Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
20 February 2005
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Ufficio stampa

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 26 – Cagliari
Orto botanico. Un sito internet sul grande giardino di viale Fra Ignazio
Viaggio on line tra le piante in 40 tappe
Una passeggiata tra le piante di tutto il mondo comodamente seduti in poltrona. Anche l'Orto botanico di via Sant'Ignazio fa un passo verso la tecnologia. E' on line da poche settimane il primo sito internet del giardino, realizzato dal Ccb (centro conservazione biodiversità) del dipartimento di Scienza botaniche dell'ateneo cagliaritano con il contributo del Miur, Ministero istruzione universitaria e ricerca scientifica. Basta digitare l'indirizzo www.ccb-sardegna.it e cliccare sulla sezione Virtual-Orto e si accede ad un viaggio curioso ed educativo tra le piante racchiuse sul colle di via Sant'Ignazio. «Il sito è diviso per tappe, in tutto quaranta», spiega Gianluigi Bacchetta responsabile scientifico del Ccb. Un click a scelta sulle piante del deserto, mediterranee, carnivore, medicinali, per citarne solo alcune, ed è possibile curiosare tra schede informative, fotografie, spiegazioni scientifiche ma anche conoscere i nomi sardi delle specie vegetali. Più di 300 documenti e diverse centinaia di foto che creano una sorta di soluzione per chi «non può recarsi all'Orto fisicamente», dice Bacchetta. E non mancano i percorsi tra i monumenti storici. Oltre alle piante, infatti, sono presenti le schede e le foto dell'Anfiteatro romano, delle numerose cisterne che creano grotte e passaggi tra le rocce ma anche le cave, i pozzi e le fontane. Perché «la valle Palabanda, così veniva chiamata la zona dove sorge l'Orto, comprende un patrimonio culturale che non può passare in secondo piano», dice Bacchetta. Per questo, in futuro «sarà inserita una scheda che comprende anche la Villa di Tigellio che anche se non è compresa nel terreno del giardino non può essere dimenticata». Un viaggio educativo che «offre la possibilità a tutti, cagliaritani e non, di visitare virtualmente luoghi che si possono vedere soltanto ad orari prestabiliti e con gli accompagnatori», conclude Bacchetta. Ma per usufruire al meglio di Virtual-Orto bisognerà attendere ancora un po'. «Il sito è in continua evoluzione visto che è attivo da poco tempo», dice Cristiano Pontecorvo creatore del sito insieme con Lina Podda e Roberto Pisu. «A breve riusciremo a mettere on line tutto il materiale informativo». Esclusiva del sito una veduta panoramica notturna del giardino che mostra immagini che difficilmente possono essere catturate da tutti. E ci si può imbattere nel settore "Hot". Niente di diseducativo o vietato ai minori, soltanto una sezione piccante per raccontare le specie di peperoncini presenti nell'Orto. La sezione news inoltre informa di tutte le novità organizzate dal Ccb all'interno del giardino mentre le iniziative annuali sono raccolte in appositi collegamenti che raccontano i progetti già realizzati come il presepe e le mostre a tema. Ma non è ancora tutto. «Stiamo preparando le parti video, veri e propri percorsi filmati per entrare nella tappa e visitarla come se fosse una passeggiata reale».
Serena Sequi
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 28 - Sassari
 Scarsa attenzione sulla risorsa Università
Improvvisamente ci si accorge che con la istituzione delle nuove province, quella di Sassari risulta ridimensionata sia in territorio che in popolazione. La nuova Provincia di Sassari ha tra le altre cose perso un porto e un aeroporto, perde anche il territorio turistico della Costa Smeralda. Di fatto è una provincia più “snella”, ma anche più povera di prima. Una risorsa particolare, peculiare della provincia di Sassari, è rappresentata dall’Università. L’Università è una risorsa che deve essere meglio coinvolta nel processo di sviluppo economico e sociale della provincia, poichè rappresenta il motore del cambiamento del nostro sistema Paese, il centro per la formazione dei quadri del prossimo futuro. Si deve stabilire una patto di fiducia e di responsabilità fra Università e cittadini, non solo di Sassari e provincia. Il progetto deve coinvolgere le province di Olbia, Nuoro e Oristano, che rappresentano il bacino di utenza dell’Università, con il concorso di privati, delle imprese, degli enti locali, realmente interessati alla promozione della ricerca e alla formazione. Si è sempre parlato di Sassari Città Universitaria, con le sue 11 facoltà e con le migliaia di studenti che la frequentano. Ma la Città non ha sempre mostrato l’interesse dovuto nei confronti della “sua” Università. In questi giorni si sta svolgendo la manifestazione “studiare a Sassari: orientamento e formazione”, organizzata dal Centro Orientamento dell’Ateneo. La Città si mostra indifferente, non si pone il problema dell’accoglienza dei tanti giovani. E’ necessario fare di più, ma affinché Sassari diventi Città Universitaria non basta l’Università, occorre anche una Città.
Prof. E. Tolu Ordinario di Fisiologia Umana Università di Sassari

