Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
06 April 2005
 Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

  
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Regione
 Finanziaria, andamento lento
L’assemblea si dilunga sulle azioni per la cultura
 Le cose da fare per università, spettacoli e ricerca
 CAGLIARI. Il Consiglio procede a piccoli passi, s’impantana spesso, non riesce a imprimere quello scatto che sarebbe necessario e così ha dedicato tutta la giornata di ieri, dal mattino sino alle 22, all’articolo 9 della legge Finanziaria che prevede interventi a favore del settore dell’istruzione, dello spettacolo e dello sport per i quali sono stati presentati una cinquantina di emendamenti.
 Le posizioni tra i due schieramenti continuano a essere distanti: il centrodestra attacca la giunta sugli eccessivi tagli dei contributi alla cultura sarda, mentre il centrosinistra difende l’operato dell’esecutivo regionale nella convinzione che «i tagli» iniziali siano stati recuperati almeno parzialmente.
 All’articolo 9 della legge sono stati presentati una serie di emendamenti aggiuntivi da parte del Centrodestra ma anche alcuni copnsiglieri di maggioranza hanno presentato «proposte» integrative che ieri sono state «date per illustrate».
L’Università. A favore della formazione universitaria sono autorizzati diversi interventi: oltre sette milioni di euro sono destinati, con un emendamento della giunta, alle Università-diffuse «per dare ceretzza alle loro attività e come segnale ai rettori dei due poli universitari perché dedichino più attenzione a queste iniziative». Alcune realtà - ha spiegato ieri il presidente della commissione Bilancio, Eliseo Secci - stentano nella didattica e nella ricerca a tutto danno degli studenti ma dall’opposizione Roberto Capelli dell’Udc, ha ribattuto con un emendamento che tende a riconoscere 3,2 milioni a favore del Consorzio universitario di Nuoro, «cosa ben diversa», ha precisato Capelli, «rispetto all’Università diffusa». Per la maggioranza è una materia che dev’essere disciplinata e non sovvenzionata più o meno «a pioggia». Siccome «fuori dai due poli universitaria c’è vita grama», per Mario Diana di An sarebbe necessario puntare sul «consorzio universitario di Oristano». La richiesta è di un contributo pari a 2.240.000 euro su cui c’è il parere favorevole della giunta. Non è tutto: sempre legata alla questione-universitaria c’è l’intenzione (un emendamento di Licandro, Fi), di portare da 150 a 300 mila euro i contributi per il fitto casa agli studenti universitari che frequentano facoltà non presenti in Sardegna.
Spettacolo.
È uno dei capitoli più dolorosi perché il settore cultura e spettacoli è stato al centro di una grande «potatura». Tra gli interventi proposti per recuperare 200 mila euro per la costituzione dello sportello Film Commission finalizzato alla produzione in Sardegna di opere cinematografiche; ancora la concessione di un contributo di 35 mila euro per la Fondazione Maria Carta; infine 32 mila euro destinati all’associazione Intercultura per la concessione di Borse di studio finalizzate a scambi di istruzione per i giovani sardi di famiglie disagiate delle scuole medie superiori e 18 mila euro per borse destinati a scambi di istruzione per i giovani iscritti nelle università sarde. Ci sono tagli da recuperare per associazioni importanti nella cultura sarda e per La Spisa (Fi), però, c’è anche la necessità di dare un contributo straordinario di 100 mila euro per l’organizzazione dell’Antico sposalizio selargino.
Editoria. Nell’articolo 9 c’è anche un capitolo editoria o meglio alle operazioni di «prestampa». L’argomento è stato sollevato in aula da Maria Grazia Caligaris che ha denunciato come il contributo per prestampa e distribuzione sia stato ridotto per le testate perioodiche sarde. La commissione ha portato da 4 a 2 centesimi che, però, contrariamenta a quanto si può pensare dato il margine di due soli centesimi, genera incertezza per la sopravvivenza di alcuni mezzi d’informazione.
Dibattito generale. Il primo a intervenire nella discussione generale è stato Mario Floris che ha denunciato un episodio di «malamministrazione»: «La giunta non rispetta le leggi del Consiglio», ha detto riferendosi alla mancata concessione di un contributo per l’Università di Cagliari che avrebbe dovuto studiare il riutilizzo dei fancghi rossi. Un incarico che poi fu assegnato alla Provincia di Cagliari: «L’amministrazione regionale avviò il normale iter per dare pratica attuazione a quella nroma ma l’assessore Pilia ha modificato la decisione ignorando quanto previsto dalla Finanziaria del 2003».
 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 42 - Cultura e Spettacoli
 Continua il ciclo d’iniziative «Biblon»
Editori e librai dell’isola si confrontano a Sassari
Si terrà questo pomeriggio, con inizio alle ore 18, a Sassari, nell’aula magna delle facoltà di lingue e lettere, il settimo appuntamento del «Biblion», il seminario interdisciplinare di storia della produzione scritta. Il tema della conferenza sarà particolarmente significativo e di attualità: «L’isola dei libri? Editori e librai nella Sardegna di oggi».
 Nelle intenzioni degli organizzatori si vuole portare sul tappeto lo «stato di salute del mondo del libro in Sardegna, notando specificità e analogie con la situazione italiana ed europea». Sia pure dal punto di vista della circolazione libraria, l’incontro è anche un modo per parlare della cultura sarda e della cultura in Sardegna.
 Interverranno come relatori Mario Argiolas (presidente dell’Associazione editori sardi) e Aldo Addis (presidente dell’Associazione librai sardi indipendenti). Coordinerà il dibattito il professor Edoardo Barbieri.
 L’incontro si inserisce in una serie di appuntamenti voluti dai docenti di Linguistica italiana e di Bibliografia dell’università di Sassari«Luoghi di confronto e discussione - spiegano i promotori del ciclo di manifestazioni - circa lo sfaccettato universo della comunicazione scritta».
 L’iniziativa è promossa dalla facoltà di lettere e filosofia, dal dipartimento di teorie e ricerche dei sistemi culturali dell’università degli studi di Sassari e dall’Ersu.
 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 17 - Fatto del giorno
 L’isola ha avuto due uomini che hanno retto la cattedra di Pietro nei primi tempi del Cristianesimo
Papi di Sardegna e papi in Sardegna
 Da Ilaro e Simmaco nel V secolo alle visite di Paolo VI e di Giovanni Paolo II
«Se mi sbaglio mi corrigerete!». Tutti ricordano la frase che Giovanni Paolo II pronunciò ai credenti assembrati in Piazza San Pietro la prima volta che si presentò al mondo come pontefice e che conquistò immediatamente gli italiani, che attoniti guardavano un polacco fatto papa. Uno stupore ed una emozione diversi ma altrettanto forti rispetto a quelli che contemporaneamente si provavano in Polonia.
 Per comprendere tale emozione si provi ad immaginare cosa sarebbe accaduto in Sardegna se 26 anni fa dal conclave fosse emerso un pontefice sardo.
