Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
25 June 2005
 Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

  
1 - L’Unione Sarda
Prima pagina
Cagliari. Scoperta dell’Università
Arma più efficace contro l’epatite C
Grazie agli esperimenti effettuati nell’Università di Cagliari, la guerra contro l’epatite C avrà un’arma più efficace. Una nuova molecola, che sarebbe in grado di sconfiggere il virus, è stata scoperta dai ricercatori del Dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche in collaborazione con la Idenix Pharmaceuticals Inc. Dal gennaio del prossimo anno il farmaco, la Valopicitabina, entrerà nella fase sperimentale clinica in Sardegna, dove i malati di epatite sono 50.000. Complessivamente l’investimento dell’industria farmaceutica è stato di 500 milioni di dollari. Una quota spetterà anche all’università cagliaritana.
 
 Pagina 17 – Cagliari
Medicina/1. Molecola capace di sconfiggere il virus scoperta dai ricercatori cagliaritani
Una nuova arma contro l’epatite C
Terapia più efficace per i malati: in Sardegna sono 50.000
Una speranza in più per i circa 50 mila pazienti sardi affetti dall’epatite C, e per gli oltre 170 milioni sparsi nel mondo. Una speranza dal nome complicato come tutti i farmaci che si rispettino, Valopicitabina NM283, e che a gennaio 2006 entrerà nella fase sperimentale clinica, coinvolgendo anche diversi pazienti sardi. L’importante novità per il mondo della medicina, e per i milioni di persone che hanno contratto, nelle varie forme, il virus, è stata illustrata ieri dal binomio che ha coltivato negli anni la scoperta: l’Università di Cagliari e la società biofarmaceutica Idenix, con sede a Cambridge nel Massachusetts, e con due sedi anche a Montpellier in Francia, e a Cagliari, nel polo di Macchiareddu, dove si svolge attività di screening. Un perfetto esempio di fusione tra ricerca scientifica, in questo caso portata avanti dall’équipe del professor Paolo La Colla, del dipartimento di Scienze e tecnologie biomediche dell’ateneo cagliaritano, e mondo dell’imprenditoria, pronto a investire capitali. Con ricadute occupazionali anche per il territorio di Cagliari. Il farmaco «Abbiamo tre molecole in fasi avanzate per la terapia dell’epatite B e C ? ha commentato il presidente e amministratore delegato di Idenix, Jean Pierre Sommadossi ?. Una di queste, l’NM283, nata in collaborazione con l’Università di Cagliari, inizierà la sperimentazione clinica nel 2006. Il farmaco sarà somministrato su circa mille pazienti che non hanno avuto benefici dalla terapia standard». Si calcola che ci siano nel mondo circa 170 milioni di persone infettate, e che quasi cento milioni corrano il rischio di veder progredire la malattia in cirrosi o tumore del fegato. Le aree scelte per la sperimentazione sono gli Stati Uniti e l’Europa, e probabilmente il Giappone: «Tra queste ci sarà anche la Sardegna, vista la presenza di un’importante base operativa», ha confermato il presidente della società biofarmaceutica. L’obiettivo è di quelli che fa ben sperare: «Ci auguriamo che oltre il 30 per cento dei pazienti che assumeranno il farmaco per un anno potranno eliminare il virus», ha detto Sommadossi. In Italia il tre per cento della popolazione è affetto da epatite C, media che si riflette anche in Sardegna: la patologia danneggia lentamente il fegato, fino ad arrivare ai casi più gravi di cirrosi o tumore epatico. Proprio la fase iniziale è quella che meglio si addice alla terapia, non esistendo ancora un vaccino (come nel caso dell’epatite B). Attualmente una delle terapie più utilizzate è l’iniezione della proteina interferone, combinata con la ribavirina. I pazienti hanno notevoli effetti collaterali (depressione, febbre e tremori) e circa il 50 per cento elimina dal proprio corpo il genotipo 1 del virus C, quello più difficile da trattare. La sperimentazione sarà avviata su pazienti affetti proprio dal genotipo 1, e durerà 48 settimane: un gruppo sarà sottoposto a somministrazione del farmaco NM283 e un altro seguirà la terapia standard. La Velopicitabina agisce nel corpo del paziente, bloccando la proteina polimerasi, che il virus utilizza per replicarsi. «Se dovessero arrivare notizie positive dal nostro farmaco, ci aspettiamo che le autorità sanitarie americane ne consentano una rapida approvazione», ha auspicato Sommadossi. Sul progetto lavora da cinque anni il laboratorio cooperativo Idenix ? Università di Cagliari, diretto da Paolo La Colla: «Una collaborazione che ha dato i suoi frutti ? ha spiegato il professore dell’ateneo cagliaritano ?. La ricerca è importante se seguita dall’applicazione. Altrimenti se resta pura conoscenza non serve a molto». La Colla ha seguito le orme di quello che è stato il suo maestro, Bernardo Loddo, tra i pionieri nella virologia: «I suoi insegnamenti non sono stati vani ? ha sottolineato il preside di Medicina, Gavino Faa ?. Spesso l’Università di Cagliari ha visto importanti scoperte, come la prima endoscopia fatta negli anni ?60, non brevettate, e fatte proprie da altri poli scientifici dell’estero. Questa volta gli effetti positivi si registreranno anche nel nostro territorio». Ricadute per la Sardegna «Non tutti i laureati e i dottorandi possono entrare nel mondo dell’Università come ricercatori - ha sottolineato il rettore Pasquale Mistretta -. Questo è un esempio di come si possano avere sbocchi occupazionali dall’incontro tra ateneo e imprese». Lo stesso Sommadossi ha anticipato il potenziamento della struttura cagliaritana che passerà, nel 2006, dagli attuali 15 ricercatori, a 20, «con un’ulteriore crescita nei prossimi anni». Uniti ai 15 ricercatori stipendiati dall’Università, alla fine si ottiene un’attività di ricerca che dà lavoro a 30 studiosi. L’investimento per il farmaco, per la sola fase di sperimentazione clinica, da parte della Idenix, è stato di 500 milioni di dollari. Anche il ritorno economico, una volta che il farmaco diventerà commercializzabile, sarà elevato. E l’Università avrà la sua parte: «Non è ancora stata ufficializzata la percentuale di Cagliari, per la partecipazione nella commercializzazione», ha precisato il presidente di Idenix. «Meglio l’un per cento di molto, piuttosto che il dieci per cento di poco», ha detto La Colla. E inoltre resterà la grande soddisfazione di poter vedere un farmaco, nato dalla ricerca svolta nell’ateneo cagliaritano, diventare una speranza per i milioni di pazienti affetti da epatite C nel mondo. Matteo Vercelli
 
