Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
06 November 2005
Ufficio Stampa
Università degli Studi di Cagliari
 
1 - L’Unione Sarda
Pagina 2 – Primo piano
Sanità, ecco il nuovo piano regionale
Non è tutto come prima: nella proposta definitiva del piano sanitario regionale, approvata ieri dalla Giunta, ci sono diverse differenze rispetto alla bozza presentata nello scorso giugno. L’impostazione è sempre quella di un piano leggero, una cornice di obiettivi e princìpi che poi dovrà essere seguita da piani d’attuazione. Ma con diversi ritocchi, nati dal confronto dell’assessore alla Sanità Nerina Dirindin con sindacati, ordini professionali, università e così via. i contenutiSono state inserite soprattutto alcune parti su esigenze prima meno considerate: una su tutte, la medicina del dolore. Ma sono stati anche aggiornati i dati epidemiologici, e ci sono novità anche sulla definizione della figura professionale dei medici di base. Resta però l’articolazione in tre aree (obiettivi di salute, obiettivi di sistema, strumenti per il funzionamento del sistema): la prima mette al centro dell’attenzione, tra le altre cose, la lotta a malattie come diabete, sclerosi multipla, demenze, tumori, disagio psichico e altre patologie assai diffuse nell’Isola. Con un rinnovato impegno per rendere più efficiente il sistema dell’emergenza e il 118. Sulla rete ospedaliera ancora nessun dettaglio, si conferma però l’adozione del modello hub and spoke: ossia la valorizzazione dei centri periferici per la trattazione dei casi meno gravi, e il ricorso ai grande centri (hub) per quelli più complessi. Naturalmente, all’interno di un quadro in cui il contenimento del disavanzo della sanità, sarà necessario adeguare l’attuale offerta di posti letto ospedalieri ai parametri nazionali, aumentando quelli destinati alle lungodegenze. Anche il numero e i tempi dei ricoveri dovranno essere ricondotti agli standard raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalle norme nazionali. le reazioniSubito critica l’opposizione, per bocca di Giorgio Oppi, segretario dell’Udc ed assessore alla Sanità nelle Giunte del centrodestra: «Ovviamente dobbiamo esaminare ancora il testo definitivo della Giunta, ma temo che non possa essere molto di più di una serie di enunciazioni di principio, come era del resto la bozza presentata alcuni mesi fa. Noto che ci hanno messo un bel po’ prima di arrivare alla versione finale», prosegue Oppi, «ma mi chiedo come abbiano fatto ad approvarlo alla prima riunione di Giunta. Ciò vuol dire che non l’hanno neppure letto, oppure che è privo di contenuti». In particolare, sottolinea il leader dello scudocrociato, quello che conta realmente è la riorganizzazione della rete ospedaliera. «E comunque - conclude - prima di arrivare all’approvazione del Consiglio ci vorranno almeno altri sei mesi se non un altro anno. Considerando che l’avevano promesso per dicembre 2004, un bel risultato». Secondo Giommaria Uggias (Margherita), componente di maggioranza della commissione Sanità, è invece proprio un bel risultato: «Direi anzi un evento molto atteso, anche perché è stato più volte anticipato. Un risultato che, posso già dire, sicuramente premia il grande lavoro di fondo svolto dall’assessore Nerina Dirindin e dal suo staff, che hanno applicato una filosofia innovativa». Certamente, però, ora tocca al Consiglio (prima in commissione e poi in aula) aggiungere il proprio contributo, «e lo faremo con grande serietà. Tra la bozza preliminare e quella approvata ieri c’è stato un serio lavoro di concertazione con le parti sociali e i territori», conclude Uggias: «Ora tocca a noi consiglieri completare un percorso molto atteso». (g. m.)
