Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
13 February 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Ufficio stampa
 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 4 - Nuoro
 «La scommessa dell’urbanistica nella campagna piena d’identità»
 L’architetto e docente Pier Luigi Cervellati all’incontro di studio promosso dal Comune
  NUORO. Non sta nelle volumetrie dei palazzi, nelle architetture delle case, nella disposizione dei quartieri e neppure nel recupero del centro storico. Niente di tutto questo: per Pierluigi Cervellati, il futuro di Nuoro risiede nella campagna che la circonda. Sì, proprio in quel territorio agricolo che geometri, ingegneri e architetti troppo spesso disdegnano e che i piani regolatori sovente trascurano. Eppure è proprio lì, in quell’agro così povero ma intriso di identità, che secondo l’insigne urbanista, il capoluogo barbaricino giocherà la sua scommessa per gli anni a venire. «Solo se saprà mantenerlo - dice Cervellati - Nuoro avrà un futuro come città perché sarà riuscita a mantenere la propria anima».
 Eccola qui, insomma, l’ultima indicazione nata intorno al dibattito sul Piano urbanistuici che giunge da un professionista. Cervellati, architetto di chiara fama, docente universitario ed ex amministratore a Bologna, l’ha lanciata l’altra sera, alla conferenza sul Futuro delle città organizzata alla biblioteca Satta dal Comune (ha coordinato la serata il capo di gabinetto del municipio, Francesco Muscau), assessorato all’Urbanistica, nell’ambito degli incontri in preparazione del Piano urbanistico comunale.
 «Con questi incontri - ha spiegato il sindaco Mario Zidda - abbiamo cercato di suscitare una forma di partecipazione al dibattito sul Puc. Una partecipazione di qualità perché il Puc è anche e soprattutto un’occasione di riflessione culturale su Nuoro. Nessuno di noi si può esonerare da questo dibattito». E i nuoresi, infatti, non hanno rinunciato dal partecipare alla serata. Il pubblico presente all’auditorium della Satta, nonostante l’ora tarda, era quello delle grandi occasioni: architetti, ingegneri, studenti universitari, diversi amministratori, cittadini. Come dire che il futuro della città interessa davvero tutti.
 Cervellati, nel suo appassionato intervento, parte da lontano. «Credo che le città rappresentino la società, la civiltà, rappresentino noi stessi». Cita i casi di Milano, Venezia e di alcuni centri del nord est. Esempi di agglomerati urbani diffusi ma anche molto tristi perché i confini comunali si allargano ma la popolazione si disperde e la città perde il significato stesso del suo essere città, perde il rapporto molto stretto che aveva con la campagna. Ma altri pericoli sono in agguato. «La villettopoli - continua Cervellati - sta dilagando nel territorio, ognuno vuole avere la sua villetta, la sua casa unifamiliare, questo porta a una disgregazione sociale, porta a un isolamento, a una marginalità». E poi ci sono gli urbanisti che spesso «fanno dei piani regolatori vittime degli stereotipi. Da un lato c’è l’esigenza di aumentare le aree edificabili, dall’altro quella di aumentare i servizi, il verde».
 Fare un piano urbanistico, insomma, è un’operazione davvero complessa e chi se ne occupa, secondo il docente universitario bolognese, dovrebbe innanzitutto «disegnare, osservare la morfologia, camminare in lungo e in largo sul territorio. I primi disegni andrebbero fatti proprio sul territorio agricolo così ci si renderebbe conto della sua importanza, della sua qualità». E a Nuoro, continua Cervellati «il territorio agricolo è davvero di qualità. Nuoro, io la trovo una città bellissima. Certo, ci sono anche delle architetture brutte in alcuni casi ma è bellissimo l’agro che c’è intorno. C’è dentro il lavoro dell’uomo. Il paesaggio è il lavoro dell’uomo che si incontra con la storia. Voi avete costruito un ambiente che ha una sua identità, una sua austerità. E’ un ambiente drammatico ma anche profondo. Non dovete perdere questo carattere perché è unico. Voi avete un territorio che è una meraviglia, dà l’idea della conquista dell’uomo. C’è una profondità, in questa orditura, in questi terrazzamenti, che sopporta anche la brutta architettura. È questa la risorsa su cui dovete puntare - conclude l’urbanista -: A Nuoro avete un territorio che rappresenta il futuro. Se riuscirete a mantenerlo così la città avrà un futuro».
