Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
29 December 2005

Ufficio Stampa 

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI



1 – L’UNIONE SARDA 
Cultura - Pagina 43 
 I
l Ddt non è cancerogeno 
«E potrà essere utilizzato nel Terzo Mondo» 
 
Uno studio cagliaritano pubblicato negli Usa dal "Cancer Research" riabilita definitivamente il pesticida
La testa dura dei sardi, l’organizzazione degli americani e un’arma formidabile, il Ddt, per combattere un nemico infido come pochi. È la sintesi estrema della lotta alla malaria, la grande guerra di civiltà e di salute pubblica che dal ’46 al ’50 coinvolse una Sardegna stremata e malsana, restituendola alla vita. A condurla, sotto l’organizzazione della Rockefeller Foundation e dell’Erlaas, un esercito di uomini. Disinfestori, segnalatori, "soldati della salute" che ora saranno contenti di sapere che lo studio scientifico condotto per anni anche grazie alla loro collaborazione ha dato i suoi frutti, portando una buona notizia. Per la Sardegna ha un valore retroattivo, per i paesi del terzo mondo ancora segnati dalla malaria apre uno spiraglio di luce: il Ddt non è cancerogeno per l’uomo. Utilizzarlo per combattere la piaga della malaria, ancora drammaticamente presente in Africa e in Sudamerica, è quindi possibile, senza che questo comporti per le popolazioni costi umani troppo alti. A dirlo con certezza è uno studio pubblicato di recente da Cancer Research, organo della American Association for Cancer Research di Bethesda. Condotto da Pierluigi Cocco, professore associato di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari, che firma la ricerca con Domenica Fadda, Beatrice Billai, Mario D’Atri, Massimo Melis ed Aaron Blair, è basato su una ricerca sistematica effettuata negli ultimi anni su cinquemila sardi che parteciparono alla campagna antimalarica. Dati alla mano, dimostra che non è stata trovata alcuna relazione tra esposizione al Ddt e patologie neoplastiche sospette. Cancerogeno per gli animali da esperimento, il diclorodipheniltricoloroetan o non lo è dunque per l’uomo. Non lo è stato per "i soldati della campagna antimalarica", non lo sarà presumibilmente per i popoli che sono costretti ad utilizzarlo ancora oggi. Prodotto soltanto in pochissimi impianti industriali in paesi in via di sviluppo, come Cina e India, abbandonato dalle multinazionali della chimica che da tempo hanno eliminato dalla produzione una vecchia molecola (ormai non più coperta da brevetto), ha un costo basso in termini economici e ora, secondo i risultati dello studio dell’Università cagliaritana, anche in termini di salute. «Questo non significa che si tratti di una molecola innocua», precisa il professor Cocco. «Altri nostri studi, pubblicati e in corso di ultimazione, mostrano che elevate esposizioni professionali ed ambientali all’insetticida possono dar luogo ad una riduzione della fertilità maschile, in rapporto alle proprietà pseudo-ormonali di alcuni suoi derivati». Come qualsiasi farmaco efficace, il Ddt dovrà quindi essere usato con estrema cautela, ed esclusivamente per motivi di Sanità Pubblica. Nessun trionfalismo dunque, e nessuna tentazione santificatrice. Tuttavia è consolante scoprire con certezza che i nostri vecchi non ebbero alcun aumento di patologie neoplastiche conseguenti al loro "contatto" col Ddt, seppure in condizioni di assoluta mancanza di precauzione. «Il nostro è il primo studio che dimostra che l’esposizione umana al Ddt, alle concentrazioni a cui sono stati esposti durante le operazioni di disinfestazione, non ha causato un aumento della mortalità neoplastica per tumori», dice con soddisfazione il professore. «Certo, arriva tardi, ma finora non avevamo sufficienti informazioni, sono occorsi anni per raggiungere un numero considerevole di persone coinvolte. E sono state preziose le informazioni trasmesse da John Logan, sovrintendente dell’Erlaas, nel suo rapporto». Del resto, racconta Cocco, già l’Organizzazione mondiale della Sanità, nel 2001 a Stoccolma, aveva salvato il Ddt dalla messa al bando delle sostanze che persistono a lungo nell’ambiente, riconoscendone la straordinaria efficacia nei confronti della malaria. «Ripeto, non è acqua fresca, e nei paesi occidentali dove la malaria è tuttalpiù di importazione non ha senso utilizzarlo. Ma dove è endemica sì. Oggi succede con il Ddt ciò che accadde vent’anni fa con la tetraciclina, antibiotico potentissimo che costava pochissimo: una capsula al giorno trattava le broncopolmoniti benissimo. Poi antibiotici nuovi che avevano la stessa efficacia e costavano assai di più la soppiantarono. È la legge del mercato». Nel terzo mondo, continua Cocco, sono stati utilizzati a lungo i piretroidi, che necessitano di trattamenti ripetuti e frequenti. Per il Ddt bastano due-tre trattamenti, la persistenza prolungata nell’ambiente è la sua forza, oltre che la sua colpa...». Lo studio pubblicato sul Cancer Research è il risultato di un lavoro cominciato nell’85, quando Pierluigi Cocco e i suoi collaboratori approdarono ai faldoni polverosi dell’archivio degli enti disciolti presso la Ragioneria generale dello Stato a Roma, EUR. «Riuscimmo così, finalmente, a identificare le persone citate nei fascicoli, a entrare in contatto con loro. Ne abbiamo contattati quasi cinquemila: impiegati, disinfestori, segnalatori, entrati in contatto con il Ddt». Lavoratori che ci hanno salvato da un male giunto nell’isola, si dice, con i cartaginesi, se non prima. Quaranta su cento sono ancora vivi. E ci confermano che allora, in Sardegna, era giusto fare quello che è stato fatto. «Oggi può esserlo in Africa e in Sudamerica: e spetta a chi ci vive decidere, sulla base di considerazioni che appartengono solo a loro». Maria Paola Masala

