Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
21 May 2005
 Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 23 – Cagliari
Nel cuore del quartiere di Stampace
Giovanni Francesco Fara vescovo, storico e geografo
Nel quartiere Stampace, l'ultima traversa di via Azuni è dedicata a Giovanni Francesco Fara vescovo, storico e geografo. Fara nasce a Sassari nel 1543 da una illustre famiglia, suo padre Stefano è notaio, studia nell'università di Bologna (non esistevano allora atenei nell'isola) e a Pisa dove si laurea in utroque iure nel 1567. In quello stesso anno pubblica a Firenze, il trattato "De essentia infantis", unica opera pervenutaci della sua produzione giuridica insieme a qualche manoscritto. Fara nella penisola frequenta per le ricerche famose biblioteche ed archivi e più volte si reca anche a Roma e Firenze per consultare documenti. È interessato alla storia della Sardegna e per questo si fa aiutare dal maiorchinio Miguel Thomas de Taxaquet vescovo di Lerida che gli fornisce documenti e notizie dall'archivio della Corona d'Aragona di Barcellona. Rientra Sassari nel 1568 e inizia la carriera ecclesiastica diventantando assistente presso il tribunale ecclesiastico locale. Nello stesso anno viene nominato arciprete del Capitolo sassarese: incarico sospeso per un'impugnazione e confermato dopo dieci anni. Nel 1572 è canonico nella cattedrale di Alghero, ma continua a girare la Sardegna in lungo e in largo per i suoi studi e le ricerche. Nella tipografia di Nicolò Canelles di Cagliari stampa nel 1580 il primo libro del celebre "De rebus Sardois" mentre gli altri tre saranno pubblicati solo nel 1835, scrive anche "Chorographia Sardiniae" che rimane inedita fino al XIX secolo. Partecipa nel 1583, come rappresentante del Capitolo turritano, ai lavori del parlamento del regno di Sardegna convocato nel capoluogo e collabora con Alfonso de Lorca per far applicare i decreti approvati nel concilio di Trento. Partecipa a numerose riunioni provinciali con prelati sardi per discutere sulle nuove disposizioni conciliari, sulla celebrazione delle messe e la conservazione degli archivi ecclesiastici. Il re di Spagna e di Sardegna Filippo II, grazie a questo suo interessamento per applicare le disposizioni del Concilio di Trento, per riconoscenza nel 1589 lo appoggia presso il papa Sisto V per sostituire il vescovo di Bosa Gerolamo Garzia morto in un naufragio. Passano alcuni anni e papa Sisto muore, la designazione arriva nel gennaio 1591 ad opera del nuovo pontefice Gregorio XIV che firma a gennaio la bolla di nomina e muore solo tre mesi dopo. Giovanni Francesco Fara prende solennemente possesso del suo prestigioso incarico di vescovo nel mese di aprile del 1591 con la consacrazione a Sassari e l'ingresso ufficiale nella città di Bosa sotto gli auspici ancora di un nuovo pontefice: Innocenzo IX. Fara continua gli studi sulla Sardegna e finanzia altri studiosi per le ricerche, è un religioso che oltre la cultura è dotato di una grande umanità, salva probabilmente dal tribunale dell'inquisizione il poeta bosano Pietro Delitala che compone in suo onore una lode. Il nuovo vescovo di Bosa celebra a giugno di quel 1591 un sinodo diocesano e ne pubblica subito gli atti, la morte per una improvvisa quanto grave malattia lo coglie a novembre di quello stesso anno quando da qualche giorno ha compiuto quarantotto anni.
Sergio Atzeni
  
