Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
29 August 2005
Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
1 – L’Unione Sarda
Pagina 25 – Cultura
Una strada romana a San Bartolomeo
La scoperta di un cippo viario nei pressi della chiesa riporta l'attenzione su un'area popolata dalla preistoria
La scoperta di due cippi viari nel borgo di San Bartolomeo, a pochi passi dalla parrocchia, aggiunge nuovi tasselli alla conoscenza di quella parte periferica di Cagliari frequentata sin dalla preistoria. Il primo, datato 1868, è probabilmente collegato al rifacimento di un tratto stradale che univa San Bartolomeo a Calamosca. Il secondo, rinvenuto di fronte al cippo piemontese, è ben più antico: tutto fa pensare che risalga all'epoca romana. Nella pietra appena ritrovata si riesce a leggere la scritta "Sulci" ed ora è all'esame degli esperti della Soprintendenza archeologica. I due cippi sono stati scoperti di recente dai soci dell'associazione "Amici di Sardegna" nel corso delle periodiche attività di ricerca e di studio effettuate in numerose località dell'Isola e anche a Cagliari. La scoperta, se avvalorata da ulteriori ricerche, confermerebbe la presenza di una vera rete viaria che collegava il porto di Calamosca con il borgo di San Bartolomeo. Il motivo che determinò la realizzazione di questa strada, molto probabilmente, deve ricondursi al traffico delle merci che venivano scaricate dalle navi che trovavano un approdo sicuro nelle baie di Calamosca e dalla circostanza che in questi colli sono ancora oggi presenti e visibili i segni di antiche cave dalle quali si estraevano dei blocchi di arenaria, tufo e calcaree utili per la realizzazione di numerose costruzioni della Karalis romana. Per l'occasione il parroco di San Bartolomeo don Antonio Sconamila, che tanto sta facendo per valorizzare questo quartiere, ha voluto ricordare che tempo addietro quando si stava ripulendo un cortile interno della parrocchia vennero alla luce numerosi frammenti di pietra lavorata. Tali reperti, secondo gli esperti che hanno avuto modo di esaminarli, erano parti di colonne e di capitelli di epoca romana. «Il ritrovamento del cippo viario - sottolinea padre Sconamila - conferma quanto sostengo da tempo che il borgo di San Bartolomeo esistesse gia in epoca romana». Spetterà ora agli archeologi "ufficiali" della Soprintendenza e dell'Università di dare un'attribuzione sicura ai due cippi, soprattutto a quello romano, e quindi di poter aggiungere un nuovo capitolo sulla storia di Cagliari antica. Che San Bartolomeo fosse un luogo frequentato sin dai primi albori della presenza dell'uomo, era fatto noto sin dall'Ottocento. La presenza di antiche vestigia nell'area di San Bartolomeo e nel colle di Sant'Elia è stata confermata dal ritrovamento, talvolta fortuito e accidentale, di antiche costruzioni, nascoste nel sottosuolo e avvalorata dalle ricerche di valenti studiosi che nel corso di questi ultimi secoli si sono spesso occupati di questa zona, spesso andando a ricercare in angusti anfratti e grotte tracce della prime presenze umane. Tra gli studiosi più noti che scavarono nei campi del borgo, figura per primo il Canonico Giovanni Spano che nella metà dell'Ottocento visitò in lungo e in largo l'intera area. Poi il celebre archeologo Antonio Taramelli che concentrò le sue ricerche nella Grotta dei Colombi, posta fra Cala Fighera e Marina Piccola. Più di recente il