2 – L’UNIONE SARDA

Provincia di Sassari - Pagina 35
Alghero. Preoccupazione
Finanziamento dirottato: la facoltà di Architettura rischia il collasso 
È appena nata e rischia già la chiusura la facoltà di Architettura di Alghero. La sorte del polo didattico cittadino è nelle mani della giunta regionale che dovrà decidere quanti soldi destinare al corso di studi che oggi conta 450 iscritti e che rappresenta una vera novità nel panorama dell’offerta universitaria in Sardegna. A poche ore dall’approvazione dell’esercizio finanziario c’è un gran fermento nell’ambiente universitario. Preoccupazione è stata espressa dal rettore dell’ateneo sassarese, Alessandro Maida, il quale non ha nascosto le difficoltà finanziarie che affliggono la facoltà di Architettura. I dubbi riguarderebbero il finanziamento di un milione e 200 mila euro che sarebbe dovuto finire nelle casse del polo didattico algherese e che invece sembra destinato a confluire nel fondo globale regionale per le Università. Senza il finanziamento regionale, infatti, Architettura sarebbe costretta a aumentare le tasse agli studenti che già fanno i salti mortali per frequentare i corsi. La maggior parte degli iscritti proviene dalle quattro province sarde, attratti soprattutto dalla laurea specialistica in Architettura, unica in Sardegna. I corsi sono tenuti da professionisti provenienti da tutto il mondo. Veri e propri guru dell’architettura moderna. Un sistema che funziona, insomma, e che ora rischia di andare in tilt per mancanza di fondi. E in questo contesto la notizia che presto anche Cagliari varerà la sua facoltà di Architettura suona piuttosto sospetta. Ma da Cagliari gettano acqua sul fuoco: è vero, il capoluogo si appresta a lanciare la sua facoltà di Architettura, ma questo «con il taglio al finanziamento per Alghero non c’entra assolutamente nulla». Parola di Francesco Ginesu, preside di Ingegneria a Cagliari e fautore della "facoltà cugina" nell’ateneo del Capo di Sotto. «Si tratta di due questioni completamente indipendenti», continua il docente, «visto che già dallo scorso anno la giunta regionale parlava di ridurre i finanziamenti universitari». Come dire: Alghero sarebbe caduta sotto la mannaia dei conti regionali «anche se Cagliari non avesse deciso di creare una sua facoltà di Architettura». Un progetto, quello dell’ateneo guidato da Pasquale Mistretta, che ormai è a pochi passi dalla realizzazione: «Consiglio d’amministrazione e senato accademico hanno già approvato - conclude Ginesu - Ora aspettiamo il parere del comitato regionale e del ministero: se va tutto per il verso giusto diciamo che per gli inizi del 2005 possiamo avviare organizzativamente la facoltà, per farla poi decollare col nuovo anno accademico, a ottobre del 2006». (c. fi.)