 Tuttavia, nonostante l’eccezionalità di un evento simile, contrariamente a quanto accaduto per la Polonia con Karol Wojtyla, la Sardegna ha già avuto due uomini che hanno retto la cattedra di Pietro, sebbene nei primi tempi del cammino bimillenario del Cristianesimo.
 Se già nell’ultimo decennio del II secolo vi erano certamente già cristiani sull’Isola, è del V secolo la notizia di Sardi nel clero romano in modo non sporadico, tanto che il sardo Ilaro venne eletto vescovo di Roma, già allora la Chiesa più prestigiosa della Cristianità, nel 461, morendo nel 468. Trent’anni dopo, un altro Sardo, Simmaco, assurse a questo onore. Durante i sedici anni del suo pontificato (tra il 498 e il 514) dovette anche affrontare uno scisma appoggiato per qualche tempo da Teodorico, re degli Ostrogoti e padrone d’Italia. Egli si impegnò anche a sostentare, con invio di denaro e abiti, i vescovi africani che erano stati esiliati proprio in Sardegna dai re Vandali, di eresia ariana.
 I rapporti tra la Chiesa romana e la Sardegna continuarono a essere intensi almeno sino agli inizi del VII secolo, quando Gregorio Magno (590-604) intrattenne una densa corrispondenza con il vescovo di Cagliari Gianuario e anche con quello di Torres Mariniano, affrontando, tra le altre cose, il problema della conversione dei Barbaricini, al cui dux, il famoso Hospiton, il papa scrisse direttamente per congratularsi della sua conversione al Cristianesimo.
 I secoli successivi, sino alla seconda metà dell’XI, sono particolarmente difficili da ricostruire a causa delle poche fonti. La Sardegna era stata sottratta ai Vandali nel 534 dall’esercito di Giustiniano e la “sua” Chiesa era stata certamente bizantinizzata, salvo che non siamo in grado di dire con precisione quanto e in che modo.
 È un falso il racconto secondo il quale sarebbe stato Benedetto VIII a volere la spedizione guidata da Pisani e Genovesi, che liberò definitivamente la Sardegna dal pericolo arabo rappresentato dal signore di Denia Mugahid nel 1015-1016; tuttavia l’XI secolo segna la ripresa di rapporti continuativi dell’Isola, divisa nei quattro regni giudicalil, con la Sede apostolica. Già con Alessandro II, negli anni Sessanta, si dovette procedere al riordino dei distretti diocesani, con l’erezione ad archidiocesi di Torres e Arborea e la suddivisione in diociotto diocesi.
 Se durante il suo pontificato Gregorio VII riuscì ad imporre alla Chiesa sarda la riforma che la Sede apostolica perseguiva nel resto dell’Europa cristiano-latina, le relazioni tra Papato e Isola fecero un salto di qualità di tipo istituzionale quando, nel 1166-67, Alessandro III, in reazione alla concessione a Barisone I d’Arborea del titolo di rex Sardinie da parte di Federico I Barbarossa, affermò per la prima volta che la Sardegna era proprietà della Sede apostolica. Da allora le pretese dei papi relativamente alla proprietà dell’Isola divennero sempre più continue e pressanti e si concretizzarono già durante il pontificato di Innocenzo III (1198-1216) con il giuramento di fedeltà feudo-vassallatica che i giudici prestarono a favore della Santa Sede e che riconfermarono durante i pontificati dei successori di Innocenzo III: Onorio III e Gregorio IX.
 Fu su queste basi giuridiche che nell’aprile del 1297, per tentare di risolvere la intricata questione della guerra del Vespro che si trascinava da ormai quindici anni (e che Carlo II d’Angiò avrebbe voluto risolvere con l’aiuto di un papa quasi imposto da lui, il debole Celestino V), Bonifacio VIII decise di concedere a Giacomo II d’Aragona, in cambio della restituzione della Sicilia al Papato, la Sardegna e la Corsica unite in un unico regno.
 La questione della proprietà della Sardegna da parte della Santa Sede ritornò prepotentemente alla ribalta quando nel 1720, alla fine della guerra di Successione spagnola, con la pace dell’Aja, il regno di Sardegna venne assegnato a Vittorio Amedeo II di Savoia, che voleva anche esercitare il diritto di patronato sulla Chiesa sarda che i sovrani iberici avevano ottenuto grazie a Clemente VII prima e Sisto V e Gregorio XV successivamente. Il pontefice Clemente XI, che si era già scontrato con Vittorio Amedeo a proposito del regno di Sicilia nel 1714, riteneva fossero conculcati i diritti di sovranità del Papato sulla Sardegna, proprio sulla base dell’infeudazione di Bonifacio VIII del 1297. La soluzione del problema si trovò solo nel 1726, con uno “spediente”: il sovrano sabaudo infatti discendeva per via femminile da Carlo V come ne discendeva Filippo V di Spagna, pertanto era compreso nella linea di successione dei regni d’Aragona e di Sardegna e non era quindi necessario procedere ad una nuova investitura; ma per esercitare il diritto di patronato bisognava ottenere la riconferma dell’indulto che conteneva la clausola della proprietà della Santa Sede sull’Isola. Tuttavia il sovrano sabaudo non era costretto ad accettare quella clausola, perciò il re poteva accettare l’indulto protestando però per la clausola. Fu quanto si verificò il 25 ottobre 1726.
 L’uscita anche formale della Sardegna dalla proprietà della Santa Sede non implicò la fine dei rapporti con il Papato, segnati da caratteristiche profondamente differenti data la trasformazione del ruolo del pontefice da sovrano temporale, così come si era delineato a partire dall’VIII secolo sino all’invasione di Roma da parte dei bersaglieri il 20 settembre 1870, in pura guida spirituale.
 Una guida spirituale che alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, in un contesto di profondi rivolgimenti sociali, fu interpretata come oppressiva e illiberale da parte dei movimenti di contestazione, nonostante le forti aperture che la Chiesa andava impostando, seppur molto, forse troppo lentamente anche in Sardegna sull’onda dei decreti del Concilio Vaticano II, fortemente voluto da Giovanni XXIII. Fu così che la preannunciata visita di Paolo VI a Cagliari e soprattutto nel quartiere S. Elia, nell’aprile del 1970, in modo totalmente pretestuoso fu vissuta da un gruppo anarchico come una provocazione, visto che in quel periodo ci si opponeva ferocemente al progetto di demolizione del quartiere per trasformarlo in zona residenziale.
 La stupida sassaiola che venne scatenata al passaggio del corteo papale causò una violentissima polemica tra il Vaticano e la stampa.
 Ben diverso fu invece il clima nel quale si svolse il viaggio di Giovanni Paolo II tra il 18 e il 20 ottobre del 1985. Il pontefice fu accolto il 19 anche a Sassari da folle festanti allo Stadio Acquedotto, dopo che la mattina aveva avuto modo di parlare all’Università, evento ricordato da un’epigrafe posta sulle scale che conducono all’Aula Magna. Non fu certo colpa sua se parlando in quell’occasione dei rapporti tra la Sardegna e la Sede apostolica scambiò i Longobardi con i Vandali, affermando che Gregorio Magno aveva organizzato la difesa dell’Isola contro questi ultimi e non contro i primi, come sarebbe stato corretto. Svista che venne riportata pari pari il giorno dopo su L’Osservatore Romano.
 Ma l’importnaza del ruolo della Chiesa sarda durante il pontificato di Wojtyla è segnata, più che da questo viaggio e dai santi sardi da lui proclamati, dall’elezione dopo oltre 160 anni di un cardinale sardo, nella persona di Mario Francesco Pompedda.
 

