Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
10 July 2005
Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

 
1 – L’Unione Sarda
Pagina 9 – Cronaca regionale
“Come sono i sardi ve lo dico io”
Beppe Severgnini  e il viaggio impossibile nella testa degli italiani
 di GIORGIO PISANO
 L'ultima impresa, probabilmente la più difficile, l'ha portato in abissi infidi e profondi: la testa degli italiani. Visita guidata, la sua, aperta a tutti gli stranieri che arrivano nel Belpaese e vogliono capire. Oltre i luoghi comuni e le leggende che confinano col mito. Beppe Severgnini ha scritto un libro che è una bella foto di gruppo: dentro ci siamo tutti. Ai sardi, che frequenta da trentadue anni, ha dedicato un'attenzione particolare, da viaggiatore rodato e attento. La testa degli italiani, oltre duecento pagine di incursioni folgoranti, ha una dedica che pochissimi potrebbero permettersi: a Indro Montanelli, come d'accordo. Severgnini gli deve molto: grazie ai suoi insegnamenti, è riuscito a decollare diventando in tempi brevi un giornalista di prima fila. Ex corrispondente dell'inglese Economist, editorialista del Corriere della sera da una decina d'anni, nel 2004 ha ricevuto un premio speciale: European journalist of the year. Su Internet gestisce due siti: uno dedicato ai lettori (una legione di fedelissimi), un altro (Italians, chiacchiere varie) che sul fronte degli accessi è secondo soltanto a Dagospia. Per trentotto volte fino ad oggi ha organizzato incontri con connazionali: da Bombay a Boston, pizzate che sembrano una rimpatriata da liceali. Servono per raccontarsi e verificare lo stato di salute psicologica degli italiani all'estero. Quarantotto anni, nordista di Crema, Severgnini è un signore molto, molto anglosassone. Viso sghembo, mascella lievemente dicentrata, pare un ragazzino coi capelli grigi per caso. Nell'84 a Cagliari ha tenuto la sua prima conferenza pubblica seminando qualche brivido: al Rotary, che l'aveva invitato, non s'aspettavano di trovarsi davanti un giovanotto a sfumatura lunga, quasi sulle spalle. Da quella volta è tornato in molte occasioni ma nel frattempo è passato dal barbiere convertendosi in via definitiva a un taglio politicamente corretto. Ha casa nelle vicinanze di Santa Teresa di Gallura, che frequenta da sempre. Di fronte a quel mare che toglie il fiato ha scritto i 45 motivi per cui ama la Sardegna. A cominciare dalle donne sarde che vestono nero da sempre, con grande anticipo «sulle p. r. milanesi della moda». La sua arma è l'ironia. Un'ironia sottile e a crudeltà autolimitata, come la velocità di certe macchine. Dice che non gli piace infierire su chi è in difficoltà. Le critiche: per alcuni, ha il culto della superficialità, un garbo eccessivo che non va mai al nocciolo dei problemi. Starebbe bene in un salotto dove si fa conversazione, il tè, i pasticcini e le signore che ascoltano incantate. Per altri, ha semplicemente scelto di colpire i bersagli con diplomazia. Pagina 89 del suo libro, come spiegare in una frase l'irresistibile successo televisivo di Berlusconi: ...è un commerciante di sogni, abile a trasformare la realtà in spettacolo. Senza conoscerla, ha preso l'America di Norman Rockwell - le tavole imbandite, i vecchietti allegri, le ragazze formose - e l'ha importata, adottata, adattata, svestita e sveltita. Non ci crederete, ma ci siamo cascati. A Cagliari con l'associazione Italia-Inghilterra di Franco Staffa, infaticabile militante culturale, Severgnini parte dalla testa degli italiani e arriva decisamente oltre. Cosa ha imparato da Montanelli? «Mi ha insegnato quello che non si fa, le frasi da non scrivere, gli amici da non frequentare, come evitare i periodi troppo lunghi, gli aggettivi e le bassezze». Così difficile fare il giornalista? «Il nostro mestiere nasce quasi sempre da una vocazione. Se c'è vocazione, bisogna avere anche tenacia e attitudine. Poi, aspettare la fortuna che passa». Montanelli era sensibile all'adulazione: lei? «Purtroppo, anch'io. E quando ad adularti è una bella ragazza di 25 anni, lascia il segno. Per il momento, reggo bene e mi difendo, da vecchio sarà più difficile». Spiegare la testa degli italiani: non ha osato troppo? «Il mio viaggio non è meno complicato di quello di Jules Verne al centro della terra. Tant'è che avverto i miei lettori stranieri con una frase che è diventata un tormentone: are you ready for the italian jungle?, Siete pronti ad affrontare la giungla-Italia?» Conclusione? «Credo che il mio sia un vero ritratto del nostro Paese, ritratto sociale morale economico psicologico. E' molto complicato scrivere tutte queste cose in 250 pagine anziché 2.500». Sono le cose minime a rivelare una nazione? «Sì, a patto che non ci si fermi a quelle. La mia è stata una ricerca entomologica. Flaiano