  
2 – L’Unione Sarda
Pagina 42 – Cultura
La preistoria in Sardegna
Oltre mezzo secolo di scavi e studi nel libro di Atzeni
Più che un libro è un autentico manuale sull’antichità che abbraccia oltre cinquemila anni della civiltà dei sardi. Il frutto di ricerche sul campo, di studi in laboratorio e di lezioni nell’ateneo cagliaritano che Enrico Atzeni ha svolto per oltre mezzo secolo. Nonostante sia andato in pensione, il professore continua ancora a frequentare le aule della Cittadella e del "suo" museo che ha fondato e che cura personalmente. Atzeni è un’istituzione dell’Università cittadina. Archeologo specializzato in preistoria e protostoria, ordinario di Paletnologia, è stato direttore del Dipartimento di Scienze archeologiche-storico artistiche e della Scuola di specializzazione in Studi sardi. Innumerevoli i suoi studi, i più importanti oggi raccolti nel volume "Ricerche preistoriche in Sardegna" (Edizioni AV, 480 pagine, 50 euro) pubblicato per iniziativa della Deputazione di Storia Patria. «L’opera - afferma Luisa D’Arienza, presidente della Deputazione - ci restituisce un più organico e agevole strumento di conoscenza sulle pionieristiche e intensissime indagini paletnologiche condotte dal professor Atzeni in regioni ancora inesplorate dell’Isola centrale e meridionale: dai collinosi altipiani del Gerrei, della Marmilla e del Campidano ai comprensori del ricco bacino minerario del Sulcis-Iglesiente». Non c’è sito archeologico che Atzeni non abbia visitato e analizzato alla ricerca delle tracce dei primi abitanti dell’Isola. A lui si devono moltissime scoperte di luoghi sconosciuti che solo l’occhio acuto e professionale dell’esperto ha saputo rilevare. Gran numero di reperti provenienti dalle sue prospezioni sul campo e dalle intense campagne di scavo, che ha condotto negli ultimi decenni, appare oggi nelle sale dei Musei di Cagliari e Sassari e nelle collezioni dell’ateneo cittadino. Sui risultati delle sua tenace e instancabile indagine paletnologica si fonda l’istituzione di Parchi e musei civici territoriali che oggi presentano piccole quanto importantissime collezioni. Tanto per citarne alcuni, che devono la paternità proprio ad Atzeni, il Santa Cristina di Paulilatino, Perda Iddocca di Laconi, Genna Maria di Villanovaforru, Pranu Mutteddu con i celebri menhir di Goni, Cuccurada di Mogoro e ancora la necropoli preistorica di Montessu vicino a Santadi. Ognuno di questi luoghi ha restituito ceramiche, armi, resti umani e di cibo, tombe e soprattutto pietre che andavano riconosciute, studiate e interpretate. Per Atzeni ogni pietra parla, ha una storia, un significato. Così il frammento di ossidiana nera raccolto a Pau poteva essere la punta di freccia o il coltello affilato degli uomini del neolitico che abitavano la Marmilla e l’Oristanese. Atzeni esaminando il reperto e inserendolo nel contesto ci restituisce l’immagine di un mondo lontano e per certi versi ancora misterioso. Alle sue opere, come già per Lilliu, Barreca, Meloni, tanto per citare alcuni dei "grandi" studiosi della Sardegna, si deve la conoscenza dell’antichità che deve essere vista in un quadro mediterraneo e non solo isolano. Il voluminoso libro appena pubblicato è la raccolta di importanti studi: dai nuovi idoli della Sardegna prenuragica all’analisi delle varie tipologie della Dea Madre, all’esame di tutti i siti da lui scavati o esaminati. Un’opera fondamentale chearricchisce la sempre più ricca bibliografia sulla preistoria.
Carlo Figari
 
 3 – L’Unione Sarda
Pagina 5 – Cronaca regionale
Scienza in campo contro pecora pazza
Una ricerca individua nuove possibili fonti di trasmissione
Pecora pazza, uno studio dello Zooprofilattico sulla trasmissione della malattia pubblicato su Nature
Dopo la mucca pazza, la pecora pazza. Dall’Istituto zooprofilattico di Sassari arriva uno studio che apre nuove importanti prospettive nello studio di una malattia degli ovini, la scrapie, ma, per qualche verso, anche della Bse (Encefalopatia spongiforme bovina). Nell’ambito della ricerca, gli studiosi sassaresi hanno scoperto la presenza di prioni nelle ghiandole mammarie di pecore, colpite da mastite e affette da scrapie, una malattia simile alla Bse, più conosciuta come pecora pazza. Ora c’è il timore, ma questo i ricercatori non lo hanno accertato, che il prione possa esserci anche nel latte. Ipotesi che, se confermata, potrebbe provocare il contagio del bestiame attraverso l’allattamento, mentre gli studiosi escludono eventuali riflessi sulla catena alimentare e quindi sull’uomo. Perché bisogna precisare che la scrapie sinora si è trasmessa