professor Enrico Atzeni ha mirato i suoi studi sulle primitive civiltà dell'epoca neolitica, che utilizzarono le grotte e le cavità naturali di cui questa area è particolarmente ricca. «Prima di arrivare alla Chiesa si trova un'antica colonna di marmo con sopra la croce di ferro» scrive lo Spano nella "Guida di Cagliari edita nel 1861: «Questa colonna venne trasportata da San Francesco di Stampace. Antico parimenti è il piedistallo di marmo di Bonaria su cui posa la detta colonna, il quale era un cippo votivo all'Imperatore Claudio Gothico, e sopra vi stava la statua a lui dedicata, come si rileva dalla mutila iscrizione. Il cippo è dimezzato né si sa se sia stato scoperto in quella località, o trasportato da altro sito. È certo, però, che al tempo romano stava colà una parte dell'antica Karalis, giacchè vi si trovano molte monete dell'alto e basso impero, e quando si edificò lo stabilimento dei bagni si scopersero molte fondamenta di edifizj, un acquedotto, e molto prima, un monastero». A questo proposito, bisogna citare anche lo storico Giorgio Aleo che fu tra i primi a segnalare la presenza in questa località di un monastero dei Benedettini, probabilmente ubicato in prossimità della attuale chiesa di San Bartolomeo o sul colle di Capo Sant'Elia. Peraltro, ancora oggi, osservando con attenzione i grossi blocchi di pietra calcarea, sapientemente lavorati che affiorano alla base dell'edificio posto a lato della chiesa, fra la piazza e viale Calamosca, si può ipotizzare la presenza di edifici romani o quanto meno un riutilizzo di materiale lapideo di epoca romana proveniente da edifici non troppo lontani dalla attuale ubicazione. Gli anni passarano e circa un secolo più tardi giunsero le scoperte del professor Taramelli che, soprattutto nella Grotta dei Colombi, scoprì una serie di preziosi reperti dell'era prenuragica, ascrivibili al neolitico antico. Oltre a del pregevole materiale ceramico pare siano state rinvenute anche delle statuette di bronzo, punte di freccia e lance. Alcune caratteristiche di questa grotta sono la grande presenza di guano di colombi, particolarmente apprezzato come fertilizzante, e l'impressionante quantità di ossa umane che si rinvengono. Nel corso della pestilenza che nel 1600 colpì Cagliari molti cadaveri venivano lasciati proprio in questa grotta e portati sopra delle grandi chiatte e, successivamente, anche dal vicino Lazzaretto di Sant'Elia. Dalla stratigrafia del terreno si rilevano una grande quantità di osse umane accatastate. Altre importanti scoperte si devono al professor Enrico Atzeni che ha studiato con attenzione vari ripari sotto la roccia calcarea nei quali, molto probabilmente, i primi abitanti di Cagliari trovarono protezione e rifugio. In questo contesto ha saputo ritrovare le tracce di civiltà antichissime che si cibavano di patelle e di Prolagus Sardus, un particolare tipo di roditore di cui i nostri antenati si cibavano che cacciavano utilizzando strumenti litici, come mazze, frecce e lame in ossidiana. Tracce che risalgono sino a 10 mila anni fa.
Roberto Copparoni
 
2 – L’Unione Sarda
Pagina 13 – Cagliari
Università. Lo scopo: permettere una maggiore fruibilità dei testi da consultare
«Biblioteche aperte anche la notte»
La richiesta al rettore dell'associazione studentesca Aups
L'associazione Università per gli studenti chiederà inoltre che cosa accadrà alla biblioteca biomedica della Cittadella di Monserrato.
