Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
05 May 2005
Ufficio Stampa
Università di Cagliari
 
1 – L’UNIONE SARDA
Cagliari e Provincia Pagina 16
Gli studenti contestano le lauree a numero chiuso
Università. Via libera del Senato accademico al Piano
Direzioni, parte il totonomine
Il senato accademico dà il via libera al piano di offerta formativa per il prossimo anno, ma senza l'appoggio dei rappresentanti degli studenti. Sotto accusa l'introduzione incontrollata di numerosi corsi a numero chiuso, in quasi tutte le facoltà dell'ateneo. Intanto è a un passo dalla conclusione l'assegnazione delle quindici direzioni delle aree amministrative, e ovviamente circolano le prime indiscrezioni.
PROTESTE
Un'offerta formativa che non piace agli studenti. Per questo è arrivato il voto contrario, nell'ultima seduta del senato accademico, di Fabiola Nucifora e Silvia Corda, rappresentanti degli studenti. Le novità maggiori riguardano l'introduzione del numero chiuso in troppi corsi di laurea, sia triennale che specialistica. In Economia, il corso di gestione dei servizi turistici prevede un accesso di 45 studenti, mentre in Farmacia 150 posti per Scienze e tecnologie erboristiche e altri 150 per Tossicologia dell'ambiente. Numero chiuso anche per le specialistiche (Farmacia e Ctf). Giurisprudenza prosegue con l'accesso libero, mentre in Ingegneria, con un'offerta varia, pone dei limiti per Edile (150 posti), Biomedica (70) e Conservazione beni culturali (60), così come per la specialistica in Architettura (150). Lettere e Filosofia mette dei paletti per Beni culturali (200 posti) e Operatore culturale per il turismo (altri 200). Tutto chiuso in Lingue e letterature straniere, sia le triennali (Mediazione linguistica, Lingue e culture europee ed extra europee, Lingua e comunicazione) che le biennali di specializzazione (Linguaggi e giornalismo, Lingue e letterature moderne, Traduzione letteraria). Medicina chiude le porte: 30 posti per Infermieristica, 9 per Ostetricia, 10 per Fisioterapia, 5 per Ortottica, 15 per Igiene dentale, 20 per Tecnica di radiologia, 15 per Tecniche di laboratorio biomedico. Stessa sorte per le specialistiche, Medicina e chirurgia e Odontoiatria. Numero chiuso, ma con molti posti, per i corsi di Scienze della formazione, così come per Scienze. In Scienze Politiche solo gli studi Sociali sono limitati (150 posti), mentre le tre interfacoltà sono tutte a numero chiuso.
DIREZIONI
Relazioni e attività internazionali, e Opere pubbliche: sarebbero queste le aree che dovrebbero andare ai due vincitori di concorso che arrivano da fuori Sardegna. Per il resto tanti spostamenti nel quadro che il rettore ufficializzerà nei prossimi giorni. Secondo voci di corridoio, questo il nuovo quadro degli uffici amministrativi: relazioni con il territorio Franco Meloni (da risorse umane), orientamento Fabrizia Biggio (confermata), comunicazione e multimedialità (Cecilia Atzei, da biblioteche), attività amministrative decentrate Gaetano Melis (nuovo, in arrivo dalla prefettura), didattica e post lauream Pina Locci (nuova, dalla direzione scolastica regionale), ricerca scientifica e progetti finalizzati Angela Carrus (confermata), servizi bibliotecari e aule informatiche Silvana Congiu (da relazioni con il territorio), finanziaria Marilena Bernardi (confermata), gestione amministrativa del personale Enrico Tuveri (confermato), gestione e sviluppo delle risorse umane Donatella Tore (nuova, arriva dall'Università), affari generali e servizi elettorali Sebastiano Caria (da comunicazione), reti e servizi informatici Paolo Bullitta (confermato). Dalla precedente struttura sono rimasti fuori Guido Pappalardo, Maria Rosaria Mancosu e Antonio Pillai.
Matteo Vercelli
 
2 – L’UNIONE SARDA
Cronaca Regionale Pagina 5
Università
Commissione per il confronto tra atenei
Dare stabilità al tavolo di confronto, già avviato, tra assessorato della Pubblica Istruzione, Università di Cagliari e Sassari e sedi universitarie decentrate. Con questo obiettivo verrà istituita a breve la Commissione per il sistema universitario integrato della Sardegna. Il nuovo organismo dovrà garantire un confronto continuativo tra Regione, aenei di Cagliari e Sassari e Università diffusa sul territorio, per promuovere una programmazione comune sull'offerta formativa universitaria, accrescerne la qualità e soprattutto incentivare l'aumento del numero dei laureati. L'istituzione della Commissione permetterà anche di ampliare il tavolo di confronto ai Senati accademici delle due Università sarde. L'assessore della Pubblica Istruzione, Elisabetta Pilia, ha illustrato ieri il progetto nel corso di un incontro con il rettore dell'Università di Cagliari, Pasquale Ristretta, del pro rettore dell'Università di Sassari, Attilio Mastino, con i responsabili dei consorzi e delle associazioni che gestiscono i corsi universitari sul territorio. «Il primo impegno della Commissione - ha spiegato Pilia - sarà fare in tempi stretti il monitoraggio e la valutazione degli Atenei e dell'Università diffusa, attraverso un nucleo di valutazione formato da rappresentati della Regione e delle Università».
 
3 – L’UNIONE SARDA
Nuoro e Provincia Pagina 27
Ieri vertice a Cagliari Commissione regionale per l'università diffusa
Primo passo ieri a Cagliari verso un nuovo rapporto tra Università, Regione ed enti locali. Dopo le proteste (e le proposte) del presidente del Consorzio nuorese Bachisio Porru che contestava l'ateneo cagliaritano per non aver rispettato l'impegno di attivare alcuni corsi in città, ieri durante un vertice si è deciso di attivare nel giro di 15 giorni una commissione mista che dovrà monitorare la spesa originariamente destinata a quella università diffusa che in qualche modo sembra essere messa in discussione dalle delibere dei senati accademici. Alla riunione convocata dall'assessore regionale alla Pubblica istruzione Elisabetta Pilia, presente anche il collega alla programmazione Francesco Pigliaru, erano presenti il rettore di Cagliari Pasquale Mistretta e il prorettore di Sassari Attilio Mastinu. Sui risultati del vertice gli amministratori regionali non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali. Un passo in avanti è stato comunque compiuto con l'istituzione della commissione che vigilerà sulla spendita dei fondi destinati dalla Regione al decentramento dei corsi universitari nelle varie zone della Sardegna. In qualche modo è stata accolta la proposta di Bachisio Porru (presente all'incontro insieme agli altri amministratori comunali interessati) di istituire una sorta di authority per monitorare la spesa. I responsabili dei consorzi universitari territoriali vogliono infatti evitare che i finanziamenti stanziati per le sedi periferiche finiscano in realtà per essere spesi a Cagliari e Sassari, rafforzando i due poli universitari storici.
 