 
 
Pagina 17 – Cagliari
Medicina/2. L’orgoglio del rettore Mistretta per la terza scoperta in pochi mesi
«Un’altra prova di eccellenza dell’Ateneo»
Professor Mistretta: due mesi fa il reagente che permette di estrarre l’oro dai computer vecchi, poi il superconduttore per esperimenti in assenza di gravità, ora addirittura il farmaco contro l’epatite C. L’Università di Cagliari ha deciso di stupire il mondo? «Effettivamente in questo periodo stiamo raccogliendo grossi risultati. Sono i frutti di un lavoro d’équipe che non nasce per caso: c’è dietro l’eccellente apporto delle scuole universitarie. Ed è la dimostrazione che nella ricerca non siamo secondi a nessuno: altrimenti gli americani non verrebbero a proporci, come nel caso di quest’ultima ricerca, di collaborare». In questo caso, significa co-finanziare? «Certo, perché la ricerca ha dimostrato di funzionare anche a livello aziendale. L’altro giorno, a un meeting del Cnr, il nostro Luca Pani è stato chiamato a relazionare sulla Farmanes come esempio di società farmacologica ad alta produttività. E l’industria si sta accorgendo che la sintesi fra pubblico e privato è la soluzione ideale». Perché? «Perché i ricercatori, in molti casi, sono persone già strutturate nell’università. Oppure sono dei giovani che lavorano con grandissimo entusiasmo». Precari. «Ma perché? Se sanno farsi valere, trovano delle possibilità. Magari in pic- cole aziende, in situazioni di spin off». Come si traduce spin off? «È un termine tecnico che designa un innesco operativo di aiuto e slancio per le imprese». Ma la ricerca è uno dei settori più in crisi, in quest’Italia in crisi. O no? «Intanto i ricercatori sardi stanno superando il Tirreno, inteso come barriera psicologica. Sono molto apprezzati all’estero, anche negli Usa: penso alla professoressa Farci, per esempio. Certo il problema c’è. Ma noi, a Cagliari, tra dottorati e assegni e borse di studio siamo in grado di tenere un giovane per sette anni, in qualche caso anche per dieci». E poi? «Poi è vero, la selezione per entrare è durissima. Per un posto si presentano in dieci». E i nove che restano fuori? «Devono cercare altrove. E se hanno capacità, intelligenza, pazienza e disponibilità allo spostamento, trovano». Cervelli in fuga? «Se ne alleviamo molti, di cervelli, non è fuga. Possiamo permetterci di offrire formazione di qualità ad altri: per esempio ai paesi del Nordafrica. Se ministero e Regione fanno la loro parte, si può fare molto». Marco Noce
 
 
2 - L’Unione Sarda
Pagina 17 – Cagliari
Lingue, sessioni di laurea salve
Docenti precettati e sessione di laurea salva. Lo sciopero indetto dai professori e dai ricercatori della facoltà di Lingue e letterature straniere aveva messo a rischio gli esami di laurea programmati per ieri mattina nella ex clinica Aresu. Un breve intervento della presidente della commissione, Laura Pisano, ha chiarito che le lauree si sarebbero svolte. «La preside della facoltà ? ha spiegato Mauro Pala ? ha precettato i docenti, dicendosi comunque solidale con le motivazioni dello sciopero, che continuerà per tutta la durata della sessione di lauree, fino al 29». Sessione comunque salva per la precettazione dei docenti. I motivi della protesta sono noti da tempo, e riguardano il disegno di legge sullo stato giuridico e sul reclutamento dei professori universitari, di recente approvata alla Camera: «Chiediamo concorsi più trasparenti, sicurezza per la carriera universitaria e maggior tutela per chi ha svolto un maggior lavoro», ha sottolineato Pala. Difficile che la protesta vada avanti con forme più eclatanti: la speranza e che si estenda anche nelle altre facoltà. (m. v.)
 