  E’ vero, manca la città. Sonnacchiosa e spesso assente si fa scivolare addosso tutto. Dalla assurda frammentazione del territorio, al turismo mancato, all’Università che perde valore e appeal. Ma di colpe ne ha molte anche l’Università. Prima fra tutte la moda, ormai in vigore da anni, di mettere in cattedra solo professori con passaporto sardo. Spesso di scarso valore e con scarsa produzione scientifica. E questo è un male. Perché chi viene da fuori porta esperienze diverse, modelli organizzativi diversi, può essere un valore aggiunto. Ed è proprio il valore aggiunto che latita nel nostro ateneo. Le eccellenze, che pure ci sono, non vengono mai valorizzate. Perché il circuito, un tempo virtuoso, si è chiuso. Ognuno si è costruito il piccolo orticello e vivacchia. In molti casi sonnecchia a immagine e somiglianza della città che lo ospita. Bisogna smettere di pensare ai cosiddetti «continentali» come a delle persone che vengono qui solo per togliere. A volte aggiungono. Ma questo aspetto viene spesso e volentieri ignorato.
Livio Liuzzi
 
 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Nuoro
 Allarme rosso per Veterinaria
 La facoltà adesso rischia di restare fuori dall’Europa
 UNIVERSITÀ Le preoccupazioni del preside
  NUORO. Tra cinque anni, se non saranno adeguate le strutture didattiche, le lauree della facoltà di Veterinaria potrebbero non essere riconosciute a livello europeo. Troppe le carenze, in un declino che, dagli anni ’80, è stato progressivo. Una realtà che era un fiore all’occhiello dell’ateneo sassarese si è lentamente appassita. La facoltà non è riuscita a rimanere al passo dei tempi; non ha saputo cogliere i mutamenti del mercato.
 Didattica e ricerca sono rimaste indietro. Oggi esiste un sistema di accreditamento concepito su criteri di severità, a dimostrazione di una «concorrenza spietata». La facoltà è rimasta fuori. Lo ha riferito ieri, in audizione alla settima commssione regionale, il preside di Veterinaria Sergio Coda (era accompagnato dal suo vice, Salvatore Naitana), che ha illustrato le molte carenze, a cominciare dal corpo docente (46 su un organico ottimale di 80) e del personale tecnico (25 su un organico di oltre 100). Le strutture sono quelle di 30 anni fa, lontane dagli standard che didattica e ricerca pretendono. Ciò nonostante, Veterinaria gode ancora di «enorme considerazione, anche a livello internazionale»; ma è una considerazione che nasce dal sacrificio e che quasi mai viene ripagata. Basti pensare alle strutture: non c’è un ospedale universitario (un progetto vecchio di 10 anni non è stato agevolato dalla burocrazia). C’è un finanziamento dello Stato per 2,25 milioni di euro, del tutto insufficienti e un progetto (recentemente approvato dalla commissione edilizia del Comune di Sassari fa muovere le cose, dopo una lunga inerzia) essenziale per l’attività pratica degli allievi; non c’è neppure l’azienda zootecnica veterinaria (l’anno scorso, grazie a un Pia del Comune di Ozieri la facoltà ha acquistato lo «spazio», 50 ettari, ma ora bisogna riempire quello spazio con l’acquisto di animali e attrezzature); non c’è neppure il mattatoio «sperimentale» interno, fondamentale per la didattica (avanti con la convenzione col frigomacello di Chilivani). Per tutti questi motivi - ha detto il preside Sergio Coda ai commissari - la facoltà ha fatto una scelta drastica «e dolorosa»: ridurre gli accessi (la più costosa: 80mila euro a studenti per il corso di studi), da 80 a 50 (la media delle domande annualmente presentate è di 300). Vero è che non si tratta solo di un problema didattico, ma dall’incertezza della politica del settore; circa il 25 per cento dei laureati è attualmente senza lavoro e ciò può apparire strano per una regione che punta sull’economia zootecnica e agropastorale.
 Tuttavia il problema maggiore da risolvere con rapidità è quello dell’accreditamento, senza il quale si rischia davvero di dover chiudere o limitarsi a lauree di serie B, non riconosciute. Sarebbe un pesante insuccesso, anche per il «peso» che storicamente la facoltà ha avuto nella cultura sarda. Nel secondo dopoguerra era un riferimento eccellente per l’Europa (negli anni’60 era diventata la facoltà degli studenti greci e numerosi erano gli americani che sceglievano Sassari nel loro percorso formativo). Ora quell’Europa, che guardava l’università di Sassari con interesse, ha posto i paletti della qualità, al di fuori dei quali non è possibile alcun discorso.
 Nel frattempo - ha spiegato il professor Naitana - l’offerta formativa è stata allargata e si è cercato di dare risposte coerenti con il territorio: si sono attivati corsi di protezione e gestione della fauna selvatica, di allevamento biologico e ora di allevamento degli equini (in collaborazione con l’istituto di Incremento ippico di Ozieri); sono attive anche le scuole di specializzazione e i dottorati di ricerca; ma le carenze didattiche e strutturali non consentono risultati apprezzabili, ad esempio, nella durata del corso di studi, che se non registra defezioni ed abbandoni (percentuale minima) si allunga oltre gli otto anni (8,1 la media) proprio a causa della mancanza di strumenti pratici. Una fattoria ipertecnologica dotata di ospedale, mattatoio e inceneritore. E il sogno del preside di veterinaria Sergio Coda, secondo cui il rilancio della facoltà è legato al trasferimento della struttura fuori dal centro abitato. Il giorno dopo l’audizione in commissione regionale Sanità il preside è ottimista, anche se non nasconde i problemi che potrebbero travolgere la facoltà. «Ho avuto rassicurazioni dai consiglieri, spero che seguano i fatti. Ora aspetto gli interventi. Potrebbero essere utilizzati i fondi dell’obiettivo uno per terminare le incompiute».
 
