Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
06 November 2006
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 3 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna  

 
1 – L’Unione Sarda
Provincia di Nuoro Pagina 51
Nuoro, si formeranno addetti stampa e giornalisti
Master universitario dell’Ailun per la comunicazione nello spettacolo
L’Associazione della Libera Università Nuorese organizza il primo master sulla comunicazione nel mondo dello spettacolo. Obiettivo del corso è formare addetti stampa, giornalisti e operatori in grado di lavorare nei settori della musica, del cinema e della televisione. Ai corsisti verranno offerti sia strumenti teorici che pratici per la diffusione del prodotto spettacolo attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali e di ultima generazione. Le lezioni si terranno nella sede dell’Ailun a partire dal prossimo primo dicembre nei giorni venerdì (dalle ore 14 alle 19) e sabato (dalle 9,30 alle 14,30 per un totale di cento ore. Coloro che avranno ottenuto i cinque migliori risultati avranno la possibilità di frequentare un tirocinio in un’azienda tra quelle convenzionate. Il termine per la presentazione delle domande d’ammissione è fissato al 23 novembre. Le domande, corredate di modulo d’iscrizione, scaricabile dal sito www.bvpartners.it, di curriculum vitae e fototessera, dovranno pervenire alla sede organizzativa dell’Ailun al numero di fax 0784/203158 o inviate tramite raccomandata a/r all’indirizzo: via Pasquale Paoli, sn - 08100 - Nuoro. Tutte le informazioni dettagliate sul master possono essere richieste alla segreteria organizzativa della Ailun, o inviando una mail all’indirizzo info@bvpartners.it oppure telefonando ai numeri 02/71040399 e 0784/226200. m.b.d.g.
 
