Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
19 September 2005
 Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
1 – L’Unione Sarda
Pagina 18 – Pubblica amministrazione
28 settembre Valutare la competenza, a Cagliari un seminario sui metodi da utilizzare
Un seminario per la valutazione e l'utilizzo delle competenze nel sistema produttivo delle imprese. L'Associazione italiana formatori ha organizzato un workshop internazionale sul tema «Il valore della competenza. Logiche e metodi per lo sviluppo delle persone, delle organizzazioni e dei territori», in programma al Centro congressi della Fiera di Cagliari dal 28 al 30 settembre. i temiTra le attività previste nel piano di attività della due giorni, sarà proposta fra l'altro una analisi degli strumenti disponibili per la valutazione, la gestione, lo sviluppo e la certificazione delle competenze e la verifica dell'applicazione nei sistemi organizzativi dell'impresa, della pubblica amministrazione, delle banche e degli organismi non profit. L'iniziativa, dunque, è rivolta sia alle imprese che agli enti pubblici. Assieme all'Aif sono coinvolti nell'iniziativa l'Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale), l'Etdf (European training and development federation), l'Eapm (European association for personnel management), la Regione, il Banco di Sardegna, il Formez, il Dipartimento della Funzione pubblica, il Centro servizi promozionali per le Imprese (azienda speciale della Camera di commercio di Cagliari), il Comune di Cagliari, l'Università di Cagliari, AsterX, Effebi e Consorzio 21. l'appuntamentoPer prendere parte all'iniziativa è necessaria l'iscrizione al workshop, che però è gratuita. Il programma, assieme alla scheda di adesione e alle informazioni sui servizi a disposizione dei partecipanti, può essere scaricato in formato pdf dal sito internet del Centro servizi promozionali per le imprese della Camera di commercio di Cagliari, all'indirizzo web, http://www.csimprese-ca.net/documenti/200509-aif.pdf».
 
 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 8 - Sardegna
Barisardo. L’intuizione di un capraro
La riscoperta dell’antico cas’agedu
E la colazione del pastore compete con cracker e yogurt
E’ un formaggio molle e leggermente acido indicato nelle diete che sta conquistando ampie fette di mercato
Il Nobel della creatività nell’ovile va assegnato a un capraro di Barisardo, paese dell’Ogliastra votato al turismo balneare. Ma Luciano Chiai, 56 anni ben portati, continua imperterrito a fare il pastore nell’altipiano vulcanico di Teccu, mille pecore, duecento capre. Come suo padre, come usava suo nonno, Luciano fa colazione col “Cas’agedu” (scritto - a seconda dei paesi - anche nella forma di “Cas’axedu” o “Cas’ageru”), un formaggio molle, bianco come la neve, leggermente acidulo, confezionato in fette come il burro, tra i migliori regolatori naturali intestinali, indicato per le diete, per iniziare una giornata di lavoro. Ottimo se accompagnato dal “pistoccu” o “pane carasau”, naturale o integrale poco importa. Questo prodotto - che è da secoli l’unico formaggio fresco dell’ovile sardo - non è lo yogurt preparato con microrganismi definiti tutti per legge e chiamati termofili, cioè con temperature elevate, fra i 42 e i 45 gradi. No, qui regna la genuinità. Il “cas’agedu”, cioè formaggio acido, è latte fresco e caglio, quello contenuto nello stomachino del capretto e utilizzato per confezionare i medicinali che devono combattere le malattie dello stomaco e dell’apparato digerente. Il “cas’agedu” è un rimedio naturale proprio per la presenza del caglio. Prima esisteva solo sotto forma di pasta, o di crema. Ora c’è anche liquido. Occorre mettere alcune gocce in un litro o più di latte che dopo alcune ore si compatta. La temperatura non è da laboratorio, no, è quella naturale, ambientale, generalmente sui 37 gradi costanti, sia in estate che in inverno con una “biodiversità accentuata”. Il segreto sta in questi semplici accorgimenti, a partire dalla temperatura ambientale.