 
3 - L’Unione Sarda
Pagina 9 – Economia
Università-Bankitalia
Confronto sulla crisi economica
L’economia sarda ha il fiatone. La conferma, ieri nella facoltà di Economia dell’Università di Cagliari, dove il nucleo regionale di ricerca economica di Bankitalia ha presentato le note sull’andamento nel 2004. D’intesa con il preside, Roberto Malavasi, presentazione riservata agli studenti dei corsi di laurea specialistica, dottori di ricerca, dottorandi, assegnisti e giovani ricercatori. Risultati negativi per l’economia reale, ma anche finanziaria e creditizia. Sui primi, sottolinea Malavasi, è apparsa chiara «la difficoltà strutturale del settore industriale, pur in presenza di una massa di interventi agevolativi realizzati dagli organismi pubblici regionali e nazionali di entità non trascurabile. Problemi alquanto simili, di tipo strutturale, paiono peraltro confermarsi anche per il settore del turismo». L’immutabilità della struttura produttiva, legata ad aspetti tradizionali e poco innovativi, la polverizzazione del tessuto produttivo e la mancanza di investimenti, in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, «paiono tra le spiegazioni più forti della crisi del sistema. La mancanza di una concreta visione di insieme e di una puntuale capacità di programmazione della crescita sono risultate di tutta evidenza». Sul fronte finanziario, infine, i fattori più critici «paiono a loro volta rappresentati dall’incapacità delle aziende di gestire in modo innovativo la finanza di impresa, anche evidenziata da un loro eccessivo indebitamento a breve termine, spesso solo ottenuto attraverso il rilascio di importanti garanzie».
 
 
 
 
 
4 - La Nuova Sardegna
Prima pagina
Brevettato nell’isola farmaco contro l’epatite C
 
 CAGLIARI. Ha efficacia nel sessanta per cento dei casi di epatite C e la sperimentazione ha avuto un lusinghiero successo, A gennaio partirà la sperimentazione clinica. Il farmaco antivirale è stato messo a punto da una équipe dell’università di Cagliari diretta dal professor Paolo La Colla, ma la ricerca è stata finanziata da una azienda farmaceutica, la Idenix che è proprietaria del brevetto insieme all’ateneo cagliaritano. Al progetto collaborano anche alcuni scienziati delle università di Cambridge (Massachussetts) e Montpellier. I primi risultati della sperimentazione sono stati presentati ieri.
 
 
 
 
Pagina 4 - Fatto del giorno
 Una molecola scoperta dall’équipe del professor Paolo La Colla
 E’ sardo il farmaco contro l’epatite C
 Il composto, testato con successo, sarà venduto in farmacia fra tre anni
 Il brevetto appartiene all’università di Cagliari e alla Idenix Pharmaceuticals Inc.
 ROBERTO PARACCHINI
 CAGLIARI. Sembra un nome in codice, NM283, di quelli usati dagli agenti per criptare i segreti. Invece si tratta della sigla di un nuovo farmaco anti-epatite C. Ma è anche un segreto perchè la formula dell’NM283 è protetta da un brevetto di cui sono proprietari l’università di Cagliari e la società Idenix Pharmaceuticals Inc. I primi risultati della sperimentazione sono stati presentati ieri.
 Per l’esattezza non si tratta ancora del composto che sarà venduto in farmacia ma di una molecola (la valopicitabina) scoperta a Cagliari dall’équipe di Paolo La Colla, direttore del dipartimento di scienze e tecnologie biomediche dell’ateneo, in collaborazione con la Idenix, che sta finanziando le ricerche. Questa molecola si è dimostrata particolarmente attiva verso l’epatite C, dando risultati più che positivi nelle due prime fasi di sperimentazione clinica. Un farmaco infatti, come è stato spiegato da la Colla e da Jean Pierre Sommadossi (presidente e amministratore delegato della Idenix) durante la presentazione dei risultati, nasce sia dalla sintesi di una molecola in grado di aggredire l’agente della malattia (un virus, in questo caso), che da un complesso sistema di sperimentazione clinica. Solo poi si arriva alla registrazione della molecola (o insieme di molecole) che diventerà il farmaco vero e proprio.
 Da gennaio del prossimo anno inizierà l’ultima fase, la terza, di indagine clinica. Il costo complessivo di questo ‘messa a punto’ antecedente alla commercializzazione è di «cinquecento milioni di dollari», ha informato Sommadossi, che ha chiarito che la scoperta è stata resa pubblica solo adesso in quanto i risultati ottenuti sono confortanti. L’altro ieri inoltre è stata inaugurata nella zona industriale di Macchiareddu, a ridosso di Cagliari, il Laboratorio cooperativo Idenix Pharmaceuticals-Università di Cagliari dove lavoreranno i quindici ricercatori pagati dalla Idenix e gli altrettanti stipendiati dall’ateneo, tutti sotto la direzione di La Colla. Al progetto collaborano anche altre due équipe che operano a Cambridge (nel Massachusetts, Usa) ed a Montpellier (in Francia).
 Il farmaco antivirale, somministrabile per via orale, è già stato sperimentato in 350 pazienti americani infettati dal genotipo 1 (un ceppo del virus dell’epatite C particolarmente difficile da curare e molto diffuso negli Usa, in Europa Occidentale e in Giappone). Attualmente questa malattia, che vede interessate in tutto il mondo 180 milioni di persone, è curata con la terapia costituita di interferone peghilato e di ribavirina. Una terapia, questa, che provoca effetti collaterali, come depressione, febbre e tremori, che non si verificano con l’uso della valopicitabina, come dimostrato nei sei mesi della seconda fase di controllo del farmaco.
 Se la terza fase di sperimentazione darà, come sembra, i risultati sperati, vi sarà la registrazione ufficiale e fra tre anni partirà la commercializzazione del farmaco anche in Europa ed in Italia. «Siamo convinti - ha precisato Sommadossi - che l’NM283 abbia buone probabilità di eliminare il virus in oltre il sessanta per cento dei pazienti mai trattati, ma l’obiettivo è quello di azzerare l’agente dell’epatite C in oltre il novanta per cento dei pazienti totali».
 La Colla ha anche sottolineato l’importanza che la proprietà delle scoperte vada protetta (col brevetto): modo per innescare il processo di ricerca e produzione. «In questo modo - ha aggiunto - è possibile avere i fondi per la ricerca sia finalizzata che di base». Il direttore dell’équipe ha anche ricordato gli studi di virologia di Bernardo Loddo, suo maestro, e ribadito che la «la scienza la fanno le scuole di ricerca coi vari collegamenti nazionali e internazionali (tra cui anche con l’equipe di chimica faramaceutica di Sassari, guidato da Giuseppe Paglietti - ndr). Per questo vorremmo un ministero dell’Istruzione e della ricerca più sensibile». Questioni sottolineate anche da Gavino Faa, preside della facoltà di Medicina di Cagliari, che ha ricordato il microbiologo sardo Giuseppe Brotzu (che ha isolato le cefalosporine, il secondo antibiotico dopo la penicellina) e che nei primi anni Sessanta, si è fatta a Cagliari la prima endoscopia a livello mondiale. «Tutte scoperte che, se brevettate, avrebbero portato all’università molte importanti risorse».
 Il rettore dell’ateneo del capoluogo, Pasquale Mistretta, ha evidenziato come con questo progetto e con altri precedenti (sui nuovi materiali), l’università si «apra sempre più al territorio, locale, nazionale e internazionale, pemettendo sviluppi produttivi e occupazionali. Abbiamo, infatti, grossi problemi per l’inserimento lavorativo dei neo laureati e dei ricercatori, ma non tutti possono essere inseriti nel pubblico. Anche per questo è importante operare nei settori di ricerca non solo nel sistema Europa ma anche oltre per indirizzarci verso quei Paesi che puntano sull’alta qualificazione professionale». Mistretta ha poi ricordato come, da questo brevetto arriverà anche una percentuale legata ai guadagni della commercializzazione. Un modo per finanziare ulteriormetne l’attività di ricerca.
 