soltanto tra gli ovini (pecore e capre). La scoperta non potrà che potenziare le misure di prevenzione, come il Piano di selezione per la resistenza alle scrapie che dovrà essere ulteriormente rilanciato. Varato dalla Regione nel 2004, riguarda le pecore colpite dalla malattia. A questo proposito, è bene tenere presente che la legge italiana blocca la vendita del latte proveniente da greggi che risultano affetti da scrapie, che vengono risanati con la selezione genetica e abbattendo i capi contagiati. Su un altro fronte, quello della vera e propria Bse, che colpisce le mucche, lo studio sassarese amplia gli orizzonti della ricerca, che sinora non ha mai preso in esame animali affetti da mastite. Che si tratti di un notevole passo avanti nelle indagini su scrapie e Bse lo dimostra anche il fatto che la ricerca, firmata dal dottor Ciriaco Ligios, è stata pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica Nature, con un commento dello scienziato Adriano Aguzzi, (università di Zurigo) un’autentica autorità in materia (che ha anche collaborato all’iniziativa). I risultati sono stati trasmessi al Ministero della Sanità ed all’assessorato regionale all’Agricoltura. Sinora, però, sull’argomento non è stata diffusa alcuna nota ufficiale. La delicatezza della materia e le possibili implicazioni della scoperta, ancora tutte da accertare, hanno indotto la dirigenza dell’Istituto zooprofilattico a erigere un autentico muro di riserbo di fronte a chi ha chiesto notizie. Comprensibile il timore che si innescasse un certo clamore scandalistico, ma proprio per questo sarebbe stato meglio se la Regione o il Ministero avessero organizzato, tempestivamente, una conferenza stampa. Tanto più che la notizia dello studio, con le osservazioni di Adriano Aguzzi, sono presenti nel sito di Nature. Da quando si è potuto apprendere, gli studiosi sassaresi hanno preso in esame 881 capi ovini. 261 erano affetti da scrapie e quattro, che avevano le ghiandole mammarie infiammate, hanno rivelato l’esistenza di prioni. Una seconda fase della ricerca dovrà ora accertarne l’eventuale presenza nel latte, con tutte le implicazioni del caso. Tenendo presente che, sinora, non è stato mai dimostrato il contagio della malattia dalla pecora all’uomo. Mentre tra gli ovini la trasmissione del prione avviene per via alimentare, attraverso l’ingestione della placenta. Nel commentare la scoperta degli studiosi dell’Istituto zooprofilattico, il professor Aguzzi osserva che sinora i ricercatori che hanno cercato i prioni nelle mucche affette da Bse (senza peraltro raggiungere risultati positivi) non hanno mai preso in esame esemplari affetti da infiammazione delle ghiandole mammarie (mastite). Infatti, il prione è stato trovato soprattutto nel cervello, nel midollo spinale e nel sistema immunitario, mentre si consideravano relativamente sane altre parti del corpo. Ma di recente, proprio una serie di studi dell’équipe coordinata da Aguzzi ha accertato la presenza di prioni nel pancreas, fegato e milza. Oltreché nelle urine prodotte da reni infiammati. Dalle mucche alle pecore, lo scienziato ha quindi collaborato allo studio dell’Istituto zooprofilattico, nell’ambito del quale è stato osservato che l’infezione delle ghiandole mammarie delle pecore è causata da un virus chiamato Maedi Visna. Aguzzi ritiene che la combinazione prione virus potrebbe fornire la chiave per combattere il morbo della pecora pazza. Ma condizione prioritaria è che si debelli il virus.
Lucio Salis Vincenzo Garofalo
 
 
 

 
4 - La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
Ospedali, sarà l’anno delle rivoluzioni
Aperture al territorio, costi alleggeriti con sinergie tra servizi finora scollegati
CAGLIARI. Comincia a diventare chiaro lo scenario sugli ospedali cagliaritani. Seguendo la commissione regionale alla sanità che ha visitato tutti gli ospedali cittadini con lo scopo di formarsi un quadro completo anche in vista della discussione del piano sanitario regionale licenziato proprio due giorni fa dalla giunta regionale, è stato possibile stabilire quale potranno essere alcune evoluzioni delle strutture attuali. Le strutture utilizzate in scarsa misura dovranno sparire. Le degenze lunghe verranno abolite ovunque a favore di attività in day hospital. Il cosiddetto territorio (ambulatori ecc.) dovrà offrire l’assistenza non strettamente ospedaliera e fare così da filtro con gli ospedali. Altro obbiettivo dichiarato è far sparire i doppioni: di reparti e di servizi. E per quanto riguarda il personale si farà un’oculata valutazione delle necessità e delle priorità.
