Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
24 October 2005
Ufficio Stampa
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
 
01 – L’UNIONE SARDA
Primo Piano - Pagina 3
«Formazione, in piazza a oltranza»
Pronti a tornare in piazza domattina, e a restarci finché la giunta non avrà finanziato la copertura dei loro stipendi. I lavoratori della formazione professionale non mollano, molti di loro non vengono pagati da tre mesi. E venerdì hanno atteso invano che fosse approvata la delibera sulla legge 42, quella che disciplina il trattamento degli operatori della formazione quando manca attività per gli enti. LE POSIZIONI
L’assessore al lavoro, Maddalena Salerno (di Rifondazione comunista), non ci sta a passare per quella che non paga i lavoratori. «Non è vero che il personale è senza stipendio. A noi risulta che solo un ente, l’Anap, non sta pagando docenti e personale. Non è la Regione che sta negando lo stipendio ai lavoratori, ma un ente privato». Diverse le notizie che ha la Cisl. «L’Anap ? attacca Oriana Putzolu ? non può pagare perché la giunta ha tagliato i corsi. Ma noi sappiamo anche che altri enti (che per ora stanno facendo fronte alle spese) sono ricorsi alla banche, indebitandosi». La giunta, intanto, ha varato la sua riforma della formazione professionale, e nei prossimi giorni la sottoporrà alle parti sociali. Cambia il rapporto con la scuola, diventano più rigidi i controlli e le certificazioni, la formazione punta ad arrivare al livello universitario. Anche per i docenti formatori, hanno ribadito gli assessori Pilia e Salerno, ci vorranno gli stessi requisiti che vengono richiesti per l’insegnamento a scuola. «Però non ci hanno ancora spiegato quali saranno i corsi ? accusa Putzolu ? cosa vogliono insegnare a ragazzi che hanno scelto, insieme alle famiglie, la strada della formazione professionale, preferendola alla scuola».
ESODO
Nell’ultima Finanziaria regionale ? tra le contestate norme intruse ? c’era anche quella che riguardava l’esodo del personale della formazione. I sindacati hanno chiesto alla giunta di rimandare il disegno di legge specifico, almeno fino alla modifica del sistema formazione-istruzione. A fine agosto l’esecutivo ha comunque dato il via libera al testo. Che prevede il trasferimento del personale agli enti di formazione della Regione, e quattro mensilità per tre anni a chi accetta di lasciare l’attività. Solo briciole, secondo le organizzazioni sindacali, soprattutto considerato che la legge 42 stabilisce che la Regione copre al 100 per cento gli stipendi dei lavoratori iscritti nell’apposito albo, qualora i corsi non ci siano.
LA DELIBERA
Non ci sarebbe accordo in giunta, sostiene la Cisl, sulla percentuale di copertura degli stipendi. «L’assessore Salerno si è impegnata con gli enti per stanziare fino al 67 per cento», spiega Putzolu: «A noi risulta che Soru non voglia concedere neppure quello. Anche per questo non ci fidiamo: finora l’assessore ha agito come Penelope, disfando di notte (su indicazione di Soru) quel che tesseva di giorno con noi». Qualcosa di più si saprà oggi pomeriggio, dal vertice tra sindacati e giunta: «Ovviamente - nota Putzolu - se il governatore accetterà di incontrarci».
Francesca Zoccheddu
 