2 – L’Unione Sarda
Pagina 11 – Economia
Con il progetto "In time 36"
La ricetta dell'Ateneo: 22 mila euro investiti per ogni assunzione
Un investimento di 22.134 euro per creare un posto di lavoro. Soldi spesi bene, viste le difficoltà incontrate dai giovani nel trovare un'occupazione. È il rapporto costio-benefici del progetto "In time 36", creato dall'Università di Cagliari e finanziato dalla Regione con la legge 36 del '98, e oggetto del meeting "Quando lo stage passaporta il lavoro". La due giorni si concluderà oggi, al Caesar's hotel di Cagliari, con la presentazione delle aziende europee che partecipano al progetto. I laureati dell'ateneo di Cagliari avranno l'opportunità invece di incontrare le imprese e presentare i curricula. Le istituzioniI lavori sono stati aperti dall'assessore regionale al Lavoro, Maddalena Salerno, e dal presidente della Confindustria sarda, Gianni Biggio, che ha ricordato «l'importanza degli stage all'estero, per permettere ai giovani laureati di conoscere l'ambiente lavorativo». Troppo spesso c'è un netto distacco tra studi universitari e applicazione concreta. «Ai laureati deve essere data immediatamente l'opportunità di entrare a contatto con aziende e imprese», spiega Anna Maria Aloi, responsabile del settore mobilità didattica internazionale dell'Università cagliaritana. «Il progetto In Time è stato, e speriamo possa esserlo anche nei prossimi anni, uno strumento importante per i neo laureati di iniziare importanti esperienze lavorative». La sinergiaUn progetto che si muove su una sinergia a cinque: i ragazzi, le imprese sarde, quelle estere, l'Università e la Regione. Il programma prevede infatti lo svolgimento di uno stage di sei mesi fuori dai confini italiani, per poi completare il percorso con altri sei mesi in aziende sarde dello stesso settore di quelle estere. Gli attori di "In time" sono i laureati sardi (dei due atenei) da non più di due mesi, di età non superiore a 35 anni con un voto di laurea almeno di 105. Il programma è attivo da due anni, con un reclutamento di 114 giovani, con una netta prevalenza del sesso femminile (78 donne contro 36 uomini), per un'età media, dei partecipanti, di 26 anni. Tra i paesi più gettonati Spagna (38), Francia (21) e Regno Unito (18). «Non si può ancora stilare un bilancio definitivo perché alcuni stanno concludendo il loro programma all'estero e altri in Sardegna», ricorda la Aloi. «È importante evidenziare che 30 ragazzi hanno trovato lavoro all'estero, e 32 in Italia, per una media che supera il 55%». Gli investimentiIl capitolo spese riguarda la Regione: nel 2002 il contributo era di 956 mila euro, sceso a 415 mila nel 2003 e a 411 mila nel 2004. Il finanziamento permette di dare una borsa al laureato di 1.200 euro al mese, se si va all'estero, e di 700 se si resta in Italia. «Il tutto per un costo di 22 mila euro per un posto di lavoro effettivamente creato», evidenzia la Aloi. Cinque gli esempi al meeting. «Mi sono laureata in Lingue, e ho svolto il mio tirocinio in un'azienda di Atene che si occupava di ingegneria meccanica», sottolinea Anna Manunza di Cabras. «Questo mi ha permesso di conoscere un settore diverso dal mio titolo di studio, ma che mi ha appassionato. Ora mi occupo di relazioni con l'esterno per una ditta tedesca». Sulla stessa linea anche gli altri quattro lavoratori nati con In time: Mersia Perra, Alessandro Vitale, Alessandro Collini e Martina Piano. Tra gli interventi, quello di Bernard O'Sullivan, vice presidente della Standard & Poor's, che ha parlato dell'importante azienda che si occupa, in tutto il mondo, di servizi di credito al mercato, con assistenza a banche, grandi aziende e governi. «Utilizziamo lo stage interno per potenziare la nostra impresa», sottolinea l'economista irlandese. «Spesso, valutate le capacità della persona, il tirocinio diventa assunzione». Così è capitato a un sardo, Giovanni Soffietti, ora in busta paga nella Standard & Poor's.
Matteo Vercelli
 
 
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 10 - Cagliari
 ILBONO
 Studenti mobilitati nelle sedi decentrate
  ILBONO. Prosegue la mobilitazione degli studenti della sede univeristaria periferica di Ilbono, dove da qualche anno si tengono i corsi (con l’insegnamento telematico a distanza) per il conseguimento della laurea breve (tre anni) in Informatica. «In seguito a decisioni profondamente opinabili - affermano gli studenti - l’attività didattica sarà svolta nelle sedi periferiche solo per i primi due anni di corso». Il terzo, decentrato sino al 2003, si svolge ora nella sede centrale dell’ateneo cagliaritano.(l.cu.)
 