 Il San Giovanni di Dio è forse il presidio al momento dal destino più complesso perché deve entrare nel corpo dell’azienda mista Regione-Università. Quest’ultima è allo studio e di recente è stata alleggerita del terzo centro, l’ospedale Microcitemico, che opportunamente resterà in forze alla Asl 8. Il sistema didattico e di assistenza che nascerà dall’accordo Regione-Università funzionerà diviso tra Monserrato e il San Giovanni di Dio. La scelta sul Microcitemico risale a un mese fa ed è il risultato del tavolo tra assessore regionale alla sanità, preside della facoltà di Medicina, direttore generale della Asl 8: i conti molti chiari mettevano in luce quanto la struttura avrebbe zavorrato la nascente azienda mista e quanto, invece, restando nella Asl, avrebbe potuto sfruttare le possibili sinergie con l’ospedale oncologico a due passi. Un passaggio ha reso più semplice lo sblocco verso questa soluzione: la Regione da un lato e soprattutto l’Università dall’altro hanno accolto ciò che è sempre stato portatore di problemi, vale a dire che la ricerca scientifica potesse essere condotta senza restrizioni e patteggiamenti anche in un ambito ospedaliero. Sbloccato questo passaggio, è parso a tutti ovvio quel che i conti suggerivano: l’ospedale Microcitemico abbinato all’Oncologico avrebbe consentito una gestione economica più fruttifera rispetto alla sua collocazione nell’azienda mista. Un’altra novità arriva da un fronte discusso: la cittadella sanitaria prevista nell’ex manicomio di Villa Clara. Probabilmente diventerà un presidio diverso da quello pensato nella precedente gestione. Impossibile finora sapere quale sarà la sua destinazione perché il direttore generale di recente ha spiegato che Villa Clara rientra nel lavoro complessivo in corso per razionalizzare i cento locali (poliambulatori, presìdi di varia natura) in cui sono sparse le attività della Asl (esclusi gli ospedali). Anche in questo caso hanno avuto notevole peso le valutazioni economiche: 30 milioni di euro doveva essere la spesa per realizzare il complesso, troppi se si pensa che troverebbero alloggio solo alcune delle 100 sedi sparse in città. Poi c’è il Binaghi. Perderà alcuni pezzi importanti (chirurgie, il centro per la sclerosi multipla), ma diventerà un ospedale completo anche per l’assistenza territoriale delle malattie polmonari e della respirazione. Forse, sarà anche centro per l’emergenza respiratoria.
  
5 - La Nuova Sardegna
Pagina 2 - Cagliari
Presentato ieri alla Facoltà teologica pontificia
La dottrina della Chiesa ora ha il suo compendio
CAGLIARI. I bambini hanno il catechismo per imparare le regole fondamentali della vita cristiana, gli adulti oltre al catechismo devono attenersi, nei loro comportamenti, alla dottrina sociale della Chiesa, cioè il vademecum per trasformare la realtà politica, economica, culturale e sociale con la forza del Vangelo. Ieri, nell’aula magna della Pontificia facoltà teologica della Sardegna, ne è stato presentato il “Compendio”, elaborato secondo l’incarico di Giovanni Paolo II per esporre in maniera sintetica, ma esauriente, l’insegnamento ecclesiale. Soprattutto negli ultimi tempi in Sardegna tutti i movimenti cattolici impegnati nel sociale e nelle organizzazioni dove è preponderante la visione cristiana della vita, tentano di ispirarsi alla dottrina sociale. Un alfiere di questa “regionalizzazione” è stato padre Sebastiano Mosso, per molti anni preside della Facoltà teologica e animatore di vari gruppi impegnati nel sociale. Una delle sue ultime fatiche di studioso è stata l’elaborazione di un documento sulla disoccupazione in Sardegna, dove invitava i vescovi e le parrocchie a dar vita a cooperative giovanili e a iniziative imprenditoriali da far nascere all’ombra del campanile. Alle iniziative dei singoli dei gruppi si sta per sostituire la “Consulta delle aggregazioni laicali sul versante della pastorale sociale, promossa dalla Delegazione regionale per i problemi sociali e del lavoro, un ufficio della Conferenza episcopale sarda diretto da don Pietro Borrotzu. Ne dovrebbero far parte Azione cattolica, Acli, laureati cattolici, scoutismo, movimento dei focolari, insegnanti della scuola media ed elementare, Coldiretti, Confocooperative, banca etica, volontariato, sindacati. Alcune di queste organizzazioni hanno partecipato ieri alla presentazione del “Compendio”, fatta da Mario Toso, rettore dell’Università pontificia salesiana, presente il vescovo di Nuoro, Pietro Meloni, esperto di queste problematiche. Tra i relatori Cesare Strozzi (Azione cattolica), Mario Medde (Cisl), Roberto Sedda (banca etica), Walter Piscedda (Acli), Giampiero Farru (Sardegna solidale), Giampiero Lecis (Movimento culturale cattolico) e Vito Tizzano (Coldiretti).
Mario Girau
  
6 - La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Cagliari
Monteponi. La riunione mensile degli amministratori dei Comuni che fanno parte del consorzio
Geoparco, occasione da non perdere
Ci sono soldi e piani, occorre attivare il tavolo con la Regione
Tutti d’accordo, vigilare sui progetti e no ai campanilismi
MONTEPONI. Le risorse ambientali ci sono, i soldi anche, le idee pure. Ed è arrivato il momento di far partire i progetti e dare consistenza al Parco geominerario. Il messaggio che è arrivato ieri mattina dalla riunione dagli 86 sindaci (quasi tutti presenti) che fanno parte del consorzio è chiaro: alla fine del 2004 sono rimasti da spendere 11 milioni di euro e dunque occorre attivare quanto prima il tavolo di partenariato con la Regione con l’obiettivo di arrivare (finalmente) ad un piano organico di interventi che consenta al parco Geominerario di partire.