Perché le biblioteche universitarie a Cagliari chiudono presto e non aprono mai il sabato sera? Qualcuno potrebbe rispondere che gli studenti studiano poco e che quindi non utilizzerebbero mai le aule e i libri dopo le 20 o nel fine settimana. Invece sono proprio loro a chiedere l'apertura delle biblioteche, almeno una per polo di studi, con orario continuato dalle 8 alle 23, compreso il sabato. Per questo il gruppo Università per gli studenti hanno preparato la loro richiesta e attendono un incontro nelle prossime settimane con il dirigente d'area dell'ateneo. la richiesta«Attualmente - racconta Manuel Floris - l'unica biblioteca a rimanere aperta fino alle 22 è quella di Ingegneria. Le altre chiudono troppo presto, mentre molti ragazzi, soprattutto quelli che arrivano da fuori preferiscono studiare la sera». C'è chi trova maggiore concentrazione proprio la notte: «Personalmente - commenta Giuseppe Frau - riesco a studiare meglio a tarda sera. Sono molti i ragazzi a pensarla come me. Avere un punto di ritrovo anche dopo le 20 sarebbe molto utile. Anche perché in questo modo si potrebbe socializzare maggiormente e avere un momento di confronto in più». Tenere aperte tutte le biblioteche sarebbe troppo costoso: «Non chiediamo - spiegano i due rappresentati dell'associazione studentesca - che restino aperte tutte, anche quelle più piccole, ma soltanto una per polo di studi». Un'altra idea lanciata da Università per gli studenti è quella dell'utilizzo dei ragazzi che vogliono svolgere il servizio civico: «Sarebbe - spiega Fabiola Nucifora - anche un momento di crescita professionale per molti giovani». cittadella di monserratoNelle intenzioni dell'ateneo ci sarebbe quella di chiudere alcune biblioteche dei dipartimenti. È il caso della Cittadella universitaria, dove c'è un bacino di circa sette mila studenti. «Servono tre punti di studio - commenta Floris - e invece si sta pensando di chiudere la biblioteca di biomedica, per crearne una nuova con fisica e chimica. Non sappiamo però di quanti metri quadri sarà: non vorremmo che alla fine gli studenti venissero penalizzati con uno spazio minore. La decisione verrà presa a breve, perché entro l'autunno verrà decisa l'organizzazione del nuovo edificio in via di ultimazione nella Cittadella. Inoltre si creerebbe un disservizio, perché biomedica è diventata un punto di ritrovo. E poi vorremmo sapere dove andrebbero a finire i libri».
Matteo Vercelli
 
3 – La Nuova Sardegna
Pagina 5 - Sardegna
Cargeghe, lo zio d’America e la «Biblioteca di Sardegna»
«Inedita» ha dato vita a una struttura che custodisce seimila volumi di autori sardi, molti dei quali inediti
 C’è chi dà la parola ai vecchi. E lo hanno fatto bene anche qui, con un libro - «Raccontando, storie, fatti e personaggi di Cargeghe» - testimonianze orali «nel rispetto del linguaggio e delle forme sintattiche verbali adottate dagli informatori». Foto antiche di emigrazione e vita campestre, 150 pagine. Ma c’è un fatto nuovo. Questo è uno dei paesi più piccoli della Sardegna, pochi chilometri da Sassari, 620 abitanti, 330 metri sul livello del mare, le case dominate dal costone bianco di Giorrè che sembra una conchiglia che lo protegge, le campagne impreziosite dalla chiesa romanica di Santa Maria di Contra dove i fratelli Taviani avevano girato «Padre padrone» tratto dal capolavoro di Gavino Ledda. In questo scenario hanno voce i vecchi ma anche «i più giovani». Raccontano in un volume «Col naso all’insù» sia Cargeghe che Muros che è a due passi, definiti «nuovi paesi delle Meraviglie, tra versi di favole, filastrocche e poesie declamate dai suoi più giovani abitanti». Mattia Schintu ha scritto: «Caro Muros, sei come il sole che riscalda la Sardegna e le coccinelle ti seguono come passeri». Bianca Ruiu: «Cargeghe è piccolo e ha tanto da mangiare...L’Africa è grande e ha solo riso!».

Dietro queste iniziative c’è il copyright di una associazione privata chiamata «Inedita», sorta nel 2003 come «centro di documentazione linguistica e culturale». In due anni si è imposta all’attenzione dell’isola perché ha creato la biblioteca di Cargeghe (il 90 per cento con fondi privati, il 10 per cento del Comune) facendone la «Biblioteca di Sardegna», con seimila volumi tutti sull’isola, con inediti di Grazia Deledda e Antonio Gramsci, molti testi sconosciuti della seconda metà dell’Ottocento, tutta la produzione pianistica del musicista di Samassi Lao Silesu presto consultabile on line in tutte le biblioteche pubbliche sarde. Dietro queste iniziative c’è la volontà di una ragazza-manager che sta per laurearsi in Scienza dell’educazione a Sassari. Si chiama Francesca Santoru, ha 24 anni, è di Cargeghe come la sorella Giovanna che si occupa dell’inventario dei volumi e studia Teoria e tecnica dell’informazione. Con loro Maria Stefania Campesi, da 15 anni bibliotecaria a Tula e Corrado Piana, giornalista e direttore della biblioteca. Un team affiatato e fortunato.