02 – L’UNIONE SARDA
Cultura - Pagina 20
I geni "ingegneri" per battere la talassemia
Le nuove frontiere della ricerca contro la malattia: si lavora sul Dna, studi e progetti anche nell’Isola
Chi soffre di talassemia ha una mutazione nel proprio DNA, una mutazione genica, ereditata da entrambi i genitori, che non permette di produrre cellule del sangue valide ed utili ad ossigenare i propri tessuti e che inoltre genera una serie di problemi collaterali che minano fortemente la salute e insieme la qualità della vita. In particolare l’emoglobina (e cioè la proteina presente nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno alle cellule) viene prodotta in quantità ridottissime. Chi soffre di talassemia per sopravvivere deve quindi sottoporsi a continue trasfusioni e a una serie di terapie farmacologiche per ristabilire i valori fisiologici vicini alla norma. In alcuni casi per questi pazienti si opta per il trapianto di midollo osseo, ma ovviamente non è sempre possibile farlo e l’operazione comunque comporta numerosi rischi. Ebbene, andando alla "radice" del problema, la soluzione potrebbe essere proprio quella di agire direttamente al livello del DNA sul gene "variante". L’anno scorso una équipe di ricercatori americani ha portato avanti una nuova tecnica di ingegneria genetica riuscendo a ottenere un miglioramento delle condizioni di topolini talassemici. E da quel momento in poi sono stati compiuti diversi passi avanti. Ma vediamo adesso brevemente in che cosa consiste l’esperimento riuscito con i topi. La tecnica prevede l’utilizzo delle ormai famose cellule staminali adulte, in particolare quelle presenti nel midollo osseo che si occupano della produzione delle cellule del sangue. Queste, prelevate dallo stesso paziente talassemico, vengono poi modificate in vitro attraverso l’inserimento del gene sano. Il gene sano viene trasportato internamente alla staminale da un "vettore" detto tecnicamente "lentivirale", si tratta infatti di un virus che è stato reso però innocuo. Il "lentivirus" trasporta il gene sano e lo posiziona nella cellula staminale del paziente in un punto del DNA. In seguito le cellule così modificate vengono reimpiantate nel paziente generando linee cellulari sane. I topini americani hanno quindi incominciato a produrre emoglobina efficiente. Il metodo non è comunque esente da rischi: il vettore inserisce il gene sano a caso nel DNA e questo potrebbe apportare anche gravi danni. Inoltre la metodica prevede che al momento del reimpianto il midollo osseo originario del paziente venga distrutto (mielo ablazione) e questa tecnica non è esente da rischi. Attualmente sono in atto delle ricerche anche su primati non umani, un passo in più dal topo verso l’uomo e, anche se i tempi di una vera applicazione sugli esseri umani non saranno sicuramente brevi, si è già avuto però qualche successo su cellule umane in vitro. Intanto si moltiplicano i gruppi di ricerca che si concentrano sulla riduzione dei rischi o su strade alternative. In uno studio di quest’anno, pubblicato sulla autorevole rivista scientifica "Nature", viene descritta una tecnica innovativa (che non comporta l’uso di "lentivirus") portata avanti con successo che, anziché inserire il gene sano a caso nel menoma, ripara direttamente il gene mutante con quello sano. Anche in Sardegna, su questo fronte la sperimentazione incalza. Il Consiglio nazionale delle ricerche, sotto la direzione del professor Antonio Cao, ha in progetto di approfondire questi studi sulla terapia genica della talassemia ampliando i successi più recenti ottenuti da altri gruppi in tutto il mondo. Certo non mancheranno i candidati per la fase di sperimentazione sull’uomo. La Sardegna, va ricordato, ha una altissima percentuale di portatori della Beta talassemia (la forma più grave che comporta una mutazione del gene beta della emoglobina) e di conseguenza di malati del morbo di Cooley, cioè dell’anemia vera e propria. Questo alto tasso è probabilmente dovuto alla selezione genetica che la malaria ha operato fin da tempi remoti sino al secolo scorso sui portatori sani della mutazione per la talassemia. Infatti sembra che al batterio della malaria "non piacesse" parassitare i globuli rossi dei portatori della mutazione talassemica e questo determinò una selezione vantaggiosa per la talassemia perché, al contrario, gli individui non portatori morivano di malaria. La frequenza del gene malato aumentò vertiginosamente nelle popolazioni sarde. E, come capita alle popolazioni isolate, i sardi, tra le tante mutazioni possibili, ne hanno una tipica propria che si sono "coccolati" e tramandati probabilmente fin dai tempi dei Fenici, quella che in termini tecnici viene classificata Beta zero 39. Molto si è fatto con lo screening della popolazione in età riproduttiva (mettendo così al corrente i futuri genitori della possibilità di avere figli malati del morbo di Cooley), con la diagnosi prenatale (villocentesi), con la farmacologia (ad esempio la terapia ferrochelante) e con le tecniche di trapianto del midollo osseo. Ma sono ancora in molti ad attendere una terapia risolutiva, anche perché aprire la strada alla terapia genica della talassemia significa aprire la strada alla cura anche di altre patologie genetiche di rilevante importanza per la comunità. Veronica Latini
 
 
 

 
03 - LA NUOVA SARDEGNA
Pagina 14 - Cronaca
Oggi la proiezione al cine Nanni Loy dell’Ersu 
 ‘Vangelo secondo precario’: un film della Cgil sui danni della legge Biagi 
CAGLIARI. ‘Il vangelo secondo precario, storie di ordinaria flessibilità’ è il film realizzato dall’Arci e dalla Camera del lavoro di Milano che sarà proiettato oggi in collaborazione con l’Unione degli studenti universitari al teatro Nanni Loy - casa dello studente, via Trentino - per ‘celebrare’ il 24 ottobre, il giorno dell’entrata in vigore della legge Biagi. Il film sarà seguito da una conferenza-dibattito. Quella di oggi è anche la data in cui avranno termine - si legge in una nota della Camera del lavoro metropolitana di Cagliari firmata da Nicola Marongiu - le proroghe previste dallo stesso decreto legislativo per le collaborazioni nel settore privato e in base agli elementi raccolti dal sindacato emerge come «il quadro tenda verso un’ulteriore precipitazione della precarietà e della frammentazione del lavoro con il ricorso forzato alla partita iva e alle associazioni di partecipazione». Secondo la Cgil «si contano pochissimi passaggi verso il lavoro subordinato e per una platea consistente oltre il 24 ottobre si presenta solo la fine del rapporto». Il film tratta in chiave anche ironica il problema del lavoro precario, di quella flessibilità diventata una bandiera del governo Berlusconi e con la quale ormai la gran parte dei giovani lavoratori devono fare i conti.
 