 Insomma, è arrivato il momento della svolta e da qui in avanti occorre anche accelerare i tempi. Ieri mattina è arrivata anche una novità: per la prima volta ha partecipato alla riunione (che ha scadenza mensile) anche Sassari, che nella sua area comprende una zona di indubbio valore ambientale (anche se colpevolmente «dimenticata») come l’Argentario. E proprio all’Argentario è stata programmata la prossima riunione, che si svolgerà il 2 dicembre.
 Niente di nuovo sotto il sole comunque, c’è stato il solito gran parlare del parco prossimo venturo, ci sono stati innumerevoli interventi, compresi quelli degli ammninistratori provinciali e quello del rappresentante della Regione. Un altro passo in avanti è stato fatto: d’accordo su tutto, soprattutto di mettere da parte inutili campanilismi che finora hanno di fatto frenato il progetto complessivo e impedito di raggiungere i risultati che erano stati prefissi. Ma occorre andare avanti. Il perchè lo si può intuire facilmente se si da uno sguardo al posto scelto per la rionione di ieri, la palazzina liberty dell’ex miniera di Montoponi, oggi sede tra l’altro di una facoltà universitaria. Intorno si può chiaramente vedere il cantiere che sta cercando di riportare all’antico splendore e di rendere fruibile al visitatore il sito. Ma il panorama che si gode da quell’osservatorio previlegiato, ancora non aperto ai turisti, è mozzafiato, tale da far mordere le mani per le risorse non ancora sfruttare. Per non andare tanto lontano, in Europa, c’è l’esempio del Galles, che ha chiuso le sue miniere, le ha «restaurate» e quindi le ha aperte al turismo. Con risultati sorprendenti: oggi ci sono tour che vengono programmati addirittura da Londra per godere di uno spettacolo incoparabile. Si potrebbe richiamare anche l’esempio dell’Australia, paese lontanissimo ma che ha saputo fare delle sue risorse naturali (notevolissime) e dell’archeologia industriale (un po’ limitata) un volàno per lo sviluppo di zone apparentemente inospitali comunque lontane dai centri principali: ogni giorno sono migliaia i turisti che vengono portati in quei posti selvaggi e affascinanti. Perchè non si può fare lo stesso con il Parco geominerario, dichiarato non a caso patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1997? Impossibile competere con zone che, oltre alla presenza di siti interessantissimi, hanno il mare (e che mare!) vicino.
 Gli amministratori sono d’accordo sul fatto che bisogna pur partire perchè c’è un patrimonio che aspetta solo di essere sfruttato. Senza dimenticare che ci sono fior di soldi (11 milioni di euro, mica poco) da utilizzare. Ecco perchè non bisogna mandare all’aria quanto è stato fatto finora (al di là delle inevitabili critiche che accompagnano il progetto). Si è parlato allora di piani di coordinamento, di sviluppo, di regolamentazione degli interventi ma non bisogna perdere tempo, attivando nel frattempo anche settori come promozione e marketing, in grado di far decollare lo sviluppo. Qualche perplessità è stata sottolineata da qualche amministratore, che ha chiesto di vigiliare in maniera da non disperdere quello che è considerato un patrimonio. Il Parco può divenmtare un punto di eccellenza dell’isola, altro che storie.
  
7 - La Nuova Sardegna
Pagina 7 - Cagliari
Consegnati i premi per le tesi di laurea
Dai giovani studiosi arriva un contributo per esportare l’idea in tutta Europa
IGLESIAS. L’arte del fare è scolpire la pietra per estrarre blende e piriti. L’arte del fare è maneggiare con destrezza le launeddas e l’arte del fare è chiudere un ciclo di studi con una tesi di laurea sul parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna. Tutto questo, ieri pomeriggio, è stato riproposto nella galleria Villamarina, addobbata a festa in occasione della ceriminia di premiazione delle tesi di laurea sul geoparco. Il primo premio è andato a Monica Contini, di Carbonia, laurea in economia e commercio all’università di Cagliari con la tesi «Contributo dei parchi allo sviluppo socio-economico; il caso del parco geomineraio storico e ambientale della Sardegna». Il secondo riconoscimento è andato a Mauro Ghiani, residente a Seui, laurea in scienze politiche che ha concluso il lavoro di ricerca su «Storia della miniera di Seui nella Sardegna contemporanea». Il terzo premio è stato assegnato a Damiano Isu, architetto di Iglesias, per la tesi «Progetto per il recupero e riuso dell’ottocentesca laveria Lamarmora di Nebida». Un premio, anche se virtuale, va riconosciuto, con pieno merito, all’associazione Pozzo Sella, che è riuscita a convogliare, per l’occasione, dentro la sala principale della galleria oltre 200 persone richiamate oltre che dall’evento culturale dal richiamo