La biblioteca nasce perché uno zio d’America ancora misterioso vuole che proprio questa biblioteca gli sia intestata visto che ha donato tutti i suoi libri a «Inedita». Di lui si sa che ha vissuto a Cargeghe e che abita a Washington, che ha sposato una donna di Bortigiadas: «I miei figli - ha confidato a Francesca Santoru - non apprezzerebbero questo patrimonio, lo dono a voi, sono duemila volumi, questi sono i primi ottocento». Ed eccoli esposti - tra computer, stampanti e scanner - sugli scaffali di questa piccola casa di cultura, sulla strada centrale, sotto un manifesto dell’Unesco «Pro sas bibliotecas publicas» e un bell’ingradimento dei costumi di Orgosolo. «Presto avremo gli altri 1200 volumi, sarà una sorpresa per tutti», dice Francesca con un bel sorriso. In attesa delle novità non resta che camminare in queste due stanzette. Ci si imbatte in un prezioso libretto dell’archeologo Antonio Taramelli. Lo ha pubblicato - negli anni ’20 del Novecento - l’Istituto italiano di arti grafiche di Bergamo per l’Istituto nazionale Luce nella collana «L’arte per tutti». Taramelli, che conosceva bene la Sardegna anche per averla percorsa con le sue gambe, titola il suo lavoro «I nuraghi ed i loro abitatori». Ecco l’introduzione che sfatava miti che ancora assurdamente resistono. Emerge un’isola «potente». Taramelli: «L’isola di Sardegna, disgiunta dalla penisola italica dal mare che prima del Tirreno ebbe nome di Sardo, indizio di una remota potenza del popolo che vi ebbe ricetto, serba di questa i testimoni monumentali, che appunto dettero all’isola l’epiteto corrente di isola dei nuraghes. Non è più possibile negare il fervore e l’attività ad una gente che lasciò migliaia di costruzioni, tutte notevoli, alcuni imponenti, destinate a scopi sociali immediati e ad una posterità millenaria».

C’è la raccolta di una rivista mensile che di testata faceva «Sardegna». La redazione era a Cagliari, via Giovanni Spano 10. Ogni numero 12 pagine, qualcuna a colori. Nel dicembre del 1930 (A. XII del Fascismo) esce un editoriale di Francesco De Rosa. Titolo: «L’ospitalità dei galluresi». Agli interessati consigliamo un salto a Cargeghe per sapere di che tipo di accoglienza erano capaci - appunto - i galluresi. C’è una bella copia rilegata de «Sa divina Cumedia de Dante in limba salda» del poeta di Berchidda Pedru Casu. Il libro era di proprietà di un certo «Giuseppe Nuvoli» che lo autografa e scrive la data: 1939. La casa editrice? Francesco Nieddu & Figli Ozieri.