Valeria Gianoglio
 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari
 Martedì l’apertura nel sottopiano del grattacielo
 Libri usati, un mercatino alle Messaggerie Sarde
  SASSARI. “Perché un libro ha più di una vita”. Con questo slogan le Messaggerie sarde lanciano il Mercatino del libro usato.
 L’iniziativa è destinata a chi vuole disfarsi di libri già letti per fare spazio negli scaffali di casa a nuovi volumi, a chi vuole guadagnare qualche soldo rivendendo libri usati, a chi vuole scambiarli con qualcosa di nuovo. A chi cerca titoli non più ristampati, e a chi vuole risparmiare qualcosa.
 Le Messaggerie sarde stanno allestendo il centro di raccolta di libri usati di ogni genere, dalla letteratura alla saggistica, dalla poesia ai fumetti ai testi universitari. Della vendita si occuperà la libreria e i proprietari dei volumi venduti potranno ritirare il loro guadagno o utilizzarlo per acquistare altri libri, nuovi o usati.
 L’iniziativa delle Messaggerie sarde partirà da martedì prossimo con lo spazio allestito nel sottopiano del grattacielo di piazza Castello, con ingresso dall’edicola.
 Un’occasione non solo per acquistare libri a un prezzo ribassato, ma anche per scoprire tra gli scaffali testi difficili da trovare, magari fuori commercio, piuttosto che collane di fumetti in collezione completa o soltanto i numeri per completare la raccolta di anni.
 E chi, semplicemente, vuole disfarsi di qualche libro già letto, potrà approfittarne per guadagnare qualcosa.
 La libreria di piazza Castello si occuperà di venderli, a un prezzo stabilito dal proprietario in accordo con le Messaggerie, e i libri resteranno di proprietà dell’offerente sino all’effettiva vendita
 Il Mercatino delle Messaggerie sarà aperto il pomeriggio dalle 17 alle 20, dal lunedì al venerdì, e già a partire da martedì prossimo i lettori interessati potranno portare i propri volumi da mettere in vendita.
 Informazioni sull’iniziativa, sulle condizioni di vendita e sulla raccolta dell’usato ai numeri 079 230028 / 347 7606139 oppure all’indirizzo e-mail info@messaggeriesarde.it.
Angela Recino
 
 
3 – Corriere della Sera
MILANO - «Il sistema delle università milanesi? Direi che ci ...
MILANO - «Il sistema delle università milanesi? Direi che ci sono luci ed ombre. Di certo, i nostri atenei oggi non sono competitivi e attrattivi come invece potrebbero essere». Francesco Micheli, imprenditore impegnato in diversi ambiti, parte da una proposta: «Non si capisce per quale motivo le nostre università non si siano ancora messe in rete. Sarebbe un segnale molto significativo di innovazione a portata di mano». Dottor Micheli, esiste un punto debole di questo sistema?
«Il primo è proprio che questi ottimi istituti, vanto della città, non sono collegati né con il mondo del lavoro né fra di loro. Poi, ma qui andiamo a toccare un tasto doloroso, siamo di fronte ad organi burocratici, che vanno avanti per concorsi e non per meriti: con l’effetto che i vincoli superano i risultati. Infine, direi che ogni soggetto in causa dovrebbe essere messo nella condizione di poter fare meglio la propria parte senza dover affrontare una continua corsa a ostacoli per ogni esigenza».
Partiamo dalla gestione delle università.