 
4 – Corriere della Sera
Esperto di relazioni internazionali
Ornaghi: il polo dell’eccellenza resta Ma l’università vinca la sfida europea
Dibattito sugli atenei
 
Il rettore della Cattolica: cresce il dialogo con le istituzioni, le imprese ci aiutino di più
«Dopo tutti questi cahiers de doléances , viene ancora più voglia di vedere cosa va bene nelle nostre università». Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, non ci sta a condannare il sistema accademico milanese. Anzi, lo salva. Dalle accuse di scarsa qualità e di mancanza di coordinamento. «È ancora un polo di eccellenza». Finanzieri e imprenditori non la pensano così.
«Guardiamo gli aspetti positivi. Anzitutto il fatto che gli atenei, ora, dialogano con molte istituzioni. Regione, Comune, Provincia e altri enti si stanno occupando delle università. E anche bene. Prima c’era una sorta di mutismo».
Qualche esempio?
«La Regione è un importante erogatore di risorse per i bisogni degli atenei. Senza questi finanziamenti molte iniziative non potrebbero esistere».
E gli altri enti?
«La Fondazione Cariplo ha ruolo di grande rilievo per la ricerca. Gli atenei presentano i loro progetti e, in base a questi, vengono distribuite le risorse. Anche la Camera di Commercio contribuisce sostenendo gli studenti che vengono a fare i nostri master. Perché è questo il nocciolo della questione».
Cioè?
«Cioè che solo così le università possono catturare le risorse umane».
Ma i nostri ricercatori vanno all’estero.
«Ma questo è un bene».
Insomma, il bicchiere è mezzo pieno.
«Diciamo che ci sono elementi positivi anche in un quadro fragile, ma che fanno dire che non è vero che le nostre università sono in via di ossificazione. Anzi, rispetto ad alcuni anni fa gli atenei sono più aperti al territorio. Penso alle letture del Manzoni che stiamo facendo in questi giorni».
Allora è ottimista?
«No, ma di fronte a un processo di riforma così forte bisogna essere realisti e avere una certa dose di buonsenso».
In che senso?
«Gli atenei ora sono di massa, non sono più per pochi. Per fortuna. E allora il problema è questo: come compongo la didattica e la ricerca con questi grandi numeri?»
Come?
«In questo momento storico dobbiamo rinunciare al modello accademico ottocentesco, quello della lezione-conferenza. Ma nello stesso tempo è necessario mantenere e migliorare la didattica e far progredire la ricerca. Sapendo che quello che conta è il rilievo internazionale dei nostri atenei».
Una sfida non facile...
«Ed è per questo che ogni ateneo deve precisare le sue aree strategiche più rilevanti».
Gli imprenditori si lamentano dell’incapacità, da parte degli atenei, di formare la nuova classe dirigente.
«Una doglianza che mi fa specie. Il mondo produttivo è parco di erogazioni e generoso di dichiarazioni».
Le sue sono parole dure.
«Ma no. C’è un interesse autentico del mondo produttivo verso le università, ma finora è stato difficile trovare davvero un obiettivo condiviso. La condizione necessaria, invece, è la costanza nel tempo: serve una vera programmazione, ragionando sull’arco del decennio».