 
 
4 – La Nuova Sardegna
Pagina 44 - Cultura e Spettacoli
 Il leader dei Ds in tv, ma le cose di sinistra le hanno dette il rettore dell’università romana e un ex Dc
 Fassino? Molto meglio la Luiss
 La debolezza di un riformismo senza un progetto di società
 FLAVIO SORIGA
Di’ qualcosa di sinistra, chiedeva Nanni Moretti a D’Alema in un suo film. Di’ qualcosa di sinistra, e quello, ospite in tv di un qualche dibattito-confronto, quello niente, di sinistra nemmeno un concetto, una frase, un aggettivo, poi la sinistra le elezioni le perdeva, e Moretti, a casa sua a disperarsi davanti alla tv, il regista per disperazione faceva una cosa che mai aveva fatto prima: si preparava e accendeva un gran cannone.
 Fassino ci ha provato, l’altra sera in tv, a dire cose di sinistra, di centro-sinistra perlomeno, riformiste se non altro, progressiste, era lì coi suoi occhiali sul naso, laboriosamente citava dati e dichiarazioni, sudava sul Cuneo Fiscale provando a tradurre finanza e fisco in soldoni comprensibili. Non sono contrario al taglio dell’IRAP, diceva - o forse era l’IRPEF o l’ICI o chissà cosa, noi digiuni di finanza e fisco lì a sforzarci, cercare di capire - Non sono contrario, ma il governo l’ha fatto male, questo taglio - o troppo o troppo poco, chissà com’era - sì, ma: arriva la cosa di sinistra? Forse le ha dette, Fassino, nella sua precisione sabauda da implacabile contabile revisore del Governo per conto dell’opposizione, forse le ha dette, le cose di sinistra, citava recessioni europee meno grigie della nostra, era tutto uno zero-virgola e un uno-virgola, tutto un accavallarsi di numeri che smentiscono e numeretti che precisano. Sì, ma, pensavi da casa soffrendo con lui, sì, ma, di’ qualcosa di più forte, se non proprio di sinistra di’ qualcosa di chiaro suggestivo, e forse le stava dicendo ma non era facile capirlo, ancora Cunei Fiscali e Fiscal Drag e previsioni e occhiali sul naso e dati da leggere - Sarà obbligatorio fare così? Ti chiedevi da casa: sarà obbligatorio tenere questi modi da contabili da zero-virgola, quando si parla di politica in tv, sarà la politica nuova che ci aspetta, ti chiedevi davanti alla tv.
 Il seguito ha dimostrato il contrario, le cose di sinistra sono venute fuori, in effetti, solo, non le ha dette Fassino. Una l’ha detta un democristiano che gli sedeva accanto: bisogna rilanciare una lotta dura all’evasione fiscale, ha detto tutto compito ma deciso. Perché in Italia ha percentuali insostenibili, in Italia c’è un venti per cento di evasione fiscale - ha detto il democristiano con voce beneducata ma convinta. Fassino ha annuito. Certo, giusto - ha provato a ripetere il concetto, ma sembrava un po’ tardi, dopo aver sudato per mezz’ora sul Cuneo Fiscale e sulle detrazioni e sugli zerovirgola degli altri europei. E’ sembrato che il democristiano gliel’avesse scippata, una cosa di sinistra. E un’altra l’ha poi detta un signore che a sentire il suo lavoro l’avresti detto tecnocrate di quelli tutti cifre e liberismo, direttore o presidente dell’università Luiss di Roma, un’università che costa seimila euro all’anno, l’università dei ricchi, dei plutocrati, delle élites, dei superpotenti, così si poteva credere fino all’altra sera, quando invece il direttore o presidente della Luiss ha partecipato a questa trasmissione e ha parlato due volte, e due volte ha detto cose che altro che Fiscal Drag, altro che Cuneo Fiscale: l’Italia è un paese che non produce più classi dirigenti competenti e serie - ha detto il capo della Luiss - i dirigenti del nostro paese prendono una barca di soldi per comandare delle aziende monopoliste, che sfruttano la loro posizione di monopolisti dell’elettricità, della telefonia, dei pedaggi, e più sono protette e monopoliste queste aziende, più soldi pagano ai loro amministratori. Così ha detto nel suo primo intervento il capo dell’università delle élites del nostro paese, e nel secondo ha detto: in Italia non esiste una condivisione di obbiettivi, in Italia non esiste una società che abbia il senso della convivenza, in Italia sta ormai trionfando un egoismo miope, non ci sono progetti sociali condivisi, obbiettivi di benessere sociale per tutti, in Italia trionfa l’egoismo. Così ha detto, più o meno, Fassino ha annuito, Moretti, se era a casa a guardare la tv, deve avere dato fondo alle riserve, o chiamato il fornitore in tutta fretta. Un cannone allegro per questo compagno non sperato, per la politica dei concetti alti, degli obbiettivi e dei progetti forti, un po’ più forti delle cifre da contabile. Un cannone per i compagni della Luiss.
 