«Il limite sono i fondi. A furia di tagliare, è come se le nostre università avessero l’anno bisestile: nel senso che ogni quattro anni ce n’è uno in cui i finanziamenti sono praticamente azzerati. Quanto ai contenuti, i nostri atenei dovrebbero proporre veri corsi di scienze amministrative, visto che la qualità civile di una regione, di una città è l’esigenza primaria. È vero che qualcosa si sta già facendo, al Politecnico e alla Bicocca: ma bisogna lavorare sodo perché si deve essere in grado di formare, ad esempio, assessori sul modello francese della Scuola Nazionale di Amministrazione».
Barbiellini Amidei sostiene che Milano non ha ancora consapevolezza del suo ruolo di polo universitario. Condivide?
«Sì. Pensiamo solo al problema drammatico dei posti letto: ne mancano 20 mila. Una qualità di vita inaccettabile per i ragazzi che vengono in città a studiare. Sono presidente del Conservatorio e molti dei nostri 1.500 studenti arrivano anche da altri continenti: per fare che vita? Ho conosciuto una esperienza ottima, quella del Collegio di Milano: sono organizzati come un campus americano, si respira un’aria positiva. Peccato però che i posti disponibili siano un centinaio...».
Esiste anche il problema della fuga dei cervelli?
«Esiste. Perché, mentre coreani, cinesi e indiani studiano negli Stati Uniti per poi tornare e far crescere i propri paesi, da noi i migliori scappano e non tornano più?»
Perché?
«Perché il nostro mondo imprenditoriale non riesce a riqualificarsi in un ambiente globale che è mutato con una rapidità imprevista. Nel settore delle biotecnologie abbiamo bravi ricercatori, vere e proprie eccellenze che sono all’altezza degli americani. Ma qui la piramide è capovolta: nel senso che mancano le strutture di base e quella mentalità imprenditoriale, per cui faticano perfino ad ottenere un brevetto».
Non sta dipingendo un bel ritratto...
«Beh, mi rendo conto che di fronte a macrofenomeni e a novità geo-politiche uniche per riposizionarsi nell’economia globale ci vogliono anni. Il dramma per gli imprenditori italiani è stato anche quello di una scuola mal fatta: per partire dal basso, abbiamo l’idea di quanto siamo penalizzati perché non conosciamo le lingue?».
Lei ha questa idea?
«Quando partecipavo alle riunioni del Fondo Monetario Internazionale riconoscevo i banchieri italiani a distanza. Erano gli unici che stavano tutti in gruppo fra di loro. Per forza: non erano in grado di comunicare...».
Il ritratto ha tinte sempre più fosche.
«Ma no... Milano è una città strana, una metacittà, una città di ricchi e di vecchi dove i giovani che vengono a lavorare scappano appena possibile: non ha centro e periferia, ma è un grande arcipelago dove non si capisce bene che cosa la governi perché non è governabile: perfino il governo nazionale non la capisce. Ma...».
Ma?
«Ma è insostituibile. È sempre quel grande corridoio di flussi come lo fu nel Medioevo, con grandi strutture di rete: autostrade, fibra ottica e informatica, grandi università e fondazioni, grande sistema ospedaliero e finalmente oggi grandi progetti immobiliari. Quello che manca è un progetto politico e sociale alto basato sulla qualità della vita, la vivibilità, la cultura. Lo slogan deve essere: più qualità per la crescita».
Assolve la classe imprenditoriale?
«Tutt’altro. Manca la capacità manageriale di inventare cose nuove. E i trenta-quarantenni oggi al potere, che per molti versi sono più preparati di quelli della mia generazione, hanno un limite grossissimo: sono totalmente fuori da ogni fatto culturale».
In che senso?
«Beh, non si rendono conto che entrare in un museo, leggere per il piacere di leggere, ascoltare un pezzo di buona musica aiuta ad aprire la mente. Fanno sponsorizzazioni, ed è un gran bene, ma non sanno più cosa sia il mecenatismo: le università dovrebbero educare anche in questo senso».