 

 
04 – IL MESSAGGERO
Università, l’altra faccia della crisi di “cervelli”: solo il 2% di stranieri arriva per fare ricerca
23 Ottobre 2005. Perdiamo i talenti migliori, senza riuscire a rimpiazzarli con quelli provenienti da altri Paesi. La fuga dei “cervelli”, ma soprattutto l’assenza di ricercatori stranieri nelle nostre università, sono gli indicatori più espliciti che qualche cosa non funziona. Il fatto che l’Italia non attragga studiosi dall’estero è forse il dato più preoccupante. Il Bel Paese non è competitivo. Le giovani promesse preferiscono non solo Boston, Cambridge o Londra, ma anche Madrid e Barcellona. Perché i nostri laboratori non hanno appeal? Nelle nostre aule la presenza dei dottorandi stranieri è molto esigua. Uno sparuto 2%, che confrontato con il 35 % della Gran Bretagna e con il 26% degli Usa fa impallidire. Anche Spagna e Portogallo risultano più “attraenti” di noi, rispettivamente con l’11 e il 6% di stranieri. Eppure, il “peso” scientifico di un Paese si misura anche così. «Il problema è economico sostengono i rettori degli atenei pubblici . Indipendentemente dalla loro nazionalità, i ricercatori più promettenti vanno dove la remunerazione è più alta, dove la ricerca ha maggiori finanziamenti e risultati migliori». Il mancato afflusso di cervelli stranieri, dunque, è un indicatore negativo e rivela lo scarso impegno dei nostri governi nei confronti della scienza.
Quanto spende l’Italia per la ricerca? Poco più dell’1% del Pil (lo 0,66% dato dallo Stato, lo 0,47% dai privati), in totale meno del 40% rispetto agli Stati Uniti. Spendiamo meno anche della media europea. Non investiamo e non ci prepariamo ad allevare nuove generazioni di scienziati. Nonostante una lieve tendenza al rialzo, le matricole in matematica e fisica l’anno scorso erano appena 4.000. Nei corsi di laurea in chimica le cose non sono andate meglio: al primo anno in tutto 2.628 iscritti.
Che fare? «Il punto di partenza sostengono i rettori sono gli investimenti. La Finanziaria in discussione ci mette in ginocchio con tagli pesanti: 120 milioni di euro, tra detrazioni al Fondo ordinario e riduzione delle spese per l’edilizia». Ma qual è la qualità dei nostri atenei? «Quasi ovunque ci sono “pezzettini”, “isole”, con standard anche molto elevati sostiene Guido Fiegna, uno dei padri fondatori del nostro sistema di valutazione nazionale . Ma ci sono troppi “dottorifici” e una diffusa debolezza per quanto riguarda il modello di sviluppo della ricerca. Le conseguenze sono gravi. Non si può generalizzare, certo, ma se in una struttura non si fa ricerca rischiamo di produrre laureati obsoleti immettendo sul mercato professionisti già superati».
Insomma, ci sono facoltà in cui si pensa più a dispensare titoli di laurea che a fare ricerca. Colpa degli scarsi mezzi e della precarietà strutturale. «Il problema continua Fiegna non riguarda solo l’area scientifica, anche quella umanistica. La verità è che si dovrebbe tenere il passo con la velocità dei cambiamenti, equivalente alla durata media di un ciclo di studi. Nella telefonia mobile e in mille altre cose, dopo 3-4 anni ci sono mutamenti consistenti. Da qui, comunque, la necessità di aggiornamento continuo».
Soprattutto al Sud e nelle piccole realtà i problemi sono vistosi. Anche perché l’Italia dei ritardi non è riuscita ancora a cancellare il fenomeno del nepotismo, che qualcuno ha ribattezzato con il termine «tribù accademiche». Le carte dei concorsi sono formalmente a posto, ma ci sono padri, figli, mogli, fratelli e parenti vari che si spartiscono le cattedre, creando delle vere e proprie “lobby disciplinari”. Accade anche che ci siano degli insegnamenti “ereditari”, in nome del principio che «il maestro sceglie l’allievo». In realtà l’Italia non ha ancora un sistema che possa garantire la trasparenza delle commissioni giudicatrici. Il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti ritiene che il suo ddl sullo stato giuridico possa dare certezze al riguardo, ma l’intero mondo accademico dice il contrario. Intanto, si avvicina una giornata di mobilitazione nazionale. Dopodomani, in occasione della ripresa del dibattito sulla riforma della docenza, ci sarà una manifestazione davanti a Montecitorio. Il clima sarà infuocato, dopo che il governo ha deciso di ignorare il «no» della Commissione affari costituzionali che aveva bocciato l’articolo 1 della legge perché lesivo dell’autonomia universitaria.
Anna Maria Sersale

