Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
03 June 2005
 Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 12 – Lettere
LO SCIOPERO DEI LETTORI /1
Università, esami a rischio
Sono una studentessa di Lingue e Comunicazione dell'Università di Cagliari e, dopo la realizzazione di una tesi sperimentale, pensavo bene di raggiungere il primo traguardo della laurea triennale nella sessione di giugno. Prima però devo sostenere l'ultimo esame di lingua, entro il 13 giugno. Purtroppo è stato indetto uno sciopero dei lettori madrelingua, i quali hanno ben pensato di sospendere tutti gli esami. Ciò significa che se la protesta dovesse protrarsi a lungo non potrò sostenere l'esame mancante e perderei così la possibilità, ma prima di tutto il diritto, di laurearmi in questa sessione, per un motivo che non dipende assolutamente da me. Questa lettera vuole essere una denuncia della condizione attuale in cui si trovano gli studenti universitari sardi, ma anche una richiesta di aiuto affinchè tutto possa risolversi nel più breve tempo possibile. F. T. Cagliari
LO SCIOPERO DEI LETTORI/2.
Ci rimettono gli studenti Sicuramente i lettori avranno le loro ragioni ma alla fine chi ci rimette sono gli studenti. Chissà quando avremo i risultati dello scritto di 2 giorni fa e ciò comporta uno slittamento degli orali. Ma cosa molto più grave è la situazione dei laureandi. Se questo sciopero non finisce presto certi studenti dovranno rimandare la laurea a dopo l'estate. Non è giusto! Ma cosa si può pretendere dall'università italiana? È una vergogna. Sara Cagliari bricky2@hotmail.i
 
 
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 40 – Cultura
Si sta diffondendo una specializzazione molto utile nelle aziende e nel campo sociale
Le nuove professioni: anche in Sardegna il consulente filosofico
Alcuni filosofi scendono dalla torre d'avorio nella quale si sono rinchiusi e si mettono a disposizione dell'uomo. Descritto così, sembrerebbe un evento epocale e in parte lo è. Anche se l'iniziativa è piuttosto datata, il nume tutelare è nientemeno che Socrate, non per questo risulta meno dirompente. Perché parlare di consulenza filosofica, in Italia, è tutto sommato ancora una novità. Figuriamoci a Cagliari dove la sezione sarda dell'associazione Phronesis muove i primi passi da poco meno di un anno e adesso si propone al pubblico con un dibattito. È accaduto qualche giorno fa alla facoltà di Lettere e Filosofia per la presentazione dei due volumi, Parole vane di Andrea Poma e Il pensiero e la vita di Neri Pollastri, entrambi editi da Apogeo. L'origine moderna di questa operazione affonda le radici in Germania, a Bergisch Gladbach, cittadina vicino a Colonia. È qui che nel 1981 Gerd Achenbach per la prima volta al mondo apre uno studio professionale sulla base di un'unica specializzazione: essere filosofo. Un anno dopo sarà fondata la prima associazione di consulenti ancora oggi esistente, racconta nel suo libro Pollastri, che è anche il responsabile nazionale di Phronesis, animatore di una rivista e del "café philo" fiorentino. In Italia, dopo un iniziale periodo di assestamento, il primo convegno di studi sulla materia si è svolto a Catania nella primavera del 2003, alcune Università stanno valutando l'ipotesi di organizzare dei master mentre l'ospedale torinese "Le Molinette" ha inaugurato uno sportello d'ascolto gestito da una filosofa. Il Comune di Firenze ha istituzionalizzato la pratica all'interno dei servizi sociali. Tornando a Cagliari, la formazione per i consulenti è iniziata a febbraio. «La sezione sarda di Phronesis conta 20 iscritti», dice il responsabile dell'associazione locale Massimiliano Zonza, 36 anni, operatore sociale laureato in filosofia. «I corsi dureranno due anni per due giorni al mese. Dopodiché si potrà cominciare l'attività professionale». Agli incontri partecipano 13 persone. Sono insegnanti, operatori culturali, dottorandi di ricerca, quadri aziendali. Tra cui Fabio Mulas, responsabile del customer care di Energit, 35 anni, anche lui laureato in filosofia: «Con la consulenza filosofica cerco di ricondurre il mio percorso lavorativo alla mia formazione culturale. Voglio portare il bagaglio di conoscenze acquisito con questi studi all'interno dell'azienda soprattutto adesso che si registra una richiesta di consulenti anche da parte delle strutture industriali». «Al di là delle mode e delle banalizzazioni, il consulente filosofico svolge un'attività professionale», spiega il docente Giancarlo Nonnoi, che insieme ai professori Maria Teresa Marcialis e Anna Maria Nieddu ha presentato i libri di Poma e Pollastri. «Come ricorda Achenbach, il consulente fornisce supporto, orientamento, aiuto nei processi esistenziali e decisionali senza finalità terapeutiche», continua Nonnoi, «si tratta di una ricerca di senso attorno alle concezioni del mondo che sottopone a indagine critica le nostre esperienze». Marcialis sottolinea «l'esigenza di tradurre la filosofia in pratica» e il ruolo di guida che la dimensione riflessiva può avere per l'uomo: «Dopotutto questo nuovo modo di fare filosofia è anche vecchio. Socrate portava la sua esperienza per le strade di Atene nella vita di tutti i giorni». E a dimostrazione del fatto che la filosofia non conosce confini, al dibattito cagliaritano si è parlato anche del Libro di Giobbe. Di pazienza, giustizia e saggezza. Valori che il filosofo indaga evitando "parole vane". (wa. f.)
 