Elisabetta Soglio
 
 
4 – Corriere della Sera
Riforma e protesta degli studenti
LA SAPIENZA IN VETRINA


di DOMENICO DE MASI
Chi vuole capire come è ridotta l’università, deve passare davanti al n. 109 di via Salaria, a due passi da piazza Fiume. Cinque enormi vetrine, invece di esibire mercanzia, mostrano un campione rappresentativo di quella che, pomposamente, ama chiamarsi «La Sapienza». Al di là dei vetri appannati dalla sporcizia, lo sguardo disinteressato dei passanti può scorgere uno sparuto collettivo di studenti che, nello squallido disordine di banchi divelti e mura lerce, autogestisce il nulla.
Gli ingredienti della degenerazione universitaria ci sono tutti: strutture inadeguate e degradate, prestigio ridotto al minimo storico, aggregazione studentesca sbriciolata dall’assenteismo, professori in fuga, opinione pubblica distratta e frettolosa. Con un colpo di genio mediatico, e forse senza comprenderne la portata, gli studenti della facoltà di Scienze della comuncazione hanno messo in vetrina tutto questo stato terminale dell’Università italiana, e romana in specie.
Il dramma che si consuma dietro le vetrine di via Salaria 109, per la sua ingenua potenza dimostrativa meriterebbe ben più del «grande fratello», una telecamera che inviasse, ventiquattro ore su ventiquattro, le immagini dell'università morente nelle aule parlamentari, nei centri direzionali, nelle case degli studenti, dove i politici, i manager, i genitori consentono che una intera generazione di giovani siano sistematicamente deprivati di sapere e di speranze.
La giornata di lotte combattuta ieri per scuotere questo torpore universale è appena bastata a increspare la superficie dell’opinione pubblica e l’atteggiamento del governo, ma ancora molto c’è da fare prima che questo enorme ordigno trovi la via del riscatto o esploda fragorosamente.
Gli studenti che intendono sostenere il mio esame, all’inizio di ogni lezione debbono firmare il foglio di presenza. All’ultima lezione i presenti erano sessanta e le firme erano centosettanta. La tentazione della truffa si è ormai insinuata nell’intenzione di apprendimento.
Ogni anno, all’inizio del mio corso, scrivo a tutti i genitori dei miei studenti per invitarli a condividere l’esperienza dei loro figli e tenersi in contatto con l’università. Un tempo quasi tutti i genitori mi rispondevano con gratitudine. Quest’anno mi sono arrivate solo otto risposte.
Come si vede, neppure le famiglie degli studenti sono ormai interessate alla sorte dell’università. Pagano tasse tra le più modeste del mondo, ignorano persino l’indirizzo degli atenei dove i figli bivaccano, stentano a comprendere le conseguenze della riforma Zecchino-Berlinguer-Moratti che complica un sistema già complicatissimo.
Pochi studenti, pochi docenti, poche strutture, pochissimi soldi. I sintomi, dunque, sono gravi. Ma nessun Paese può trascurare la formazione dei propri giovani. Tanto più se fa parte del G8 e pretende di restarvi.