2 - L'Unione Sarda
Cronaca di Cagliari – Pagina 11
24 ore – Altre notizie
Gestire lo stress da emergenza
Martedì, alle 10, nell’aula magna della facoltà di Scienze della formazione, il professor Roger Solomon, terrà una conferenza sulla “Gestione dello stress in situazioni di rischio”. Alla conferenza interverranno il questore di Cagliari Paolo Cossu (nella foto), la direttrice del dipartimento di Psicologia dell’Università Marinella Parisi e la direttrice del master di Psicologia giuridica e criminologia Cristina Cabras. Roger Solomon, psicologo clinico, è stato per diversi anni consulente del Dipartimento di polizia di Colorado Spring e della Polizia di Washington. Collabora con il Senato degli Stati Uniti, con la Nasa e con l’Fbi. Ha fornito servizi di consulenza per lo stress da emergenza alle vittime dell’uragano “Katrina” e a quelle coinvolte nell’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001. Attualmente svolge attività di collaborazione con la polizia italiana.
 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Cultura e Spettacoli
In un saggio il racconto di come si partoriva nella Sardegna della prima metà del Novecento 
Il parto, cosa da «pratiche» 
Storia della medicina e antiche tradizioni popolari 
Un incredibile armamentario di filtri e amuleti, sopravvissuto sino all’altroieri 
di Eugenia Tognotti
Ad ogni società la «sua» nascita. In quella sarda della seconda metà del Novecento - prima che prendesse il via il tumultuoso processo di ospedalizzazione - la scena del parto in casa era dominata dalla levatrice, cui la comunità paesana attribuiva il ruolo di demiurgo. A lei - provvista di un sapere ostetrico definito, codificato, trasmesso nelle sedi della formazione medica - spettava il compito di completare l’opera della natura: aiutare la donna durante il travaglio, aspettare il secondamento, controllare la placenta, pinzare il cordone ombelicale del neonato. Poche le complicazioni che esigevano lo spostamento all’ospedale cittadino o la chiamata del medico, che interveniva solo in caso di difficoltà (emorragie, distacchi di placenta, ecc.): riconoscerle subito e chiedere aiuto rientrava tra le sue competenze, che comprendevano anche rudimenti di pediatria e puericultura. «Garante» di fronte all’autorità civile e religiosa, la levatrice teneva il registro delle nascite e degli aborti, e somministrava, in casi d’emergenza, il battesimo.
 E’ significativo, e ricco di implicazioni, il fatto che il libro di Pier Luigi Cherchi, di Pina Roggio, di Maria Domenica Piga e di Salvatore Dessole «Il parto domiciliare nella Sardegna della prima metà del Novecento. Tradizioni e sapere medico» (Edizioni Edes) esca da una clinica universitaria e dal corso di Laurea in ostetricia. Frutto della ricerca sul campo di una neo laureata ostetrica, Pina Roggio, il libro racconta «un’altra storia» del parto, quello a domicilio.
 La suggestiva scena del parto che rappresenta - col supporto di una serie di interviste ad alcune anziane levatrici condotte che hanno operato nel Sassarese e nel Nuorese - non sembra lontana una manciata di decenni, ma anni luce. Anche se, a sua volta, rappresenta una realtà «avanzata» rispetto ai secoli passati. Ad assistere le partorienti erano allora le «pratiche», le «maestre di parto», provviste solo di un sapere empirico che derivava dall’esperienza di precedenti maternità in cui entravano preghiere e formule incantatorie, amuleti e bevande, riti e pratiche.
 A metà degli anni Cinquanta ne restavano solo poche tracce, liquidate dalle levatrici professionali come «stupidaggini»: le forbici infilate di soppiatto sotto il materasso; i cassetti aperti nella convinzione che così si eliminassero i dolori del parto, i giri intorno al letto della puerpera appena alzata (usanza, questa, osservata a Sassari). Al tempo, la battaglia contro le «empiriche» - che rientrava in generale in quella condotta dai medici regolari contro chi non aveva titolo ad esercitare l’arte della cura - era ormai vinta. In Sardegna, era cominciata nella seconda metà del Settecento, dopo la trasformazione degli studi di Medicina che accompagnarono la «restaurazione» delle due Università isolane. Per avere il permesso di esercitare - cioè la «patente» - le «empiriche» dovevano apprendere qualche rudimento da medici titolati e presentare un certificato che dimostrasse capacità, «buona vita e costumi». In un «Manifesto» del protomedicato di Sardegna, datato 15 luglio 1765, si proibiva tassativamente a quelle «che fin ad ora non ne hanno ottenuto il permesso di esercitare tal mestiere, sotto pena pecuniaria e ed in difetto, di carcere».
 La situazione però non migliorò e negli anni Settanta del XIX secolo - in un clima scientifico nuovo - il mondo medico professionale e accademico condannava duramente il fatto che «per un malinteso pudore un ramo così importante della medicina (l’ostetricia) fosse in mano alle donne». La «Scuola per ostetriche», biennale, istituita nei primi anni Ottanta dalle Università di Cagliari e di Sassari rappresenta una svolta: le maestre di parto dei paesi devono lasciare il posto alle ostetriche che hanno affrontato l’iter dell’addestramento teorico e pratico sotto la guida dei professori universitari. All’inizio sono soprattutto «continentali»: nei registri della Facoltà si ritrovano nomi come, per farne uno, Borgonovo Clelia, proveniente da Novara, la cui tesi di 6 pagine tratta della «condotta della levatrice richiesta di assistere una donna in travaglio di parto». Il fatto è che nella società tradizionale sarda era disconosciuta alla donna qualunque attività che non fosse coerente con il suo ruolo sessuale di moglie-madre-casalinga. Se aiutare una donna a partorire rientrava nel bagaglio del «saper fare» di una buona «meri ‘e domo», esercitare un «mestiere» fuori delle protettive mura di casa, assumeva un altro significato. Le cose cominciano a cambiare soltanto nel dopoguerra. Le levatrici sarde che frequentano la Scuola sono ormai in maggioranza. La conquistata autonomia e auctoritas professionale emerge con tutta evidenza dalle interviste del libro.
 Le ex ostetriche condotte prendono le distanze dalle cosiddette empiriche e rivendicano orgogliosamente il percorso di formazione all’Università come allieve, interne o esterne, le lezioni teoriche e pratiche, il bagaglio delle conoscenze e delle tecniche che si portavano dietro, nelle case, con la borsa ostetrica completa di tela cerata, guanti, garze, stetoscopio, pinza ad anelli, forbici ricurve, pinze per il cordone ombelicale, farmaci, ecc. Le loro testimonianze sono assai istruttive e la dicono lunga sul ruolo sociale che rivestivano nel tutelare la salute di madri e bambini, nonché sulla loro autonomia rispetto ai medici (molti dei quali non sapevano quasi nulla di parti). Prima ancora di questi, rappresentarono, di fatto, in ambienti rurali, le portabandiera della medicina: mai, forse, nelle povere case in cui entravano per far nascere un bambino, si era sentito parlare di sterilizzazione, di lisoformio, di pratiche di igiene e di profilassi. L’empirismo e tutta la possente stratificazione di superstizioni, tradizioni, credenze che circondavano la gravidanza e il parto non rientrano nel loro orizzonte.
 Professioniste del parto, garanti delle condizioni sanitarie in cui si svolgeva, le levatrici professionali rifiutavano i rituali che rimandavano al tempo in cui il parto era un «affare di donne» ed erano le mammane a dominare l’ambiente della nascita. Così una di loro racconta di essersi rivolta ad un marito per allontanare dalla stanza della partoriente due parenti che cantavano accanto al suo letto una nenia in sardo. Un’usanza che aveva attraversato i millenni: secondo la tradizione le sacerdotesse che accompagnavano le levatrici ateniesi cantavano e recitavano per alleviare le doglie. E’ forse inevitabile che nelle testimonianze delle levatrici risuoni la nostalgia per il parto domiciliare, quasi totalmente scomparso dalla scena e il cui ritorno, contro la disumanizzazione del parto in ospedale, è rivendicato da gruppi di donne, soprattutto negli Stati Uniti. E’ difficile non riconoscere i vantaggi delle nuove certezze assicurate dall’assistenza in ambito ospedaliero, come rileva, nell’introduzione, Pier Luigi Cerchi, presidente del Corso di laurea in ostetricia. E, tuttavia, non c’è dubbio che il prezzo da pagare per un’assistenza di qualità ha comportato la perdita dell’intimità, della spontaneità, della naturalità della straordinaria esperienza della nascita: la riflessione aperta sui valori perduti del parto a domicilio da parte dei «professionisti» del parto ospedalizzato non può che far sperare.

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