONVIVO CON IL DIVIETO
Il prof ribelle: «Ma io accendo la pipa anche all’Università»
ELIO SCRIBANI Federico Albano Leoni, 64 anni, professore di Glottologia e nome storico della facoltà di Lettere, è da sempre un fumatore accanito. Cominciò a 15 anni con le sigarette, a 35 passò al toscano, cinque anni fa scoprì la magia della pipa. Da un mese fa i conti anche lui con il divieto di Sirchia. È stata dura, professore? «Una settimana l’ho trascorsa a Cuba, e lì si fumava meravigliosamente». Ma non è vietato anche a Cuba? «Quando c’ero io, era appena cominciata una campagna di dissuasione. Una cosa soft, però». E a Napoli come se la cava? «Fumo ancora». Anche all’Università? «Ritengo che la mia stanza dell’Università sia uno spazio non aperto al pubblico e, quindi, ci fumo come prima. Non accendo la pipa, invece, nei corridoi e negli spazi comuni: sono rispettoso dei diritti degli altri». E nei locali pubblici? «Ci sono andato una sola volta». Niente pipa? «Sono uscito a fumare dopo la pizza». In macchina come si regola? «Se c’è mia moglie, non fumo. Ma se il viaggio è lungo, accendo la pipa e apro il finestrino». E in casa? «In casa fumo come prima, anche se mia moglie borbotta e ogni tanto devo aprire le finestre». Non sente freddo? «Moderatamente». Che cosa pensa del divieto? «È una campagna moralistica all’americana: rappresenta la cattiva coscienza del mondo occidentale che, non potendo intervenire sulle vere ragioni dell’inquinamento, se la prende con il fumo». Che cosa la irrita di più? «Il divieto sui treni. Mi chiedo: perché non ci può essere un vagone destinato ai fumatori?». Perché non smette. professore? «La prima ragione è che mio padre, anche lui fumatore accanito, è morto di vecchiaia a 91 anni. La seconda è che alla mia età il guaio, se c’è, è già fatto».
 
17 – IL TEMPO
Studenti italiani pronti a emigrare pur di lavorare    
Secondo una ricerca gli universitari andrebbero all’estero per una busta paga gratificante
MILANO — Gli universitari romani non lascerebbero volentieri la loro città mentre i milanesi sono pronti a seguire tutte le opportunità ma all'estero. È un dato che emerge dalla «Gli studenti universitari e il mondo del lavoro», realizzato dalla Camera di commercio di Milano e di Torino attraverso Nexus su un campione di 324 studenti in cinque grandi città: Torino, Milano, Genova, Roma e Napoli. Un dato accomuna tutti: il 70% andrebbe volentieri a lavorare all'estero. Quella che emerge dal sondaggio è un'Italia universitaria poco omogenea: gli studenti romani che stanno bene nella loro città, quelli milanesi che hanno poche radici e sono pronti a cogliere ogni opportunità. Il sondaggio prende in esame il rapporto che gli universitari hanno con il lavoro. A Milano la voglia di impresa nasce già dall'università: gli studenti vorrebbero un maggiore rapporto con le imprese (il 32,8% rispetto al 25,9% della media italiana) e puntano sugli stage (36,1% contro una media italiana del 22,2%). A Genova e Napoli chiedono più temi internazionali e più studenti stranieri. A Roma cercano conoscenze specialistiche (26,7%). Per trasferirsi in un'altra città i milanesi cercano le prospettive di carriera, ma anche la borsa di studio. I milanesi, ma anche i torinesi puntano ai guadagni (29,5% contro la media italiana di 22,2%), anche se, almeno per i milanesi, qui in buona compagnia dei romani, vince la soddisfazione personale (32,8% e 40% contro una media del 21,9%) e in più, soli tra gli italiani hanno voglia di sprigionare fantasia e creatività. I genovesi, più pratici vogliono utilizzare quanto appreso (25,2% contro una media del 13%), i napoletani si distinguono per voglia di sicurezza (17,1% contro una media di 8,6%). Solo il 10% dei romani non si sposterebbe, più restii i genovesi (15,3%), i più liberi da vincoli ancora torinesi e milanesi (6,5% e 8,2%). Anche se i milanesi nelle altre regioni italiane non ci andrebbero proprio (solo l'1,6% contro una media del 12,7% nazionale), al contrario dei genovesi (23,7%). Per i milanesi meglio piuttosto l'Africa (3,3% contro una media nazionale del 1,2%). I più attratti dal nord America milanesi e romani, mentre dal Mediterraneo genovesi e napoletani). I napoletani sono attratti non solo dal medio ma anche dall'estremo oriente: il 5% sceglierebbe il Giappone e un altro 5% la Cina. Andarsene perché? Per la retribuzione secondo i genovesi, per le opportunità per romani e torinesi, mentre i milanesi poliglotti vogliono imparare la lingua, i torinesi vogliono uscire dalla famiglia, i napoletani puntano a costruirsi da soli un futuro.
 
 

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