diceva che siamo una collezione: sbagliava? «Sicuramente no. Una collezione interessante e preziosa. Con una differenza: nelle altre collezioni di solito le farfalle non passano il tempo a litigare». Ha scoperto anche un popolo unito? «Un giorno nelle piazze d'Italia ci saranno monumenti a Bossi e Calderoli. E' stata una vera fortuna che a cavalcare il separatismo sia stata gente come loro. In altre mani, potevano essere grossi guai. Bossi e Calderoli sono patrioti involontari». Ricetta nazionale di sopravvivenza. «La solita, fare di necessità virtù. Noi abbiamo intrecci di solidarietà familiare che altrove non esistono. In Norvegia uno che guadagna mille euro al mese, su mille euro deve fare affidamento. In Italia, c'è tuo padre che ti aiuta, i nonni che ti pagano il telefono, una zia che pensa alla macchina...». Siamo bravi, bravissimi. «Abbiamo una formidabile abilità tattica, ma scordiamo la strategia: che futuro avranno i nostri figli?» Giudizio finale? «Le quattro i: intelligenti, intuitivi, intraprendenti. Ma anche lievemente inaffidabili». Italia include Sardegna: com'è? «Dopo la Lombardia, è la regione che conosco meglio. E dico: avete la fortuna di essere stati sfortunati. Il disinteresse dell'Italia nei vostri confronti è evidente, siete stati dimenticati. Grazie a questo però, non avete porti inutili, acciaierie da chiudere, abusi selvaggi». Difatti, non abbiamo niente. «Vero, ma qui non si sono ripetuti certi orrori del Sud. Dunque c'è il tanto per progettare il futuro. In altre regioni devono prima buttar giù tutto e poi ricominciare». Noi chi siamo, nel bene e nel male? «Se aveste la stima che ho io di voi, avreste un grande successo. Dovreste essere meno diffidenti nei confronti del mare, soprattutto a Cagliari dove si può recuperare un bellissimo fronte-porto. Poi c'è altro, molto altro». Di questo ha parlato nell'amichevole intervista sul Corriere a Renato Soru. «Amichevole? Ho l'abitudine di scrivere le opinioni dei miei interlocutori anche quando non mi piacciono. Il fatto è che Soru la pensava esattamente come me: da anni sostenevo che bisognasse preservare le bellezze della Sardegna. Il decreto salvacoste, a patto che non sia eterno, risponde proprio a questa esigenza». Sardegna è anche Porto Cervo. «Non è il mio ideale di vacanze: ci sono le persone che passo l'anno a evitare. Ma se c'è gente che vuol pagare 15 euro un aperitivo, giusto che esista Porto Cervo». Per chi può. «Naturale, ma debbo dire che tutta quella zona mi sembra rispettosa del paesaggio. La Costa Smeralda sta attraversando ora la fase due: andiamo a visitare i luoghi dove passavano le vacanze i vip. Che ora non ci sono più». C'è pure una fase tre? «Sì: le grandi folle che vanno a vedere un posto dove sono stati i loro amici che andavano a vedere i luoghi di vacanza dei vip». Qual è lo scarto temporale tra Sardegna e Lombardia? «Ci sono parti dell'isola che mi fanno pensare al 1975, trent'anni fa. Penso, per esempio, alla regressione turistica di Castelsardo: non c'è più nulla, sparito (causa incendio) perfino l'unico chioschetto della spiaggia. Per gli stranieri è un colpo d'occhio meraviglioso trovare una natura così intatta. Ma i sardi?» Per Cagliari è diverso? «Cagliari ha un futuro meraviglioso se smette di trincerarsi contro il mare. Quello che Renzo Piano sta facendo, con dolore e pazienza, a Genova, qui verrebbe semplicissimo». E' un problema di ignoranza, chiusura mentale? «No, non più. Io incontro sardi in tutto il mondo, prendo la pizza con loro. Medici, chimici, biologi. Le nuove generazioni pensano in modo nuovo, sono stufe di una terra che offre poco». E allora? «La mia sensazione è che in Sardegna stia arrivando un fortissimo scontro generazionale. Ci sarà una rottura, inevitabile e dura. Questi ragazzi non sono più disposti ad accettare le logiche dei concorsi universitari, le tagliole e gli slalom legati a un posto di lavoro». Tutta colpa del regime? «In Italia non c'è regime, semmai una democrazia imperfetta, con l'aggravante che non ammette di esserlo. L'euro ci ha salvato: senza, come sa chiunque segua le vicende europee, saremmo rovinati». Ma lei, che ama fare il grillo parlante, dove guarda? «Sono un senzatetto politico. Potrei votare il centrodestra se non fosse quello che abbiamo in Italia. Del centrosinistra amo invece alcune tematiche sociali». Il rapporto coi politici. «Molto scarso, non li frequento. A quattro soltanto do del tu: Siniscalco e Tremonti (che conoscevo da tempo), Enrico Letta (perché mi sembra un uomo di valore), Veltroni (perché è impossibile dargli del lei). I politici mi considerano in genere inaffidabile. Grazie, è un bellissimo complimento». Qual è la differenza tra leggerezza e superficialità? «La stessa che passa tra il pane carasau e le patatine in busta».
 