 
4 – Corriere della sera
Indagine della Procura: denunciato un caso di nepotismo alla facoltà di Medicina
Statale, concorso universitario sotto inchiesta
Finisce in Procura la contesa tra due neurologi in gara per il posto di professore a contratto di infermieristica (laurea triennale) alla Facoltà di Medicina dell’Università Statale. L’intera commissione esaminatrice del concorso per titoli (sette persone) è indagata dal pm Tiziana Siciliano per abuso d’ufficio dopo che il candidato perdente ha denunciato di essere stato nuovamente «sorpassato» (come l’anno precedente) da un altro candidato che ha una sola specializzazione invece delle sue tre, che è privo di precedente esperienza d’insegnamento (contro i suoi 10 anni), ma che in compenso è nipote di un primario di Niguarda e figlio del presidente di un’associazione di chirurghi d’urgenza. I commissari universitari, interrogati, hanno tutti ribadito la correttezza del concorso, nel quale hanno spiegato di aver preferito il candidato con meno pubblicazioni scientifiche perché ne avrebbero privilegiato il cosiddetto «coefficiente di impatto», cioè la rilevanza attribuita ai suoi articoli su riviste internazionali. L’interessato, difeso dall’avvocato Mario Brusa, aggiunge poi di aver vinto il primo round davanti al Tar in sede di sospensiva, e rimarca che già una prima segnalazione del suo rivale (attivista del partito dell’ex pm Di Pietro), istruita dal pm Fabio Napoleone, era stata archiviata.
L. Fer.
 