4 – L’UNIONE SARDA
Provincia di Nuoro Pagina 30
«Onorevole, devo emigrare?» «No, io ho scelto di tornare qui»
«Scusi, per quale motivo un ragazzo deve restare qui?». Laura Marongiu, nuorese, fa la domanda che alla fin fine racchiude tutte le altre. «Perché lei dice che è bene restare?». «Perché qui si sta meglio, questa è la dimensione giusta per vivere», spiega Silvestro Ladu. «Io questa scelta l'ho fatta tanti anni fa. Ho cominciato il liceo Scientifico a Bitti poi, per una serie di motivi, ho dovuto concludere la scuola a Roma. Lì avevo tutti i miei amici e quando è arrivato il momento di pensare all'Università mi sono posto il problema: restare o tornare a casa. Sapevo bene che questa era la scelta che mi avrebbe condizionato la vita, se uno si laurea fuori difficilmente rientra. Ci ho riflettuto molto e alla fine ho fatto la mia scelta. Mi sono iscritto in Medicina a Sassari, mi sono laureato, ho trovato lavoro a Siniscola e lì mi sono creato una famiglia. Ho scelto di tornare perché volevo vivere in una dimensione migliore di quella che può offrire una grande città dove sei soltanto un numero. Qui si sta senz'altro meglio». Sì, ma anche considerato i livelli qualitativi più bassi, lei consiglierebbe a un ragazzo di studiare in Sardegna piuttosto che fuori?, insiste Laura Marongiu. «Ma io non credo che lo standard qualitativo delle università sarde sia più basso come magari viene fatto credere in base a certe classifiche. Prendo ad esempio Medicina. Ecco, per chi frequenta in Sardegna c'è la possibilità ampia di fare lavoro in reparto prima della laurea. Fuori non è sempre così, considerato il numero di studenti. Certo, è vero che uno deve cercare sempre il meglio, ma, attenzione, bisogna valutare tante cose. E considerare che in Sardegna sono cresciuti e si sono formati professionisti e intellettuali di grande prestigio. E allora dico: un'esperienza fuori va pure bene, ma fate la scelta di stare qui». Ma intanto la fuga c'è, i ragazzi emigrano. Come si potrebbe bloccare questo fenomeno?, è la domanda di Federico Fele, studente di Nuoro. «L'emigrazione giovanile, visto anche l'altissimo tasso di disoccupazione, è uno dei problemi più grossi in Sardegna e soprattutto nella nostra provincia. E il dramma è che ad andare via sono i diplomati e i laureati, quella classe di giovani che potrebbe essere l'artefice della crescita e dello sviluppo di questa terra. L'obiettivo - sottolinea Silvestro Ladu - è fare in modo che restino qui. Il lavoro è una delle condizioni essenziali e certo la risposta non la può dare la grande industria, che è stata un fallimento. È necessario partire dalle risorse locali, puntare sulla creazione di un tessuto di piccole medie industrie che valorizzino i nostri prodotti. Lo si può fare incentivando i giovani, finanziando le loro iniziative imprenditoriali. Prendete il comparto agro-pastorale. È sempre stato la spina dorsale dell'economia della Sardegna e in particolare della nostra provincia e ora vive una profonda crisi, rischia di scomparire. Occorre ridare impulso al settore, fare in modo che i prodotti con il nostro marchio vengano venduti e commercializzati grazie a un'attenta politica di marketing che fino a oggi non c'è stata. C'è poi l'ambiente - aggiunge Ladu -, bellezze uniche al mondo che devono diventare risorsa, opportunità di sviluppo e di nuova occupazione. L'ambiente deve essere trasformato in industria turistica, un comparto che oggi dura al massimo tre mesi e invece deve dare lavoro per almeno sette mesi. L'integrazione tra costa e paesi dell'interno poi, può aiutare anche a scongiurare lo spopolamento. Il turista, oltre al mare, vuole conoscere anche le tradizioni, la storia, le bontà enogastronomiche dei paesi di montagna». Federico Fele introduce l'argomento Università nuorese. Cosa ci sarà da fare?. «Il potenziamento è necessario, anche per la stessa città. Terzo polo vuol dire autonomia da Cagliari e Sassari che ovviamente puntano ad accaparrarsi gli studenti sardi. Basti vedere cos'è successo qualche settimana fa, con due corsi cancellati a vantaggio di Cagliari. Ecco, bisogna fare in modo che Nuoro si rafforzi. Occorre spendere i soldi, che già ci sono, per creare la cittadella universitaria nell'ex Artiglieria. Sede necessaria, perché è qui che si crea l'ambiente, il clima che fa crescere i ragazzi». (p. s.)
 