 
 
 
Pagina 4 - Fatto del giorno
 La grande scuola isolana comincia con Loddo
 
 CAGLIARI. Ieri mattina il nome più gettonato è stato quello di Bernardo Loddo. Lo ha citato Paolo La Colla, il direttore del dipartimento di scienze e tecnologie biomediche, come suo maestro; e il preside della facoltà di Medicina, Gavino Faa, come capostipite di tanti studiosi. E hanno ragione entrambi: senza Loddo la giornata di ieri mattina, con la presentazione di un nuovo e importante farmaco sull’epatite C, non ci sarebbe stata. Quando il maestro è morto, nel novembre del 1979, La Colla era l’allievo più grande: a 34 anni (e assieme a un gruppo di studiosi ancora più giovani) si è trovato di colpo senza un punto di riferimento e di protezione. Loddo è stato non solo il capostipite di quell’equipe di virologi ma un antesignano nelle ricerche sui virus. Questi microrganismi sono rimasti per tantissimo tempo quasi sconosciuti. La difficoltà derivava dal fatto che si trattava di parassiti obbligati, ovvero di entità che per vivere hanno bisogno di entrare dentro una cellula e di utilizzare i suoi strumenti per potersi riprodurre. Caratteristica che ha reso per anni anche estremamente difficile riuscire a contrastarli. I batteri, a esempio, hanno un loro metabolismo autonomo ed è quindi tutto più facile, ma come combattere chi vive in simbiosi col suo ospite? Il primo a dimostrare che era possibile un’azione inibente’selettiva’ è stato proprio Bernardo Lotto nel 1961. Allievo del microbiologo Giuseppe Brotzu e del farmacologo William Ferrari, il virologo individuò pr primo una sostanza, la guanidina, in grado di inibire il virus senza danneggiare le altre cellule. Fece questi primi esperimenti sul virus della polio. Successivamente elaborò anche un’ipotesi di vaccino anti polio che utilizzava un concetto da lui scoperto e sviluppato: il fatto che anche i virus diventano dipendenti. Ma non ebbe i finanziamenti necessari per gli esperimenti. Loddo si era formato a Cagliari, poi in Francia e dopo negli Usa. Il suo primo maestro era stato Giuseppe Brotzu che nel 1948 isolò le cefalosporine, diventate il secondo antibiotico dopo la penicellina. Fleming, per quest’ultima, ebbe il primio Nobel, ma in Sardegna - a quei tempi - non si sapeva valorizzare il proprio ingegno. La Colla e la sua equipe, grazie alla scuola di Loddo, hanno imparato la lezione: ricerca di base seria e rapporti con chi ti può aiutare ad andare avanti. (r.p.)
 