05 – IL MESSAGGERO
Università, troppi “dottorifici” e poca ricerca 
 
Vecchi e nuovi mali: dal nepotismo nei concorsi ai tagli. I rettori: la Finanziaria ci mette in ginocchio 
L’inchiesta sugli atenei/ L’Italia perde talenti senza riuscire a rimpiazzarli. Fiegna, Comitato di valutazione: rischiamo di produrre laureati obsoleti 
solo Boston, Cambridge o Londra, ma anche Madrid e Barcellona. Perché i nostri laboratori non hanno appeal? Nelle nostre aule la presenza dei dottorandi stranieri è molto esigua. Uno sparuto 2%, che confrontato con il 35 % della Gran Bretagna e con il 26% degli Usa fa impallidire. Anche Spagna e Portogallo risultano più “attraenti” di noi, rispettivamente la quota di dottorandi stranieri è pari all’11 e al 6%. L’Italia, poi, ha il primato di “cervelli” in fuga sia verso il resto d’Europa, 34,4 per ogni mille ricercatori, sia verso gli Stati Uniti 41 per ogni mille accademici. Inutile dire che il “peso” scientifico di un Paese si misura anche così. Quali sono le cause? «Il problema economico - sostengono i rettori degli atenei pubblici - è prevalente, ma incidono anche la scarsità di mezzi e di strutture».
Indipendentemente dalla loro nazionalità, i ricercatori più promettenti vanno dove la remunerazione è più alta, dove la ricerca ha maggiori finanziamenti e risultati migliori». Il mancato afflusso di cervelli stranieri, dunque, è un indicatore negativo e rivela lo scarso impegno dei nostri governi nei confronti della scienza.
Dal confronto con il resto del mondo usciamo con le ossa rotte. Basti un dato: nella classifica dei primi 200 dipartimenti di economia nel mondo per i buoni livelli di produttività scientifica entrano solo quattro atenei: Bocconi di Milano, Ca’ Foscari di Venezia, Statale di Torino e Alma Mater di Bologna. Tra queste solo Bologna figura tra le prime quattro.
Ma quanto spende l’Italia per la ricerca? Poco più dell’1% del Pil (lo 0,66% dato dallo Stato, lo 0,47% dai privati), in totale meno del 40% rispetto agli Stati Uniti. Spendiamo meno anche della media europea. Non investiamo e non ci prepariamo ad allevare nuove generazioni di scienziati. Nonostante una lieve tendenza al rialzo, le matricole in matematica e fisica l’anno scorso erano appena 4.000. Nei corsi di laurea in chimica le cose non sono andate meglio: al primo anno in tutto 2.628 iscritti.
Che fare? «Il punto di partenza sostengono i rettori sono gli investimenti. La Finanziaria in discussione ci mette in ginocchio con tagli pesanti: 120 milioni di euro, tra detrazioni al Fondo ordinario e riduzione delle spese per l’edilizia». Ma qual è la qualità dei nostri atenei? «Quasi ovunque ci sono “pezzettini”, “isole”, con standard anche molto elevati sostiene Guido Fiegna, uno dei padri fondatori del nostro sistema di valutazione nazionale . Ma ci sono troppi “dottorifici” e una diffusa debolezza per quanto riguarda il modello di sviluppo della ricerca. Le conseguenze sono gravi. Non si può generalizzare, certo, ma se in una struttura non si fa ricerca rischiamo di produrre laureati obsoleti immettendo sul mercato professionisti già superati».
Insomma, ci sono facoltà in cui si pensa più a dispensare titoli di laurea che a fare ricerca. Colpa degli scarsi mezzi e della precarietà strutturale. «Il problema continua Fiegna non riguarda solo l’area scientifica, anche quella umanistica. La verità è che si dovrebbe tenere il passo con la velocità dei cambiamenti, equivalente alla durata media di un ciclo di studi. Nella telefonia mobile e in mille altre cose, dopo 3-4 anni ci sono mutamenti consistenti. Da qui, comunque, la necessità di aggiornamento continuo».
Soprattutto al Sud e nelle piccole realtà i problemi sono vistosi. Anche perché l’Italia dei ritardi non è riuscita ancora a cancellare il fenomeno del nepotismo, che qualcuno ha ribattezzato con il termine «tribù accademiche». Le carte dei concorsi sono formalmente a posto, ma ci sono padri, figli, mogli, fratelli e parenti vari che si spartiscono le cattedre, creando delle vere e proprie “lobby disciplinari”. Accade anche che ci siano degli insegnamenti “ereditari”, in nome del principio che «il maestro sceglie l’allievo». In realtà l’Italia non ha ancora un sistema che possa garantire la trasparenza delle commissioni giudicatrici. Il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti ritiene che il suo ddl sullo stato giuridico possa dare certezze al riguardo, ma l’intero mondo accademico dice il contrario. Intanto, si avvicina una giornata di mobilitazione nazionale. Dopodomani, in occasione della ripresa del dibattito sulla riforma della docenza, ci sarà una manifestazione davanti a Montecitorio. Il clima sarà infuocato, dopo che il governo ha deciso di ignorare il «no» della Commissione affari costituzionali che aveva bocciato l’articolo 1 della legge perché lesivo dell’autonomia universitaria.
Anna Maria Sersale
 