 


 

 
3 – LA NUOVA SARDEGNA 
Pagina 44 - Cultura e Spettacoli 
Uno «007» nella grotta di Seulo 
Parla il carabiniere che ha scoperto le pitture rupestri 
CAGLIARI. «Potremmo essere la terra della pittura rupestre più grande di tutti i continenti: non ce n’è una identica per omogeneità di disegno». Giovanni Delogu, maggiore dei carabinieri, uno dei quattro comandanti del Ris, il reparto investigazioni scientifiche dell’Arma, è visibilmente soddisfatto della scoperta nelle grotte di Seulo a cui ha contribuito con le conoscenze e gli strumenti scientifici che fino ad ora aveva usato per indagare su vicende tragiche come gli omicidi Falcone e Borsellino e l’attentato in via dei Georgofili a Firenze.
Lo 007 del “bue-cavallo della preistoria sarda” è un distinto ufficiale dei carabinieri in pantaloni di fustagno e maglione griffato color noce. È in vacanza a Sassari. Di primo mattino dà appuntamento in un bar di piazza Castello. Tra un aperitivo e qualche pistacchio racconta alla «Nuova Sardegna» gli inediti della scoperta fatta in una grotta delle campagne di Seulo dove decine di migliaia di anni fa ha vissuto - forse - il pioniere-caposcuola dell’arte rupestre sarda. Si chiama Giovanni Delogu, 48 anni, è tra i quattro comandanti dei Ris (Reparto investigazioni scientifiche) dei carabinieri in Italia, il suo quartier generale è a Cagliari in un braccio della caserma Monfenera di San Bartolomeo. Laureato in chimica, tra i massimi esperti di esplosivi in Europa, è tra gli inquirenti che hanno svelato i retroscena tecnici degli attentati che hanno choccato l’Italia, quelli contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la Pasqua delle bombe in contemporanea in via dei Georgofili a Firenze, alla casa di via Fauro di Maurizio Costanzo e alla Chiesa del Velabro a Roma. Dai delitti di mafia a quelli più comuni fino a diventare lo scopritore, il padre della prima forma di pittura su parete trovata in Sardegna. 
- Maggiore Delogu: il bue cavallo della Barbagia è opera dell’uomo o un miracolo della Natura? 
«Questo non lo sa nessuno. Occorrono indagini scrupolose da eseguire con saggi chimici e datazioni del carbonio. Solo allora, solo chimicamente si potrà sapere a quale epoca risale quella immagine». 
- Ma il cittadino Delogu che cosa pensa? 
 «Il cittadino Delogu non si toglie mai la divisa e attende i risultati. Quella immagine è stata vista e analizzata dai più famosi esperti al mondo di arte rupestre. Ancora non hanno risposto né a noi né alle Soprintendenze né al ministero per i Beni culturali. Noi carabinieri comprendiamo la loro prudenza. Finora le immagini, le pitture con cavalli o altri animali di grossa taglia, si sono fermate al massimo ai dieci centimetri. Questa di Seulo è di un metro e mezzo. Ebbene: se è immagine di arte rupestre è unica al mondo, non ce n’è una sola identica per omogeneità di disegno. Siamo quindi davanti a un fatto veramente eccezionale: perché potremmo essere la terra della pittura rupestre più grande dei cinque Continenti. Da qui la comprensibile prudenza degli studiosi». 
 - Ha visitato anche altre grotte? Si parla del Salto di Quirra, di Sadali, Esterzili, Perdasdefogu? 
 «No, solo quella grotta. E ci sono stato per passione personale». 
Passione ma non solo. Anzi, soprattutto competenze e metodo di lavoro. Perché il maggiore Delogu (Gianni per gli amici) cerca di stare in penombra come un pubblico ministero vecchio stampo ma può esibire un curriculum di tutto rispetto. Nasce a Ittiri da mamma Pietruccia Marongiu e da papà Giommaria che era un appuntato dei carabinieri negli anni caldi del banditismo, quello raccontato da Peppino Fiori nella «Società del malessere». Da Orgosolo a Orani, da Mamoiada a Fonni, triangoli roventi della Barbagia tra delitti da muretto a secco e assalti western alle corriere. Giovanni respira in casa l’aria dell’Arma, elementari a Bosa, medie a Ittiri, liceo scientifico al “Fermi” di Alghero. Con la maturità in tasca ha «una sana malattia giovanile» perché punta dritto all’Accademia di Modena «per entrare tra i carabinieri». Viene scartato perché miope, lascia perdere e torna in Sardegna. Si iscrive e si laurea in Chimica a Sassari con Antonio Soccolini. È qui che comincia l’avventura che lo porterà verso il “cavallo della preistoria sarda”. La tesi è sulla sintesi e caratterizzazione di “bipiridine” otticamente attive, si tratta cioè di anelli di azoto legati fra loro. È l’inizio di una carriera che lo porterà in posti di alta responsabilità. Diventato dottore, parte per il servizio militare, diventa allievo ufficiale del Genio alla Cecchignola di Roma. Passa quattro mesi tra esplosivi, costruzioni di ponti da guerra, esegue movimenti di terra. All’improvviso si ritrova all’Arma: «Non me l’aspettavo. A Pasqua del 1984 il comandante della compagnia mi dice: togliti la divisa di Geniere, non sei più dei nostri, sei diventato carabiniere». 