La versione moderna di un prodotto che arriva dalla notte dei tempi scatta nell’aprile del 1992, periodo di crisi nera per il prezzo del latte con un ragionamento semplice firmato Chiai: perché non commercializzare il “cas’agedu”, farlo uscire dall’ovile e immetterlo nei negozi in camion refrigerati, venderlo rispettando tutti i crismi della legge? Detto fatto. Calvario burocratico con pratiche amministrative, autorizzazioni della Usl, controlli dei vigili sanitari, creazione di un laboratorio a regola d’arte, ed ecco il “cas’ageru” di Luciano il capraro di Barisardo sbarcare a Cagliari e Sassari, a Nuoro e Olbia, a Quartu Selargius e Capoterra. Con numeri diventati ormai importanti: quest’anno la produzione Chiai è stata la più abbondante in Sardegna, pari a cento quintali:”Il prodotto piace, è preferito con il latte di capra oppure nella forma mista caprino-ovino. L’importante è la qualità del latte con standard costanti 365 giorni all’anno”. Chiai ha creato lavoro. Con la moglie Rosa Casu allo spaccio e in laboratorio, lavorano i figli trentenni Davide ed Emanuele, tutti col diploma dell’Istituto agrario e corsi di specializzazione in tecnologie dell’alimentazione. “Tra poco il caseificio potrà essere ampliato, miglioreremo il confezionamento perché una delle difficoltà è proprio questa, essendo un prodotto molle. Ma la tecnologia è della nostra parte”, dice soddisfatto Chiai. C’è un altro fatto importante. Luciano Chiai è stato l’imprenditore-pioniere che da un’idea semplice, perfino banale, ha attivato - per stare al linguaggio degli economisti - quel sano meccanismo che dopo il “processo di innovazione” (il salto del cas’agedu dalla capanna clandestina dell’ovile allo scaffale legalizzato del supermaket) ha generato il “processo di imitazione”. Perché oggi sono oltre venti i caseifici che commercializzano legalmente “Su cas’agedu”. In Ogliastra lo fanno la cooperativa “Sant’Antonio” di Tertenia, Cesare Sirigu a Jerzu, Silvio Boi a Cardedu. Boi è pastore di lungo corso, ha 86 anni, nato a Gairo, conosciuto come “Freguledda”, è stato uno dei primi a capire l’importanza della produzione su scala industriale del formaggio. “Adesso - dice Boi - in vecchiaia riscopro un prodotto che conosco da quando sono nato. Lo propongo in confezioni da 400 grammi, quest’anno ho debuttato con duemila quintali”. Dall’Ogliastra il “processo di imitazione” si è spostato un po’ in tutta la Sardegna. Viene confezionato in piccole aziende agroalimentari del Sulcis (a Santadi e Villaspeciosa), al caseificio di Guspini, in alcuni centri del Logudoro, adesso anche nel Nuorese (dove viene chiamato “Vrue”). A Oliena è prodotto dalla latteria “Rinascita” (100 soci, quasi due milioni di litri di latte lavorato). È proposto in due confezioni in vaschette da 900 e da 230 grammi con l’azzeccatissima etichetta Nive, cioè neve. Presidente è Gesuino Maricosu, 45 anni. Dice: “Da due anni non produciamo un solo chilo di pecorino romano, abbiamo iniziato a puntare sui molli e con Nive siamo più che soddisfatti. Il turismo di Oliena ci dà un’ottima mano d’aiuto perché Nive viene servito a Su Gologone, al ristorantino Masiloghi, da CiKappa, alla cooperativa Enis di Monte Maccione. Ovviamente produciamo sempre i nostri formaggi pecorini, dal Rocca Bianca al Crema Corrasi, la ricotta Gentile, un pecorino biologico e il formaggio da tavola Tuònes e un Dop di nome Sole di Oliena, pecorino a denominazione protetta. Ma quest’anno il vero boom è stato con la Vrue. Nei nostri ristoranti è utilizzato anche come antipasto, è un piatto che fa tendenza, la versione salata è usata come condimento delle fette di pomodoro”. Stesse cose dice l’altro produttore, Pietrino Boe.