06 – IL MESSAGGERO
«La riforma renderà precaria la docenza» 
Un ricercatore dell’ateneo di Salerno: il nostro ruolo scomparirà, i migliori se ne andranno all’estero 
Roma, 23 ottobre 2005. Qual è la differenza tra l’Italia e gli altri Paesi?
«Differenza di mezzi e di strutture. Da noi non si investe nella ricerca, determinando un danno al Paese: poco più dell’1% del Pil è veramente una cifra esigua. La scarsezza di finanziamenti è un problema cronico, ma si sta aggravando». Parla Diego Barletta, ingegnere ricercatore all’Università di Salerno. Nell’ateneo che tipo di contratto ha? «Dall’inizio di quest’anno, sono uno dei fortunati ad avere un contratto a tempo indeterminato. Ma se passa la legge di riforma sulla docenza, che spinge verso la precarizzazione, potrebbe cambiare tutto».
Con quali conseguenze?
«Il ruolo di ricercatore è a tempo, è destinato ad essere cancellato. Questa incertezza non fa che scoraggiare le persone più brillanti che cercheranno sbocchi all’estero. Al contrario, bisognerebbe mettere in atto misure per favorire il rientro dei cervelli. Ma per ottenere questo va colmato il gap che ci divide dall’Europa e dagli Usa».
Perché critica la riforma della docenza?
«Inspiegabilmente ha cancellato ogni riferimento alla valutazione, eppoi introduce i contratti a tempo determinato, senza sostituire la giungla degli assegni di ricerca e le altre forme di precariato post dottorato. Non solo. Progetta la riforma a costo zero e questo è impossibile».
Da ingegnere e ricercatore, come valuta il suo lavoro?
«Positivamente. Ripeto, io sono stato fortunato. Nella mia università si riesce a fare sul serio ricerca e i laboratori sono moderni ed efficienti».
A. Ser.
 
07 – IL MESSAGGERO
Sgomberato il “Democrito”: denunciati sei studenti 
I ragazzi: «La Polizia ci ha dato due minuti per lasciare l’istituto»
Occupato anche il “Kant”. Proteste al “Virgilio” 
23 Ottobre 2005. Striscioni e megafono alla mano anche ieri gli studenti delle scuole superiori hanno dato vita ad un nuovo pomeriggio di proteste. Una quarantina di ragazzi di diversi licei romani (Tasso, Virgilio, Plauto, Mamiani, Democrito, Orazio) hanno organizzato un sit-in in piazza Santi Apostoli, dirimpetto alla Prefettura, «per solidarizzare con quanti sono stati fermati ed identificati dalle forze dell’ordine dopo il corteo studentesco dello scorso venerdì e dopo lo sgombero avvenuto la stessa sera nel liceo Democrito occupato».
La protesta dello scientifico di Casal Palocco si è infatti conclusa con l’intervento della polizia e l’identificazione per danneggiamento e oltraggio a pubblico ufficiale di sei ragazzi, un maggiorenne ex alunno dell’istituto e cinque minori. Tutto è cominciato venerdì sera verso le otto e trenta quando gli studenti hanno occupato la scuola. Nel giro di due ore sono arrivate le forze dell’ordine avvertite dal custode che vive nello stabile. «La polizia - sostengono i ragazzi del Democrito - non ha voluto mediare: ci hanno dato due minuti per lasciare la scuola. Alla fine, nel fuggi fuggi generale sono state prese ed identificate sei persone». Secondo la versione degli studenti non sarebbero mancati momenti di tensione con le forze dell’ordine. Nel corteo di venerdì scorso, invece, erano stati identificati due universitari e un liceale. «Siamo qui - hanno detto ieri gli studenti in piazza Santi Apostoli - per protestare contro queste forme di repressione che, comunque, non fermeranno la protesta contro la riforma».
E infatti ieri mattina anche il liceo Kant (dopo il Mamiani, l’Albertelli, il Colonna e il Democrito) è stato occupato per dire no alla scuola targata Moratti. «Sono deluso - dice il preside Guglielmo Neri -: una minoranza ha preso il sopravvento. Avevamo già deciso di inviare un documento al Ministero con le nostre critiche alla riforma». Si prepara all’agitazione anche il liceo Virgilio: ieri l’assemblea degli studenti ha votato per cominciare l’autogestione da mercoledì. Mentre martedì le delegazioni di molte scuole (il Visconti ed il Mamiani parteciperanno in massa) si recheranno al corteo dell’università contro il ddl Moratti. Per gli studenti medi l’appuntamento è alle 9 in piazza Barberini.
Alessandra Migliozzi
 
 
 