 
 
La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
L’INTERVENTO 
Mistretta ancora rettore? La modifica dello statuto è un’oscenità istituzionale
  Elezioni universitarie per il Rettorato. L’argomento? Sempre e comunque, Mistretta Pasquale, il Magnifico, e l’ennesima modifica di statuto che ne permetta la sua rielezione. Forse, però, i problemi sono altri, più gravi, di ordine istituzionale. Vediamone i termini. Il Rettore viene eletto attraverso meccanismi di “democrazia diretta” da un ampio consesso elettorale, dai docenti, dai ricercatori, da una consistente rappresentanza del personale tecnico-amministrativo e di studenti.
 Lasciamo l’Università, andiamo in banca. Immaginiamo per un attimo che il Direttore di quella banca venisse eletto dai suoi dipendenti, al loro interno, “democraticamente”, dai funzionari agli uscieri. Non dobbiamo essere sorretti da un eccesso di fantasia per prevederne i risultati, e, forse, riusciamo a capire meglio anche la questione delle elezioni per la carica rettorale.
 Innanzitutto viene lecita una domanda: come ci siamo arrivati? Forse non sbagliamo se individuiamo la nascita dell’attuale università negli anni sessanta, della democrazia diffusa, degli eccessi di democrazia. Muore l’università dei “baroni”, che si converte, gattopardescamente, ad università sindacal-popolare, del caos amministrativo, delle rivendicazioni di carriera, degli interessi locali, dai docenti al personale tecnico-amministrativo, con il consenso distratto degli studenti ed, attualmente, quello più consapevole dello stesso Ministro berlusconiano, degli ope legis (siamo in periodo pre-elettorale). Il cerchio si chiude. Ed è in questo ambito che può essere inserito, a livello nazionale, anche l’opportuno intervento di Gino Giugni sulla denuncia dei concorsi universitari.
 Cagliari? Il Magnifico, per le sue origini, ha ottima esperienza sindacale: diventa inamovibile. Il passaggio, dai meccanismi di “democrazia diretta” alla demagogia, è breve, ed i risultati prevedibili: cannibalismo accademico ed oscenità istituzionali (non troviamo altre parole per definire la proposta di due successive modifiche di statuto per permettere l’elezione dell’attuale Rettore), oltre il rispetto delle regole di una democrazia compiuta.
 Possiamo prevedere l’intervento dell’Esercito della salvezza sulle norme che regolano l’ufficio rettorale, non più eletto, ma di nomina ministeriale (?) regionale (?), di un comitato di saggi (?).
 Il caso-Cagliari può diventare, a pieno titolo, e responsabilmente, caso nazionale.
Paolo Pani Docente di patologia generale
 
 
 