È vero che le università rischiano di perdere matricole?
«È assennata la scelta della Bocconi di individuare un numero preciso di studenti che possono iscriversi. Gli atenei non possono continuare in questa corsa al marketing, la qualità non è data dal numero degli studenti».
Da cosa allora?
«L’indicatore vero, nei prossimi anni, sarà la forza delle nostre università in Europa. Il loro nome deve attrarre studenti da tutti i paesi».
Milano è in grado di fare questo salto?
«Rispetto ad alcuni anni fa, a Milano c’è molta più consapevolezza di avere un sistema universitario forte».
Roberto Mazzotta accusa le facoltà milanesi di essere in crisi di qualità. Milano ha perso le sue eccellenze?
«Ancora no. Ma gli atenei non possono più essere conosciuti solo su scala nazionale. O un’università ha la forza di essere davvero internazionale oppure deve moltiplicare le forme federative con altri centri accademici».
Sono preparati gli studenti di oggi?
«Non vanno peggio dei loro predecessori. Ha ragione Mazzotta, invece, quando dice che ora, con questa università di massa, il successo dei ragazzi dipende dalla famiglia di provenienza».
Gli studenti stranieri che frequentano le università milanesi sono ancora pochi.
«Ma qui si parla italiano! Riconosciamolo: noi possiamo essere attrattivi solo nei settori in cui siamo forti. In quei campi, però, dobbiamo essere al top».
Altro problema, le residenze.
«Certo, e va risolto. Mettendoci tutti attorno a un tavolo».
Che futuro vede per il sistema universitario?
«Un’università di massa di primo e secondo livello. E un terzo livello, quello dei dottorati, per pochi. La sfida è che questo post graduate si faccia nei nostri atenei».
Altrimenti?
«Altrimenti avremo perso».
LA DISCUSSIONE Milano e i suoi atenei: Gaspare Barbiellini Amidei ha aperto il dibattito. Hanno risposto i rettori Angelo Provasoli della Bocconi, Giulio Ballio del Politecnico, Giancarlo Lombardi del Collegio di Milano. Intervenuti il finanziere Francesco Micheli, il presidente dei costruttori Claudio De Albertis, il presidente di Bpm, Roberto Mazzotta
IL PROFILO Lorenzo Ornaghi è rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dal novembre 2002. Nello stesso ateneo ha conseguito la laurea in Scienze politiche nel 1972 e dal 1990 è titolare della cattedra di Scienza politica. Dal 1996 è direttore dell’Alta scuola di Economia e relazioni internazionali. Dal 2001 è presidente dell’Agenzia per le Onlus
Servono alloggi, spazi ricreativi e una buona rete di trasporti
I nostri atenei sono in crisi di qualità. Milano perde le sue eccellenze
L’università deve rinnovarsi: servono programmi e risorse
Manca la capacità manageriale di inventare nuove cose
Annachiara Sacchi
 
 
5 – Corriere della Sera
L’Università di Francoforte sospende Reiner Protsch: per trent’anni ha manipolato i dati. «Era perfetto nel dare risposte evasive»
False prove sulle origini dell’uomo Smascherato il super antropologo