Alleluia. Subito a Roma alla caserma di via Aurelia, poi alla scuola allievi come comandante di plotone. «I superiori sanno che sono un chimico e mi spediscono al Ccis, centro carabinieri investigazioni scientifiche». Diventa effettivo e per sedici anni di filato si occupa di varie sezioni: addestramento, fotografia, ancora esplosivi. L’Italia è in guerra con la mafia e con i terroristi. Nell’estate del 1992 le stragi Falcone e Borsellino, «per il primo attentato furono usati 550 chili di tritolo e nitrato d’ammonio, per il secondo un quintale di T4 e gelatina». E poi le bombe di Roma e Firenze. È a questo punto che il carabiniere sardo figlio dell’appuntato di Ittiri propone di creare «una sezione specializzata per le stragi e per studiare gli attentati». Gli dànno ragione. Nasce la «sezione esplosivi e infiammabili» dei carabinieri. È Delogu a stabilire che l’aereo del presidente dell’Eni Enrico Mattei salta in aria per una esplosione. La burocrazia militare cambia nome. Nasce il Racis (raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche) che raggruppa quattro Ris: a Parma, Roma, Messina e Cagliari. Nel Golfo degli Angeli il comandante è il maggiore Delogu. È Delogu, con tecnica da Sherlock Holmes, a scoprire l’assassino della farmacista cagliaritana Pierina Tola per un’impronta digitale riscontrata in una bacinella. 
Ed ecco la pagina di speleo-archeologia. Al Ris di Cagliari si presenta la geologa Giusi Gradoli che chiede aiuto per «rilevare digitazioni interne a una grotta». Digitazioni? Delogu vede lontano. Si chiede: chi può aver lasciato quelle impronte in grotta? Chiama a raccolta i suoi collaboratori più fidati: il maresciallo pugliese Antonio Ottolino e il brigadiere cagliaritano Giuseppe Farci. Spedizione in Barbagia con Giusi Gradoli che parla entusiasta e a raffica di arte rupestre, i carabinieri si armano di macchine digitali Canon, tutti su un’auto Peugeot grigia. Arrivano nella forra sotto il tacco calcareo di Addolì. Gradoli, Farci e Ottolino scaricano cavalletti e quant’altro. Devono fotografare le digitazioni scoperte qualche mese prima da un gruppo di speleologi greci e spagnoli. Delogu fa l’apripista, armato di un illuminatore entra in grotta. Sono le 11,20 del 25 maggio 2005. Delogu si gira di scatto e il flash della sua lampada magica va a finire “per caso” sul miracolo. Facile la battuta, a voce alta: «Dottoressa Gradoli, altro che digitazioni, qui c’è una testa alta più di un metro e mezzo, sembra un po’ cavallo un po’ bue». È una festa. È come aver raggiunto la vetta dell’Hymalaya. L’evviva («ma questo è un capolavoro») è come la “Terra-terra” degli uomini di Colombo, il “Mare-mare” dell’Anabasi di Senofonte. Che fare, allora? Foto su foto, col maresciallo e il carabiniere che si impegnano a modo loro sotto la guida del comandante Delogu. 
 La burocrazia fa il suo corso. Relazione al ministero per i Beni culturali, viene coinvolto il soprintendente-archeologo di Nuoro Maria Ausilia Fadda, è informata l’Ifrao, Federazione internazionale dell’arte rupestre che ha sede in Australia. Il maggiore Delogu fa le sue relazioni e ne parla col comandante dei carabinieri della Sardegna, il generale Gilberto Murgia, sardo di zone interne, nato a Urzulei e altro 007 di vaglia nell’epoca dei sequestri di persona tra Tumba Tumba e il Grighine. 
Ieri, a Sassari, il comandante del Ris della Sardegna si è fermato a salutare parenti con la moglie Rossana Cottone e il figlio Riccardo di nove anni. Qualche amico dell’Università gli ha chiesto notizie sul ritrovamento di cui ha parlato in questi giorni « La Nuova Sardegna ». Ha risposto con molta modestia: «La chimica è stata la mia guida. Ma noi, per mestiere, siamo abituati a vedere dove gli altri guardano». 
E se avesse davvero visto una immagine che rivoluziona la storia dell’Isola? Delogu il cauto ripete da carabiniere-investigatore serio: «Ce lo dirà solo la chimica». 
Giacomo Mameli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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