 
 
5 – Corriere della Sera
Il direttore di «Liberazione» spiega la svolta. Crespi: «Ecco la prova, siete conservatori»
Contrordine a sinistra, torna la terza pagina

SANSONETTI
Il primo a segnalare la novità, che poi è un deciso ritorno al passato, è stato ieri Il Giornale. L’articolo dedicato ieri a Liberazione , organo di Rifondazione comunista, e alla nuova veste grafica voluta dal neodirettore Piero Sansonetti (esordio fissato per martedì 22 febbraio), sottolineava con stupore il ritorno alla terza pagina culturale. Non un modo di dire, ma proprio quella inventata nel 1901 da Alberto Bergamini per Il Giornale d’Italia e che venne poi adottata da tutti i quotidiani italiani fino alla metà degli anni Ottanta quando cambiò collocazione e anche anima. Ora Liberazione tenta la strada del passato, quasi un paradosso per un quotidiano comunista. Angelo Crespi, docente di S toria del giornalismo italiano all’Università Cattolica, direttore de Il domenicale , è autore del libretto eloquentemente intitolato Contro la terza pagina , quella attuale, secondo lui troppo contaminata dalla cronaca più minuta e dall’audiovisivo (ecco cosa si legge: «Sotto mentite spoglie la sedicente cultura batte ancora i marciapiedi del giornalismo. Anzi, s'allarga, si fa seducente, s'imbelletta sempre pronta a fare proseliti, a mischiarsi ai nuovi generi, alla televisione, ai miti dell'effimero»). Dice però Crespi: «La sinistra, in questo momento, è in effetti la forza politica veramente conservatrice nel senso più deteriore del termine. Ma devo riconoscere che la proposta di Liberazione mi pare coraggiosa e per niente banale. Significa il ritorno a qualcosa di più serio delle attuali pagine culturali. Una scelta tradizionale che va verso una controtendenza sempre più avvertibile e chiara. L’ infotainment sui quotidiani è stato una degenerazione degli anni Ottanta, ora è un fenomeno sostanzialmente sorpassato». Che cosa dovrebbe essere, oggi, una terza pagina? «Certo non il semplice luogo di segnalazione, con piccole schede, dei libri usciti: a quello provvedono le riviste e persino Internet o la tv. Né una lista di cronache culturali. Piuttosto, uno spazio di analisi critica».
E cosa ne dice l’interessato, cioè Piero Sansonetti, impegnato negli ultimi ritocchi al nuovo Liberazione (formato classico «grande», niente foto a colori, grande spazio ai commenti)? Dice il direttore: «Non penso che la terza pagina fosse un prodotto del giornalismo conservatore. Io sono cresciuto a l’Unità e ricordo una straordinaria terza pagina affollata dalle migliori intelligenze del dopoguerra, da Italo Calvino a Renato Guttuso, solo per citare i due primissimi nomi che mi affiorano nella memoria. Noi vogliamo esplicitamente invertire l’operazione di accorpamento della cultura allo spettacolo che cominciò negli anni Ottanta».
Per farne cosa, Sansonetti? «Un luogo di discussione, di creazione di idee, di proposta di nuove generazioni di intellettuali... Non è possibile che si continui a guardare a quelle legate sempre al ’68». Sansonetti aggiunge una battuta: «Ricordo che la fine della terza pagina a l’Unità fu voluta da Ferdinando Adornato, allora intellettuale comunista che stimavo molto. Chissà, c’era forse già qualcosa di berlusconiano, nel suo inconscio: questo collegare la cultura allo show...»
 
 
6 – Corriere della Sera
Milano deve riconquistare il suo primato culturale Si è ...
Milano deve riconquistare il suo primato culturale Si è chiusa in questi giorni a Palazzo Reale - con una media di visitatori nelle ultime settimane di mille al giorno per un totale di quasi 80.000 presenze - la mostra archeologica, Miti greci, archeologia e pittura dalla Magna Grecia al collezionismo . È da tempo che non si vedeva a Milano un evento culturale, pensato e realizzato interamente nella nostra città, che attirasse un così gran numero di gente. Si tratta di un fatto positivo che deve essere preso in considerazione nel dibattito sulla riconquista di un primato anche culturale di Milano, dibattito che il Corriere della Sera ha ospitato ed ospita con una pluralità di voci. Primato che va ricercato certo nei campi dell’urbanistica, dell’innovazione tecnologica, del progresso scientifico, della solidarietà, della qualità della vita, ma anche in quello della cultura.
