Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
03 November 2006
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli delle testate giornalistiche L’Unione Sarda, La Nuova Sardegna e Il Sardegna 

1 – L’Unione Sarda
Provincia Gallura Pagina 50
Olbia. Pochi laureati, molti senza alcun titolo di studio, i numeri della rapida evoluzione
La città è vicina ai 50 mila residenti
E le ipotesi di crescita la proiettano verso i 100 mila nel 2050
Olbia vicinissima ai 50mila residenti. Il 31 ottobre, all’anagrafe mancavano 210 caselle da aggiungere alle 49.790 esistenti. Ovvero, 705 in più rispetto alla fine del 2005. Non è l’unica novità del bilancio demografico comunale, che ha tracciato il profilo di Olbia nel terzo millennio. Curioso il dato sull’età media: 39,23 anni, contro i 41,8 della media italiana. E fa di Olbia una città giovane. Estesa su una superficie di 376 chilometri quadrati con una densità media di 130,5 abitanti (194 quella italiana). La punta più alta del comune raggiunge i 736 metri di altitudine. La toponomastica raccoglie 1.500 strade. Tre le frazioni: a cominciare da San Pantaleo, la più numerosa (1.533 residenti). Seguono Berchiddeddu (1.207) e Murta Maria (479). Più il borgo di Porto Rotondo, dove abitano in 851 per 2.972 case censite (Istat 2001). POPOLAZIONEDal 1951 la popolazione aumenta. Cinquantacinque anni fa gli abitanti erano 14.542. Nel 1981 sono saliti a 30.822: più 52,81 per cento in trent’anni. Nel 1991 se ne contavano 41.094: più 24,99 per cento in dieci anni. Nel 2001 ancora un segno positivo: 45.442 residenti (più 9,56%) per arrivare ai 49.790 del 31 ottobre 2006 (più 8,73%). La proiezione è di 100mila abitanti nel 2050. Al 31 dicembre 2005, seppure di misura, le donne superavano gli uomini: 24.779 (50,49%) contro 24.036 (49,51%). E se l’età media è di 39,23 anni, il 37% della popolazione ha tra i 21 e i 41 anni, la classe d’età più numerosa. CANCELLAZIONIIn ogni caso, non soltanto nuovi arrivi. All’anagrafe non si sono fermate le cancellazioni. Ovvero il saldo migratorio che nel 2005 è stato comunque positivo: a fronte dei 1.463 nuovi iscritti, sono andati via in 809. Una differenza di 650 abitanti. Un dato a cui va sommato il saldo naturale (la differenza tra i nati e i morti). L’anno scorso sono deceduti in 259, mentre le nascite hanno raggiunto quota 490. Quindi un avanzo di 231 residenti. Si aggiungano i 650 del saldo migratorio che fanno salire a 881 abitanti l’aumento globale della popolazione. Basti pensare che a Genova il saldo naturale è a meno 3.242. Bari, invece, si attesta a più 973. L’ATTIVITÀ COMUNALENel 2001 il Comune ha rilasciato 5.719 carte d’identità. Nel 2006, 6586: 867 in più. Invece: i certificati richiesti sono stati 24.227 nel 2001 e 30.285 nel 2006. In totale: nel 2005 gli atti emessi sono arrivati a 123.971, oltre il doppio rispetto al 2002 (61.729). Tuttavia un aumento non costante: nel 2003 gli uffici ne consegnarono 108.027, nel 2004 71.119. ELETTORIAlle ultime politiche hanno votato a Olbia 40.152 elettori. Di cui 20.318 donne e 19.834 uomini. Nel 2000 erano rispettivamente 18.264 e 17.952. Per una crescita percentuale così divisa: femmine al 10,10, maschi al 9,48. IMPRESE E LAVOROSono 1.204 le imprese censite. Raccolgono 4.088 addetti, pari al 25,96% della forza lavoro occupata (15.749 persone). TITOLO DI STUDIOI dati non sono aggiornati. Tuttavia, all’anagrafe comunale risultano 1.900 laureati. I diplomati in istituti tecnici sono 5.621, 1.753 hanno la maturità. Con il diploma di scuola media inferiore si contano 13.145 abitanti. Solo la licenza elementare per 14.570 persone. Senza titolo di studio vivono a Olbia 1.438 persone.