5 - LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 19 - Sassari
L’università di Sassari più che nell’ombra si trova in mezzo ad un guado
LE RISPOSTE
Centrosinistra: cambiare metodo 
1) L’università di Sassari più che nell’ombra si trova in mezzo ad un guado che deve superare. Il passaggio della seconda metà degli anni 90, l’autonomia, la competizione ha portato responsabilità enormi sotto il profilo manageriale ma ha lasciato le piccole università a navigare in parte da sole in mare aperto. Spesso con progetti avviati in un regime di finanziamento nazionale conosciuto per poi trovarsi di colpo con risorse modificate e ridimensionate. Se poi penso al fatto che in questi anni il fondo nazionale per l’università non è cresciuto come doveva, se penso al blocco del turn over dei ricercatori, al progressivo invecchiamento della classe docente, all’indebolimento del sistema economico dal quale dovrebbero provenire le risorse private, in qualche caso la sopravvivenza di alcune università ha del miracoloso. In questo senso, non penso che l’Università di Sassari consideri orto botanico e padiglione delle cliniche una incompiuta, il progetto per cui sono state pensate e sinora realizzate è recente e certamente non superato. Le università, con il processo dell’autonomia, sono soggette ad una forte competizione tra sedi che si basa sulla qualità della didattica, sulla ricerca, sulle relazioni internazionali, sull’offerta formativa. Una competizione che richiede strutture moderne e innovative, laboratori, spazi per gli scambi di docenti e studenti. Se Sassari, se la Sardegna vogliono università capaci di affrontare questa sfida devono sostenere questo sforzo, investire sulle risorse umane, sulle risorse immateriali. Nello stesso tempo lo sviluppo dell’università, le sue scelte, gli obiettivi non possono essere assunti solo con logiche interne, come quando lo Stato era l’unico soggetto sostenitore. Il fatto che le comunità locali, comune, provincia o regione, debbano investire sulla propria università comporta uno stile diverso nelle scelte strategiche, nella definizione degli obiettivi, comporta un obbligo di condivisione che sia convinto e trasparente, una reciprocità e uno stile di governo altrettanto pubblico e visibile. In questa direzione l’amministrazione comunale condividerà e sosterrà il percorso di crescita dell’università con tutti gli strumenti disponibili.
2) Si può dire senza rischiare di essere smentiti che la Sassari della cultura più che perso smalto ha subito un crollo in questi anni di governo comunale del centrodestra. Abbiamo dovuto assistere ad un progressivo impoverimento delle proposte e non certo per colpa di chi lavora con professionalità nel campo del teatro, della musica e dello spettacolo.
L’amministrazione è stata sollecitata in tutti i modi ma il risultato è stato davvero incredibile. Cartelloni allestiti all’insegna della confusione, eventi che venivano incomprensibilmente contrapposti nelle stesse giornate, periodi contraddistinti dal vuoto più totale di proposte, finanziamenti concessi a caso anche ad organizzatori improvvisati. Da questo punto di vista l’inversione di tendenza deve avvenire immediatamente cambiando radicalmente il metodo. Bisogna dare risposte alle esigenze dei giovani ma anche dei meno giovani che chiedono di poter assistere a spettacoli, concerti e rappresentazioni teatrali che siano in linea con le offerte presenti in altri territori. Per quanto riguarda le rassegne teatrali l’amministrazione comunale deve essere il punto di riferimento di un circuito stabile che programmi le rappresentazioni tenendo conto della forte richiesta che arriva dalla nostra città.
3) Sono convinto che l’Università di Sassari abbia un grandissimo patrimonio di docenti e ricercatori, nati nella nostra città, formati nella nostra città e che per la nostra città rappresentano sicuramente un vanto, una grande risorsa. Credo che la valorizzazione dei tanti sassaresi che lavorano per il nostro ateneo sia sicuramente un valore aggiunto. È altrettanto vero che il meccanismo concorsuale rinnovato negli anni più recenti non aiuta le piccole università ad evitare un certo rischio di provincialismo. Un rischio di fare concorsi autoreferenziali che non mettono in reale competizione gli studiosi locali con quelli provenienti da altre esperienze. La competizione richiede confronto e se il confronto si evita alla competizione si rinuncia in partenza. Sassari non è a questo punto ma sarebbe sbagliato non affrontare il possibile rischio. Come è sempre successo, con nomi importanti della medicina, del diritto, delle scienze, esperienze di alto livello provenienti dalla penisola hanno dato l’impronta sotto il profilo della ricerca e della formazione alla scuola sassarese. Ancora oggi ci sono esempi di questo genere che vanno valorizzati e diffusi perché possono anche dare un qualcosa in più all’Università di Sassari, farne a meno non è nell’interesse generale.
 
Centrodestra: adeguarsi ai tempi  
1 Tutto il sistema universitario meridionale sta affrontando momenti difficili, che il nostro ateneo vuole gestire con la massima determinazione, a giudicare da quanto esposto lucidamente dal magnifico rettore in occasione della recente inaugurazione dell’anno accademico. Il vero problema sta nella capacità dell’ateneo di poter superare positivamente il difficile processo dell’autonomia, che impone alle università italiane criteri di gestione e di qualità tali da metterle di fatto tutte in aperta competizione, per riuscire non solo a consolidare le proprie eccellenze ma anche e soprattutto per essere sempre costante polo di attrazione dei nuovi studenti, evitando in tal modo la progressiva fuga dei nostri talenti verso altri atenei, con il concreto rischio che non ritornino più in Sardegna. Per cogliere questi obiettivi la nostra università dovrà poter contare sul sostegno e sull’aperta collaborazione dei tutti, compresa l’amministrazione comunale, per quanto sarà possibile fare in termini di pressione politica e di capacità progettuale comune, da rivolgere nei confronti dei principali centri di finanziamento, anche europei ed internazionali. L’orto botanico, grazie alla sua rivoluzionaria e modernissima struttura, potrà creare ulteriore valore aggiunto non solo per l’Università ma per l’intero territorio del nord Sardegna, diventando un polo di eccellenza nel settore della ricerca. Mentre per il nuovo padiglione ospedaliero il problema è esclusivamente tecnico, dopo il fallimento dell’azienda che stava eseguendo i lavori: ora stanno per essere ripresi e dovrebbero essere conclusi nell’arco di 15-18 mesi, completando le strutture della futura Cittadella sanitaria, alla quale il Comune intende dedicare assoluta priorità.
2) Sia l’offerta che la domanda di cultura sono cambiate nel corso degli ultimi decenni e anche l’amministrazione comunale dovrà adeguarsi rapidamente, ponendo al centro dei suoi interessi il rilancio di un’attività fondamentale per ridare spessore alla nostra città. Con la creazione dell’Agenzia comunale per la cultura intendiamo dare un segnale concreto a quanti operano in questo settore, agendo d’intesa con l’omologa Agenzia provinciale, per fare fronte comune e sviluppare iniziative di alto livello che abbiano l’obiettivo di autosostenersi, senza dovere costantemente legare le proprie fortune alle disponibilità sempre più incerte che provengono dalla Regione. Nel nord ovest abbiamo numerose opportunità sulle quale poter contare, mettendole in rete e creando un cartellone di manifestazioni culturali di straordinaria attrazione, anche internazionale. Semmai le scarse risorse regionali andrebbero destinate integralmente alla valorizzazione delle iniziative promosse dai giovani artisti, con particolare attenzione per gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti e del Conservatorio musicale, sostenendoli nella difficile fase di avvio della loro carriera. Senza preconcetti dovremmo valutare anche le opportunità provenienti dal mondo cinematografico e televisivo, che in molte località europee ha generato interessanti fasi di sviluppo economico, non solo per quanto riguarda gli aspetti collegati alla recitazione, ma soprattutto per la creazione delle professionalità tecniche e delle specializzazioni che, dietro le quinte, devono gestire una macchina organizzativa di estrema complessità.
3) E’ un processo da tenere sotto attento controllo, perché le università si basano sulla qualità dell’insegnamento ma anche sulla qualità della ricerca, e la ricerca ha necessità di continui confronti, di osmosi tra esperienze diverse, di immissione continua di nuove scuole di pensiero, garantendo un giusto mix tra docenti radicati nel territorio e docenti provenienti dal continente e dall’estero. Vanno recuperate le condizioni di eccellenza che sino a pochi anni fa venivano riconosciute alle facoltà di Agraria e Veterinaria, anche per il ruolo fondamentale che devono svolgere per il settore agricolo e, contemporaneamente, va sostenuta l’azione che sta caratterizzando l’attuale amministrazione universitaria, volta a potenziare le dotazioni infrastrutturali generali, la qualità della didattica e la disponibilità di un adeguato corpo docente. Alcune recenti esperienze, ad esempio delle facoltà di Economia e di Architettura, fanno sperare che l’ateneo stia acquistando la piena consapevolezza che l’attuale fase di cambiamento generale va affrontata con coraggio e determinazione. Ma è anche indispensabile che l’Università sia veramente della nostra città, nel senso che le sue potenzialità e professionalità devono mettersi in gioco apertamente, per gestire con tutti noi l’avvio di un programma sociale ed economico di ampio sviluppo.
 