 
 
 
Pagina 4 - Fatto del giorno
 Con pochi soldi e molte idee: la via cagliaritana ai brevetti
 
 CAGLIARI. Senza più un maestro in grado di guidarli, i giovani allievi del virologo Bernardo Loddo (morto 26 anni fa) hanno puntato su ricerche che permettessero loro di creare dei brevetti importanti, da cui essere finanziati. Ora l’equipe guidata da Paolo La Colla ne ha prodotti diversi, di cui 5 estesi in tutto il mondo. Ieri hanno presentato quello più importante: per combattere l’epatite C. In Sardegna, però, i brevetti sono ancora pochi, anche se qualcosa si muove. L’altro ieri il team del dipartimento di Ingegneria chimica dell’università di Cagliari, guidato da Giacomo Cao, ha informato che lo studio per un superconduttore a base di boruro di magnesia ha ottenuto il brevetto internazionale. Passi avanti, ma insufficienti. Nonostante il parco scientifico e tecnologico, la Sardegna è ancora lontana dai numeri internazionali. Complessivamente in Italia vengono prodotti poco più di 750 brevetti all’anno, dai quali seguono poi applicazioni alla produzione. La Spagna, per citare un paese abbastanza simile, ne deposita duemila all’anno. La Francia, invece, vola a dodicimila, la Germania a quindicimila e la Gran Bretagna a ventimila. Poi vi sono i missili come il Giappone, gli Usa e il Canada. Nel paese del Sol Levante si viaggia attorno ai 125mila brevetti all’anno.
 Che cos’è che non va? Il discorso è complesso: in sintesi si può dire, assieme a Enrico Bellone (direttore di Scienze) che in Italia «la scienza è negata» sia per eredità culturali che per scelte economiche. In ricerca e sviluppo si investe l’1 per cento del prodotto interno lordo, in Francia il 2,04, in Germania il 2,29. In Sardegna, poi, il discorso non cambia e quando si parla di scienza se ne discute solo come applicazione pratica senza capire che senza ricerca di base non cresce nemmeno quella applicata. (r.p.)
 
 
 
 
Pagina 4 - Fatto del giorno
 I sardi colpiti sono 48 mila E nel mondo sono 170 milioni
 
 CAGLIARI. In Sardegna 48.000 persone (il 3 per cento) sono affette da epartite C: l’isola si situa sulle percentuali nazionali. Gli affetti da epatite B, invece, sono l’1,5 per cento. «Ma il grave - spiega Patrizia Farci, direttore del Centro di studio delle malattie del fegato di Cagliari, è la quantità di pazienti infettati che poi cronicizza la malattia: il 5-10 per cento per la B e circa l’80 per cento per la C».
 Inoltre il virus responsabile dell’epatite C è particolarmente difficile da combattere in quanto muta di continuo. Per questo motivo, infatti e contrariamente a quello della B, non è stato ancora trovato un vaccino. Inoltre solo nel 1977 si capì che esisteva anche questo virus, inzialmente chiamato come non A-non B, poi riprodotto solo nel 1989 attraverso tecniche di biologia molecolare, prima di vederlo col microscopio elettronico: fu clonato. Ma questa è un’altra storia.
 La pericolosità dell’agente dell’epatite C deriva dal fatto che dell’80 per cento di infettati che cronicizzano la malattia, il 30-40 per cento evolve verso la cirrosi epatica e forme tumorali del fegato, un 30 per cento resta stabile e altrettando produce forme lievi. «Il che significa - precisa Farci, la cui equipe parteciperà alla terza fase di sperimentazione del farmaco scoperto da Paolo La Colla - che si tratta di numeri molto grandi. Non solo: anche quando viene praticato un trapianto, il virus reinfetta l’organo nuovo. Per questo è importante poter disporre di un farmaco in grado di intervenire».
 Nel mondo vi sono oggi centosettanta milioni di persone contagiate, di cui quattro milioni negli Usa e quattro e mezzo in Europa. In più: sempre in questi due continenti, ben quattrocentomila malati di epatite C non rispondono agli attuali farmaci, mentre sono sensibili a quello brevettato a Cagliari. (r.p.)
 
 
 
5 - La Nuova Sardegna
Pagina 43 - Cultura e Spettacoli
 A Cagliari un seminario internazionale promosso dalla facoltà di architettura fa il punto sul degrado nell’isola
 Centri storici in via d’estinzione
 La necessità di un’azione concreta e capillare della Regione
 