Non solo. Il processo “imitazione” ha contagiato la star indiscussa della produzione casearia isolana. Ha scoperto il “Cas’agedu” anche il caseificio leader in Sardegna, quello dei Fratelli Pinna di Thiesi (40 milioni di litri di latte lavorato, 50 milioni di euro di fatturato, 192 unità lavorative annuali). I Pinna lo vendono in una confezione tonda da 220 grammi e l’hanno chiamata proprio “La colazione del pastore”. Che ha fatto la sua comparsa in alcuni hotel della Costa Smeralda, di Alghero e del lungomare di Pula. “Ormai - annuncia Paolo Pinna, responsabile del marketing - siamo presenti negli scaffali dei gruppi IperPan, Conad, Pellicano. E stiamo per chiudere i contratti con Sigma, Carrefour e i due Auchan di Cagliari”. Il progetto - dei Pinna e dei Chiai, dei Boe e dei Maricosu - è una rivoluzione nella gastronomia: fare in modo che la prima colazione dei turisti sia finalmente e veramente sarda. Non self-service imbanditi solo con miele australiano, marmellate svizzere, yogurt bavaresi, crackers e cereali soffiati made in Usa ma “la colazione sarda” col cas’agedu-vrue semmai in confezioni monodose, proprio come si fa col miele e le marmellate. E tanto buon pistoccu che gareggi con le fette biscottate d’Oltretirreno. Così avremo un effetto “imitazione” di ritorno, con tecniche di commercializzazione nate negli Usa e in Germana e apprese anche fra i nuraghi.

 La cronaca incoraggia questo processo. Ieri sua bontà il “Cas’agedu” ha spopolato fra gli stand dei 250 espositori di Bra, nel Cuneese dove si svolge la più importante fiera dei formaggi chiamata “Cheese, le forme del latte”. I turisti e gli assaggiatori hanno potuto apprezzare la versione barbaricina detta “Vrue” nelle confezioni “Neve” del caseificio di Oliena e “Lepia”, che vuol dire leggera, soffice, del produttore Pietrino Boe. Ottimo successo per i caprini di Donori di Giorgio Aresu che propone anche il “quagliatello”. Ma è stato il “Cas’agedu-Vrue” la vera novità. Fragola Besana, milanese, consulente di una società di comunicazione, ha stazionato a lungo davanti allo stand della “Rinascita” di Oliena. Con commenti entusiasti: “È un formaggio morbido, rinfrescante, lievemente acidulo, vorrei trovarlo nei supermercati, farei colazione ogni giorno con questa leccornia”. E così passiamo alle leggi dell’economia: perché è inutile produrre, anche prodotti eccellenti, se poi non si sanno commercializzare e mancano negli scaffali dei punti-vendita, là dove si crea reddito. Nelle città e nei paesi. A Bra, questa volta, c’è stata una prima risposta incoraggiata dai tecnici dell’Ersat con una Sardegna che si è saputa presentare in un unico stand. Soprattutto dal Nuorese c’è stata una partecipazione massiccia e compatta con caseifici cooperativi e privati di Ollolai, Sarule, Orgosolo, Gavoi, Macomer, Orune, il consorzio Gennargentu e i produttori della Barbagia-Mandrolisai. Con loro i dirigenti del caseificio della Nurra, di Sassari, Borore, Sedilo, Villaspeciosa, Donori e tanti altri. E tra pochi mesi, in concomitanza con le Olimpiadi invernali di Torino, la Sardegna interverrà alle “Olimpiadi del formaggio” di Verona: “È una vetrina importante nella quale dovremo bissare il successo di Bra coinvolgendo tutti i produttori sardi”, afferma il commissario dell’Ersat Benedetto Meloni.