Alessandra Carta (Unioneonline)
 
2 – L’Unione Sarda
Provincia Ogliastra Pagina 25
Villagrande. L’Esercito dopo l’Università: Laura Secci caporalmaggiore a Kabul
Una divisa portata con filosofia
«Che emozione le donne afghane felici di togliersi il burka»
Si è laureata con una tesi sul pensiero politico contemporaneo ma alla cattedra ha preferito le stellette
Da Socrate alla divisa. Laura Secci, originaria di Villagrande, padre imprenditore e madre impiegata di banca, si è laureata in filosofia a Pisa con una tesi sul pensiero politico contemporaneo ma alla cattedra ha preferito una divisa di caporalmaggiore. Lavora all’ufficio informazione dello Stato maggiore dell’Esercito ma ha alle spalle una missione in Afghanistan: pericoli costanti dietro l’angolo in una terra dilaniata. Tre vocazioni forti: divisa, comunicazione e studi filosofici. Come convivono in Laura Secci? Ciascuna delle tre ha una sua precisa ragion d’essere, una specifica mansione ed un proprio campo d’azione. Non entrano mai in collisione, per fortuna. Gli studi filosofici rappresentano la mia prima vocazione e la grande passione alla quale mi dedico da oltre dieci anni. Ma, come dice Deleuze, per continuare a fare filosofia il filosofo deve diventare non filosofo, calarsi nella realtà. Conoscerla. La scelta di arruolarmi nell’esercito ha soddisfatto appieno queste mie esigenze. In soli due anni ho avuto la possibilità di maturare esperienze umane e professionali di alto spessore; di vedere, vivere e sentire, appunto, realtà e culture talmente differenti dalla mia da arricchirmi in maniera impagabile. Tra stellette e meditazioni filosofiche, che ruolo svolge la comunicazione? Probabilmente il ruolo più strumentale. Negli ultimi anni l’Esercito ha attuato un progresso notevole nel campo della comunicazione, basti pensare che quest’anno la sezione stampa dell’Ufficio pubblica Informazione dello Stato maggiore dell’Esercito ha conseguito il premio Miglior Ufficio Stampa dell’anno, insieme all’ufficio stampa della Santa Sede. Il mio capoufficio, il colonnello Claudio Berto, ha ritirato il premio insieme a Joaquim Navarro Vals. Notevole, no? Resta il fatto che Laura Secci ha scelto di realizzare il sogno di corrispondente di guerra attraverso una faticosa gavetta nell’Esercito. In questo periodo storico in cui la parola pacifismo è usata ed abusata da tutti, ci tengo ad affermare che indossare la divisa è un atto di grande responsabilità sociale, di altruismo. Della pace ha poco senso parlare: la pace si costruisce. La strada che ho scelto non era certamente la più semplice e neanche la più breve; però mi ha dato la gratificazione di svolgere un ruolo ben più attivo della semplice documentazione dei fatti in un teatro molteplice ed ostico come quello afghano. A Kabul il caporalmaggiore Secci si è mossa con il fucile a fianco della macchina fotografica e del taccuino. Cosa è rimasto di questa esperienza? Il popolo afghano mi ha insegnato molto sulla vita. Il senso dignitoso della povertà, il piacere di un sorriso. Agli afghani piace molto ridere, persino nei momenti peggiori. Il loro segreto è non avere paura. Conoscono il pericolo, ma non lo subiscono. E non perché, come molti occidentali hanno affermato con un po’ di presunzione, non riconoscono il valore della vita. È l’esatto opposto. Appunto perchè sanno quanto sia preziosa, non la sprecano nell’immobilità che la paura produce. Questo vale anche per i soldati italiani e sardi, commilitoni di Laura Secci? A Kabul ho visto colleghi svolgere con serenità il proprio lavoro, rimuovendo con fermezza la paura; mettere a rischio la propria vita per andare a distribuire aiuti umanitari nei villaggi degli zingari, fuori Kabul. Ricordo i conduttori del mezzo che veniva a prendermi la mattina a HQ, quartier generale Isaf. Erano ragazzi sardi. Quando uscivo con loro per le strade di Kabul cantavamo "non potho reposare" ed altre canzoni in limba. Momenti indimenticabili. E la sera li vedevo tornare alla base italiana stanchi, impolverati ad aspettare pazientemente in coda davanti alle cabine telefoniche, o commossi davanti ad una web cam dell’internet point nel vedere il viso del loro bambino o della loro fidanzata. Una donna in armi con una laurea in tasca come vede le donne vittime della guerra? «La situazione delle donne afghane mi ha fatto riflettere. Dai pochi incontri ho capito che sollevarsi il burqua per darmi l’occasione di fotografare i loro visi le abbia rese felici, libere, anche solo per un attimo. La donna afghana non può godere di diritti che per noi sono oramai scontati, come il diritto all’assistenza sanitaria o solo il parlare e ridere in pubblico. Di contro io appartengo, mio malgrado, alla società delle veline, delle letterine e dei reality. Intanto ci sono altri Paesi in cui le donne vengono uccise perché hanno il coraggio di difendere il loro diritto di partecipare alla vita politica, donne che fanno le sminatrici perché costano meno degli uomini, o perchè i loro uomini hanno perso una gamba o un braccio. E’ quanto che emerge dal rapporto di Noeleen Heyzer, direttore dell’ Unifem, il Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per le donne. Fa riflettere».