 Spulciando fra scaffali, spunta un inedito di Gavino Cossu, scrittore di Cossoine, titolo in caratteri bodoniani «Il colle del diavolo» con sottotitolo «Ovvero LUPO DORIA MALASPINA Marchese di Bonvhei, tradizione popolare sarda del secolo XIII». Esce nel dicembre del 1869 per iniziativa della «Biblioteca del Corriere di Sardegna» e forse certifica il battesimo dei gadget perché «il presente volumetto è conceduto in dono agli abbonati del giornale cagliaritano Corriere di Sardegna». C’è un timbro ex libris, dovrebbe essere del proprietario, «Uneddu cav. Bernardo, Maggiore a Riposo». Il libro è rilegato in cartone spesso di sette millimetri, sopra e retrocopertina in grigio, formato quasi tascabile, 17 centimetri di base e 27 di altezza. Il testo è diviso su due colonne con una giustezza di sei centimetri e mezzo l’una. Trenta i capitoli, 93 pagine, si comincia con Lupo Giannozzo Gabriele, nel quarto capitolo L’attentato, il nono L’amore, il XIV Fra Selvaggio: Scrittura piacevole, fluida. Nel capitolo XXX si parla appunto del «Colle del Diavolo». Cronache usuali, immutate per un paese sardo, delitti e incendi. Eccone un brano: «L’indomani, ch’era un giorno di domenica, gli abitanti del vicino borgo di Bonvhei s’erano riuniti nel piccolo piazzale della chiesa, guardando con occhio stupito lo strano spettacolo delle arse selve e del diroccato castello ancora fumante. Ognuno diceva la sua: chi narrava che gli acerrrimi e capitali nemici del marchese Lupo, i Pisani, avevano sorpreso il castello, fatto prigioniero il barone e a quello dato il fuoco. Chi diceva che lo stesso marchese aveva di propria mano incendiato il castello, indi,...lanciatosi framezzo ai vortici delle fiamme, fosse in essa miseramente perito unitamente ai suoi familiari».
 Aggiungete che la biblioteca più privata che pubblica di Cargeghe ha avuto l’intelligenza di creare un ufficio stampa competente, attento alle cronache, ai fatti culturali che contano. Qui si è capito che il marketing territoriale non si inventa dall’oggi al domani e che la comunicazione non è un optional ma una necessità. Per cui questo paesino è uscito dal silenzio e ormai crea feeling anche con i grandi eventi sociali. Ultimo, in ordine di tempo, la partecipazione al salotto letterario della sesta edizione «Sardegna in banchina» in mezzo al concerto di sartie delle vele latine di Stintino. Sabato i miti e le leggende sarde con le voci di Franco Fresi e Maria Lai presa d’assalto da fans dell’artista di Ulassai giunti da tutta la Sardegna. Venerdì la serata di Stintino era firmata Cargeghe con le letture e gli approfondimenti delle opere di Pier Giorgio Pinna («La Sardegna prima della Storia») e di Giacomo Pisu («Dai dinosauri ai popoli del mare»). Per concludere con la proiezione del documentario «Nois» promosso proprio dalla «Biblioteca di Sardegna» con la voce di Franca Masu e le note del musicista Marcello Peghin.

Anche qui sono stati esposti manoscritti - anche inediti - di Grazia Deledda, Antonio Gramsci, Camillo Bellieni, dell’archeologo Antonio Taramelli. E in sottofondo gli echi delle musiche di Lao Silesu interpretato dal pianoforte di Roberto Piana prima con dieci piéces brevi dalla prima incisione mondiale di «Feuilles éparses», un notturno in la minore e un altro in mi maggiore, un madrigale, una «Sérénade Passionée». Il tutto sotto il nome di Cargeghe. L’amministrazione comunale è guidata da un pensionato, Giuseppe Taras. Franco Spada, 32 anni, impiegato al Comune di Sassari, vicesindaco, dice: «Questa biblioteca dà valore aggiunto al nostro paese ma rappresenta un arricchimento per tutto il territorio». Tra poco verrà creato un consorzio anche con Florinas e Muros. Francesca Santoru e il suo gruppo cominciano a essere emulate. I motivi sono evidenti. In meno di due anni hanno animato un paese prima agonizzante. Nel dicembre del 2003 una mostra fotografica sull’aspetto architettonico di Cargeghe, nel luglio del 2004 la pubblicazione del libro «Cargeghe nelle cronache dell’Otto-Novecento» di Giuseppe Ruiu. Nella prefazione Francesca Santoru spiega: «Ritratti tra onirici e simbolici, ora cronachistici e documentari, per raccontare, tra storia e leggenda, il fascino di luoghi evocativi, lontani dall’impetuosa ingiuria del tempo». E giù titoli e testi di pezzi usciti tra il 1882 e il 1925 su «La Sardegna» e soprattutto su «La Nuova Sardegna». Poca bianca, molta nera, anche «cronache agrarie». Una vecchia di 70 anni, assassinata e derubata, L’eccidio di Codrongianos, un brigadiere ucciso e un carabiniere ferito, Scuole serali e festive nella provincia di Sassari e poi una cronaca di maltrattamenti di animali: «Un asino bastonato- Cargeghe - Furono contravvenzionati di santa ragione, dai carabinieri che li colsero in flagrante, certi F.G. e B.A. i quali si divertivano bastonando un asino...molto asinescamente. 16 aprile 1893». E una visita postelettorale «dell’avvocato Berlinguer che alle elezioni del 1924 prende 76 preferenze, 25 Segni, 6 Bellieni». Serata galante: «Uno dei cavalieri, il signor Andrea Bazzoni fu Giovanni offrì a donna Maria Berlinguer un mazzo di fiori».