 
3 – L’Unione Sarda
Pagina 40 – Cultura
Alberto Granese spiega il significato dell'incontro all'università
Parteciperanno protagonisti dei due campi del sapere
Un grande convegno a Cagliari per fare il punto su filosofia e pedagogia italiane alla svolta del secolo. Intervengono pezzi da novanta delle due discipline. Da Evandro Agazzi a Remo Bodei, Carlo Augusto Viano, Enrico Berti, Pietro Rossi. Quasi cinquanta relazioni dal 6 al 10 giugno al polo umanistico di piazza d'Armi, aula magna del corpo aggiunto. Si ricorda così anche la figura del filosofo Alberto Pala recentemente scomparso. A tirare le fila di tutto c'è Alberto Granese, preside della facoltà di Scienze della formazione, istituzione che insieme al dipartimento di Scienze pedagogiche e filosofiche promuove l'iniziativa. Il titolo è "Autonomia ed eteronomia del sapere filosofico nella paideia della globalità". Di cosa stiamo parlando? «Significa che ci poniamo il problema del rapporto tra la filosofia e altri aspetti della cultura e della realtà. Ci chiediamo se la filosofia generi se stessa o se sia generata dall'esterno. Ci interroghiamo sul rapporto che la filosofia istituisce con l'esterno riflettendone alcuni aspetti o condizionandone altri». Quand'è che la filosofia genera se stessa? «Sempre, anche se le concatenazioni dei saperi filosofici sono abbastanza aleatorie. I filosofi non cantano in coro ma ciascuno è solista». E quando è generata dall'esterno? «La misura non può essere determinata, ma gli aspetti della realtà sociale, economica, antropologica sono anche questi sempre il brodo di coltura di una qualsiasi elaborazione filosofica». Perché proprio oggi ci si pone il problema di ripensare la filosofia? «Perché viviamo nell'oggi. Perché la filosofia è un continuo ripensamento e non è mai riuscita ad essere qualcosa di diverso da questo. Oggi anche perché viviamo in tempi di complessità, di multimedialità, di globalità e ci chiediamo se possa esistere una globalità del sapere filosofico o invece una filosofia della globalità». Il convegno intende indagare lo stato dell'arte della filosofia italiana alla svolta del XX secolo. A che punto siamo? La filosofia italiana è promossa o bocciata? «Siamo in una fase in cui la filosofia è fortemente consapevole della sua funzione pratica e della sua valenza formativa pur essendo a volte interessata ad approfondimenti che sembrano allontanarla da esigenze pratiche». La filosofia è pratica? «È essa stessa una pratica teorica. Non è un elemento dissociato dalla pratica che si sforza di entrare in rapporto con il mondo della pratica. Addirittura è un'esigenza che si mette al riparo da un addebito di futilità. La filosofia non si deve né giustificare né delegittimare ma esiste in senso positivo come un oggetto nello spazio. È un'esigenza dell'Homo sapiens». L'uomo ha sempre cercato un senso da attribuire tanto all'universo quanto al vissuto quotidiano. La filosofia può ancora aiutarlo a trovare una strada? «Senza voler eludere la domanda, si potrebbe dire che la filosofia dà risposte ponendo domande. La filosofia tende ad ampliare il campo delle domande. Il senso è qualche cosa che non tanto ha a che fare con un dato strutturale della realtà, quanto con le interrogazioni sulla realtà. La filosofia è una disciplina di interrogazione e domanda che cosa sono la libertà, la persona, la scienza, l'arte. Che cos'è l'apprendimento. Nel proporre risposte amplia il quadro e il contesto delle domande. Nessuno potrebbe mai sognarsi una filosofia definitiva. È come se ci interrogassimo su quando è completa e compiuta una grande città. Quand'è che Parigi sarà completa? Mai». In che rapporto si trova la filosofia con la modernità? «Molta della filosofia con cui oggi si tratta è filosofia della modernità. È filosofia degli ultimi tre o quattro secoli. La filosofia è partecipe attualmente di una serie di riserve sul valore e sul senso della modernità e tende anche a sporgersi sul terreno della postmodernità. Cioè in una realtà umana che non abbia i confini di una razionalità puramente scientifica o della comunicazione universale. Tende a un oltre». Oltre vuol dire postmodernità come superamento della modernità o come altra modernità? «Come ripensamento della modernità qualche volta anche con dei riferimenti alla premodernità. Esiste per esempio una critica della scienza della modernità che in molti casi tiene conto della scienza qual era concepita nella premodernità. La scienza non è soltanto newtoniana ma è in campo per lo meno dai tempi in cui il testo biblico veniva elaborato nei testi sapienziali. La buona filosofia è consapevole che ci deve essere una connessione tra la concezione moderna e quella premoderna della scienza e questo può essere un campo di riflessioni assai fecondo». Come superare e perché superare i confini accademici della filosofia? «Vengono già superati spesso. I filosofi si avventurano in territori che non sono quelli dell'accademia, partecipano a trasmissioni tv, stanno a contatto col grande pubblico. L'esercizio accademico della filosofia può essere complementare con l'esercizio massmediale ma la filosofia non deve cessare di essere una delle colonne del sapere. L'accademia è legittimamente il luogo della filosofia ma non è l'unico luogo». Un altro luogo può essere la consulenza filosofica? «Credo che la consulenza filosofica sia accettabile e positiva non in quanto dà delle risposte al consultante ma in quanto mette il consultante nelle condizioni di trovare delle risposte. In questo senso la filosofia può dire qualche cosa per esempio sul libero mercato o sulla fecondazione assistita. Può dare delle idee e ancora una volta fare delle domande. Quindi sollecitare i singoli a darsi delle risposte». L'educazione ha bisogno della filosofia? «Certamente. Ha convissuto a lungo con la filosofia, da un certo punto di vista ha generato delle filosofie, da un altro è derivata dalla filosofia. L'educazione ha a che fare con tematiche come la persona, lo sviluppo, l'apprendimento, la scienza, la conoscenza, la comunicazione che sono tutti oggetti filosofici. Sulla linea di approfondimento di un discorso pedagogico ci sono punti di incontro filosofici che non possono essere elusi». Questo convegno vuole esserne la riprova? «Il convegno vorrebbe testimoniare l'esigenza che pedagogisti e filosofi hanno di riflettere sull'umanità globale nel terzo millennio e nel nuovo secolo». Come studiare la filosofia oggi? «Intanto cercando di conoscerla, di non orecchiarla troppo e non confonderla con una riflessività pregevole ma bonaria e priva di approfondimenti. Lo studio della filosofia è una condizione della pratica filosofica. Il fine è praticare la filosofia, il mezzo imprescindibile è la conoscenza delle posizioni filosofiche. Non si può fare a meno di ciascuna delle due cose. Studiare la filosofia senza avere interesse per la pratica filosofica è futilmente accademico. D'altra parte pensare di voler costruire una filosofia senza rifarsi a un consolidato della filosofia è velleitario». Chi sono i filosofi? «I filosofi sono grandi solisti del pensiero. Ma molto spesso chiamiamo filosofi anche i cultori delle discipline filosofiche che hanno una collocazione accademica conseguita talvolta all'insegna della casualità. La risposta quindi è multipla. Possiamo considerare un grande solista del pensiero riflessivo che può non essere accademico, un filosofo professionale accademico e il filosofo fai da te che non è da disprezzarsi. Al contrario deve essere visto come una testimonianza del carattere assolutamente esigenziale della filosofia». Un suggerimento ai filosofi? «Attenzione alle tematiche di governo dello sviluppo nella globalità. I filosofi dovrebbero essere operatori della governance della globalità moderna e postmoderna. E per questo dovrebbero avere meno patriottismo e più interproblematicità. Il filosofo è un cultore del pensiero considerato nella sua valenza interproblematica. Quando non è questo rischia di essere un gregario guidato più dalle appartenenze istituzionali che dalle sue vocazioni». Walter Falgio
 
 
 