Ci sono tutte le condizioni per imporre il nuovo prodotto. Il “cas’agedu” è studiato nelle Università, non solo in quelle sarde. Alla statale di Milano, ha discusso la tesi di laurea in Agraria una ragazza di Urzulei, Giovanna Mereu. Nell’introduzione cita il canonico Giovanni Spanu che “nel suo vocabolario scrive: Frue, latte rappigliato, companatico del pastore nel salto. Dal latino fruor, godere, fruire”. Gli studi più seri vengono fatti a Bonassai dai tecnici dell’Istituto zootecnico e caseario che ha prodotto oltre cento pubblicazioni scientifiche di livello internazionale. In tanto i nomi. Tanti, secondo le zone. In Ogliastra, si è detto, è “cas’agedu” con le varianti di “ageru” o “axedu” ma anche “cas’e fittas” con la particolarità di Seulo e Perdasdefogu “casu in filigi”, formaggio nella felce. Nel Nuorese è “Vrue” ma anche “Frue” o “Frughe”. Altrove Merca, Vìscidu, Préta, Pièta, Casàdu, Cagiadda, Latte cazàdu, Latti callau. Francesca Scintu, direttore del servizio di Microbiologia e Tecnologia casearia di Bonassai, impegnata anche nel progetto made in Urzulei per la valorizzazione del caglio di capretto, dice che “in letteratura non sono reperibili molti studi sul cas’agedu che ora è stato però inserito nell’elenco dei prodotti tradizionali della Regione Sardegna secondo un decreto ministeriale del 1999. Ma - dice la Scintu - è auspicabile un’azione di valorizzazione a tutela che permetta, anche col riconoscimento Dop o Igp, la protezione giuridica del prodotto”.
Questa la strada prossima ventura del formaggio-neve messo in bottega da Chiai e degnamente imitato. È la diversificazione del latte che va avanti. De Gaulle si lamentava perché doveva “governare la Francia con 325 varietà di formaggio”. In Sardegna - terra di pecore e di capre - siamo all’opposto: pecorino, pecorino romano e poche forme di Fiore sardo a Gavoi. Poi il nulla. Chiai e soci hanno iniziato la battaglia competendo con yogurt e simili. Sono nati i molli e i semistagionati. C’è il “casizzolu”. Oggi la Thiesilat produce il Caciotartufo e gli erborinati Ovinfort che competono col Roquefort e il Gorgonzola. Il varco aperto dalla “colazione del pastore” è ampio quanto il mondo. Va percorso fino in fondo. I capiscuola non mancano.
 
  
3 - Corriere della Sera
Il ministro Caldoro: sono pronto a dimettermi
«La Cdl è in crisi, ma il centrosinistra sappia che non ci interessa fare i cespugli»
 
l’Intervista
MILANO - «Mi sono già dimesso una volta. Non avrei problemi a farlo di nuovo, se il congresso del mio partito me lo dovesse chiedere». Stefano Caldoro è l’unico ministro del Nuovo Psi nel governo Berlusconi, ha la responsabilità dell’Attuazione del programma e condivide «totalmente» la linea indicata da Gianni De Michelis. Signor ministro, siamo alla rottura anche sul fronte istituzionale?
«Io ho un incarico istituzionale, appunto, da portare a termine. Ma registro che, dal punto di vista politico, si sta esaurendo il rapporto con la Cdl nato nel 2001».
Pentito della scelta fatta allora?
«No, anzi. Quella fu una decisione coerente e non innaturale, come qualcuno ci rinfacciò. Ma oggi le condizioni sono mutate e noi siamo un piccolo partito che deve portare avanti l’eredità politica di Bettino Craxi. Dobbiamo perseguire l’unità socialista».
Cosa rimproverate al centrodestra?
«Esiste una crisi politica della Cdl che prescinde da noi. Certo, il diktat del quattro per cento ci suona non tanto come accorgimento tecnico, quanto come esclusione politica. È un furto di seggi ma soprattutto di identità: non accade in nessun altro Paese che una legge con un impianto di coalizione preveda lo sbarramento ai partiti».
Pronto a dimettersi?
«Se lo deciderà il prossimo congresso del Nuovo Psi. Del resto, lo avevo già fatto in tempi non sospetti condividendo una linea con l’Udc, cui ancora oggi siamo legati in un certo percorso di critiche e dubbi sulla coalizione».
De Michelis pone all’Unione alcune condizioni. Le sue quali sono?
«Sempre identità e autonomia, è ovvio. E diciamo allo Sdi che non stiamo rinnegando quanto fatto con la Cdl: la riforma Biagi sul lavoro e quella per l’istruzione e l’università, ad esempio, sono scelte che hanno molta parte dell’impianto socialista e di cui siamo fieri».
Pronti al salto, insomma?
«Pronti a discutere con l’Unione. Alla quale va mandato subito un messaggio chiaro: non ci interessano cespugli e soprattutto cespugli succubi di forze più grandi. La diaspora può tollerare soggetti deboli, ma se torniamo uniti dobbiamo essere forti e imporci. Con Prodi, De Mita e Rosy Bindi, per intenderci, teniamo le distanze».
Ha qualche timore?
«Beh, registro che purtroppo qualche dirigente dello Sdi pensa ancora che l’unità socialista sia soltanto una tappa in vista del partito unico. Noi abbiamo detto di no al partito unico nella Cdl e non vogliamo certo annegarci nell’Unione. Quindi, chi ha questa idea prospettiva se la può anche scordare».
Il segretario dello Sdi Boselli insiste per recuperare un rapporto privilegiato con i radicali di Pannella, Boniver e Capezzone. Condivide la linea?
«A livello personale chiederei una maggiore riflessione sui temi dell’etica moderna. Del resto, al referendum sulla fecondazione ho votato un solo sì. Ma questa è una posizione davvero personale».
Gli elettori del vostro partito capiranno una eventuale svolta a sinistra?
«Questo è l’unico punto su cui le due mozioni congressuali sono effettivamente differenti. Bobo Craxi dà per scontata una reazione che invece non è sicura: bisogna lavorare molto sulla base, spiegare le motivazioni di questa eventuale svolta e ottenere dalla coalizione le garanzie che i nostri elettori ci sollecitano».
Stefania Craxi resta sulle sue posizioni e non condivide l’ipotesi di un ingresso nell’Unione dei socialisti. Per quale motivo, secondo lei?
«Stefania Craxi difende con forza e coraggio una parte molto caratterizzante della battaglia di Bettino, quando ripeteva che "i comunisti, i socialisti se li mangiano a fette". In questa vicenda ci sono poi aspetti molto personali su cui non mi sento di addentrarmi: posso dire soltanto che il nostro obiettivo era e rimane quella stessa unità socialista che era stata disegnata e voluta da Bettino Craxi».
E. So.
 