E i frequentatori della biblioteca? Il numero cresce, da Cargeghe e dintorni e da tutta l’isola, dai due atenei sardi. Da Iglesias sono venuti in molti a leggere e a sentire Lao Silesu. Avant’ieri c’era una ricercatrice dell’Università di Bordeaux, la settimana scorsa un’insegnante di «Ca’ Foscari»: entrambe per avere maggiori notizie su Lao Silesu e dei suoi rapporti con Gavino Gabriel. In attesa dei nuovi 1200 volumi Lao Silesu è oggi il richiamo forte. Grazia Deledda gli aveva scritto: «Se Ella dovesse nuovamente degnarmi di una visita non mi sentirei mai interamente soddisfatta e vorrei udire ancora dieci, cento volte, quei brani meravigliosi che brulicano vaghi e irrequieti nella mia mente». Giacomo Puccini: «Mio buon Silesu, anche questo gentile e artistico lavoro è tutto profuso di quella incantevole dolcezza che sai riservare in tutte le tue composizioni rendendole care». Apprezzamenti inediti che ci ha fatto conoscere la «Inedita» di Cargeghe. Che merita l’apprezzamento della Sardegna.
 
 
 
4 – Corriere della Sera
Il mistero della doppia vita di Musci
di MARGHERITA D’AMICO
Professore ordinario di Storia Contemporanea all'Università di Studi Roma 3, nel suo appartamento con giardino Carlo Casula ha una gattina tigrata di nome Musci. Quando questa diventa adulta, il docente nota atteggiamenti misteriosi. Ogni mattino feriale, Musci rifiuta la colazione ed esce in fretta. Si riaffaccia a mezzogiorno per un controllo. Poi di nuovo sparisce e si ripresenta la sera; allora cena tranquilla. Nel fine settimana invece non si muove. Va avanti così per diversi anni. Un’estate il professore parte e incarica un amico di passare a dare da mangiare alla micia; quando torna però lei non c’è. Riappare 48 ore dopo, di malumore; ha una cicatrice sull'addome. Che sia stata investita, o scambiata per randagia e sterilizzata? In ogni caso, Musci riprende la routine. Finché un giorno Casula si reca in un ufficio vicino per mandare un fax. Alla scrivania c'è una signorina cortese e nella poltrona accanto a lei, magnificamente accoccolata, riposa Musci. Meravigliato, il professore le si avvicina e la chiama. «Cosa fa?» chiede la donna. «Accarezzo il mio gatto», risponde lui. «Il suo gatto? Questo è il nostro gatto, di tutto l’ufficio! L’abbiamo trovato sul terrazzo, è da allora che ce ne occupiamo». Ci vuole un po’ perché Casula riesca a persuadere se stesso e la segretaria della doppia vita di Musci, finendo col rimborsare la comunità di una sterilizzazione estiva d’urgenza. Le abitudini di Musci continuano immutate, fino al trasloco dell’ufficio. In quell'appartamento va ad abitare una famiglia con bambini, Casula li avverte. Ma a Musci quel chiasso non piace, non ha niente a che vedere con il suo ritmo impiegatizio: quand’è così, preferisce rimanere a casa propria.
 

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