Tra gli esempi citati in negativo il territorio di Pula e la Gallura: «Ormai sono compressi»
 SABRINA ZEDDA
Pietre massicce disposte una sopra l’altra, così, semplicemente, per costruire un’abitazione confortevole. O forse anche un riparo, un ovile, o chissà che altro. Quanti, nei tempi moderni, riescono ancora a cogliere tutta la bellezza di questo tipo di costruzioni, sempre più rare in Sardegna, e a capire che è proprio la loro semplicità a renderle tanto affascinanti quanto caratteristiche? Per cercare una strada giusta che porti a una responsabile valorizzazione di questo patrimonio, accompagnata da conservazione, riuso, e (perché no?) accostamento al moderno, il ministero dell’Università e della Ricerca ha finanziato «Tutela e valorizzazione dell’edilizia di base e dell’architettura regionale: caratteri, tecniche e tipologia», una ricerca ad ampio respiro portata avanti da sei diverse università italiane. Per fare il punto sulla prima fase del progetto, il Dipartimento di Archittettura della facoltà di Ingegneria di Cagliari ieri ha organizzato (proseguirà ancora oggi) un seminario internazionale.
 Speculazioni edilizie, gusto per il moderno che spesso è irresponsabile trapianto di modelli altrui: i mali dell’archietettura pre-moderna sono soprattutto questi. E i risultati sono spesso catastrofici: un patrimonio architettonico che tutto il mondo invidia all’isola messo seriamente in pericolo. Con situazioni limite dove si parla ormai di «grave compromissione».
 Il tema, soprattutto in Sardegna, è quanto mai scottante: scorci costieri che hanno perso la loro identità, case campidanesi, magari ricostruite, che sono solo una brutta copia di quello che furono nel passato, e ancora, elementi dell’architettura agropastorale andati in buona parte distrutti. «Con le nuove linee guida del Piano paesistico la Regione sta cercando di porre rimedio - ha detto ieri Carlo Aymerich, docente alla facoltà d’ingegneria di Cagliari, e coordinatore nazionale del progetto - L’attenzione generale appare però concentrata soprattutto sul problema delle coste». Queste ultime sono forse quelle più a rischio. Aymerich non vuole entrare nei particolari del dibattito strettamente politico, preferisce i fatti nudi e crudi: «Sulla città di Cagliari - dice - piovono tante critiche, eppure ha ancora margini di salvezza: il centro storico, ad esempio, ha grandi potenzialità». Il peggio, osserva il coordinatore della ricerca, si vede nelle zone costiere: «Pula o la Gallura - dice - sono ormai compromesse. Più in generale direi che dove più forte è stata la pressione economica tanto più forte è stata la compromissione delle architetture».
 Quando parla di “architettura” Aymerich intende proprio tutto. Perché su una cosa le università impegnate nel progetto (oltre Cagliari, ci sono anche L’Aquila, Bologna, Bari, Palermo e Ferrara) tengono a sgomberare il campo: architettura ed edilizia non sono fredda tecnica. Riflettono un percorso fatto di storia, costumi, usi, tradizioni, ma anche esigenze, del singolo e della collettività. «Un concetto per me nuovissimo, ma che al momento di proporre la ricerca qualcuno considerava vecchio - ha detto Aymerich - Il problema è che spesso viene considerato più nuovo occuparsi di involucri e di facciate luccicanti». Così, Cagliari s’è occupata di architettura tradizionale dell’isola, raccogliendo, nella prima fase del progetto, che durerà ancora un anno e mezzo, una mole di materiali, qualcuno li chiama «appuntacci», su sistemi abitativi, viari, mura, focalizzando l’attenzione soprattutto sui piccoli centri. Come la Marmilla: «L’impressione - dice Carlo Atzeni, coordinatore di questo segmento della ricerca - è che si tratti di un territorio in cui dominino i caratteri della ruralità e della densità ediliza. In realtà invece il vuoto prevale sul pieno». Se questa è la linea seguita dalla Sardegna, per le altre università il campo d’azione varia, a seconda delle peculiarità della zona. Il confronto è apertissimo, ed esteso anche all’estero: la Spagna ieri ha offerto spunti interessanti, mostrando che nonostante tutto l’architettura tradizionale piace ancora.
 
 
 
6 - La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
 Festa rinviata per i laureandi
 Duecento studenti di psicologia costretti a saltare la tesi
 
 CAGLIARI. Appelli ogni mese e un piano di studi che permetta la convalida di tutti gli esami. Queste le promesse che gli studenti del corso di laurea in Psicologia hanno sottoscritto due anni fa, nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. Ora duecento ragazzi hanno avuto una brutta sorpresa. Una lettera dalla segreteria informa che non potranno discutere la tesi entro il mese di giugno. Per essere in regola devono sostenere ancora dai tre agli undici crediti, l’equivalente di tre esami. E se vanno a informarsi su quali siano le prove da superare, si accorgono che nel loro libretto questi esami figurano già. Hanno cambiato dicitura, ma il programma e i testi sono gli stessi. Un errore che non dipende da loro e ora chiedono ai responsabili di trovare una soluzione per risolvere l’impasse. Per questo hanno incontrato il rettore Pasquale Mistretta e il presidente del corso di laurea in Psicologia, Giorgio Sangiorgi. Insieme hanno cercato di trovare una via d’uscita. “Per il momento siamo soddisfatti - ha detto Fabiola Nucifora, rappresentante degli studenti nel Senato accademico - perché il rettore ha preso l’impegno formale di risolvere il problema degli studenti che hanno transitato dal vecchio al nuovo ordinamento. Saranno passati al vaglio tutti i curricola per capire dove sia possibile spalmare questi crediti eccedenti e dove invece il debito esiste realmente e quindi va colmato”. Chi aveva in programma di laurearsi a giugno dovrà rinviare la festa, però gli studenti potranno discutere la tesi fino al primo di febbraio, quando con la sessione straordinaria terminerà il terzo anno dall’immatricolazione.
 Il rettore ha approfittato dell’occasione per parlare anche della proposta di istituire la facoltà di Psicologia, oltre a quelle di Architettura e Biologia. L’iter è ancora lungo, ma Mistretta prevede di avere il via libera del Senato accademico e del comitato di coordinamento regionale dell’università entro il prossimo mese. Sfumato quindi il desiderio del presidente Giorgio Sangiorgi di ottenere l’investitura il 2 luglio, quando nell’aula magna di Sa Duchessa si incontreranno per la prima volta a Cagliari in un convegno, i presidi di tutte le facoltà italiane di Psicologia. (c.p.)
 
 
 