 
3 - Corriere della Sera
Un saggio ricostruisce il difficile rientro di docenti illustri come Del Vecchio e Terni
Ebrei e università, la crisi dopo il fascismo
Invece che essere facilitato, come sarebbe stato logico attendersi, il rientro dei docenti ebrei nelle università da cui erano stati cacciati nel 1938 fu un «difficile rientro». Per quali ragioni? A rendere difficoltoso il ritorno concorsero molti fattori, ma di sicuro vi contribuirono la lentezza e la riluttanza con cui la società italiana prese coscienza di che cosa fosse stata la persecuzione degli ebrei. Come ha osservato Guri Schwarz, infatti, ognuno era assorbito dalla propria tragedia particolare e dalle vicende terribili che aveva vissuto. Inevitabilmente, pertanto, in una situazione in cui tutti si sentivano dei reduci o degli scampati alla morte, non poteva non esservi che uno scarso interesse per la «specificità del vissuto ebraico». Tanto più che alcuni ebrei apparivano poco propensi a mettere in rilievo la loro presunta diversità e, contestualmente, molti italiani manifestavano una certa ritrosia a riconoscere le proprie colpe verso di loro.
Tenendo conto di questo quadro storico, si comprende meglio la ratio del primo provvedimento emanato per reintegrare i docenti cacciati, che disponeva che la reintegrazione avvenisse «a loro domanda». Una disposizione successiva prescriveva che la riassunzione avvenisse «d’ufficio», ma i professori che erano subentrati ai perseguitati si erano oramai saldamente insediati nelle loro cattedre. Sicché se ne prese atto, con un decreto promulgato nell’aprile del 1945 che stabiliva che al momento del reinserimento, nel caso in cui non vi fossero stati posti disponibili, la riammissione sarebbe avvenuta in «soprannumero».
A riprova di quanto faticosamente la società italiana acquisisse consapevolezza della Shoah si può poi ricordare il fatto che l’ondata epurativa finì per abbattersi anche su taluni docenti ebrei. Infatti, come dimostrano i casi di Tullio Terni e di Giorgio Del Vecchio, raccontati da Roberto Finzi, contava di più essere stati fascisti che essere stati perseguitati da esso. Professore di Anatomia presso l’Università di Padova, allievo di Giuseppe Levi, Tullio Terni era stato un fascista. Sospeso dall’insegnamento per le leggi razziali, Terni era decaduto da socio dell’Accademia dei Lincei il 16 ottobre del 1938. Reintegrato in virtù di una misura legislativa del 12 aprile 1945, era stato radiato con un decreto del 4 gennaio 1946 per la condotta politica tenuta durante il ventennio. Appresa la notizia della radiazione proprio dal suo maestro, Levi, che faceva parte della Commissione d’epurazione dei Lincei, Terni si uccise. E lo fece, significativamente, a un anno di distanza dalla Liberazione, il 25 aprile del 1946, con una fialetta di cianuro che si era procurato ai tempi dell’occupazione nazista.
L’altro caso emblematico è quello di Giorgio Del Vecchio, filosofo del diritto a Roma ed ex rettore dell’Ateneo capitolino. Radiato, come gli altri docenti di origine ebraica, dai ruoli dell’università nel 1938, il 4 agosto del 1944 Del Vecchio ricevette dal ministero della Pubblica Istruzione una lettera di reintegrazione nella cattedra. L’11 settembre ricominciò a insegnare, ma il 18 novembre fu sospeso di nuovo in quanto deferito alla Commissione ministeriale per l’epurazione per «aver attivamente partecipato alla vita politica del fascismo». Del Vecchio presentò ricorso in appello, ma il giudizio non fece in tempo a essere emesso. Con provvedimento del 9 marzo 1945 venne infatti collocato d’autorità a riposo, per la parte «essenziale» avuta, gli scrisse il ministro Vincenzo Arangio Ruiz, alla «fascistizzazione delle università italiane». Ciò era innegabilmente vero, ma era altrettanto vero, come scrisse Del Vecchio nella sua memoria per l’appello, che egli, per effetto delle leggi razziali, aveva subito un ingiusto allontanamento durato sei anni. La Commissione lo aveva riconosciuto, ma di quell’ingiustizia, in realtà, non aveva tenuto alcun conto.


Il libro: «Il difficile rientro. Il ritorno dei docenti ebrei nell’università del dopoguerra», a cura di Dianella Gagliani, Editrice Clueb, pagine 224, 14 (per informazioni, tel. 051 220736)
Loreto Di Nucci
 
 

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