4 – La Nuova Sardegna
Pagina 32 - Sassari
Laurea per una sanità umana 
Il progetto di due studentesse di Scienza dell’educazione
Discusse le originali tesi sul rapporto degli operatori con i pazienti ricoverati per una degenza meno traumatica 
 OZIERI. L’ospedale “Segni” sede di un progetto di ricerca per la laurea in Scienza dell’educazione. La convinzione che l’umanizzazione dell’assistenza sanitaria sia un processo che deve vedere tutti coinvolti, ovvero non solo il malato ma l’intera società con la sua capacità di intercomunicare, ha motivato due studentesse del predetto corso nell’ateneo sassarese, Margherita Angioni e Chiara Manca, a focalizzare il loro intervento di tirocinio nell’Unità operativa di medicina e chirurgia d’accettazione e di urgenza con degenza e osservazione breve (ex Pronto soccorso) del nosocomio cittadino.
 La finalità del loro percorso è stato rivolto al sostegno morale dei pazienti, in particolar modo di coloro che oltre alla malattia pativano i disagi conseguenti alla ospedalizzazione. L’intervento delle due laureande è stato personalizzato in rapporto alle esigenze del singolo utente, con particolare dedizione per categorie considerate più indifese: gli anziani e i bambini. Un’altra importante missione che le due educatrici hanno portato avanti è stata quella di collaborare con gli operatori del reparto nella creazione di una rete di interventi finalizzati a rendere meno traumatica la degenza. Margherita Angioni e Chiara Manca hanno, in tale contesto, frequentato un corso di formazione a Bologna. Le tecniche di miglioramento apprese, sono state da loro illustrate e divulgate durante un corso di formazione, riconosciuto dal ministero della Sanità, per gli operatori sanitari di tutta l’isola, tenutosi ad Ozieri nell’ottobre scorso. La dedizione verso le problematiche sanitarie delle due protagoniste non si è conclusa con il tirocinio previsto dal corso di laurea. Infatti quel percorso formativo si è rivelato un trampolino di lancio per proseguire nell’approfondimento delle tematiche nelle rispettive tesi di laurea. In tali lavori sono stati analizzati, per l’appunto, dei percorsi di qualità per un’adeguata interazione sia con l’utenza adulta, sia con i pazienti più piccoli, una categoria che richiede una formazione specifica. Tutto ciò è stato possibile anche grazie alla collaborazione con il dipartimento di psicologia e il reparto di pediatria delle cliniche “San Pietro” di Sassari e con l’Unità di Pronto Soccorso di Ozieri. Le due ragazze hanno brillantemente presentato i loro lavori sperimentali alla commissione di laurea della Facoltà di Sassari, che le ha premiate con il massimo dei voti e lode. Il desiderio delle due ragazze è quello di poter proseguire lungo il delicato percorso e di poter fornire ancora un valido contributo a tutti coloro che, nell’ambiente sanitario e fuori, lavorano per migliorare e rendere più umano il rapporto fra gli operatori ospedalieri e il malato.
Angela Farina
 
 
 
5 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Nuoro
L’annuncio durante una cerimonia nell’asilo di piazza Satta: verranno raccolti documenti e testimonianze 
Guiso Gallisai, nasce la fondazione
Una famiglia d’imprenditori che ha fatto la storia della città 
ANTONIO BASSU
 NUORO. Per iniziativa degli eredi Guiso Gallisai, a supporto dell’asilo infantile intitolato al Cavaliere del lavoro don Francesco Guiso Gallisai, sarà costituita una fondazione. Qui saranno raccolti tutti i documenti relativi alle varie attività della famiglia, dalla seconda metà dell’Ottocento alla fine della seconda guerra mondiale. Lo hanno annunciato ieri i nipoti di don Francesco Gallisai, Paolo e Alessandro, che insieme alla madre Donna Enza hanno assistito alla sistemazione dei ritratti dei nonni, Don Francesco e Donna Cicita Pilo Guiso Gallisai, all’ingresso dell’asilo di piazza Sebastiano Satta.
 Il presidente dell’istituzione Giuliano Guida, presenti il consigliere di amministrazuione Pietro Cancellu e la superiora vincenziana Suor Maria Casula, ha auspicato la fattiva collaborazione del Comune, della Provincia, della Biblioteca Satta, di altri enti pubblici e dei privati, per la raccolta di documenti e testimonianze relative alle molteplici attività imprenditoriali della famiglia Guiso Gallisai, che all’inizio del secolo scorso contava, complessivamente, oltre mille dipendenti.
 Fu giudicata, allora, una delle più importanti aziende del Meridione italiano. Si occupava della produzione e vendita dell’energia elettrica, dell’estrazione e lavorazione del talco, di ceramica, agricoltura, produzione e commercializzazione di farina e pasta.
 Come spesso affermava l’allora vescovo di Nuoro monsignor Canepa, i Gallisai si distinsero per l’ottimo rapporto che essi avevano con il personale dipendente e con i nuoresi in generale, preoccupandosi di rispettare il detto che “il bene non fa rumore e il rumore non fa mai bene”. La loro bontà e generosità viene ricordata ancora oggi, soprattutto per le elargizioni nascoste, qualche volta personali, specie durante la guerra.
 Il consiglio di amministrazione dell’asilo infantile, dal canto suo, ha già programmato la realizzazione, nello spazio del cortile interno, di un piccolo anfiteatro, dove i bambini, presenti i genitori, hanno già dato vita a un simpatico concertino e ad alcune brevi recite.
 La storia dell’istituzione infantile nuorese, che ormai ha un secolo, è stata al centro delle attenzioni delle facoltà universitarie di Cagliari e Sassari. Le ultime tesi di laurea in scienze dell’educazione sono state consegnate alla famiglia Guiso Gallisai proprio recentemente. Sono quelle di Nicole Gaias (Storia dell’asilo infantile Guiso Gallisai di Nuoro, dall’unità d’Italia alla II guerra mondiale) e di Francesco Patteri (Ispirazioni pedagogiche e pratiche didattiche nell’asilo Guiso Gallisai, dalle origini a oggi). Relatore per entrambe il professor Fabio Pruneri della facoltà di lettere e filosofia.
 L’asilo nacque nel 1869, grazie alla collaborazione dell’arciprete Ciriaco Pala e del sottoprefetto del Circondario. Il consiglio comunale, all’unanimità di voti, dette il proprio consenso all’apertura dell’asilo, concorrendo alle spese di primo impianto. Il clero nuorese, comunque, ebbe un ruolo importante nella sua storia, essendo state sempre coinvolte diverse figure religiose nella direzione, nella presidenza e nella sorveglianza. L’asilo nacque, con regio decreto del 13 febbraio 1870, come ente morale. Dapprima fu intitolato alla Regina Margherita e solo dal 1915 a Don Francesco Gallisai.
 