6 - LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 2 - Oristano
Università, enti e imprese collaborano per lo sviluppo 
Nasce l’esperienza del Gruppo di interesse territoriale dedicato a ambiente marino e turismo sostenibile 
Oristano. Nasce un nuovo Gruppo di interesse territoriale (Git) dedicato all’Ambiente marino, al Turismo sostenibile, alla Pesca e all’Agroalimentare. L’iniziativa si inquadra nell’ambito del Pon Ricerca (Programma operativo nazionale, Ricerca scientifica, Sviluppo tecnologico, Alta formazione 2000-2006). La presentazione del nuovo Git, costituito dalla Provincia, dal Sil, Soggetto intermediario locale e dalla Fondazione Imc, Centro marino internazionale, è in programma oggi alle 11 nella sede del Sil.
Prima della sottoscrizione i rappresentanti del ministero dell’Università esporranno nel dettaglio gli obiettivi e le opportunità collegate alla creazione di un Git anche attraverso l’illustrazione delle esperienze fatte in altri contesti locali.
I Git sono associazioni di fatto fra enti locali, imprese, centri di ricerca, università, operatori socioeconomici e agenzie di sviluppo locale autogestite ed autofinanziate dagli stessi aderenti. «Sono promossi dal Ministero - spiega una nota - per diffondere un riposizionamento del concetto di scienza non solo come fonte di nuove conoscenze, ma anche come fattore fondamentale dell’elevamento della qualità della vita dei cittadini, del benessere e dell’equità sociale».
I Gruppi d’interesse territoriale si propongono di «armonizzare gli interventi dei diversi soggetti realizzati in attuazione del Sesto programma quadro della ricerca europea, Piano nazionale della ricerca 2003-2006 e dei Piani regionali della ricerca e innovazione, relativi ai Programmi operativi regionali (Por). I Git riconosciuti fanno parte di un network che consente, ai soggetti che condividono il principio, di operare un confronto continuo sui temi della ricerca applicata, lo sviluppo sostenibile, l’apprendimento individuale e di gruppo».
 