 
08 – CORRIERE DELLA SERA
«L’Italia? E’ una sorpresa tecnologica»
Bill Gates: l’era del computer è solo all’inizio, ne faremo uno che vede e ascolta
Bill Gates non veste blu manager ma marrone intellettuale. Da intervistato, ha una straordinaria capacità di centrare il punto della questione, e di ricondurla a se stesso e al suo business, due cose che spesso - ma non sempre - coincidono. E’ arrivato a Milano alle 2 del pomeriggio, per lo Smau. E’ passato in tv: Bonolis e la Buonamici. Ora è nella sua suite. Alle 9 di sera ha l’aereo per Parigi. Bill Gates, Microsoft ha trent’anni, e lei ne compie cinquanta venerdì prossimo. E’ considerato da sempre un uomo del futuro. Si volti indietro. Come guarda se stesso? Il manager e la persona?
«E’ anche il ventesimo compleanno di Windows e di Microsoft Italia… in effetti ho sempre guardato in avanti, mai al passato. E’ una necessità: in un settore che si muove così rapidamente, anche tu devi cambiare di continuo. C’è così tanto da fare. Il sogno del personal computer non è ancora realtà: il pc non riconosce il parlato, né la scrittura manuale; il pc non vede. L’era del computer è solo all’inizio. In alcune aree, come i tablet-pc, siamo abbastanza soli; in altre, come la musica e i motori di ricerca, abbiamo una forte concorrenza. Ci piacciono entrambe le cose. Mi sono sempre sentito un pioniere; se gli altri avanzano, lo farò anch’io. Nei prossimi dieci anni ci attendono progressi fenomenali. Useremo i pc in modo finora impensabile».
Quali cambiamenti ci attendono nei prossimi 3 o 4 anni? Quale impatto avranno sulla vita della gente? E sull’economia?
«Ogni anno la tecnologia diventa meno costosa e più affidabile. Per usarla la gente non ha più bisogno di conoscere i dettagli, che so, i processori a 64 bit. Il futuro è il riconoscimento visivo e del parlato: potremo parlare con il cellulare senza digitare alcunché, fotografare con il telefonino un codice a barre e conoscere attraverso Internet il prezzo di quel prodotto e dei concorrenti, oppure fotografare un testo e farlo tradurre nella nostra lingua. Oggi il software non sa ancora riprodurre tutte le capacità naturali dell’uomo. Presto gli studenti, grazie al tablet-pc che sostituirà i libri di testo…».
In che modo? Come funziona il tablet-pc?
«E’ una sorta di lavagnetta digitale. Costerà sempre di meno, e consentirà agli allievi di registrare la lezione del professore senza più prendere appunti. L’interfaccia naturale con il computer crescerà di anno in anno».
L’Europa e in particolare l’Italia non sono in ritardo? L’economia italiana si regge su piccole aziende, quindi non pare in condizione ideale per lo sviluppo della tecnologia e della ricerca. Come vede il nostro futuro? Cosa dovremmo fare? E cosa può fare Microsoft?
«Quando i computer erano grandi e costosi, aiutavano solo le grandi aziende. Oggi i pc danno vantaggi enormi alle piccole aziende, che possono collaborare con i partner da lontano, aprire un sito web, ricevere ordini 24 ore al giorno anche quando non c’è nessuno in ufficio. Le tecnologie prossime venture saranno preziose per le aziende italiane, ad esempio per quelle di moda, che disegneranno sempre meglio i loro prodotti in digitale, simulando soluzioni sempre nuove prima di passare alla produzione. Le piccole aziende ci interessano molto, rappresentano buona parte del nostro lavoro».
Ogni volta che lei viene in Italia passa da Milano. La città di Leonardo, di cui lei è estimatore. La capitale della cultura scientifica italiana. Ora, sembra, anche della crisi italiana.
«Crisi? Quale crisi?».
Lei non ha questa percezione?
«No. Innanzitutto a me piace molto Milano, che trovo bellissima, come mi piacciono Roma e altre città che conosco anche come turista. Lei parla di crisi. Molti paesi, non solo l’Italia, devono cogliere l’occasione al volo, muoversi con grande rapidità, cambiare. Se non lo fa Milano, il resto d’Italia non lo farà. I business-leader sono qui, tocca a loro progettare le riforme, il futuro. Io sono convinto che i business-leader italiani siano ottimi. Ho appena incontrato gli uomini di Capitalia, lavoro con Telecom, con cui stiamo testando nuove tecnologie. E non considero affatto l’Italia un Paese tecnologicamente arretrato. L’anno scorso l’uso privato della banda larga è cresciuto del 35%: è una cifra record, che si può ancora migliorare; sogno che nei prossimi tre o quattro anni si arrivi al 50. Non vedo un’Italia rimasta indietro. Certo, c’è molto da fare. Abbracciare senza perdere tempo la tecnologia, il cambiamento, il nuovo».
Parliamo di Internet. Il simbolo della libertà e della diffusione della democrazia; almeno, così pareva sino a poco tempo fa. Non crede che da una parte la valanga di informazioni inutili, dall’altra il controllo legato alla necessità della sicurezza minaccino il futuro di Internet?
«Tutto il settore, e Microsoft in particolare, devono considerare con la massima attenzione questi abusi. Lo spam - la posta indesiderata - e il furto di identità possono essere eliminati con il progresso. Internet resta uno strumento di democrazia, in particolare per i Paesi poveri. Sopprimere l’informazione libera è impossibile. Anche in Russia, anche nei Paesi dove c’è una tradizione di controllo dei giornali non è più possibile nascondere le notizie che arrivano via Internet, per posta elettronica. Questo per me è un’ottima cosa. Certo, esistono anche i "bad guys", i cattivi. Servono leggi per fermarli. Dobbiamo sviluppare un buon rapporto con la polizia, fare in modo che conosca la tecnologia, migliorare l’"intelligence" dei computer, anche del sistema Windows».