 
 
6 – La Nuova Sardegna
Pagina 31 - Sassari
«Full immersion» di studio 
L’attività pratica degli studenti di Scienze ambientali
  ALGHERO.Si è conclusa anche quest’anno la campagna di attività pratiche in mare degli studenti che frequentano il corso di laurea in Scienze ambientali e delle produzioni marine, attivo nel polo universitario di Alghero e che ha già prodotto i primi laureati. Attività pratiche per la maggior parte subacquee, che costituiscono la naturale integrazione pratica ai corsi di Rilevamento e significato dei dati fitoplanctonici e zooplanctonici. I corsi sono stati tenuti dai docenti Giulia Ceccherelli e Isabella Milella.
 Gli studenti, appartenenti all’ultimo anno del corso di studi, hanno potuto sperimentare sul campo le conoscenze teoriche acquisite anche per quanto riguarda la stima dello stato di salute della Posidonia oceanica. Sono stati svolti campionamenti per quanto riguarda la diversità specifica su substrati duri, sia raccogliendo gli organismi zooplanctonici che eseguendo censimenti visivi in habitat da conservare. I metodi acquisiti dagli aspiranti biologi marini sono stati quelli utilizzati nei programmi di monitoraggio delle zone costiere e nelle valutazioni dell’effetto di protezione delle Aree marine protette. La campagna di immersioni attività pratiche in mare si è svolta a Capo Galera all’interno dell’omonimo diving center che ha offerto agli universitari supporto logistico, attrezzature subacquee e locali per le attività di laboratorio su campioni freschi. Le immersioni si sono svolte tra Capo Galera e Punta Giglio, tra gli angoli della costa dei Corallo tra i più pregevoli e incontaminati. Da segnalare che nel prossimo luglio si svolgerà la quarta sessione di lauree per il corso in scienze ambientali e delle produzioni marine.
 I laureati sono attualmente dieci e si sono costituiti recentemente in associazione, mettendo a disposizione il proprio patrimonio di conoscenze e competenze applicate all’ambiente e al contesto marino. (s.o.)
 
 
 
7 – La Nuova Sardegna
Pagina 31 - Sassari
L’INTERVENTO 
«Accumulo di posidonia, problema per i comuni costieri»
  ALGHERO.Il professor Pietro Melis dell’università di Sassari interviene sulla questione della posidonia spiaggiata portando un contributo scientifico soprattutto in merito al dibattito in corso sul tema della Posidonia oceanica spiaggiata, rifiuto o materia da compostare? Il docente è intervenuto sull’argomento in occasione di un recente convegno organizzato da Legambiente e che aveva per tema proprio l’argomento del trattamento delle più note alghe marine, questione sollevata anche dal sindaco Marco Tedde che ha chiesto al ministero una deroga del decreto Ronchi che le ritiene semplici rifiuti.
 «La Sardegna è circondata dalle praterie di Posidonia oceanica che durante l’autunno perde le foglie vecchie che in parte vengono accumulate come detrito “banquettes” nelle zone costiere, estendendosi per vari chilometri e raggiungendo talvolta diversi metri di altezza. Lo spiaggiamento delle foglie è un fenomeno naturale. La Sardegna con i suoi 1800 km di costa risulta interessata da questo fenomeno. I depositi fogliari rappresentano però solo una minima parte della vegetazione che questa pianta è in grado di produrre durante l’annuale ciclo biologico. Gli accumuli di Posidonia in ambiente terrestre, rappresentano un problema per tutti i comuni costieri in quanto danno luogo a fenomeni putrefattivi che costringono a onerosi interventi di raccolta e smaltimento in discariche. Non tutte le biomasse naturali che vengono prodotte e rilasciate nell’ambiente presentano una valenza economica, ma la possono assumere se opportunamente impiegate. Esigenze di ordine economico ed ambientale impongono un differente utilizzo per la Posidonia, attualmente considerata rifiuto da destinare in discarica. Concependo lo smaltimento è possibile proporre dei sistemi alternativi alla discarica. In tale ottica il compostaggio può costituire un valido strumento di valorizzazione di tali biomasse, conferendo loro un valore aggiunto attraverso la trasformazione in un prodotto commerciabile da immettere sul mercato degli ammendanti organici. Partendo da tali considerazioni la facoltà di Scienze Ambientali e Agrarie dell’Università di Sassari, ha svolto un’ampia indagine scientifica; i risultati sperimentali ottenuti dimostrano la possibilità e la validità sotto l’aspetto tecnico, ambientale ed economico di utilizzare la Posidonia oceanica come componente nelle miscele di compostaggio o direttamente come substrato per colture idroponiche, pertanto le banquettes di Posidonia oceanica spiaggiata non devono essere classificate come rifiuti assimilabili a quelli urbani per due motivi: le banquettes non sono un prodotto di scarto o ciò che residua dal processo di trasformazione di una risorsa in bene materiale, ma rappresentano un materiale organico, costituito da foglie di una pianta marina, che deriva da un naturale rinnovamento della vegetazione, pertanto la qualifica di rifiuto attribuita a questo materiale è impropria, per analogia dovremmo definire rifiuti anche le foglie che costituiscono la lettiera dei boschi; inoltre le banquettes sono suscettibili di essere riciclate in agricoltura trasformate in Compost. Sarebbe pertanto auspicabile la modifica dell’articolo 7 del D. L. 22/97 e riclassificare la Posidonia spiaggiata come “rifiuto compostabile”, questa modifica inciderebbe notevolmente sulla riduzione dei costi di gestione. Per una trasformazione in Compost delle alghe è inoltre necessario modificare la normativa in tema di ammendanti. Attualmente è vietato l’uso delle piante marine nella preparazione di ammendanti organici. Considerata la composizione chimica della Posidonia, non si evidenziano motivazioni che ne possano impedire l’utilizzazione per la preparazione di ammendanti; d’altra parte l’uso agricolo del compost è disciplinato dalle deliberazioni del 27.7.1984 che definiscono la possibilità d’impiego del compost in relazione al contenuto di metalli pesanti sia nel compost che nei terreni che dovranno accoglierlo. Non trova dunque giustificazione l’esclusione delle piante marine nella preparazione degli ammendanti, anche nell’ipotesi di sfavorevole composizione, poichè potrebbero essere impiegate nella miscela di compostaggio in quantità tali che il prodotto soddisfi le imposizioni di legge»
Pietro Melis
 
 
 