delle note del violino di Roberta Pinna e delle launeddas del maestro Luigi Lai. Suoni arcaici è vero, quelli che si sono sprigionati dalle canne e dalle corde degli strumenti musicali, ma in grado di concedere emozioni forti in un ambiente dove al posto delle note, un tempo, si avvertivano rumori di ferraglie, sordi boati di dinamite e lamenti di gente stanca ed affaticata: questo però oggi è Parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna. C’è molto da fare, si è detto, ma i lavori di ricerca dei dieci neolaureati che hanno partecipato al bando di concorso indetto dall’associazione Pozzo Sella contribuiscono ad accorciare i tempi per la realizzazione del progetto e a farlo conoscere oltre i confini dell’isola. Impresa difficile riportare i nomi dei presenti ma in prima fila c’erano il vescovo di Iglesias, Tarcisio Pillolla, l’assessore regionale all’ambiente Tonino Dessì, il vice presidente del consiglio regionale Claudia Lombardo, il consigliere regionale Francesco Sanna. Quasi al completo la giunta provinciale Carbonia Iglesias con Pierfranco Gaviano; il direttore del parco, Luciano Ottelli; il presidente di Igea Franco Manca e il direttore della società pubblica Ferdinando Flores. Giampiero Pinna nelle vesti di padrone di casa. «Le tesi di laurea di questi giovani ricercatori - ha precisato Tonino Dessì - sono un investimento importante per il parco minerario. Abbiamo notato tra i giovani un interesse per la ricerca in questo campo e il loro lavoro contribuirà a rivalutare le miniere come fonte di lavoro ed occupazione». Indubbiamente sono molti che sperano in opportunità di lavoro in questo nuovo disegno avallato dall’Unesco. Anche Igea riconosce l’importanza dell’impegno dei neo laureati nell’affrontare temi riguardanti la storia delle miniere sarde e il loro recupero con finalità diverse da quelle estrattive. «Ad Igea corre l’obbligo e lo farà - ha detto Franco Manca - di mettere in sicurezza i siti minerari e di bonificare le zone inquinate. La società dispone di professionalità per affrontare questo impegno per restituire quei beni alla collettività». Soddisfatto Renzo Pasci, coordinatore della manifestazione.
Erminio Ariu
  
8 - La Nuova Sardegna
Pagina 49 - Cultura e Spettacoli
«Il tesoro del Canonico» è intitolato il libro a più mani su Giovanni Spano ...
A lui va il merito di avere rivelato, in pieno romanticismo, le origini e le ragioni culturali dell’isola
«Il tesoro del Canonico» è intitolato il libro a più mani su Giovanni Spano che Paolo Pulina e Salvatore Tola hanno curato per l’editore Delfino di Sassari (328 pagine, 24 euro). Raccoglie scritti di Manlio Brigaglia, Giovanni Lilliu, Giovanni Lupinu, Paolo Pillonca, Grazia Mannironi Lubrano, Antonio Romagnino, Maria Grazia Scano Naitza, Giuseppina Uleri, Luciano Carta, Piero Ausonio Bianco e Michelangelo Pira, oltre i saggi dei due curatori. Il volume è illustrato con i quadri della Pinacoteca “Spano” di Ploaghe e una originale documentazione fotografica curata dall’Associazione “Giovanni Spano” di Ploaghe. Ad un convegno sul Canonico svoltosi l’anno scorso nell’Università Cattolica di Milano a cura della Fasi e del Circolo culturale sardo della stessa Milano, il presidente emerito Francesco Cossiga svolse una relazione il cui testo è riprodotto in apertura del volume. Ne pubblichiamo alcuni stimolanti passaggi in questa pagina.


di Francesco Cossiga
Per la nostra generazione, Giovanni Spano era il nome del Liceo scientifico, come Domenico Alberto Azuni, quello del Liceo classico che ho frequentato, nomi che non erano nei nostri libri di testo dove la Sardegna esisteva solo per i sovrani e per la Brigata Sassari. Per ricordare il canonico Spano di Ploaghe, senatore del Regno, invece era diverso. Dovevo addentrarmi in un labirinto di ricordi, nella memoria degli avi paterni, in un paesaggio di monti, di vulcani spenti come Montesanto, di altipiani, di boschi, di colline e di pianure tra il Logudoro e il Meilogu.
[...] Compare e sodale del parroco di Ploaghe, Salvatore Cossu di Chiaramonti, amico dello Spano, era il mio bisnonno Bainzu Franziscu Cossiga. Anche lui di Chiaramonti, meigu chirurgu, lo seguiva non solo nel fervore per la fede ma anche in quello per la poesia. Ploaghe era diventata infatti, in quella metà del secolo e grazie al canonico Spano, un centro di irradiazione di poesia in lingua sarda e di ricerca archeologica, storica, filologica e linguistica. Il Cossu, insieme allo Spano, aveva predisposto sulle lapidi del cimitero, accanto alla chiesa parrocchiale, quegli epitaffi in lingua sarda che costituiscono un singolare esempio dei beni culturali che hanno suscitato e suscitano l’interesse di studiosi italiani e stranieri.