7 - La Nuova Sardegna
Pagina 6 - Sardegna
 In un convegno a Olbia tecnici ed esperti auspicano maggiori sinergie
 Nautica, servono progetti integrati
  OLBIA. Il futuro della nautica sarda passa attraverso progetti integrati, capaci di coinvolgere sinergicamente Regione, enti locali, imprese, università e differenti comparti produttivi. E’ questa la linea comune emersa nel corso del forum organizzato dal Consorzio Industriale del Nord-Est dal titolo “La nautica tra storia e innovazione”, che ha riunito allo stesso tavolo i diversi soggetti del settore per cercare di analizzare la funzione che il turismo nautica può svolgere all’interno dell’economia sarda.
 Di fronte alla crescente richiesta di posti per barche di grandi dimensioni la Sardegna, che ne conta 17mila, è al momento incapace di rispondere con un’adeguata offerta: un gap che influisce negativamente anche sulle possibilità di creare nuovi posti di lavoro. «Una portualità che funziona con 700 posti barca - ha spiegato Carlo Marcetti, docente dell’università di Economia di Sassari - porta circa 70-80 posti di lavoro diretti e 130 indiretti». Le richieste di approdi hanno però un carattere puramente stagionale: per favorire il loro allungamento la proposta degli esperti è quella di creare percorsi di integrazione con altri settori, come ad esempio quello del traffico aeroportuale low cost, preparando pacchetti di offerta che includano anche la nautica. Un concetto, quello del sistema tra i vari comparti produttivi, condiviso anche dall’assessore all’industria Concetta Rau. «La Regione sta puntando molto sui progetti integrati - ha detto -. Dobbiamo creare relazioni forti tra territorio, istituzioni e università: la Regione ha le risorse per finanziare progetti di sviluppo, ma sono le imprese il vero valore aggiunto. Sono loro che si devono mettere insieme e presentare progetti credibili».
Serena Lullia
 
 
 
  
08 - Corriere della Sera
Ricerca, inutili le mini-riforme
L’UNIVERSITA’ DA RIFONDARE
Qualcuno avrà visto su Rai3 il programma di Riccardo Iacona «W la Ricerca». Un’inchiesta impietosa ma ben documentata (con qualche pecca). E’ emerso chiaramente che per la nostra università non è più tempo di riforme. Se si vuole competere almeno con le altre d’Europa bisogna rifondarla: sì, farne una diversa. Bastano poche regole, fra l’altro semplici, quelle stesse che hanno fatto grandi le grandi università di Stati Uniti e Inghilterra, ma anche dell’Olanda, della Svezia e adesso della Spagna. Invece da noi, ogni qualche anno, c’è qualche piccola riforma che o non cambia niente o fa peggio. L’ultima, quella sulla carriera dei docenti, non è proprio piaciuta al rettore della Statale di Milano che l’ha definita «scandalosa» e «clientelare». Da noi ci sono troppe cattedre, professori troppo su di età e che (anche quando non pubblicano) sono pagati, dopo 35 anni, di più della maggior parte dei loro colleghi degli Usa. Ma i giovani non hanno futuro, e così i migliori vanno all’estero. E la nuova riforma? Fa ancora più professori («Concorsi riformati, un inutile pasticcio», scrive Roberto Perotti sul Sole 24 Ore ) e niente per i giovani. Se passa, saranno professori («aggregati») i ricercatori, ma anche i tecnici e certi «esperti», promossi tutti, bravi e non (il contratto è per 3 anni, rinnovabili per sempre). Tutto il contrario di quanto hanno chiesto i commentatori più qualificati. E adesso si discute sui concorsi (locali o nazionali, e se i commissari debbano essere estratti a sorte). Ma perché non distribuire i fondi (quelli che ci sono già) a chi la ricerca la fa davvero? Così i concorsi non servirebbero più perché nessuno avrebbe interesse a tenersi docenti locali (il 90% di chi vince un concorso viene dalla stessa università che lo bandisce) o mediocri.
I professori negli altri Paesi vengono pagati in base ai risultati della ricerca, ma da noi sembra che i rettori non abbiano l’autorità per farlo: dipende dal ministro, dicono. Sarà. Ma possibile che in un momento così critico per la ricerca (e cioè per il futuro del Paese) dieci rettori di grande prestigio non possano essere ascoltati dal governo? Basta un’ora. Provate a fargli vedere la videocassetta di Rai3. Forse potreste, invece di chiedergli più soldi, dire che siete tutti d’accordo a dare di più a chi fa più ricerca, e nel chiudere quelle sedi dove di ricerca se ne fa poca o niente. E chiedetegli subito un decreto legge per dare di più ai giovani di valore e ai professori più bravi.
Professor Decleva, lei, l’altro giorno è stato chiarissimo, come nessun rettore prima d’ora. Vada avanti. L’università o si rifonda adesso (nel 2007 andranno in pensione 3 mila docenti, si potrebbero creare adesso le condizioni per assumere senza concorso 3 mila giovani bravi) o c’è il rischio di non riuscirci mai più. Già oggi chi se ne intende (e se lo può permettere) i figli li fa studiare all’estero (come nei Paesi dell’Africa e in quelli arabi, chi può studia in Inghilterra). di GIUSEPPE REMUZZI
 
 
 