 
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
UNIVERSITÀ 
Specializzarsi all’estero e lavorare in Sardegna, per i neo laureati ora è un traguardo possibile
  CAGLIARI. Specializzarsi all’estero e trovare più facilmente lavoro, anche in Sardegna. Sono 114 i laureati sardi che, dal 2003 ad oggi, grazie al progetto “Intime36” sono riusciti a raggiungere questo traguardo. “Intime36” è un progetto dell’Università di Cagliari, finanziato dalla Regione sarda, che permette ai neo laureati di fare uno stage di 6 mesi in un’azienda dei paesi della UE ed, eventualmente, anche un’ulteriore specializzazione di altri 6 mesi presso un’impresa sarda che operi in un settore affine a quello dell’azienda straniera. Un bilancio provvisorio dei primi tre anni di attività è stato fatto nel corso del meeting di due giorni organizzato, a Cagliari, dal settore relazioni estere dell’Università. “Grazie al programma Intime36 i giovani laureati sardi dopo il periodo di specializzazione hanno una concreta possibilità di trovare un posto di lavoro”, ha detto Anna Aloi responsabile delle relazioni estere dell’università. I primi risultati sembrano darle ragione: su 114 laureati che hanno partecipato al programma 62 hanno trovato lavoro (30 all’estero e 32 in Italia). Solo 4 sono ancora alla ricerca di un’occupazione, mentre gli altri devono ancora terminare il periodo di stage. Le facoltà in cui il programma ha avuto più successo sono Ingegneria, Lingue e Scienze. Le mete più ambite sono state Francia, Spagna ed Inghilterra. Più della metà dei partecipanti al programma hanno scelto di continuare il proprio percorso formativo all’interno di un’azienda sarda - “Dobbiamo provare ad incentivare i nostri laureati a compiere questa scelta” - ha detto ancora la Aloi - “è importante che i nostri giovani riportino in Sardegna il nuovo bagaglio di conoscenza che hanno acquisito all’estero”. Tra gli obiettivi futuri ci sono l’incremento del numero delle borse disponibili (nel 2004 sono state solo 30) ed il coinvolgimento nel programma delle aziende del nord Italia. Il meeting è stato anche un’occasione di incontro tra l’università, il mondo dell’impresa e le istituzioni. “Manca nelle imprese sarde la cultura della formazione. Sono poche, e solo le più grandi, quelle che offrono ai neo - laureati la possibilità di fare uno stage in azienda” - ha detto il presidente regionale di Confindustria Gianni Biggio - “dobbiamo lavorare per far crescere nei nostri imprenditori questa cultura, anche perché l’università non dà una formazione sufficiente per l’inserimento immediato in azienda”. Secondo l’assessore al lavoro Maddalena Salerno il programma “Intime36” si inserisce nelle linee guida di riforma del mercato del lavoro che la Giunta regionale intende seguire nel prossimo futuro: “La promozione del capitale umano sarà al centro delle nostre politiche. Attueremo politiche integrate che possano coniugare la formazione professionale e l’istruzione scolastica, faremo un piano per il finanziamento della ricerca ed attiveremo degli strumenti di collegamento tra l’università e l’impresa”. La conferenza verrà chiusa stamattina con la presentazione dei curricula dei laureati ai rappresentanti delle imprese che hanno aderito ad “Intime36”.
Luca Clemente
 