 Purtroppo non si può riassumere brevemente il complesso rapporto che univa i componenti del cenacolo di Ploaghe che faceva capo allo Spano. Solo ora, dopo una cesura durata quasi un secolo, la questione della lingua sarda è ritornata di attualità e nel quadro questa volta della Carta europea delle lingue e dei saperi e nell’ottica della microstoria. Sono stati i poeti del Premio Ozieri e dei premi che da quello hanno proliferato a segnare la ripresa della poesia in lingua e a contrastare la politica che riteneva l’impiego della lingua sarda un impedimento per l’inserimento dell’Isola nella modernità. Finalmente si può rendere giustizia a quegli intellettuali ecclesiastici e laici che hanno sempre avuto a cuore la sorte della propria come delle altre lingue dei grandi e dei piccoli popoli d’Europa e si può rivisitare l’attività di quel gruppo.
[...] Ora, se si pensa che i testi del mio avo Bainzu Cossiga, il poeta de Sa dottrina cristiana, erano destinati non alla lettura con gli occhi ma alla recitazione col canto, si può capire come quel sistema comunicativo fosse in grado di permeare le coscienze mediante una interiorizzazione che passava attraverso le tappe della coralità della partecipazione emotiva del canto e la conseguente memorizzazione. Bainzu Cossiga, che non solo i compaesani, ma tutti i sardi chiamavano “Su poeta cristianu”, ha reso illustre il paese di Chiaramonti, proponendo, nei suoi versi, i temi essenziali della fede e della carità e i precetti morali e religiosi che conducono ad una perfetta vita cristiana. La formazione cristiana infatti è stata sempre alla base della cultura sarda come risultato di una predicazione morale svolta in massima parte dal clero, dai poeti a tavolino e dagli improvvisatori nei cori delle cerimonie religiose, e nelle varie occasioni di riunione quotidiane e rituali della festa.
Siccome Chiaramonti si trova in una posizione di confine tra il Logudoro e l’Anglona e tra la Barbagia da una parte e la Gallura dall’altra, era allora un crocevia naturale di criminalità che la proprietà perfetta alimentava. Si può quindi capire come fosse importante la riaffermazione della dottrina della vera vita cristiana professata in versi, tanto che il suo Babbu nostru, considerato anonimo, viene anche oggi cantato dai cori fuori e dentro le chiese sarde. Ma quel flusso culturale in lingua sarda che era stato per secoli la vera linfa culturale per il popolo, era già stato interrotto con pregiudizio assai grave della nostra comunità, dal Fascismo e dal post-fascismo.
[...] Personaggio di grande levatura spirituale prima che monumento della cultura, accolto e onorato dalle accademie straniere e italiane, il canonico Spano ci ha mostrato il raccordo che esiste tra la microstoria e la storia globale. Egli è stato in grado di comprendere, prima dell’avvento dei media, come la cultura sarda avesse nella poesia a bolu e in pinna un sistema comunicativo di grande efficacia che creava condivisione e consenso e confermava, meglio del contratto sociale di Rousseau, il patto di Mosè rappresentato dalle tavole della Legge. Le vicende di Giuseppe ebreo gli furono care perché preparavano, col riscatto dalla servitù d’Egitto, le successive tappe del Nuovo Testamento. Il progetto uomo di Giovanni Spano tocca tutte le branche del sapere umanistico ma soprattutto quelle che rivelano ai Sardi l’identità della nazione sarda. Nominato senatore del Regno, per lealtà verso il papa, suo capo spirituale, non prende parte alle sedute del Senato tenendo fede così al non expedit. Per noi egli rimane pertanto un monumento non solo per gli studi, che vanno riportati dentro il contesto storico nel quale egli da pioniere li ha iniziati, ma soprattutto come ispiratore ideale di quella Sardegna alla quale i Sardi che vogliono parlare la lingua sarda e custodirne i valori di saggezza e virtù morali guardano oggi con speranza.
[...] A Giovanni Spano, è bene ripeterlo, si deve riconoscere soprattutto il merito di avere rivelato, a trecentosessanta gradi, in pieno romanticismo, le origini e le ragioni culturali della nazione sarda. E di averle affermate con un approccio che è stato storico, o meglio, linguistico, antropologico e storico.