09 - Corriere della Sera
IL PAESE SENZA MERITO
di SABINO CASSESE
Il Consiglio dei ministri di ieri ha deciso l’assunzione di 40 mila precari della scuola. Il ministro della funzione pubblica, echeggiando i sindacati - di cui dovrebbe essere la controparte - annuncia un piano di stabilizzazione di tutti i precari del pubblico impiego. La Camera dei deputati approva una legge che assicura riserve di posti, all’università, nelle qualifiche superiori, a tecnici laureati, ricercatori e professori associati. Governo nazionale e giunte locali continuano a usare il cosiddetto spoils system (mentre la Corte costituzionale ha ancora rinviato, questa volta a data da destinarsi, la decisione sulla sua costituzionalità). Questi orientamenti e provvedimenti offendono la professionalità dei corpi dello Stato, minano la sua efficienza, violano il principio di eguaglianza.
La titolarizzazione dei precari prescinde dalle modalità della loro scelta. Delle circa 250 mila persone (ma la cifra potrebbe salire) che prestano la loro attività nel settore pubblico senza un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, molte sono state scelte sulla base di criteri clientelari o senza alcun criterio: che cosa dovranno pensare i funzionari che hanno passato un concorso per entrare e prove selettive per fare carriera, quando vedranno arrivare al loro fianco coloro che sono stati scelti in questo modo? Nelle università, la riserva di una quota di posti oscillante tra il 25 e il 16 per cento nelle carriere superiori a beneficio di chi ha 15 o 3 anni di anzianità nel ruolo inferiore, come sarà considerata dai giovani che hanno vinto per merito e non per anzianità? Infine, il passaggio ai vertici di chi è gradito al politico di turno quale incentivo dà alla professionalità di chi si è preparato, ha fatto concorsi, ha sudato per fare carriera? Sistemazione in ruolo dei precari, concorsi che premiano l’anzianità invece che il merito, nomine politiche e precarietà della dirigenza minano l’efficienza del settore pubblico perché in questo modo si rinuncia a scegliere i migliori, dando un privilegio a chi c’è già, all’anzianità, alle appartenenze politiche.
La prova sta nel ricorso sempre più frequente a consulenze esterne, anche su problemi giuridico-amministrativi, per assenza di risorse interne. Se si fa questo, come si può, poi, coerentemente, chiedere all’amministrazione di essere efficiente? Come può il governo chiedere, a queste condizioni, ai funzionari attuali di sottostare alle procedure di mobilità e di assicurare un aumento della produttività, secondo gli accordi sottoscritti nelle settimane scorse, al momento delle intese sulla copertura dei contratti pubblici? Da ultimo, un sistema che non apre le porte della pubblica amministrazione a tutti i capaci e meritevoli, ma privilegia alcuni soltanto, viola gravemente il principio di eguaglianza. Il blocco dei concorsi tiene fuori della porta i più giovani, mentre si smaltiscono gli arretrati, si promuovono gli anziani e chi ha manifestato fedeltà a questo o quel politico. Intanto, da cinque anni sono bloccati i concorsi per la dirigenza e aumenta progressivamente la spinta per ricorrere ad incarichi esterni.
«Dobbiamo mettere con convinzione meritocrazia e produttività al centro delle carriere del servizio pubblico», ha detto il presidente della Confindustria alla fine di maggio. Gli ha fatto eco, ai primi di giugno, nella «lettera da Creta» il leader dell’opposizione, enunciando, tra i principi per la pubblica amministrazione, «concorrenza e riconoscimento dei meriti per garantire l’efficienza». Il governo, per bocca del ministro per l’Innovazione e le tecnologie, ha dichiarato, il 6 giugno, che occorre «recuperare la competitività del Paese, a partire dalla pubblica amministrazione». L’accordo sui principi c’è. Ma la realtà, sotto la spinta delle elezioni imminenti, va in direzione opposta.
Sabino Cassese
 
 
 
10 - Corriere della Sera
La decisione del Consiglio dei ministri
Professioni, dal governo il primo sì alla riforma Varo definitivo a settembre
ROMA - Tanto fumo ma poco arrosto per la riforma delle professioni. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il regolamento elettorale di otto ordini professionali per assicurare la rappresentanza degli iscritti alla sezione degli albi riservata ai laureati triennali. Era una decisione attesa che riguarda gli ordini degli agronomi e forestali, architetti, assistenti sociali, attuari, biologi, chimici, geologi e ingegneri. Inoltre sono state prese altre due decisioni con due distinti decreti legge: una riguarda l’albo unico tra commercialisti e ragionieri che diventa così realtà, l’altra il riconoscimento alle Regioni della loro competenza sulle professioni non regolamentate. Questo secondo decreto rientra nella cosiddetta «legge La Loggia» (la 131 del 2003) che prevedeva la definizione di una serie di confini giuridici nell’ambito di legislazione concorrente tra Stato e Regioni in virtù della modifica del Titolo quinto della Costituzione. Per dimostrare l’attenzione che il governo ha nei confronti delle professioni, la cui riforma è chiesta a gran voce dalle organizzazioni internazionali come l’Ocse e il Fondo monetario, è stato così deciso di partire da lì.
Anche il sottosegretario all’Università, Maria Grazia Siliquini (An), ha spiegato che «con il nuovo regolamento elettorale degli Ordini professionali il governo ha posto il primo importante mattone di un complesso lavoro di riforma dell’intero sistema professionale». Soddisfatto anche il ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia secondo il quale «forse ai primi di settembre riusciremo a varare definitivamente la riforma delle professioni».
Ma le cose sono un po’ più complicate. In realtà lo schema di riforma delle professioni è di competenza del ministro di Grazia e giustizia Roberto Castelli, che già in occasione del famoso decreto sulla competitività tentò di inserirlo per accelerare i tempi. Tuttavia, su invito del presidente del Senato Marcello Pera che aveva rilevato alcune forzature, il governo decise di stralciare completamente il testo. Castelli stesso, senza mai entrare nei dettagli delle sue affermazioni, disse che non «c’erano le condizioni politiche» per procedere alla riforma. In realtà di testi di riforma ne giravano diverse versioni, una al Senato, un’altra alla Camera e una terza realizzata dall’ex sottosegretario alla Giustizia (ora all’Economia) Michele Vietti.
Lo stesso Raffaele Sirica, presidente del Cup, il comitato che raggruppa i 32 ordini italiani, ieri si mostrava scettico sulla possibilità di arrivare a una riforma compiuta entro questa legislatura.
R. Ba.
 
 
 
 
 
 
 
 

Questionnaire and social

Share on:
Impostazioni cookie