4- La Repubblica
Affari & Finanza
ATTUALITA pag. 13

Troppi 300 enti per trasferire tecnologie al sistema delle imprese


di GIORGIO LONARDI
Sono troppi, troppo piccoli e poco efficaci. I centri per il trasferimento tecnologico alle imprese oltre ad essere ben 300 nel 51% dei casi hanno meno di 20 addetti (il 29% non arriva a 10 dipendenti) e fra le loro carenze c’è «la ridotta specializzazione industriale e lo scarso orientamento alla domanda». Sono questi i principali risultati del primo censimento dei centri per l’innovazione effettuato dall’Ipi (Istituto di Promozione Industriale) l’agenzia governativa per la competitività guidata da Riccardo Gallo. «A ottobre», ha annunciato lo stesso Gallo prefigurando una modernizzazione del sistema, «l’Ipi presenterà alcune proposte di riassetto delle strutture per il trasferimento tecnologico».
In realtà l’indagine curata dall’Istituto individua una vera e propria jungla dell’innovazione made in Italy in cui è difficile districarsi. Così come è poco chiara la «missione» delle singole strutture che spesso ottengono fondi sia privati sia pubblici. «Non c’è una stima dei finanziamenti», osserva Luigi Corbò, direttore generale Ipi, «anche perché i fondi pubblici arrivano sia dagli enti locali sia dall’amministrazione centrale».
Le domande da porsi sono parecchie. A cosa servono, ad esempio, le 8 Stazioni sperimentali per l’industria nate agli inizi del ‘900? Oppure: hanno ancora un ruolo i 26 Centri Servizi multisettoriali sparsi nel territorio che offrono alle aziende un supporto non riconducibile ad un singolo settore? E ancora: chi ha sentito parlare dei 9 Consorzi Città Ricerche? Ma le perplessità riguardano anche i 50 fra Parchi Scientifici e poli tecnologici e i 34 Uffici per il Trasferimento Tecnologico e incubatori Universitari. Mentre c’è da chiedersi quanti dei 44 laboratori d’analisi e aziende speciali delle Camere di Commercio svolgano un lavoro capace di migliorare la competitività del sistema industriale.
In effetti basta scorrere le cifre del censimento Ipi per sentire crescere le perplessità sull’efficacia del sistema. Un Paese con poche risorse non può permettersi degli sprechi. E se è giusto che ci siano 56 Centri Servizi Settoriali sarebbe importante capire quanti e quali distretti industriali traggano benefici da questi stessi centri. E allora?
La terapia illustrata dal direttore generale dell’Ipi si basa su tre medicine. La prima riguarda alcune fusioni per consentire alle strutture di raggiungere la massa critica. «Inoltre», precisa Corbò, «stiamo lavorando per mettere in rete le strutture per collegarle ai centri d’eccellenza sia nazionali sia internazionali». Secondo l’Ipi, inoltre, non guasterebbe un po’ di sana competizione. Già oggi infatti, l’Istituto finanzia solo i progetti di trasferimento tecnologico più efficaci ritagliandosi un ruolo da advisor per verificarne l’effettività utilità nel corso del tempo.
 
 
 

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