 
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 29 - Sassari
La laurea on line sbarca anche ad Alà dei Sardi 
 ALÀ DEI SARDI. Anche per il Monte Acuto-Goceano arriva la laurea on line. Per il momento l’opportunità, resa possibile dalla convenzione fra il comune di Alà dei Sardi e la facoltà di giurisprudenza di Sassari, è limitata al corso triennale di leggi. Con l’atto appena sottoscritto dal sindaco Francesco Pitzalis e dal preside Giovanni Lubrano, il centro montano diviene sede periferica dell’ateneo, e in tale ruolo, darà modo agli studenti di accedere, grazie all’informatica, a tutti i servizi didattici offerti dalla predetta facoltà.
 Facile intuire i benefici dell’innovazione, attraverso la quale, sarà possibile agli studenti interessati, di frequentare le lezioni del corso senza allontanarsi dal paese d’origine. Con il sistema relazionale della videoconferenza sarà, infatti possibile, oltre che ascoltare, interloquire con il docente e stabilire con lui un contatto continuo. Il progetto “formazione a distanza” arriva ad Alà dei Sardi sulla base dell’esperienza già maturata sia nei comuni di Elini, centrale rispetto a tanti altri piccoli centri dell’Ogliastra, La Maddalena, Budoni, Ghilarza e Tempio, sia in altri atenei della Penisola. Tali sei “centri” rendono possibile la partecipazione alle attività didattiche per tutti coloro che, per motivi diversi, non hanno la possibilità di spostarsi e per coloro che grazie al servizio reso vogliono farne a meno. Le lezioni sono trasmesse mediante videoconferenza. Il docente svolge regolarmente la sua attività in una delle aule della facoltà di Via Mancini e la lezione viene trasmessa in tempo reale in ciascuno dei centri collegati. Al termine dell’esposizione del tema della lezione, il docente resta a disposizione per eventuali domande da parte degli allievi. Vi è da dire che gli studenti dei centri periferici godono della stessa offerta didattica dei colleghi che frequentano la facoltà a Sassari. Nell’incontro in cui si è perfezionata l’adesione di Alà al progetto hanno presenziato i sindaci di Bultei, Andrea Fenu, di Nule, Angelo Crabolu, di Pattada, Fabio Pastorino e il presidente della sesta comunità Maria Antonietta Mazzone. Nel suo intervento d’apertura, Francesco Pitzalis ha spiegato i motivi che l’hanno indotto alla decisione di aderire alla proposta dell’università. Uno fra i tanti di essi, è rappresentato dall’esiguità dei costi a carico del Comune rispetto all’utilità dei servizio reso all’ utenza che proviene dai centri delle aree interne del Nord Sardegna. Interesse e sostegno verso il progetto sono stati manifestati da Andrea Fenu, Fabio Pastorino e da Maria Antonietta Mazzone, che in esso intravedono un importante strumento di crescita culturale e sociale offerto a giovani e meno giovani residenti in aree marginali.
 Gli scopi e le modalità di svolgimento dei corsi sono stati illustrati oltre che dal Professor Giovanni Lubrano, dal funzionario amministrativo dell’ateneo sassarese, Salvatore Dore. (a.f.)
 
 
 
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 43 - Cultura e Spettacoli
Accademici e specialisti ad Alghero Stamane la conclusione dei lavori 
Si conclude stamane nella sala Tarragona del Carlos V Hotel il convegno di tre giorni sul Mediterraneo del Settecento. I lavori, cominciati giovedì nell’aula magna dell’università sassarese, hanno visto finora gli interventi di specialisti italiani e stranieri. Moltissime le comunità accademiche rappresentate: da Roma a Pavia, da Tunisi ad Algeri, da Istanbul a Salerno, da Firenze a Pescara, da Napoli e Padova a Binghamton. I lavori di oggi saranno presieduti da Maria Grazia Bottaro Palumbo, dell’università di Genova. Si parlerà d’igiene e medicina nel Mediterraneo negli ultimi secoli (Daniel Nordman, Parigi), della conversione degli ebrei nella stessa area durante il Settecento (Marina Caffiero, Roma «La Sapienza»), dell’emigrazione ungherese in Turchia (Làzlò Nagy), dell’Egitto nell’immaginario europeo dal Lumi alla Rivoluzione (Luigi Mascilli Migliorini, Napoli «L’Orientale»). Altre relazioni riguarderanno il Mediterraneo e il mondo ottomano, forma dello Stato e rapporti politici (Rachida Tilli Sellaouiti, Tunisi) e il maghrebino nazil Dimashq (Antonio Pellitteri, Palermo). Le conclusioni sono affidate ad Anna Maria Rao, presidente della società italiana di studi sul Settecento. Comunicazioni finali di Nadia Boccara (università della Tuscia), Chetro De Carolis, Luca Lo Basso (Genova), Enrico Nuzzo (Salerno).
 
 
 