 

 
5 – Il Tempo
Affidata a Tor Vergata la salma                                                                                                       
SONO stati gli esperti del servizio di medicina legale del Policlinico di Tor Vergata a preparare la salma di Giovanni Paolo II per la conservazione. Secondo quanto si è appreso il gruppo era composto da sette medici e da un tecnico (presidente dell'istituto italiano di tanatoprassi) coordinati dal professor Giovanni Arcudi. Il trattamento degli esperti di Tor Vergata (e non della famiglia Signoracci annunciato in un primo momento) è durato da domenica sera e per tutta la notte e ha avuto l'obiettivo di conservare la salma per l'esposizione. In occasione della preparazione della salma di Karol Wojtyla è stata inoltre rotta una curiosa tradizione. Prima di Giovanni Paolo II, infatti, era sempre stato l’Istituto di medicina legale dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza ad occuparsi della preparazione della salma dei Pontefici. Per la precisione, la cura del corpo del Pontefice attraverso il trattamento di conservazione in vista dell’esposizione al pubblico dal 1870 è sempre stata affidata alla famiglia Signoracci e ai suoi eredi, tecnici di anatomia patologica dell'Istituto di medicina legale dell'Università La Sapienza.                                      
 
 

Questionnaire and social

Share on:
Impostazioni cookie