Scoprì il legame con Neanderthal. «Ora la storia va riscritta»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BERLINO - Contrordine, forse non discendiamo dall’uomo di Neanderthal. O quantomeno, non esiste più la prova decisiva dell’assunto, il mitico anello mancante che sembrava collegare le origini della nostra specie a quelle dei villosi preistorici. Non datava a 36 mila anni fa, non apparteneva quindi al tedesco più antico del mondo, il cranio trovato in una torbiera non lontano da Amburgo. Più normalmente, giusta l’analisi della datazione al carbonio, eseguita dall’Università di Oxford, aveva «solo» 7.500 anni: un bambino, rispetto all’ipotesi originale e fin qui considerata vera.
Così è caduta la stella del professor Reiner Protsch von Zieten, 66 anni, antropologo emerito e celebrità mondiale della disciplina. Non uno scienziato, ma un magliaro. Un bugiardone disonesto, che per più di tre decenni ha raccontato una montagna di balle, gabbando la comunità degli studiosi e spacciando per buone un’incredibile serie di patacche, che hanno influenzato e portato a conclusioni fallaci le teorie sull’evoluzione umana.
Venerdì scorso, facendo seguito ai primi risultati dell’indagine di un gruppo di esperti, iniziata nell’agosto 2004, l’Università di Francoforte ha sospeso l’accademico da ogni attività. «Siamo giunti alla conclusione - recita il rapporto della commissione d’inchiesta - che il professor Protsch abbia ripetutamente manipolato e falsificato fatti scientifici nel corso degli ultimi trent’anni».
Le conseguenze per la disciplina sono devastanti. «L’antropologia - ha detto ieri l’archeologo Thomas Terberger, l’uomo che per primo, già nel 2001, espresse dubbi sul lavoro di Protsch - dovrà rivedere completamente la sua immagine dell’uomo moderno, nel periodo compreso fra 40 mila e 10 mila anni fa». L’antropologo tedesco aveva in apparenza provato, con i suoi ritrovamenti, che umani moderni ed esseri di Neanderthal avevano vissuto nella stessa era e che, forse, avevano anche generato figli insieme: «Ora è chiaro che si tratta solo di spazzatura», ha spiegato Terberger.
Oltre alla falsa datazione del teschio dell’uomo di Hahnhoefersand, così ribattezzato dal luogo del ritrovamento, la commissione ha smascherato altre truffe di Protsch. Come la «sensazionale» scoperta della donna di Binshof-Speyer, che l’antropologo sosteneva essere vissuta oltre 21 mila anni fa e invece risaliva appena a 1300 anni prima della nascita di cristo. In un altro caso, quello di resti umani ritrovati a Paderborn, Protsch l’aveva sparata ancora più grossa, datando i frammenti ossei a più di 27 mila anni avanti Cristo, quando invece il proprietario era quasi un nostro contemporaneo, relativamente s’intende, essendo morto nel 1750. Gli esperti hanno accertato anche bugie, per così dire minori, come l’aver localizzato il ritrovamento di alcuni fossili in Svizzera, invece che in Francia.
Ma la disonestà di Protsch non sarebbe solo intellettuale. Grande amante di orologi d’oro, automobili Porsche e sigari cubani, il nostro è infatti indagato per frode dalla Procura di Francoforte, che lo sospetta di aver tentato di vendere per 70 mila dollari, a un trafficante americano, l’intera collezione di teschi di scimmie, oltre 270 esemplari, del Dipartimento d’antropologia. «Per l’università è molto imbarazzante, avremmo dovuto scoprire le sue falsificazioni molto tempo prima», ha detto il professor Ulrich Brandt, che ha guidato la commissione scientifica d’inchiesta. Brandt ha invocato come giustificazione la quasi impossibilità, nel sistema tedesco, di licenziare un funzionario pubblico e, soprattutto, la diabolica abilità di Protsch a evitare sempre di essere messo nell’angolo: «Era perfetto nel dare risposte evasive».
La vicenda ha anche un risvolto oscuro, legato alle radici familiari di Protsch, il quale, una fra le tante leggende messe in giro sul proprio conto, ha sempre detto di discendere da un generale degli Ussari. In realtà, come ha rivelato Der Spiegel , è figlio di un ex deputato nazista. Un filone dell’inchiesta interna, ancora in corso, riguarda infatti la distruzione, probabilmente eseguita su ordine di Protsch, di centinaia di documenti dell’archivio del Dipartimento d’antropologia francofortese, relativi agli esperimenti scientifici su cavie umane compiuti dai nazional-socialisti.
Il magliaro al momento non parla. L’ultima sua esternazione conosciuta risale al 14 gennaio scorso, quando avrebbe dichiarato al Frankfurter Neue Presse : «Questo è un Tribunale dell’Inquisizione, contro di me non hanno alcuna prova concreta». C’era da scommetterci.
Paolo Valentino
 