7 - LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 4 - Regione
L’ANALISI 
«Servono intelligenza e costanza» 
Nuovo sviluppo, le valutazioni del sociologo Alberto Merler 
SASSARI. In Sardegna c’è già un fenomeno «bipolare», inventato prima ancora che prendesse piede quello strettamente legato alla riorganizzazione dei partiti. La scelta è stata fatta una trentina d’anni fa, e la strada dei due poli porta a Cagliari e Olbia. Così Sassari è stata tagliata fuori. Lo sostiene Alberto Merler, professore di Sociologia del Dipartimento di Economia, Istituzioni e Società. «A mio avviso, comunque, la divisione dalla Gallura non migliora o peggiora le cose. Noi eravamo già fuori da quel disegno di sviluppo. Per cui dobbiamo ricominciare dall’inizio».
Ripensare lo sviluppo, quindi, senza incorrere in crisi esistenziali. «Vorrei dire tre cose semplici: - afferma Alberto Merler - intelligenza, perseveranza e costanza. Ecco, credo che siano queste le doti da mettere in campo. Cambiare completamente modo di agire, quindi. Non si può continuare a procedere con la fretta, che si è rivelata particolarmente dannosa, proponendo un progetto oggi e un altro (che corrisponde all’esatto contrario) domani». Anche il professor Alberto Merler, che da più di trent’anni studia i fenomeni sociali della Sardegna, riconosce che la provincia di Sassari ha risorse importanti da valorizzare, ma sottolinea che «occorre avviare lentamente il processo di sviluppo». Ma invita a «lasciare da parte le scelte miracolistiche», quelle legate ai grandi progetti (poi rimasti sulla carta) e a puntare sulle piccole cose «rendendole numerose e continue».
Il primo invito è quello di «dedicare una attenzione molto grande alle città. Sassari, oggi, è fra quelle messe peggio in Sardegna. A parte pochi lodevoli interventi (piazza Azuni, largo Cavallotti) c’è ancora molto da fare per migliorare il livello di vivibilità».
L’altro aspetto è collegato alla necessità di «rivitalizzare i piccoli paesi che sono luoghi di vita adeguati, bloccare lo spopolamento e sostenere le attività tradizionali. Noi stiamo importando tutto. E invece le aziende potrebbero ancora sviluppare prodotti per il mercato interno sardo. Non è necessario esportare. Penso che Sassari era un centro di grande produzione di ortaggi, e l’isola vanta un centinaio di varietà di pere e mele (l’Università di Agraria le ha conservate) che potrebbero essere reimpiantate se solo ci si credesse un po’ di più».
I piccoli segnali ci sono già. «L’altro giorno ho incontrato un giovane che produce mirto in maniera artigianale. Ha dei ragazzi che collaborano con lui e vanno in giro a raccogliere la materia prima, lui produce il liquore. Lo fa in modo artigianale e mi ha raccontato che non riesce a soddisfare la domanda. C’è, dunque, il mercato per tutti. Servono tante piccole iniziative».
L’obiettivo è puntato sul turismo, ma con l’avvertenza di non farne una sola bandiera. «Se il Paese sta bene il turismo c’è - sottolinea Merler - ma se l’industria va male, per esempio, non vedo come possano arrivare nuove forme di turismo se si esclude il flusso che giunge dalla Russia e dal Giappone». La ricetta potrebbe essere quella di «collegare la costa con un percorso verso l’interno, estendendo così la stagione».
Una attenzione particolare è rivolta all’Università sassarese: «Non è utilizzata in modo adeguato - sostiene il sociologo - non riusciamo ad assumere personale tecnico, per esempio. La programmazione nazionale, con riforme ogni due anni, continua a chiederci cose nuove. Un andamento strano. Credo che la Regione debba puntare con decisione su questa risorsa. L’impegno deve essere quello di tenerci i cervelli. C’è una moda che sta passando: da quando esiste la linea diretta con l’Inghilterra, i nostri giovani vanno facilmente a Londra e ci rimangono. Non è una bella cosa».
Il bilancio finale sullo sviluppo futuro del Sassarese non risulta poi così disastroso per il professor Merler: «Ritengo che, in fondo, la Gallura perderà di più perchè in effetti risulta più squilibrata dopo la scissione. Da noi c’è un problema di vivibilità, da loro anche di sicurezza». (gia.ba.)
 