Alcuni Paesi, non solo la Cina, hanno introdotto restrizioni. Questa politica minaccia il libero sviluppo di Internet? Deve cambiare in futuro?
«Restrizioni ci sono sempre state. La stampa non può riprodurre il lavoro altrui. In Germania è vietata la propaganda nazista. Nella maggior parte dei Paesi ci sono divieti in tema di pornografia e pedofilia. Tutti hanno un certo livello di restrizione, anche gli Stati Uniti, dove siamo piuttosto liberali ma abbiamo limiti, magari anche salutari. Il nuovo sistema operativo Windows Vista, ad esempio, consentirà ai genitori di inibire ai figli l’accesso ad alcuni siti web».
Alcuni Paesi europei considerano l’America troppo potente anche nel campo di Internet, e spingono per affidarne la supervisione all’Onu. Lei che ne pensa?
«Spero che resti un problema non molto importante. Non credo ci siano posizioni di dominio o di controllo. C’è stato probabilmente qualche favoritismo nei confronti delle aziende americane nell’assegnazione dei nomi dei domini. Lo si può correggere. Che l’agenzia di controllo sia Icann, o una nuova agenzia in ambito Onu, o la Itu che già si occupa di telecomunicazioni in seno alle Nazioni Unite, in ogni caso credo saprà cosa fare».
Non crede che la politica estera Usa in questi ultimi quattro anni abbia scavato un solco tra l’America e l’Europa?
«Certo. E’ così. Ma Europa e Usa hanno anche tante cose in comune. Vivono in un’economia globale, vogliono aprirla ai Paesi in via di sviluppo, lavorano per la stabilità mondiale, lottano contro il terrorismo; che non minaccia solo l’America ma tutti i Paesi. L’America ha fatto alcune scelte in modo autonomo, anche se non del tutto unilaterale; c’erano pur sempre alcuni partner. Questo ha creato problemi; anche in certi rapporti di lavoro. E’ possibile migliorare. In nome dei valori comuni, credo che le distanze si ridurranno».
Vede antiamericanismo in Europa, in Italia?
«Anche in America c’è un sacco di gente a cui l’America non piace. E’ un sentimento diffuso un po’ ovunque, ma in misura inferiore rispetto ad altri passaggi della storia. Alcune politiche americane dispiacciono in Europa, in particolare quella ambientale e quella palestinese. Questo però non sfocia nel rigetto di tutto quanto è americano; nessuno mi ha mai detto che non usa i pc perché prodotti in America; anche perché in un mondo sempre più piccolo è difficile individuare lo specifico culturale di un Paese, dire cosa è americano e cosa non lo è. L’America ad esempio ha ottime università, e gli europei lo sanno. Sanno di non poter dare un giudizio globale sull’America».
Lei non ama parlare di politica. Però alle elezioni di un anno fa ha appoggiato Bush, mentre alcuni suoi manager hanno appoggiato Kerry.
«E’ vero. La Microsoft non è mai partigiana; non lo è in America, non lo è in Italia, dove so che i miei hanno idee politiche diverse tra loro. L’azienda non fa politica, anche se dedichiamo molto tempo ai politici; ad esempio per discutere le restrizioni a Internet di cui parlavo prima».
Da giovane aveva una passione politica?
«Ho sempre trovato la politica affascinante. E la seguo. Vado a votare. Ma non ho mai trovato il partito perfetto, quello che mette le aziende in condizione di redistribuire la ricchezza. Mi concentro sulle cose su cui posso incidere. La tecnologia. La Fondazione Bill e Melinda Gates».
Che si occupa in particolare di vaccini, ad esempio di quello per la malaria. Lei personalmente è preoccupato per i ritardi nella ricerca di un vaccino per l’influenza aviaria?
«Noi ci occupiamo di malattie che uccidono già oggi milioni di persone: l’Aids, appunto la malaria. Di questo dovrebbe preoccuparsi la gente. Se poi emergeranno nuove malattie, il mondo ricco potrà contare sulle aziende farmaceutiche, che le combatteranno. Pure la malaria si potrebbe combattere; ma siccome dal mondo ricco è scomparsa, non c’è mercato per il vaccino. La gente muore, e noi lo ignoriamo. La Fondazione raccoglie denaro per creare il mercato, e salvare milioni di persone».
Quale futuro vede per Microsoft? Davvero il successo di Google la preoccupa tanto?
«Abbiamo sempre badato molto alla concorrenza, anche a quella di sigle oggi non più così note, come Novelle, Web Perfect, Os2 di Ibm. Google è solo l’ultimo concorrente. Non ci dispiace. La gente sottostima quel che faremo nel settore, e questo mi diverte».
Quindi non è vero che lei vuole distruggere Google?
«No. Dai concorrenti si impara. Rispetto il loro lavoro. Ci impegneremo nell’innovazione, e i clienti decideranno. Passare da un motore di ricerca all’altro è la cosa più facile del mondo, basta scrivere una parola nell’apposito spazio anziché un’altra. Chieda a qualcuno se è soddisfatto dei motori di ricerca; le risponderà di sì in confronto al passato, ma che ogni ricerca resta una caccia al tesoro, visto che richiede almeno 5 minuti per trovare quanto interessa. Noi vogliamo fare qualcosa di meglio. Il vero vincitore sarà il consumatore».
E’ sempre pessimista sul futuro dei libri e dei giornali? Dovranno cambiare ancora?
«Tutto deve cambiare. Le auto, la tv, persino i musei. E’ evidente che la carta è destinata a perdere la sua posizione dominante. Se i suoi figli le chiedono un’enciclopedia, lei dà loro un libro o un computer? Però ci sarà sempre bisogno di buone enciclopedie, e di buoni articoli. Con il tablet-pc li scriverete ancora meglio».
Lei legge i giornali americani? "New York Times", "Washington Post"? Le piacciono?
«Sì. Leggo tantissimo. Più on-line che su carta, però».
La tv la guarda?
«Vado moltissimo al cinema. La tv non rientra nel programma della giornata. Non ho abbastanza tempo. Vedo solo una trasmissione che si chiama 24, al mattino presto, mentre faccio ginnastica».
Aldo Cazzullo
 