8 – La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
Manichini e sala regìa, per diventare dottori veri 
Dal corso di primo soccorso al Cusma, il centro di medicina simulata che è previsto al policlinico
Protocollo tra facoltà e questura per aprire la struttura a volontari e professionisti esterni 
 CAGLIARI. Si chiama Cusma, centro universitario di medicina simulata, nasce da quel travolgente incontro della pratica medica con la teoria clinica e la cura psicologica rintracciabile tutte le volte che un operatore s’imbatte nelle necessità di un primo soccorso ai feriti di un qualunque tipo di incidente. Fortemente voluto dal preside della facoltà di Medicina, il Cusma è figlio di un protocollo d’intesa tra università e questura di Cagliari col benestare del ministero degli interni. Il Cusma, infatti, si propone l’obbiettivo di raggiungere non soltanto gli studenti di Medicina, ma anche gli operatori delle forze dell’ordine, i volontari e professionisti del soccorso, per affrontare l’articolato argomento del primo intervento in tutti i suoi aspetti.
 Tutti i passaggi didattici dovranno essere curati: dalla prima formazione al miglioramento permanente delle conoscenze e delle tecniche attraverso i contatti utili con centri analoghi in altre regioni del mondo. Il Cusma è parte integrante della facoltà di Medicina e svolgerà il doppio compito di presidio della formazione dei medici e poi di braccio della facoltà attivo in vari settori della vita della collettività. «E’ la facoltà di Medicina che va nel territorio e porta ciò che occorre a operatori di altre discipline», ha spiegato in estrema sintesi alcuni giorni fa (alla giornata della ricerca scientifica) il preside della facoltà, Gavino Faa, che ha presentato il centro di Medicina simulata come un’avanguardia della didattica.
 Perché dalle idee e dall’impegno dei docenti, Antonio Marchi, docente universitario e Antonio Satta, ispettore della polizia di Stato, inseriti nella cattedra di anestesia e rianimazione diretta da Gabriele Finco, è emersa la possibilità di progettare e far crescere il primo centro italiano di medicina simulata, strutturato perché gli studenti possano trovarsi nelle condizioni che mille volte dovranno affrontare quando, per esempio, freschi di laurea, entreranno in una guardia medica. L’uomo che sembra non respirare più, il ragazzo malamente ferito in un incidente stradale, il rocciatore sprofondato in un burrone, la bambina caduta da una scala, l’operaio ustionato: il centro di medicina simulata sarà come un percorso a ostacoli con manichini estremamente sofisticati telecomandati a distanza dai docenti in un’altra stanza i quali provocheranno nei «pazienti» le situazioni e le complicazioni descritte nei manuali e che la realtà proporrà di continuo con intrecci che, così, a freddo, neppure sono immaginabili. Gli studenti dovranno affrontarli in una simulazione, efficace al punto che il paziente-manichino riaprirà gli occhi e riprenderà vita grazie alle buone pratiche messe in atto oppure perderà il battito del cuore e dopo un po’ sarà «morto». Un corso di primo soccorso è già stato fatto con successo per gli studenti della facoltà di Medicina dai professori Marchi e Satta (nei questionari che la facoltà distribuisce agli studenti è stato indicato come il corso più interessante dell’anno), ma nel tempo è emersa la necessità di ampliare la proposta formativa per facilitare il contatto degli studenti con i pazienti e il Cusma risponde a questa e ad altre domande. Il centro funzionerà nella cittadella universitaria di Monserrato. La piantina mostra una serie di stanze disposte in cerchio secondo un percorso logico che nasce dall’esperienza clinica, didattica e professionale dei docenti impegnati a creare la struttura. Un altro aspetto con il quale il primo soccorso deve misurarsi in molte forme e quasi sempre è il contatto umano tra il ferito e i soccorritori e tra questi e i parenti dei feriti. C’è poi anche il ferito che muore tra le braccia dei soccorritori, i parenti arrivano e devono venire a sapere quel che è accaduto cosicché, anch’essi, han bisogno di ricevere la loro parte di attenzione, di sostegno, di intervento medico ma prima di tutto umano.
 Bisogna essere pronti anche a questo e il Cusma intende dedicare momenti didattici alla comunicazione medico-paziente, operatore-familiare dei pazienti. Appuntamento il giorno dell’inaugurazione che, per l’impostazione che avrà il Cusma, potrebbe essere una dimostrazione di primo soccorso.
 
 
 
9 – La Nuova Sardegna
Pagina 19 - Fatto del giorno
Ricerca scientifica e referendum 
 Dalla scoperta del fuoco, quanti incendi quanta distruzione. La scoperta della ruota poi. Da allora, quante carrozze capovolte e macchine distrutte. Per non parlare della disgraziata scoperta del cuscinetto a sfera responsabile degli incidenti stradali e del deragliamento dei treni super veloci e spesso della caduta degli aerei. E perché non ricordare la nefasta scoperta della scissione nucleare che ha portato alla bomba atomica e all’equilibrio del terrore.
 Si provi ad immaginare per un momento se tutto questo non fosse successo. Si vivrebbe ancora nell’era della pietra. Il rovescio della medaglia è leggibile da tutti. Ogni scoperta scientifica porta del male e del bene. Dipende poi dall’uomo farne il giusto uso. Ma non si può a priori avere paura della ricerca, o fare una campagna propagandistica per indurre la gente a diffidare del progresso scientifico o invocare vincoli di legge per vietarla.
 Si hanno tanti esempi nella storia a riguardo, basti ricordare l’abiura di Galileo che ha portato indietro l’orologio della storia, ed ha avviato l’era dell’inquisizione e dell’oscurantismo. Tutte le volte che il potere cerca di vietare la ricerca, l’uomo deve allarmarsi: il pericolo è di un salto indietro nella storia.
 In questo tempo di campagna referendaria sulla procreazione medicalmente assistita i segnali di un rigurgito oscurantista sono piuttosto evidenti. Il tentativo di criminalizzare i ricercatori che aiutano una coppia infertile ad avere un bambino e un bambino sano è di straordinaria gravità. Ciò non dimeno come l’obbligo di impiantare i tre embrioni nell’utero anche di donne a rischio per un concepimento trigemellare. Forse la speranza del legislatore è che almeno un embrione non attecchisca e che quindi muoia. Il vietare per legge la ricerca sulle cellule embrionali e non poter valutare se un embrione è malato o meno è poi un insulto al buon senso.
 Si dice che il mondo della ricerca è diviso fra chi vota «sì» per l’abrogazione e chi vota «no» per il mantenimento della legge. E’ singolare che coloro che sono per il «no», anziché convincere gli elettori a recarsi alle urne per esprimere democraticamente il proprio dissenso all’abrogazione della legge, li invitano ad astenersi. La costituzione ammette anche l’astensione. Niente da dire quindi dal punto di vista formale ma dal punto di vista sostanziale la cosa è diversa.
 Si sa infatti che ad ogni turno elettorale almeno il 20 per cento degli italiani non va a votare, questo viene definito astensionismo fisiologico. Se così fosse, i promotori dell’astensionismo partirebbero già in vantaggio utilizzando a proprio favore quegli elettori che comunque non si sarebbero recati a votare.
 La proposta astensionistica appare quindi proprio in «mala fede». Sebbene alcuni benpensanti definiscono gli astensionisti cronici dei qualunquisti, si è certi che i cattolici non lo sono e che quindi si recheranno alle urne per esprimere in maniera convinta e democratica il proprio voto.
 