8 - LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 11 - Sardegna
di Livio Liuzzi 
Cara Dirindin, usi la logica per curare la medicina sassarese 
Quando si parla di Sanità, immancabilmente, si apre una gara fra chi la spara più grossa. Lo sport delle bufale, è il caso di dire. E sappiamo tutti, ormai per consumata esperienza, che sono solo due gli argomenti che il cittadino tiene sotto costante osservazione: la salute e le tasse. Sparare cavolate su questi argomenti vuol dire mettere in apprensione tutti, sino a creare climi da guerra fredda. Ebbene, proprio in questi giorni, inavvedutamente sotto elezioni, è scoppiata una bagarre che vede coinvolti, assessore regionale alla sanità, facoltà di medicina dei due atenei sardi, medici di ogni appartenenza, infermieri e portantini.
 Il tema è sempre il solito. Quello che si dibatte ormai da anni. L’istituenda azienda ospedaliera mista. Di cui nessuno sa nulla (compresi quelli che dovrebbero) ma di cui tutti parlano a sproposito. I boatos sono stati fortunatamente spenti da un provvidenziale intervento del presidente della regione Renato Soru che con acume politico ha tappato la bocca alla sua assessora e ha rinviato tagli e discussioni alle sedi appropriate. Evidentemente Soru si è reso conto che l’assessore Dirindin si era lanciata in una corsa spericolata che avrebbe mandato gambe all’aria il quadro politico e sottoposto la giunta a una incresciosa marcia indietro. La Dirindin aveva, fortunatamente solo con la bocca, valicato i suoi compiti istituzionali sparando soluzioni in palese contrasto con le leggi vigenti e invadendo competenze che appartengono ad altri soggetti.
Cerchiamo, per quanto è possibile, di fare un po’ di chiarezza sullo spinoso argomento. Senza voler con questo né insegnare il mestiere alla signora Dirindin che evidentemente è una grande studiosa dei problemi sanitari ma non è mai entrata in una corsia o comunque sembra avere idee molto vaghe sull’azienda ospedaliera. Che è in tutto e per tutto una società per azioni né più né meno come la Pirelli, la Telecom o la Fiat. La differenza sta che in queste il capitale è detenuto da soggetti privati, nell’azienda ospedaliera è detenuto da soggetti pubblici. Che sono sostanzialmente due: la Regione e l’Università. Ma possono essere anche più soggetti. L’Azienda risponde alle stesse leggi, alle stesse normative, agli stessi controlli cui sono soggette le società per azioni. L’Ente Regione dopo aver sottoscritto un protocollo d’intesa con l’altro soggetto coinvolto, in questo caso l’Università, istituisce l’Azienda. Con l’Università redige lo statuto e nomina il consiglio di amministrazione, il quale a sua volta procede a eleggere gli organi statutari, presidente e direttore generale e in alcuni casi anche il consigliere delegato. Università e Regione stabiliscono il numero dei posti letto o comunque i parametri (il famoso 4,5 per mille abitanti) e conferiscono all’Azienda un fondo di dotazione, immobili, macchinari e quant’altro necessario.
Il compito della Regione, dell’assessore, dell’Università finisce qui. E, per legge, non può andare oltre. E si devono comportare da azionisti non da amministratori. Ancor meno, il compito di stabilire come sarà composta e gestita l’Azienda, lo può avere il direttore generale della Asl. Che può solo essere uno degli azionisti. Le interferenze di questi giorni sono quindi quantomeno inopportune.
E’ il direttore generale o l’amministratore delegato dell’Azienda ospedaliera che stabiliscono, sulla base delle dotazioni conferite all’Azienda e sul numero dei posti letto assegnati, la struttura operativa. Ovvero il numero dei dipartimenti, la loro disposizione e la loro allocazione. Perché non ci siano più edifici dell’ospedale civile ed edifici dell’Università. Ma solo edifici dell’Azienda ospedaliera. Ogni dipartimento sarà poi dotato di un numero, attualmente indefinito, di unità operative, ovvero gli attuali reparti di degenza. L’Azienda è, operativamente e gestionalmente, assolutamente autonoma. Non è soggetta a nessun potere politico e risponde solo dei suoi bilanci. Se sono in pareggio o in attivo, bene. Altrimenti chiude i battenti. O taglia. O ristruttura. Ma lo fa l’Azienda, non la signora Dirindin o il signor Zanaroli. Con tutto il rispetto che nutriamo per loro, non è loro compito.
Da come si stanno muovendo i soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda, si traggono due sole conclusioni. O non sanno, e allora siamo di fronte a commediole già viste in Sardegna, con attori improvvisati e dilettanti allo sbaraglio, o buttano sassi nello stagno per vedere l’effetto che fanno. Strumentalmente si saggia il terreno. E questo non è serio.
Nel lontano 1988 quando l’allora presidente della Regione Toscana decise di sperimentare un nuovo modello di organizzazione sanitaria chiamò il compianto professor Rino Ricci, preside della facoltà di Economia dell’Università di Pisa e gli conferì l’incarico di studiare il problema. Il prof. Ricci mise insieme diciotto persone a ognuna delle quali affidò lo studio di un segmento del problema. Dopo sei mesi consegnò al presidente della Regione un modello di Azienda Ospedaliera mista Università-Ospedale che oggi funziona in tutta l’Italia, da Nord a Sud, perchè è diventata legge dello Stato inapplicata dalla sola Regione Sardegna.
Certo. Problemi da risolvere ce ne furono tanti. I più grossi: la suddivisione dei primariati, problema che a Sassari sta mettendo contro l’un l’altro armati ospedalieri e universitari; la titolarità degli immobili; il fondo di dotazione; il passaggio del personale dall’allora Usl per gli ospedalieri e dall’Università per i clinici convenzionati. Su questo punto furono vagliate due soluzioni. Il trasferimento o l’assunzione ex-novo da parte della nuova Azienda. Fu scelta la seconda ipotesi, più funzionale e pratica.
La questione dei primariati fu risolta non con una guerra. Ma dalla logica. Posto come premessa che l’Azienda assume solo per provate capacità professionali, per le posizioni pregresse e già maturate, provvidero le unità operative. Le vecchie strutture avevano reparti di 60 o addirittura 100 posti letto, generalisti, sul modello del vecchio sistema di insegnamento universitario. Con tempi di degenza interminabili. Per rendere efficiente ed economicamente valido il sistema occorreva smantellare tre cardini: i tempi di degenza, i mega-reparti, gli insegnamenti onnicomprensivi. Al loro posto unità operative agili, 10-15 posti letto al massimo, che puntavano sulla specializzazione e quindi sull’eccellenza, tempi di degenza brevi, specializzazione e quindi parcellizzazione degli insegnamenti. I dodici reparti classici con altrettanti super-baroni e gli altri reparti ospedalieri con più doppioni, esattamente come oggi a Sassari, sono diventate 78 unità operative di alta specializzazione e in qualche caso di eccellenza europea. L’Azienda non pesa né sulle tasche dei cittadini né, oltre il dovuto, su quelle dello Stato. E’ in utile da anni. In quasi tutte le unità operative esiste l’intra-moenia dove i medici possono tranquillamente svolgere la libera professione e ogni dipartimento ha il suo day-hospital per cui le degenze sono limitate al solo periodo di aggressione della malattia. La progressione del sistema è inversamente proporzionale. Aumentano le unità operative, diminuiscono posti letto e degenze.
Il sistema oggi funziona in tutta l’Italia. Perché non dovrebbe funzionare in Sardegna? Perché nel resto dell’Italia non si notano cadaveri di primari sparsi lungo le strade e in Sardegna ce ne dovrebbero essere cataste? Importante è avere idee chiare, sapere di cosa si sta parlando, e partire col piede giusto. Ingredienti che al momento hanno scelto la latitanza.
 Quando l’assessore Dirindin parla di tagliare alcuni reparti e quindi di conseguenza anche gli insegnamenti e fa aleggiare l’ipotesi che a Sassari ci saranno due soggetti distinti, l’Azienda ospedaliera e il presidio del SS. Annunziata, crea scompiglio e fa confusione. Ma cosa vuol dire? Ce lo spieghi. I cittadini, visto che si tratta della loro salute, hanno diritto di sapere. Con chiarezza e nel rispetto delle leggi. Quando afferma che i giornalisti, con chiaro riferimento a quelli della Nuova, dicono bugie cerca solo di mondarsi da responsabilità che sono solo sue.
 Quando afferma che occorre tagliare, parte col piede sbagliato. Si taglia solo quando si ha ben chiaro in testa quel che si vuol fare. E attualmente questa chiarezza non c’è. Quando afferma che occorre sopprimere i doppioni dimostra di non sapere quel che dice.
 I tempi di degenza non si abbreviano tagliando i posti letto. Il taglio dei posti letto è e deve essere solo una conseguenza dell’efficienza. A meno che non si voglia fare di Sassari la succursale di altri ospedali. Sulla via dell’efficienza il primo provvedimento è quello di mettere mano alla diagnostica. E’ indispensabile rendere efficiente e rapida sia la diagnostica strumentistica che quella di laboratorio. Dall’ingresso al pronto soccorso il paziente, nell’arco di due giorni, deve poter essere sottoposto a Tac, risonanza magnetica, radiografie varie, eco-doppler e tutte le analisi di laboratorio di cui ha bisogno. Se per essere sottoposto a una Tac il paziente deve attendere in un letto di reparto una settimana questo diventa un costo intollerabile per la comunità. O per un doppler. O per una diretta dell’addome. O per una Pet che non c’è. A Sassari, credo unica città al mondo, non esiste un servizio doppler neppure in reperibilità. Se l’assessore vuol fare anche il direttore generale della Asl, dell’Azienda ospedaliera o del fantomatico presidio del SS. Annunziata (tutte cose, beninteso, che non le competono), dia retta a un fesso, cominci dalle cose indispensabili. Al posto del pronto soccorso di antidiluviana memoria, metta in piedi un dipartimento di emergenza efficiente e metta mano alla diagnostica. Poi si vedrà. E soprattutto istituisca l’Azienda Ospedaliera. Una. E unica. Non due accrocchi. Per gli accrocchi in Sardegna siamo campioni del mondo. Che bisogno c’era di professionisti traslocati da Torino, da Modena o da Padova? Siamo seri!
 Nel protocollo d’intesa siglato il 27 scorso, sembra di capire che si segua la via dell’accrocchio. Un’azienda ospedaliera (dell’Università) e un’altra azienda che eufemisticamente hanno chiamato presidio ospedaliero con gestione diretta della Asl e quindi della politica. Non è un accrocchio. E’ un pateracchio. Oppure la via più breve per dotare la politica di quell’enorme serbatoio di clientele di cui ha sempre avuto bisogno. Avremo quindi ancora e per sempre due mezzi ospedali separati che si troveranno a fare pressapoco le stesse cose. Niente è cambiato. Solo il colore. Che delusione! Da lei, signora Dirindin, mi aspettavo qualcosa di più. Invece la montagna ha partorito un topolino. Piccolo, rattrappito e un po’ paralitico. Glielo dice uno che avendo deciso di trascorrere il resto della sua esistenza a Sassari, e avendo tagliato il traguardo dei sessanta, teme le traversate per potersi curare al meglio.
 Cerchi di spiegare ai cittadini prima che al sottoscritto, che senso ha una riforma che lascia tutto come prima (clientele comprese). La sanità sarda ha bisogno di una profonda trasformazione, rivoluzionaria, che la renda efficiente ed economica senza bisogno di tagliare a casaccio. Dove andrà a cercare i soldi se lascia in piedi due ospedali uno dei quali non avrà neppure un dipartimento di emergenza? Dove li farà i risparmi? Tagliando le teste? Riducendo i servizi? Per lasciare tutto come prima era più che sufficiente, mi creda, un assessore di Buddusò o di San Gavino.
 