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 43 - Cultura e Spettacoli
«Un nuovo Illuminismo per dare risposte all’Europa che cambia» 
In margine al convegno sul Mediterraneo intervista con il grande storico Maurice Aymard
 PIER GIORGIO PINNA
«L’Europa di oggi? Ha bisogno di un altro Illuminismo: dal dialogo tra diverse civiltà possono nascere risposte nuove. Il Mediterraneo? C’è da augurarsi che il confronto per superare le visioni stataliste prosegua ancora e si lavori sempre in questa prospettiva, a partire dal fenomeno immigrazione». Ha le idee molto chiare sul passato, e soprattutto sul futuro, Maurice Aymard, direttore della Maison de sciences de l’homme a l’Ehess, Parigi. Considerato uno dei più grandi specialisti nella storia del Settecento, lo studioso francese parla volentieri, in un italiano perfetto, dei temi d’attualità. E specialmente di alcuni problemi rimasti fondamentali in quello che i Romani chiamavano mare nostrum e che invece è sempre stato un bacino di comunicazione tra popoli. Lo fa, Maurice Aymard, con un’intervista rilasciata durante il convegno internazionale di studi organizzato dalle università di Sassari e Pavia: «Il Mediterraneo, identità e scambi». Lavori che vedono in campo sino a questa mattina, nell’hotel Carlos V di Alghero, luminari della materia arrivati da tanti Paesi.
 - Professor Aymard, fra gli altri obiettivi il dibattito riaperto in Sardegna ha lo scopo di mettere a fuoco le diverse culture del Mediterraneo: in che modo si può raggiungere il traguardo?
 «Noi studiosi tentiamo, in quest’ambito, di rispondere a domande centrate sulle identità come sulle diversità. Uno degli interrogativi è: l’Europa sarà capace di ammettere la Turchia e gli Stati nati nei Balcani dopo la crisi dell’ex Jugoslavia? Un altro: la Ue riuscirà a trovare un equilibrio nei rapporti con i Paesi nordafricani che si sono liberati del regime coloniale soltanto negli anni Cinquanta e Sessanta?».
 - Tutto questo partendo dal Settecento?
 «Certo. Il convegno rientra in una serie d’iniziative di approfondimento. Cerchiamo nel passato situazioni storiche che ci consentano di comprendere appieno certi argomenti, d’individuare le soluzioni migliori per i problemi di oggi. E al riguardo il problema di fondo rimane quello dell’alternativa tra Europa sociale ed Europa liberista».
 - In che modo è possibile far dialogare le diverse esperienze di ricerca in quest’area del mondo?
 «Assistiamo a una piccola rivoluzione nell’approccio ai vari livelli di analisi e valutazione. Si è capito che il quadro nazionale non può essere l’unico riferimento e che, invece, è necessario operare su basi differenziate. Così si è potuto, per esempio, lavorare con microstudi sui villaggi mediterranei superando i confini nazionali. Oppure affrontare la questione degli spostamenti degli ebrei. O scavare a fondo sulla diaspora degli armeni. O, ancora, esaminare in maniera analitica il discorso sulle reti commerciali al di là delle frontiere statali».
 - Una visione della storia dal carattere transnazionale, insomma.
 «E’ così. Si possono studiare le comunità locali, ma nello stesso tempo valutare le prospettive di più ampio respiro. Riallacciando poi tutto al mondo contemporaneo. E’ un approccio al plurale nei confronti dei problemi e dei loro diversi livelli interpretativi, un approccio diventato consuetudine solo negli ultimi 25-30 anni».
 - Si parla d’identità culturali, politiche, sociali, religiose: ci sono aspetti di queste espressioni di una civiltà che nel Settecento erano predominanti?
 