 
Chi è
LA CARRIERA Reiner Protsch,
66 anni, è professore emerito di antropologia all’Università di Francoforte. Fino
a poco tempo fa era considerato uno dei più grandi esperti mondiali della materia
LA RIVELAZIONE
Alcuni mesi fa, grazie alla datazione al carbonio, alcuni scienziati di Oxford provano che la più sensazionale scoperta di Protsch, l’uomo di Hanhoefersand, non è vissuto 36 mila anni fa ma «solo» 7.500 La rivelazione mette in discussione molte conoscenze acquisite negli ultimi anni sull’evoluzione dell’uomo
LE ACCUSE
Ora l’Ateneo tedesco ha sospeso il docente da ogni attività: da un’indagine interna
è emerso che Protsch ha «manipolato
e falsificato fatti scientifici» per 30 anni. La donna di Binshof-Speyer non ha 21 mila anni ma poco più di 3 mila,
i frammenti di Paderborn non appartengono
a un’altra era ma
al XVIII secolo Protsch sarebbe responsabile anche della distruzione
di documenti che provano le atrocità naziste
 
 
6 – Il Tempo
Università, il 2 marzo mobilitazione dei docenti contro la riforma Moratti                          
                                                                                                                                                            
                                                                                                                                                            
 
ROMA — Acque agitate negli atenei italiani. Il contestatissimo testo di legge delega sullo stato giuridico dei docenti, da mesi bersagliato dalle critiche delle varie componenti universitarie, approderà in Aula alla Camera domani e la macchina della protesta si è rimessa in moto. Da settimane si susseguono mozioni e prese di posizione di collegi dei presidi, senati accademici, consigli di facoltà, assemblee di docenti e studenti che bocciano il provvedimento messo a punto dal ministro Moratti. I documenti approvati si sono espressi «contro la messa a esaurimento del ruolo dei ricercatori e per il riconoscimento a essi del ruolo di professore svolto; per il mantenimento della differenza tra tempo pieno e tempo definito; per una riforma dei concorsi che preveda la netta distinzione tra reclutamento e avanzamento di carriera». Il provvedimento targato Moratti - accusano - «mortifica l'università pubblica, rinnega l'autonomia universitaria, precarizza la docenza e disconosce il ruolo dei ricercatori». Un ampio ventaglio di organizzazioni della docenza ha tradotto questo diffuso dissenso in un pacchetto di iniziative di lotta che culminerà il 2 marzo in uno sciopero dei docenti e in una manifestazione nazionale a Roma. Prima di quella data sono in calendario l'occupazione simbolica dei rettorati domani e un sit-in alla Camera il giorno successivo.     
 
 
7 – Il Tempo
La Carta europea dei ricercatori per sfidare Usa e Giappone                                                

Nuove regole per status e avanzamento di carriera: «Da noi serve anche un adeguamento retributivo»                                                                                                                                                            
Sarà presentata domani in un convegno al CNR: nei paesi Ue frontiere aperte agli scienzati in nome della competitività                                                                                                                                      
 