 
09 - CORRIERE DELLA SERA
Studenti tutor al Politecnico
Sabato la giornata dell’orientamento, oggi l’incontro su stage e primo impiego
Gli universitari guideranno le future matricole nella scelta del corso
Docenti-ciceroni, studenti-tutor, mappe, t-shirt, punti informativi, attestati di partecipazione. Il Politecnico apre le porte alle future matricole. Sabato, con la sua settima giornata dell’orientamento. Dopo il San Raffaele, che ieri ha accolto gli aspiranti medici, biologi e filosofi, tocca al Politecnico illustrare corsi e specializzazioni agli studenti delle superiori. Dalle 9 alle 18 di sabato.
I professori dell’ateneo di piazza Leonardo da Vinci indicheranno ai ragazzi e alle loro famiglie gli insegnamenti offerti dai vari corsi di laurea e il regolamento delle prove di ammissione.
Ogni facoltà avrà la sua area informativa. E al punto accoglienza si potrà ritirare la «Polibag» con tanto di block notes e programma delle presentazioni, le piantine delle aule e un primo libretto informativo sui corsi.
Cento studenti tutor, riconoscibili dalle polo gialle che indosseranno, faranno da guida fra aule e stand. A fine giornata, poi, tutti i visitatori potranno andare a casa con un attestato di partecipazione e con una t-shirt. Ma a una condizione: come in una caccia al tesoro, la maglietta si potrà ritirare solo collezionando i timbri di almeno due corsi di laurea diversi (ottenibili al termine di ogni presentazione).
Calendario delle presentazioni, modulo di adesione e altre informazioni utili sono online sul sito www.orientamento.polimi.it
Sempre al Politecnico, ma oggi dalle 8.30 alle 18, si terrà il Synesis Forum, «Career day», che ha lo scopo di aiutare gli universitari nella ricerca del primo impiego.
Per tutta la giornata studenti e neolaureati potranno avere informazioni sui percorsi delle carriere e sui profili più ricercati, lasciare il curriculum e sostenere colloqui. I responsabili delle risorse umane di 80 aziende saranno a disposizione dei partecipanti.
 
11 - CORRIERE DELLA SERA
Okuda (Toyota) alla Bocconi
Quell’interesse per l’Italia e le relazioni con il Giappone
Quando nel 1995 diventò presidente della Toyota, il primo a non appartenere alla famiglia fondatrice, Hiroshi Okuda, classe 1932 e 40 anni di anzianità aziendale, lanciò una sfida che allora pareva incredibile: raggiungere entro il 2010 il 15% del mercato mondiale, la quota che ha attualmente General Motors. Ma oggi l’obiettivo appare molto più reale, anche per la profonda crisi che affligge i big americani. Toyota invece continua a correre: nel 2004 ha chiuso il bilancio con circa 11 miliardi di dollari di utile netto, più di quanto abbiano guadagnato Gm, Ford e DaimlerChrysler insieme e, per la prima volta, ha superato Ford, diventando il secondo costruttore mondiale, dopo Gm. E oggi gli Stati Uniti sono già il primo mercato per la casa automobilistica, che qui vende più automobili che in patria. Adesso Okuda, chairman di Toyota e dal ’98 presidente della Confindustria giapponese (Nippon Keidanren), è in Italia, accompagnato dalla moglie. Ufficialmente per partecipare a un convegno in due atti. Questa mattina a Milano parlerà di economia e innovazioni tecnologiche del Sol Levante all’Università Bocconi. Ieri, a Roma, ha discusso sui legami tra Roma e Tokio con il presidente dell’Associazione Italia-Giappone Sergio Pininfarina.
Cintura nera di judo, amante di cinema e romanzi, Okuda sostiene che Italia e Giappone abbiano due «culture sinergiche». E cita la moda, l’industria e la tecnologia fra i migliori esempi di scambi, che andrebbero però «incentivati». A cominciare, per esempio, dalla semplificazione delle norme per il rilascio dei visti di lavoro, un processo molto complesso a differenza che in altri Paesi europei, si lamentano i giapponesi.
Quanto a Toyota, non può che dire arigatò ai consumatori italiani, poiché ad aprile la Yaris è risultata l’auto straniera più venduta in Italia, mentre la casa nipponica ha conquistato il 6,2% del mercato. Viene ribadito, invece, che non c’è interesse per produrre nel nostro Paese, anche se qualche tempo fa si parlò di generici contatti, poi smentiti, per l’impianto della Fiat di Termini Imerese. Gli investimenti piuttosto puntano a Est. A gennaio è stata inaugurata la nuova fabbrica nella Repubblica Ceca, in joint venture con Psa, nel 2004 ha aperto un nuovo stabilimento in Turchia e nel 2007 sarà completata una nuova fabbrica a San Pietroburgo, in Russia.
Certo su altri fronti le similitudini non mancano. Italia e Giappone di sicuro hanno in comune il più basso tasso di natalità del mondo e gli abitanti che invecchiano di più sul pianeta, con pesanti conseguenze sui conti della previdenza. Secondo Okuda, membro di un comitato di consulenza del primo ministro Junichiro Koizumi che ha il compito di studiare forme di impiego per gli anziani fino a 75 anni, anche le aziende private giocano un ruolo.
E la Toyota è già intervenuta sulla questione, anche se lo ha fatto per motivi egoistici. Non riuscendo a trovare sufficiente manodopera specializzata ha deciso che dal 2006 lancerà un programma per riassumere i dipendenti andati in pensione a 60 anni, l’età prevista per legge. Finora il gruppo riassumeva circa 100 ingegneri all’anno, rinnovando il contratto di anno in anno fino al compimento dei 63 anni di età. Il nuovo piano prevede invece l’estensione, su base volontaria, a tutte le divisioni e l’innalzamento fino a 65 anni di età.
Giuliana Ferraino
 