«Il significato d’identità è ambiguo sin dalla sua origine etimologica latina. E’ una parola che da una parte riporta al concetto di idem o uguale, dall’altra parte mira a rimarcare una differenza, a distinguere. Quindi bisogna fare attenzione tra le indagini che mettono in evidenza le forme di una specificità e quelle che tentano al contrario di porre in risalto l’influenza degli scambi, della circolazione delle idee».
 - Ma come ci si può orientare?
 «La lezione che ci è stata insegnata è ancora valida. Ogni civiltà, in sostanza, si distingue per tre fattori. Il primo fattore è ciò che dà agli altri. Il secondo ciò che accetta di ricevere dagli altri. Il terzo ciò che rifiuta».
 - E per quanto concerne l’attualità?
 «A parte alcuni Paesi, le società del Mediterraneo si sono laicizzate poco e relativamente di recente. Oggi le idee religiose cominciano a perdere importanza. Basti pensare ai matrimoni misti, attualmente più frequenti e più accettati nelle famiglie. Ma si fa qui riferimento a fenomeni complessi, caratterizzati da spostamenti e forme di discontinuità».
 - Un discorso che si può approfondire...
 «Sicuramente. Il caso più eccezionale, sotto questo profilo, rimane quello degli abitanti di Malta. Una popolazione di origine tunisina, con una lingua dalla sintassi basata sull’arabo, precocemente cattolica (influenza dovuta anche a un soggiorno sull’isola, in realtà del tutto mitico, attribuito a San Paolo). Insomma, i maltesi da mezzo millennio mostrano come si possa essere allo stesso tempo arabi e cristiani. E lo fanno con tanta convinzione e così grande autonomia che le autorità locali hanno spesso protestato con Roma quando inviava sull’isola vescovi non in grado di parlare l’idioma del posto: “E’ vero che la Chiesa comunica in latino - dicevano -. Ma bisogna che i suoi rappresentanti sappiano dialogare con il popolo nella nostra lingua”».
- Qual è dunque la situazione più generale, oggi?
 «Un esempio significativo che si può collegare positivamente e subito al contesto di cui parliamo è proprio la dimensione catalana di Alghero, la città che ospita il nostro convegno. Ma non va dimenticato come la realtà odierna sia dominata nel Mediterraneo da un altro nodo centrale».
 - Quale?
 «Il fenomeno dell’immigrazione al quale facevo cenno all’inizio. Abbiamo a che fare con migliaia d’individui che un anno dopo l’altro si trasferiscono nei Paesi europei. Tutto questo cambia il mondo. E fa cambiare anche la maniera attraverso la quale le popolazioni che accolgono si ponevano in passato rispetto alle regioni di provenienza dei migranti».
 - Come avviene questa trasformazione?
 «Gli europei vedono arrivare persone di norma più povere di loro, portatrici di una visione che non ha l’Occidente al centro di ogni cosa. Ciò porta a nuove riflessioni sulla loro e sulla nostra storia. E ci conduce esattamente al campo della nostra ricerca».
 - In che senso?
 «Chiarisco con altri due esempi. Oggi i maghrebini mettono in discussione la storia coloniale. E gli stessi greci, per i quali la dominazione turca è stata a lungo considerata una fase talmente nera da far loro di decidere di non prendere in considerazione qualsiasi aspetto la riguardasse, stanno ora confrontandosi con la documentazione e con le fonti storiche ottomane».
 - Quindi, ritornando al fenomeno dell’immigrazione, come si conciliano le situazioni?
 «Si ha da parte di molti la tendenza a vedere in questi flussi una sorta di minaccia. Io credo invece che dovremmo porci innanzitutto alcune domande. Perché i migranti giungono nei nostri Paesi? Che cosa puntano a ottenere? Il trasferimento rappresenta una scelta definitiva o provvisoria? Decideranno di tornare tra la loro gente? Quando avremo dato una risposta a questi interrogativi potremo ragionare meglio».
 - Nel frattempo però qual è la sua opinione sul fenomeno?
 «Non credo che l’immigrazione possa essere proibita. E’ un discorso che penalizzarebbe i migranti. Li costringerebbe a espatriare clandestinamente. Un processo che arricchirebbe soltanto i trafficanti».
 - E allora?
 «Se circolano liberamente le merci, non si può vietare agli uomini di spostarsi almeno con la stessa libertà. In ogni caso, la questione va affrontata anche con politiche di sviluppo riguardanti i Paesi d’origine».
 - Sul piano dell’impegno culturale e civile si avverte così l’esigenza di far maturare un’identità europea aperta alle diverse civiltà. Quale confronto è possibile sotto quest’aspetto?
 «Non è importante che l’Europa si trasformi in uno Stato unico quanto piuttosto ricordare come in Europa la cultura non abbia mai coinciso con le frontiere nazionali. Proprio nel Settecento la musica, la pittura, l’architettura barocca erano in questo continente patrimoni comuni, condivisi: l’Europa occidentale si è sempre identificata con la circolazione delle idee. Oggi, dunque, la nostra vera sfida sarà fare in modo che questo scambio culturale continui su basi di parità, e non più di predominio rispetto agli altri com’è avvenuto in passato».
 - Un traguardo comunque non facile da raggiungere.
 «E’ vero. Ritengo però che l’Europa abbia le potenzialità, le conoscenze, le predisposizioni, le tradizioni per conquistare quest’obiettivo. E’ una scommessa. Ma siamo obbligati a vincerla».
 - Quali le principali differenze tra l’Europa dell’Illuminismo e la realtà odierna?
 «All’Illuminismo hanno dato linfa vitale élites d’intellettuali che hanno potuto godere di grande libertà negli scambi d’idee. Oggi le élites dell’Europa sono solamente tecnocratiche e politiche. Non si è riusciti a creare un vero dialogo con le popolazioni, a far passare certi messaggi. Nell’interesse democratico è un distacco che va superato».
 - Su questi argomenti giova oppure è un limite l’approccio interdisciplinare?
 «Com’è naturale, costituisce un vantaggio. I rappresentanti dei diversi settori di specializzazione, dagli economisti ai geografi, dai sociologi ai filosofi, devono lavorare insieme. E’ indispensabile che tutti comprendano il linguaggio delle altre discipline».
 - Lei, professor Aymard, è stato allievo e collega di Fernand Braudel. Questo grandissimo studioso ha rinnovato la storia valendosi delle altre scienze sociali. E parlato di una «grammatica delle civiltà» precisando come queste siano «spazi, società, economie, mentalità collettive, continuità ...». Qual è la sua opinione?
 «Se da un lato si evidenzia la complessità del fenomeno civiltà, dall’altro si conferma l’esigenza di un rapporto interdisciplinare nei confronti di queste problematiche. Le civiltà non sono blocchi omogenei, al loro interno esistono sempre minoranze. In definitiva, vanno perciò studiate da diversi punti di vista e da una pluralità di soggetti. Solo così sarà evitata una lettura uniformizzante del concetto di civiltà».
 