Credo, dunque, che vada segnalato, questa volta, non qualcosa che non funziona, ma qualcosa che in realtà ha funzionato. Il progetto di una mostra di grande validità scientifica e divulgativa è riuscito ad incanalare forze cittadine diverse in un virtuoso sforzo comune. Hanno collaborato enti di ricerca come l’Università Statale, enti pubblici (Comune e Regione), enti privati (Banca Intesa, Mondadori, Electa). Ai promotori si sono affiancate altre istituzioni milanesi. L’afflusso di visitatori e di scuole è stato tale che si sono dovute prevedere visite guidate ogni cinque minuti. L’idea da cui la mostra è partita, la memoria dell’antichità classica nel mondo di oggi, è stata ampiamente recepita. Quel mondo di passioni e di tensioni etiche che sono le storie del mito greco è apparso a tutti ancora parte della nostra identità. È tempo, dunque, di riflettere proprio su quanto iniziative che offrano un contenuto culturale profondamente sentito e condiviso possano contribuire alla autorevolezza della presenza di Milano nel circuito della cultura europea e globale. È una presenza che oggi tutti giustamente reclamano.
Gemma Sena Chiesa
Dipartimento di Scienze delle Antichità
Università degli Studi Milano
 
7 – La Sicilia
Riforma Moratti, non modifiche
i Ds s'impegnano a cancellarla

“I Democratici di sinistra si impegnano ad inserire nell'agenda del nuovo governo la cancellazione della Legge 53”. Una parola certa e unanime sulla scuola è finalmente venuta da parte del più grande partito della coalizione di centro sinistra ed era attesa, oggettivamente, in questo senso o in quell'altro ventilato dalla Margherita: di apportare solo qualche modifica alla riforma Moratti, anche perché, diceva Rutelli, non può ogni nuovo Governo di opposta tendenza modificare le leggi del precedente. Ed era attesa una scelta precisa anche sulla base delle 4 diverse mozioni presentate in fase precongressuale, all'interno delle quali avevamo notato una difformità di impostazioni fra la prima, di Fassino, che parlava solo di un vago incremento finanziario per la scuola e l'università, e la seconda, di Berlinguer-Mussi, che andava dritta alla abrogazione di tutta l'impalcatura morattiana della istruzione.
A leggere ora l'ordine del giorno approvato all'unanimità dal III congresso Ds, salta evidente una presa di posizione inequivocabile, che è stata anche di Enrico Panini, il segretario della Cgil-scuola: quella di chiudere, in caso di vittoria del centro sinistra, con questa riforma così cara alla Casa delle libertà. Ma salta pure agli occhi la volontà dei Ds di imprimere una svolta definitiva all'attendismo tentennante della coalizione ulivista; e i toni usati non lasciano dubbi: “La legge Moratti”, dice la mozione, “nega l'uguaglianza del diritto di tutti all'istruzione, destruttura e impoverisce il sistema pubblico, per cui serve più scuola pubblica, laica e di qualità (mozione 2)”.
Ma altri quattro obiettivi fondamentali, fra i tanti, vorremmo sottolineare: l'obbligo scolastico (non quindi diritto-dovere) fino al secondo anno delle superiori e il diritto fino a 18 anni alla cultura; il riconoscimento del titolo di studio (diploma e laurea) a livello europeo; investimenti per la valorizzazione sociale e culturale dei docenti; più ampia partecipazione democratica di tutti i soggetti nella scuola della autonomia. In fase di contestazione, come sta accadendo in questi giorni in occasione dell'emanazione del decreto di riforma della secondaria, prendere la palla in balzo per chiarire le idee agli elettori sembra una ottima strategia. E l'Ulivo ha forse imparato la lezione se ha permesso la seguente dichiarazione di voto: “Questo ordine del giorno fa giustizia di una rappresentazione spesso caricaturale e manichea del dibattito dei Ds sulla scuola”.
PASQUALE ALMIRANTE
 

Questionnaire and social

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