12 - CORRIERE DELLA SERA
«Presidente, ripartiamo da ricerca e università»
L’eccezionale patrimonio di beni culturali costituisce una potente attrattiva turistica. Le competenze consolidate nell’audiovisivo e le notevoli esperienze tecnologiche delle grandi aziende dell’aerospaziale e di importanti società di servizi nell’ICT garantiscono un serbatoio di capacità innovativa. La presenza vasta e diffusa di piccole e medie imprese forma un tessuto produttivo particolarmente fecondo e dinamico. Disponiamo, soprattutto, in misura superiore al resto del paese, della «risorsa di base» per la competitività nell’economia del terzo millennio, la conoscenza, assicurata dalla massima concentrazione italiana di ricerca e università e dalla produzione di circa il 13% del totale nazionale di laureati. Sta qui il grande compito delle politiche regionali: fare sistema mettendo in rete risorse, soggetti e talenti; far viaggiare nella rete la conoscenza. Si aprirebbe così un processo di diffusione e disseminazione di conoscenza e capacità innovativa nel tessuto produttivo e sociale, creando concrete possibilità anche alle piccole e medie imprese di competere sui mercati nazionali e internazionali sulla base della qualità; si darebbe vita ad un circolo virtuoso, imprevedibilmente creativo, tra ricerca, innovazione e produzione di nuovi saperi, capace di attrarre nuovi talenti; si infrangerebbero gli alti muri autoreferenziali delle cattedrali del sapere, le università, aprendole al territorio; con sinergie e processi di emulazione tra soggetti in grado di competere al meglio nei mercati globalizzati.
Tutto ciò consentirebbe di affrontare la seconda questione, il rapporto tra Roma e la regione, trasformando in soluzione il problema. Solo uno sviluppo fondato su una politica di diffusione pervasiva delle competenze e dei processi innovativi consente, infatti, di rendere l’intero territorio eccezionalmente competitivo e di fare delle vocazioni di realtà economiche e sociali locali, fortemente differenziate, un moltiplicatore di competitività. In questa logica, Roma diventa un serbatoio di capacità innovativa, utile per l’intera regione.
La terza questione ripropone il tema straordinariamente moderno di coniugare sviluppo e progresso, in modo da sperimentare una visione di competitività territoriale più compiuta: qualità nella produzione, accompagnata da tutte le condizioni che fanno qualità nella vita individuale e collettiva e che guardano a tutelare e generare risorse per un futuro sostenibile. Ancora una volta il punto di svolta potrà essere proprio il binomio conoscenza/innovazione : per consentire politiche di welfare e politiche ambientali che rispondano alle esigenze di una cittadinanza multietnica e sempre più consapevole. La politica regionale può giocare un ruolo importante favorendo e promuovendo programmi di ricerca e di trasferimento tecnologico mirati ad affrontare in modo innovativo problemi complessi di qualità sociale e di qualità dell'ambiente. Trasporti e mobilità, inquinamento, smaltimento dei rifiuti, risorse energetiche, ma anche sanità, servizi alla persona, integrazione, possono diventare occasioni di attività imprenditoriali competitive, di sviluppo e occupazione mentre generano nuovi e più avanzati comportamenti culturali e sociali e un più alto livello di civiltà. Si presenta così la prospettiva di un’alleanza niente affatto scontata tra cittadini, soggetti produttivi, istituzioni della cultura e amministrazioni pubbliche, tra governi locali e governo regionale. Un'alleanza indispensabile per costruire il senso di comunità, solidale e tollerante, condizione essenziale per rendere davvero il Lazio «la regione di tutti, nessuno escluso», che ha giustamente costituito lo slogan centrale della campagna elettorale per il Presidente Marrazzo.
Gianni Orlandi
Ordinario nell’Ict presso la facoltà di Ingegneria della «Sapienza»
 
13 - CORRIERE DELLA SERA
IULM
VASCO DOTTORE
Il cantautore Vasco Rossi mercoledì alle 15 riceverà dall’Università Iulm la laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione. La lectio doctoralis si intitolerà «Una laurea per me? Non me l’aspettavo eh?!?»
 
14 – IL TEMPO
Una laurea sul Parco d’Abruzzo    
PERUGIA — Luca Panichi, lo sfortunato ciclista di Magione che anni fa rimase vittima di un gravissimo incidente stradale proprio durante una gara, si è laureato a Perugia, in scienze politiche, con il voto di 110 e lode. Panichi ha discusso una tesi sulla cultura civica degli italiani, ricostruendo in particolare le vicende amministrative e gestionali del Parco nazionale d'Abruzzo, nelle quali ha individuato un vero e proprio «Caso Pescasseroli».
 

Questionnaire and social

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