di NATALIA POGGI C’È un termometro infallibile per misurare la crescita e lo sviluppo futuro di una nazione ed è collegato all’entità delle risorse umane (e finanziarie) che impiega nel settore della ricerca scientifica. Nell’era del mondo «globalizzato» la ricerca e lo sviluppo tecnologico progrediscono a ritmo accelerato. Ma siccome i paesi europei sono in pesante ritardo rispetto ai principali concorrenti (le spese dell’UE sono scese all’1,8% del PIL contro il quasi 3% di Usa e Giappone) l’Europa ha il dovere di riagguantarli entro il 2010 (come prevede la sfida di Lisbona 2000). Questo sarà il tema di un convegno «Verso la carta europea del ricercatore: l’ora dei fatti per i ricercatori degli enti di ricerca italiani» organizzato dall’ANPRI che si svolgerà domani pomeriggio al CNR di Roma. «L’esigenza di uno spazio europeo per i ricercatori si è cominciata a concretizzare durante il semestre di presidenza italiana nel 2003 - spiega Bruno Betrò, dirigente di ricerca del CNR e segretario generale dell’ANPRI - E già all’epoca si sono evidenziate alcune discrepanze. Prima di tutto la disomogeneità legata alla carriera che impedisce, di fatto, la circolazione dei ricercatori nei paesi europei. Da qui, dunque, la necessità di creare una Carta europea del Ricercatore che imponga agli Stati membri di uniformarsi a certi parametri. Sul tappeto la questione imprescindibile dello status e della qualità del ricercatore». Nel settore c’è un’esigenza di regolamentazione. Ma quali sono i problemi italiani? «La situazione è particolarmente drammatica negli enti di ricerca - continua Betrò - Lo status del ricercatore non è regolato da contrattazioni sindacali mentre le assunzioni sono gestite in una situazione di "fai da te" assoluto. Ogni ente si fa, cioè, le proprie regole. Troppo lungo il periodo iniziale di lavoro. I contratti rinnovabili fino a 10 anni sono privi di senso. Al termine di questi dieci anni quelli che hanno resistito non vengono più cacciati. E allora si assistono a sanatorie di masse di precari sottoforma di concorso». Cosa prevede invece la Carta europea del ricercatore? «Prima di tutto una selezione trasparente aperta a tutti e regole precise per lo status e gli avanzamenti di carriera. In Italia c’è l’esigenza di valorizzare i ricercatori degli enti che vivono una realtà ancora più difficile dei colleghi universitari. Il valore della ricerca non deve essere disperso». C’è pure un problema di sostegni? «Naturalmente, anche su questo versante le direttive europee insistono molto. Io credo che la salvezza della ricerca sia legata ad un sostegno costante, ai finanziamenti a pioggia e non a macchia di leopardo. Oppure propensi per certi settori più fortunati perchè più "vicini" all’opinione pubblica». L’obiettivo della carta europea è una zona senza frontiere per la ricerca nelle quale usare meglio le risorse scientifiche ed aumentare l’occupazione e la competitività in Europa. Con quali strategie? Ad esempio attraverso la creazione di "centri di eccellenza" che prevedono il raggruppamento di istituzioni di ricerca di punta. E poi con la mobilità dei ricercatori che servirà a motivare i giovani alle carriere scientifiche. «Per agevolare la mobilità è necessario pure un adeguamento delle retribuzioni ai parametri europei - conclude Betrò - Non dovrebbero esserci ricercatori di serie A e B. Da noi, ad esempio, un dirigente di ricerca guadagna un 20% in meno del professore ordinario di pari livello scientifico». Al convegno di domani è atteso anche Georges Bingen della Direzione Generale Ricerca della Commissione Europea. Seguirà pure una tavola rotonda con, tra gli altri, il ministro delle Politiche Comunitarie Rocco Buttiglione e il prof. Garaci, presidente del Comitato Enti di Ricerca         
 
 
8 – La Sicilia
«Università aperta al territorio»
Il messaggio del rettore.
Appello alla Regione per la ricerca. Ateneo «sponda» di cultura nel Mediterraneo