[...] Il monumento che lo Spano ha costruito alla meravigliosa macchina comunicativa della tradizione orale sarda legata al canto è la raccolta in sei volumi delle Canzoni popolari di Sardegna, che sono alla base degli studi demologici sardi. E non solo sardi, dal momento che il Pitrè riconosce di essere, per i suoi studi, in debito con lo Spano. Debito che gli riconosce anche l’antropologo Alberto Mario Cirese, che ha curato la prefazione alla riedizione di quest’opera. Egli è l’unico antropologo non sardo che si sia interessato della tradizione orale, mentre gli allievi sardi cresciuti alla sua scuola non hanno coltivato quel suo interesse.
[...] Lo Spano è cosciente del valore di questo patrimonio di competenze letterarie attive e passive, di cui noi oggi, dopo tanti anni di concezioni estetiche idealistiche che hanno privilegiato la scrittura e soprattutto la produzione del testo, riusciamo a capire l’importanza e il valore.
  
9 - La Nuova Sardegna
Pagina 1 - Cagliari
Case studenti: c’è il canone concordato
CAGLIARI. Per superare il problema delle locazioni agli studenti universitari che si ripropone ogni anno, non solo in città, a causa degli affitti in nero, di canoni troppo elevati e per case talvolta fatiscenti, si potrebbe applicare il canone concordato - ha spiegato il segretario del sindacato inquilini Sicet, Giampaolo Carta - previsto dalla legge 431 del 1998: «Un proprietario che affitterà con il metodo del canone concordato - ha aggiunto Carta - beneficerà di un risparmio fiscale pari al 30% (verrà denunciato ai fini Irpef il 59% del canone di locazione contro l’85%) e di uno sconto del 30% sulla tassa di registrazione. Inoltre il canone verrà determinato sulla base della zona censuaria e della dotazione degli arredi di cui è fornita l’abitazione affittata. E’ evidente che il diffondersi del canone concordato necessita dell’impegno di tutte le forze sociali».
  
10 - La Nuova Sardegna
Pagina 23 - Sassari
Inaugurato il Centro per le mastopatie
Si candida a diventare punto di riferimento per tutto il Mediterraneo
FRANCESCO VACCA
SASSARI. Il Centro di referenza nazionale per le mastopatie degli ovini e dei caprini di Sassari aspira a diventare punto di riferimento per tutta l’area del Mediterraneo. Questo è il dato più interessante del convegno tenutosi ieri mattina nella facoltà di Veterinaria e organizzato per l’inaugurazione dell’importante struttura, nata originariamente come Centro di referenza per l’agalassia contagiosa.
 È stata poi modificata su richiesta dell’Istituto zooprofilattico perché l’idea di concentrare gli sforzi soltanto sull’agalassia appariva ormai estremamente riduttiva. «Importante è invece - spiega Guido Leori, responsabile del Centro -, anche per tutte le professionalità e soprattutto l’esperienza che l’Istituto porta avanti dal 1925, che trovi accoglienza totale e specifica tutta la problematica». Il riconoscimento di questa attività è un fatto importante che consente di strutturare un’attività che porterà alla soluzione di problemi specifici ancora presenti. «Quello della mastite negli allevamenti delle pecore da latte - afferma Leori - costituisce uno dei problemi dominanti negli ovili. Sappiamo che non esistono dati certi che da un punto di vista epidemiologico possano definire la diffusione nei vari greggi. Dobbiamo anche considerare che si tratta di un Centro di referenza nazionale, quindi dovremo farci carico anche dei problemi degli allevatori di pecore di tutta la penisola. A questo è associata anche la produzione di vaccini stabulogeni che consente di dare una risposta immediata agli allevatori costretti a confrontarsi con un problema specifico e ad affrontare un presidio immunitario che consente di tenere sotto controllo un certo tipo di malattie. Parliamo di un vaccino con microrganismi isolati tra gli animali dell’allevamento, quindi mirato a quel tipo di allevamento».
 Non è un Centro che intende sostituirsi all’attività normale dei vari laboratori diagnostici. Suoi compiti sono soprattutto standardizzare metodiche e strumentazioni in modo che la risposta a livello nazionale sia uniforme. «L’altro aspetto - aggiunge Leori - è che il Centro vuol mettersi come punto di riferimento per la ricerca nel settore delle mastiti ovi-caprine. Ricerca che attraverso la collaborazione con tutte le realtà sarde, dall’università che si occupa di alcuni aspetti, ai laboratori dell’Ara, che hanno un controllo capillare degli allevamenti soprattutto per l’aspetto della produzione, si possa dare risposte concrete.
 «Credo che l’obiettivo del ministero della Salute sia quello di allargare la sfera di influenza del Centro a tutta l’area del Mediterraneo. Da parte nostra abbiamo già avviato contatti e siamo già, per certi versi, punto di riferimento della Libia, della Tunisia e del Marocco, Paesi dove l’allevamento degli ovini è in continua crescita e sviluppo».
 

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