Eusebio Tolu
Ordinario di fisiologia umana
presidente commissione ricerca
università di Sassari

 
 
 
10 – La Nuova Sardegna
Pagina 10 - Sardegna
Bioetica: un tema che va al di là della medicina 
Il giurista Francesco Busnelli esperto dell’argomento spiega i dati di una ricerca
I retaggi delle religioni incidono in maniera forte sul dibattito
 AGOSTINO MURGIA
NUORO. Anche se il mondo è strano, a nessun politico, di questi tempi, verrebbe in mente di far decidere al parlamento se l’orbita dei pianeti sia ellittica o circolare, essendo ormai quasi universalmente accettato il fatto che il quesito è squisitamente scientifico, con una sua precisa collocazione. Non così avviene per altri concetti di base: pur avendo il loro fondamento nell’ambito della scienza, per via di una definizione non universalmente condivisa invadono anche il campo giuridico, etico e religioso.
 È una condizione particolare, che raggiunge il suo punto critico nel concetto di «vita» e in quello, direttamente collegato, di «essere umano»: uno «stato» non univoco, ma che varia a seconda dei punti di vista. Da qui le polemiche, le diverse interpretazioni e la notevole difficoltà nell’emanare leggi largamente condivise. La bioetica, disciplina assai giovane, è stata concepita per andare in soccorso del legislatore, anche se quest’ultimo a volte la ignora. In Italia, per la verità, qualche anno fa era stata istituita una commissione che doveva preparare un progetto di legge sulla fecondazione assistita. Presidente era stato nominato il professor Francesco Busnelli - ordinario di diritto civile nell’istituto Sant’Anna dell’università di Pisa - il quale aveva coordinato una èquipe di medici, giuristi, filosofi e psicologi delle più diverse estrazioni. Il gruppo, pur tra mille difficoltà, era riuscito a mettere a punto un documento condiviso da tutti, ma dal 1996 giace in un cassetto del ministero della Giustizia. I risultati di quegli studi - frutto anche di compromessi tra le diverse concezioni ideologiche e religiose - non sono stati neanche presi in considerazione nell’elaborare la legge sulla fecondazione assistita, sulla quale i cittadini sono chiamati ad esprimersi.
 Tra i maggiori esperti di bioetica, il professor Francesco Busnelli è stato invitato dagli ordini dei medici e degli avvocati della provincia di Nuoro a fare il punto della situazione, in particolare in Europa, dove ci si avvia a imboccare una strada autonoma rispetto all’esperienza nordamericana, sino a non molto tempo fa vera e propria scuola ispiratrice.
 «Della cosiddetta bioetica latina - ha detto il professor Busnelli - si cominciano a vedere i frammenti di un mosaico, anche se questo non c’è ancora». Ma l’esigenza di chiarezza è forte: si chiedono risposte certe a domande che riguardano non solo grandi concetti di base, come il diritto all’esistenza, ma anche questioni che - principalmente in campo sanitario - si presentano quotidianamente. Ma il giurista, in situazioni di stallo, non può dare alcuna certezza. In special modo quando la società, evolvendosi, non produce leggi chiare su quesiti che trovano definizioni esclusivamente filosofiche o religiose. Si naviga a vista, nell’incertezza, con conseguenze non prevedibili.
 La necessità di una bioetica autonoma nasce anche dal fatto che in Europa si vanno ormai delineando due linee di pensiero: una orientata verso l’accettazione dei principi della scuola americana, l’altra basata su convinzioni che derivano direttamente dal credo religioso. Il problema fondamentale sta nel vedere sino a che punto i principi giuridici della bioetica nordamericana siano compatibili con quelli della tradizione europea. L’architrave dell’impalcatura messa a punto oltreoceano, infatti, ha connotati molto forti, soprattutto nel principio di autonomia, nel quale ogni individuo è legittimato a darsi norme per la propria condotta. «Questo punto - ha sottolineato il professor Francesco Busnelli - ha ricadute che invadono campi al di là della medicina, come il diritto». In pratica, la bioetica americana ritiene una persona capace di elaborare singolarmente le scelte sulle quali si basa l’autonomia. Se un soggetto - come ad esempio il feto - non ha ancora queste caratteristiche, non ha diritti. La libertà acquisita viene quindi ritenuta capace di fornire in maniera indipendente all’individuo la moralità necessaria.
 Principi con una connotazione forte, che in mancanza di una specifica bioetica europea hanno fatto breccia in Inghilterra, dove è stata stabilita per legge la distinzione tra pre-embrione ed embrione, stabilendo il termine nel quattordicesimo giorno. Da qui l’autorizzazione alla produzione di pre-embrioni destinati alla ricerca. L’ordinamento italiano vietava questa pratica - che va ben distinta dalla donazione degli embrioni soprannumerari per la ricerca - sin da prima che entrasse in vigore la “40”. Una legge sulla quale, anche per via dell’imminente referendum, il professor Francesco Busnelli non si è voluto soffermare. Ha sottolineato però i grandi silenzi contenuti nella normativa, che non dice cosa si deve fare di quegli embrioni - e sono numerosi - che non possono più andare alla ricerca. Eppure si sa che non possono essere conservati a lungo. Indipendentemente dall’esito referendario, quindi, ci sono dei punti, anzi dei grandi vuoti, sui quali il legislatore dovrà necessariamente tornare.
 Il dibattito sulla legge 40, seppur aspro, è comunque servito a ribadire l’esigenza di elaborare un modello bioetico che riesca a dribblare i fondemantalismi religiosi e laici tipici dell’Italia.
 
 
 