 
 
9 – La Nuova Sardegna
Pagina 13 - Attualità
Clonato per la prima volta l’embrione umano 
Si cerca di trovare una cura alle malattie degenerative come Parkinson e Alzheimer
Il clone da 36 ovuli di donne sottoposte a fecondazione artificiale 
MONICA VIVIANI
 MILANO. Sono riusciti a clonare un embrione umano. La notizia arriva dall’Università di Newcastle, in Inghilterra, a 24 ore dall’annuncio che un gruppo di scienziati americani e sudcoreani ha prodotto cellule staminali in laboratorio. Lo scopo è identico: curare malattie gravissime.
 Due ricerche diverse, lo stesso obiettivo: la riproduzione in laboratorio di cellule embrionali da cui ricavare cellule staminali per curare gravi patologie. Gli scienziati dell’università di Newcastle sono infatti riusciti a clonare un embrione umano nell’ambito di una ricerca finalizzata a trovare una cura per malattie degenerative come il morbo di Parkinson e l’Alzheimer. La notizia è stata riportata dal quotidiano inglese Guardian: il team coordinato dal dottor Miodrag Stojkovic della Newcastle University e dal professor Alison Murdoch del Newcastle Nhs Fertility Centre era stato lo scorso anno il primo in Europa ad ottenere l’autorizzazione a lavorare alla clonazione terapeutica dall’autorità britannica competente, la Human Fertilitisation and Embryology Authority. Il clone è stato ottenuto partendo da 36 ovuli donati da 12 donne sottoposte a trattamenti di fecondazione artificiale. Il nucleo di ogni ovulo è stato sostituito da una intera cellula staminale umana conservata nella banca britannica delle cellule embrionali umane. Gli ovuli sono stati a quel punto trattati con un piccola scossa elettrica per avviare il processo di crescita.
Da dieci ovuli, i ricercatori sono stati in grado di creare i tre blastociti, cioè embrioni al primo stadio. Il tentativo di estrarre cellule staminali dai blastociti tuttavia non è riuscito: due dei cloni hanno subito cessato di svilupparsi, il terzo ha continuato a crescere, fermandosi però al quinto giorno di sviluppo. L’esperimento, hanno spiegato gli scienziati, è stato fatto per provare che le cellule uovo delle donatrici sottoposte a fertilizzazione in vitro possono produrre cloni. L’esperimento sarà presto pubblicato sulla rivista Reproductive BioMedicine. I ricercatori hanno inoltre ottenuto l’autorizzazione a ricavare cellule staminali da embrionali da persone malate di diabete, seguendo la ricerca pubblicata ieri dai coreani su Science.
Un risultato, che insieme a quello degli scienziati coreani e americani che hanno prodotto le prime cellule staminali «su misura», rappresenta un progresso incredibilmente rapido da quando nel 1998 un genetista britannico isolò le prime cellule staminali embrionali. La prima clonazione di un embrione umano fino allo stadio in cui è possibile prelevare le cellule staminali era stata annunciata nel febbraio 2004 dall’università di Seul. Non è trascorso nemmeno un anno e sono diventate una realtà le prime linee di staminali su misura, annunciate giovedì sulla rivista Science dallo stesso gruppo sudcoreano insieme a colleghi americani. E a rafforzare ulteriormente la sensazione che clonare un embrione umano a scopo terapeutico non sia più un traguardo impossibile c’è anche il fatto che i risultati dell’università di Newcastle e di americani e sudcoreani sono stati ottenuti utilizzato tecniche diverse: i ricercatori coreani hanno preferito seguire la via che nel 1998 aveva fatto nascere Cumulina, il primo topo-fotocopia e in più hanno utilizzato una cellula adulta, gli inglesi hanno seguito la stessa strada che nel 1997 aveva portato alla nascita della pecora Dolly.
 
 

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