Il corteo solenne con i rappresentanti delle facoltà e del Senato accademico percorre l'austero corridoio che conduce all'aula magna dell'ex monastero dei Benedettini, dove le autorità hanno preso posto nelle prime file della sala.
Dopo pochi minuti risuona l'inno di Mameli, intonato dal coro dell'Ersu, seguito da un lungo applauso. E' il momento dell'emozione e anche dell'appartenenza, qualcosa che non s'inventa, ma che scatta solo in certi momenti, solo dopo un anno diviso tra impegno e nuove difficoltà. Qualcosa che scatta inaugurando un anno, il 570° dalla fondazione dell'ateneo catanese, che si presenta ancora una volta carico di adempimenti legati al nuovo progetto di riforma.
Il rettore Ferdinando Latteri, nel suo discorso inaugurale, tocca subito gli aspetti più «spinosi» dell'anno accademico che si apre e di quello trascorso, caratterizzato da una complessa sperimentazione didattica: «Fra tutti due sono gli impegni che si profilano sulla strada della piena attuazione dei principi di autonomia universitaria - ha detto il rettore - la nuova riforma della didattica e la revisione, ormai non rinviabile, dello status giuridico dei docenti, contenuta in un disegno di legge molto discutibile e connessa alla riforma del sistema di programmazione dei concorsi e delle assunzioni per il personale docente, tecnico e amministrativo».
La «riforma della riforma» e le sue ricadute sull'offerta formativa da garantire agli studenti è stata in primo piano nell'intervento del professore Latteri, per il quale occorre razionalizzare l'offerta e garantire formazione qualificata e spendibile in tempi congrui da parte dello studente. Poi la rivoluzione informatica e tecnologica, che anche nella realtà universitaria pone sfide alle quali è impossibile rinunciare, prima di arrivare ad un altro nodo cruciale, quello della ricerca: «E' stato fatto pochissimo per sostenerla - ha rilevato il rettore Ferdinando Latteri - con un rischio elevatissimo di mortificazione della ricerca di base e dell'autonomia che garantisce la libertà degli studiosi. Le Università hanno il dovere di svolgere ricerca per fornire ai giovani formazione di alto livello». Quindi l'appello alla Regione, «di farsi compartecipe di un grande progetto di formazione e reclutamento di ricercatori nei settori strategici, per valorizzare le migliori intelligenze». Nuove figure «non necessarie», precariato e mancata definizione dello status giuridico dei ricercatori sono le perplessità agitate dalla nuova riforma.
Un disagio economico ed anche organizzativo manifestato dai rappresentanti sindacali e dal personale tecnico amministrativo dell'ateneo disertando la cerimonia e distribuendo volantini all'esterno dell'ex monastero. I sindacati hanno annunciato ulteriori azioni di protesta, martedì in concomitanza con l'incontro sul progetto «Benessere organizzativo» per manifestare il malessere dei lavoratori e venerdì con un'assemblea generale davanti al palazzo centrale dell'Università.
Una Università aperta al dialogo con le istituzioni e con il territorio, laboratorio di soluzioni tecniche e palestra di democrazia, consapevole del suo ruolo nel contesto mediterraneo, quella che il rettore ha «traghettato» nel nuovo anno accademico. «Abbiamo consolidato i rapporti con le istituzioni del territorio e con il sistema produttivo - ha detto il rettore - fino a costituire ormai uno degli assi portanti dello sviluppo culturale ed anche economico della nostra regione».
Un impegno legato a doppio filo al coordinamento con gli altri atenei siciliani, per diffondere un sapere adeguato al nuovo scenario europeo e alla domanda di relazioni, cultura e dialogo che viene da tutte le sponde del Mediterraneo. Risorse e qualità, inoltre, come elementi imprenscindibili «perché non esistono formule assistenzialistiche che distribuiscono finanziamenti senza giustificazione». Non manca un riferimento all'edilizia universitaria, che vive una fase di grande fermento, con opere in corso o in fase di affidamento in tutte le facoltà per aule, studi, laboratori, biblioteche e uffici.
Il lungo discorso inaugurale si conclude per lasciare spazio agli altri interventi, il 570° anno accademico dell'Università di Catania è ufficialmente aperto, e non sarà privo di difficoltà, né di nuovi traguardi.
Cesare La Marca
 
«Corsi universitari decentrati
servono strutture e servizi»

m.c.g.) Per la prima volta è toccato ad uno studente fuori sede il compito di rappresentare gli universitari iscritti a Catania alla cerimonia di apertura dell'Anno Accademico 2004 - 2005 che si è svolta ieri mattina all'Aula Magna dei Benedettini a Catania.
A prendere la parola è stato Giuseppe Licata, 24 anni, studente di Giurisprudenza e consigliere di amministrazione eletto nella lista dell'Ulivo con circa 2500 voti.
Davanti al Magnifico Rettore, ai presidi delle facoltà ai docenti ed agli studenti Giuseppe Licata ha esordito esprimendo le preoccupazioni degli studenti verso il processo di cambiamento che ha investito la didattica nell'Università e le difficoltà dell'Università di Catania a portare a regime la riforma. Critiche alla laurea triennale di cui gli studenti non comprendono valore, qualità, e prospettive nel mercato del lavoro.
Tra gli altri problemi evidenziati l'esiguità dei posti letto in un Ateneo in cui cresce il numero degli studenti ed il problema del caro-affitti per gli studenti fuori sede. «Ho proposto al Magnifico Rettore - dice Licata - un incontro tra Comune- Ersu, Università, associazione dei proprietari, affinché si possa trovare una soluzione. C'è anche da affrontare il problema delle realtà decentrate. Non servono corsi di laurea decentrati senza strutture e servizi e che poi rischiano di sopperire a distanza di anni».
 
 
 

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