 

 09 – MARKETPRESS.info
Prime lauree Icon-Italian culture on the net all’Università di Torino 
Torino, 24 ottobre 2005 - Oggi alle ore 11, nella Sala Conferenze del Dipartimento di Studi Politici (via Giolitti 33), alla presenza del Rettore dell’Università di Torino Prof. Ezio Pelizzetti, avrà luogo una seduta di Laurea tutta particolare: tre studenti della Laurea triennale in "Lingua e cultura italiana per stranieri", interamente on line e fruibile su Internet in modalità e-Learning, discuteranno la loro tesi di laurea, avendo come relatore il Prof. Francesco Traniello. Si tratta di studenti residenti rispettivamente a Kabul (Afghanistan), a Toronto (Canada) e a Santa Fe (Argentina), che hanno scelto di sostenere l’esame di laurea in modalità frontale, cioè fisicamente di fronte ai loro docenti, e non a distanza, in questo caso in videoconferenza. Sono, in ogni caso, i primi studenti-Icon che si laureano a Torino. Il Corso di Laurea on line "Lingua e cultura italiana per stranieri" è stato progettato e realizzato, per essere erogato interamente per via telematica, dal consorzio Icon-italian Culture on the Net, di cui fanno parte 23 Università italiane tra cui quella di Torino. Per realizzare tale obiettivo, oltre che per dar corpo alla propria missione di promuovere lo studio della lingua e della cultura italiana nel mondo attraverso Internet, il consorzio Icon  www.Italicon.it  ha costruito e continua ad incrementare uno dei più rilevanti portali culturali e scientifici relativi alla lingua e alla cultura italiana: oltre 100.000 pagine pubblicate, con circa 600.000 accesi mensili per un totale di circa 6 milioni di pagine visitate l’anno. Attraverso tale portale, Icon offre: Un Corso di laurea triennale (180 Cfu) in “Lingua e cultura italiana per stranieri” legalmente riconosciuto dalle università italiane consorziate, con attività didattica, varie forme di tutoraggio, verifiche ed esami interamente on line. Tale corso è articolato in quattro indirizzi: linguistico-didattico, storico-culturale, letterario, arti-musica-spettacolo per un totale di 350 moduli didattici. Corsi di lingua italiana di vari livelli, compresi uno per anglofoni (preparato dalla Ucla-university of California, Los Angeles), e uno per cittadini extracomunitari residenti in Italia. Corsi di italiano scritto professionale per aziende, banche e uffici pubblici. Il tutto accompagnato da una Biblioteca digitale (Classici della letteratura e della cultura italiana liberamente scaricabili), un Museo virtuale (immagini dell’arte italiana) e un’Enciclopedia digitale; oltre che da un servizio di News di attualità culturali dall’Italia e dalle istituzioni e comunità italiane nel mondo. Dopo due semestri pilota, nel settembre 2002 il Corso di Laurea ha avviato ufficialmente le sue attività, coinvolgendo studenti provenienti da oltre 60 Paesi di tutto il mondo. Il 14 ottobre 2004 si sono avute le prime lauree, conferite a studenti residenti a Città del Messico, Monaco di Baviera, Zagabria, Gerusalemme e Bruxelles che hanno poi ricevuto, al Quirinale, il diploma di laurea direttamente dalle mani del Capo dello Stato Azeglio Ciampi, il quale sin dall’inizio ha voluto concedere il proprio Alto Patronato al Corso. Si possono iscrivere al Corso di laurea solo studenti stranieri o italiani residenti all’estero. La seduta di laurea torinese, che sarà presieduta dal Prof. Enzo Baldini, vicepresidente del Consorzio Icon, ha luogo presso la prima sede istituzionale di Icon nella nostra Università: per l’appunto il Dipartimento di Studi Politici. Per informazioni: enzo.Baldini@unito.it  segrdidattica@italicon.It
 

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