11 – La Nuova Sardegna
Pagina 24 - Sassari
Confronto sulla moderna anatomia 
Oggi un simposio di esperti per ricordare la figura di Giovanni Tedde
  SASSARI. Si apre questa mattina nell’aula magna dell’Università (piazza Università) il simposio «Modern trends in Anatomy», organizzato, in ricordo del professor Giovanni Tedde, dal Dipartimento di Scienze biomediche, diretto dal professor Andrea Montella. L’appuntamento vedrà riuniti, insieme al rettore, al preside e ai docenti della facoltà di Medicina dell’Ateneo sassarese, alcuni dei nomi più importanti dell’Anatomia in Italia: Filogamo dell’Università di Torino, Balboni, Gulisano e Orlandini dell’Università di Firenze, Marotti di Modena e Riva di Cagliari. Saranno presenti, inoltre, Carlo Ventura, ordinario di Biochimica all’Università di Bologna; Azzena, dell’Università cattolica di Roma; Eugenia Tognotti, storica della Medicina nell’ateneo sassarese.
 I lavori si apriranno stamane alle 9 con i saluti del rettore e del preside della Facoltà di Medicina, rispettivamente Alessandro Maida e Giulio Rosati.
 Svolgerà quindi il proprio intervento, intitolato «De Anatomicae artis utilitate», Eugenia Tognotti, la storica sassarese si intratterrà sulla relazione inaugurale svolta, in occasione della fondazione della disciplina nella Facoltà di Medicina di Sassari, dal docente Felice Tabasso, che esaltò in particolare il ruolo della scienza anatomica nella formazione del medico.
 Il convegno proseguirà quindi con la relazione di Orlandini, che parlerà dell’«Anatomia del cuore» e subito dopo interverrà Carlo Ventura - già docente dell’Università di Sassari - che spiegherà la rigenerazione del tessuto miocardico con cellule staminali umane. Si aprirà quindi la discussione che avrà per moderatori i professori Gian Carlo Balboni e Guido Filogamo.
 La seconda parte del convegno di Anatomia sarà occupata dagli interventi di Marotti («Modalità di trasmissione dei segnali tra le cellule ossee») e di Azzena («Recenti acquisizioni sul differenziamento delle cellule staminali»).
 La chiusura è prevista nel pomeriggio con i lavori del Collegio dei docenti di Anatonia umana.
 Come già detto, il convegno vuole ricordare la brillante figura di studioso del professor Giovanni Tedde, che fu ordinario di Anatomia umana della Facoltà di medicina e Chirurgia e, dal 1983 al 1988, prorettore dello stesso Ateneo turritano.
 Nel 1983 il professor Tedde promosse un programma di revisione dell’organizzazione didattica della Facoltà, nello spirito della nuova legge di riforma. Con l’attuazione della Tabella 18, realizzò, quindi, una profonda innovazione nell’insegnamento dell’Anatonia umana, mettendolo al passo con i dettami del nuovo ordinamento.
 Il professor Giovanni Tedde è stato l’anatomico che più a lungo (per circa diciassette anni), ha insegnato nella Facoltà sassarese, dove ha creato una vera e propria scuola, che ancora oggi fa tesoro dei suoi preziosi insegnamenti.
t. m.
 
 
 
12 – La Nuova Sardegna
Pagina 24 - Sassari
Per gli studenti di Farmacia fine anno con visita in Procura 
 SASSARI. Chiusura d’anno speciale per gli studenti del secondo anno della facoltà di Farmacia, che hanno festeggiato l’ultimo giorno di lezione con una visita alla procura della Repubblica. Trentasette studenti del corso di Farmacognosia, guidati dalla docente Margherita Satta, hanno deciso di fare un regalo al procuratore Giuseppe Porqueddu.
 Gli hanno donato un antico vaso da farmacia, un grande quadro-bacheca con i campioni delle droghe stupefacenti e tossiche, e la foto di una pianta, di proprietà della docente, che da qualche giorno abbellisce l’ingresso del palazzo di giustizia di via Roma.
 «Si tratta di un esemplare di tronchetto della felicità che ha 27 anni di vita - spiega la docente di Farmacognosia Margherita Satta - che mi è stato regalato 20 anni fa da un’amica. Dopo averlo allevato per tanto tempo in casa, le dimensioni raggiunte mi hanno costretto a trovare un’altra sistemazione, che ho individuato nell’anticamera dell’ufficio del rettore dell’università. Ma anche lì gli spazi non erano sufficienti, e la pianta mostrava evidenti segni di sofferenza. Così, ho pensato di chiedere ospitalità al palazzo di giustizia, che ha un ingresso ampio con volte molto alte».
 E gli studenti hanno voluto che il procuratore Porqueddu avesse una foto dello straordinario esemplare che potrà vedere dal vivo tutti i giorni nel grande andito del tribunale, accompagnata da due frasi che racchiudono tutto il significato del gesto: “Affinché la giustizia sia uguale per tutti”, e “Le piante per crescere hanno bisogno di giustizia”. Un simbolo, insomma, della giustizia ma anche della professione dell’insegnante e del rapporto con gli studenti. “Come le piante gli studenti vanno allevati con amore - afferma Margherita Satta - dando loro sostegno, acqua e terra, perché crescano bene, in un ambiente sano”.
 Ai futuri dottori in farmacia il procuratore della Repubblica ha spiegato il funzionamento dell’apparato giudiziario e le vie gerarchiche della giustizia regalando, a sua volta, un’esperienza di grande valenza umana, oltre che professionale. (a.re.)
 
 
 
13 – La Nuova Sardegna
Pagina 3 - Fatto del giorno
Ecco i grandi obiettivi della sanità sarda 
Privilegiare alcune malattie, potenziare servizi e ricerca Dirindin: «Adesso le linee generali, poi i piani di dettaglio»
La bozza preliminare verrà discussa con le parti sociali, poi il via libera 
SIMONA DAMIANI
 CAGLIARI. I grandi obiettivi della sanità sarda e gli strumenti per realizzarli sono contenuti nella «bozza preliminare» del Piano sanitario regionale che ha avuto il via libera mercoledì sera da parte della giunta. Ora l’assessore Nerina Dirindin avrà un mese per le consultazioni, quindi il documento sarà inviato al consiglio regionale per il varo definitivo: forse entro la fine dell’estate. Bisognerà invece attendere ancora qualche mese e in alcuni casi qualche anno per conoscere gli interventi operativi veri e propri, cioé l’esatta vocazione degli ospedali (soprattutto dei piccoli e periferici) e quindi dei reparti, la dislocazione dei posti letto e dei servizi nel territorio, il tipo di rapporto tra cura e prevenzione, la formazione del personale e gli eventuali trasferimenti, la razionalizzazione della spesa, la diminuzione della quota riservata ai farmaci, eccetera, eccetera. Lo ha detto la stessa assessore alla Sanità, ieri mattina, illustrando il Piano assieme al presidente Renato Soru nel corso di una conferenza stampa. «Il nostro modello di pianificazione - ha spiegato - definisce obiettivi generali e azioni prioritarie, rinviando a specifici documenti di attuazione i singoli aspetti di dettaglio. D’altra parte, l’assenza da vent’anni di un Piano sanitario ci imponeva l’adozione di uno strumento snello a partire dal quale si potessero avviare azioni concrete di riordino e riammodernamento dell’intero sistema sanitario della Sardegna». E’ la scelta del «percorso graduale»: puntando a fare tutto in una volta non si potrebbe avviare neanche le azioni per le quali occorre meno tempo di preparazione.
 Il Piano sanitario si riferisce al triennio 2006-2008 (e insieme al Piano sociale approvato dalla giunta a febbraio costituisce il Piano regionale dei Servizi sociali e sanitari) si articola di tre parti. La prima si concentra sugli obiettivi di salute, la seconda propone obiettivi di sistema, la terza individua gli strumenti per il funzionamento del sistema.
 Partire dagli obiettivi di salute, ha detto Nerina Dirindin, significa avere come punto di riferimento i bisogni dei cittadini e non una produzione di servizi fine a se stessa. In questo «il Piano compie scelte precise, ad esempio privilegiando le malattie di cui i sardi soffrono maggiormente o nella cui cura esistono gravi carenze»: nella prima fascia il diabete e le malattie rare, nella seconda fascia le demenze, la scelrosi multipla e le malattie reumatiche, nella terza fascia le malattie cardiologiche e respiratorie, nella quarta fascia i tumori, nella quinta fascia il disagio psichico.
 Ma gli obiettivi, secondo la giunta, sono anche quelli di giungere a un riordino del sistema attraverso il lavoro in rete delle strutture e degli operatori che saranno chiamati a «umanizzare il servizio sanitario». In concreto i cittadini dovranno trovare nel territorio, e non solo negli ospedali, la risposta ai loro bisogni di salute, grazie ad una forte integrazione fra l’offerta dei servizi sanitari e sociali.
 Il Piano propone una strategia per la riqualificazione dei servizi attraverso l’adozione del modello dipartimentale: per la prevenzione (anche veterinaria), per il potenziamento dei servizi extraospedalieri attraverso i distretti, per la razionalizzazione della rete ospedaliera, per l’emergenza-urgenza (riordino del 118 e delle guardie mediche, elisoccorso in tutta l’isola), per la ricerca e lo sviluppo della qualità dell’offerta. E propone il funzionamento in rete degli ospedali secondo il modello «hub & spoke» che prevede la creazione di strutture assistenziali con differenti gradi di complessità: il sistema funziona integrando l’attività di un numero limitato dei centri in cui viene concentrata la casistica più complessa (hub), e i centri periferici (spoke) che trattano la restante casistica. Sotto questo aspetto, il Piano offre una strategia per il riordino della rete ospedaliera che dovrà rispettare gli standard imposti dal governo e arrivare ad un riequilibrio tra i posti letto per acuti e quelli per la riabilitazione e la lungodegenza, questi ultimi giudicate gravemente carenti nonostante la diffusa presenza di patologie croniche e degenerative. La rete tiene conto anche della nascita delle due nuove aziende miste Universitario-Ospedaliere e si propone di compensare gli squilibri di offerta sanitaria nel territorio isolano, ora eccessivamente concentrata sui poli di Cagliari e Sassari.
 Il Piano, ha detto l’assessore, auspica una nuova politica della gestione del personale (sono quasi 22.500 i dipendenti del Servizio sanitario regionale), fotografa la situazione economico-finanziaria e propone un percorso per contenere nel giro di tre anni il disavanzo (per il 2004 è stimato in 215 milioni di euro), soprattutto attraverso la riqualificazione della spesa farmaceutica e l’«appropriatezza» dei ricoveri. Questi dovranno tendere nel triennio allo standard imposto dalla normativa nazionale di 180 per 1000 abitanti: oggi sono 226. Questo - secondo Nerina Dirindin - avverrà attraverso il potenziamento delle attività extraospedaliere, lo sviluppo dell’assistenza domiciliare, la riduzione dei ricoveri impropri.
 Infine, il Piano punta sulla formazione degli operatori sanitari e sulla ricerca, fissa i principi per l’accreditamento delle strutture assistenziali e propone l’istituzione di nuovi strumenti per l’innovazione e la conoscenza, come l’Agenzia regionale per la sanità, l’Osservatorio epidemiologico regionale, il Comitato per la bioetica. Organismi che dovranno fungere da supporto al governo politico ed economico della sanità.
 
 
 
14 – Corriere della Sera
Rapporti difficili con le aziende
L’UNIVERSITA’ E LA RICERCA
«Se in Italia si fa poca ricerca è perché atenei e industria non lavorano insieme. Le aziende dovrebbero mettere a disposizione uomini e fondi». È quello che pensano i rettori delle nostre università e lo hanno detto senza mezzi termini. Garbata, ma perentoria la risposta di Confindustria (Gianfelice Rocca): «C’è qualcosa che non funziona nelle nostre università», e di cose ne elenca tante, dal non saper competere, al non esserci criteri di merito. Chi ha ragione? L’argomento dei rettori è impeccabile, per rilanciare l’economia serve innovazione e per innovare bisogna mettersi insieme, fare «sistema» (oggi si dice così). A Stanford e a Boston è così e a Kyoto e a Londra. È così in Germania dove si sta studiando un progetto che sappia premiare le università migliori. E a Milano? A Milano è diverso. Da noi i ricercatori sono pochi (2,7 su mille che lavorano, contro i 6,2 della Francia e i 5,6 della media europea). Da noi i ricercatori, quelli che sono al primo gradino, hanno in media 50 anni (ma tutti sanno che le idee migliori, in ricerca, vengono a 30). Da noi c’è poca attenzione ai giovani (che faticano, più che in qualunque altro Paese, a trovare un posto e se ci arrivano sono pagati poco). Da noi i docenti stranieri sono un’eccezione.
La nostra università dedica invece energie e fondi a proteggere i suoi docenti che dopo un po’ di anni guadagnano bene, anche se non pubblicano. Ad aumentare sedi e corsi, anche se non servono (però sono cattedre). A dirla tutta, l’industria fa pochissimo per legarsi a questa Università, su questo i rettori hanno ragione. Ma vogliamo dargli torto? Dove l’università è forte l’industria ci mette i suoi laboratori di ricerca (è il caso di Novartis, dal 2002 ha trasferito tutti i suoi laboratori di ricerca a Cambridge, vicino a Boston, anche se costa di più). Lo fanno per essere vicino agli scienziati migliori che certe volte sono italiani, quasi sempre bravi. (A loro andare in America conviene, il sistema là premia i migliori). Per chi pubblica poco, è meglio stare in Italia, si guadagna lo stesso e la cattedra prima o poi arriva. Detto questo, l’industria privata in ricerca investe poco (anche su questo i rettori hanno ragione), e quel poco non basta certo a fare sinergie con l’Accademia. Ma per essere credibili i rettori dovrebbero rifondarla questa nostra povera università e cambiare del tutto le regole. Come? Loro lo sanno benissimo: serve competere per docenti e programmi, serve eliminare i concorsi, togliere valore legale alla laurea, dare di più ai più bravi, far lavorare insieme i gruppi eccellenti e chiudere le sedi dove non c’è buona ricerca. Illudiamoci, per un attimo, che possa succedere. Allora sì che l’industria darà «uomini e soldi» alle università e se non lo farà quella italiana, lo faranno quelle di altri Paesi, dagli Stati Uniti alla Cina. Ma non succederà (quello che si è sentito in questi giorni a Milano non va mi pare nella direzione giusta).
GIUSEPPE REMUZZI
 
 

Questionnaire and social

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