Nino Melis
 
1 – La Nuova Sardegna
Pagina 20 - Cagliari
Il piccolo Gnuraghe sfida Bill Gates 
Gruppo di specialisti lavora alla diffusione di software liberi 
ORISTANO. La guerriglia contro i sistemi operativi e i software a pagamento viene combattuta da piccoli gruppi di iperspecialisti dediti alla cutura dell’open source come alternativa al sistema di monopolio che pensa prima di tutto al profitto e poi all’efficienza. Sistemi aperti al contributi di tutti coloro che li usano e li adattano alle propri esigenze manipolando i codici dei programmi: è questo l’obiettivo che persegue il popolo di Gnu. E lo fa attraverso gruppi sparsi in tutto il mondo. A Oristano opera da anni uno di questi gruppi.
 Innanzitutto: cos’è Gnu? È Gnu is not Unix, ovvero ‘Gnu non è Unix’, uno dei primi sistemi operativi. Singifica che Gnu è una cosa diversa, una filosofia diversa. Non sistemi chiusi per i quali pagare senza mai essere totalmente proprietari, ma sistemi aperti al contributo di tutti e, soprattutto, free. Il popolo di Gnu combatte la propria battaglia attraverso gruppi sparsi in tutto il mondo. A Oristano opera da anni uno di questi gruppi. È nato nel febbraio del 2003 per iniziativa di alcuni utenti Gnu&Linux. Il gruppo ha preso il nome di Gnuraghe. I soci fondatori sono Antonio Caria, Emiliano Manca, Giulio Orrù, Paolo Orrù, Mario Piana, Roberto Putzulu e Angelo Spanu.
 Si tratta di tecnici altamente specializzati. Molti di loro lavorano al di fuori della Sardegna e spesso all’estero. Quasi tutti hanno una preparazione informatica o ingegneristica, ma non necessariamente. Antonio Caria, ad esempio, è laureato in filosofia, ha ci sono software engineer, informatici, esperti in motori di ricerca.
 Il gruppo ha lo scopo di approfondire la conoscenza di Linux e dell’open source, la loro diffusione, lo scambio di esperienze e di aiuto sia all’interno del gruppo, sia all’esterno, l’organizzazione di attività di socializzazione fra i membri del gruppo.
 Gnu/Linux è un sistema operativo che potrebbe sostituire gratuitamente quelli normalmente installati sulla maggioranza dei pc. Ecco perchè molti vedono in Gnu il più pericoloso avversario della Microsoft di Bill Gates. Ma chi lavora con Gnu rifiuta questa etichetta e parla di una impostazione culturale completamente diversa rispetto al software tradizionale fatto per essere commercializzato. Argomento ostico, soprattutto quando si deve spiegarlo a amministratori pubblici, dirigenti scolastici, società e organizzazioni di vario tipo che potrebbe ottenere un grosso risparmio, in prospettiva, adeguanti i propri computers al sistema Gnu/Linux.
 Gnuraghe organizza seminari su Linux, servizi di consulenza per l’installazione e il mantenimento di sistemi Linux, produzione di documentazione.
 «Spesso abbiamo contattato amministrazioni pubbliche - racconta Antonio Caria - ma non ci hanno neppure preso in considerazione. Forse il fatto che qualcosa sia gratis agli occhi di qualcuno ne sminuisce la validità».
 In altre realtà l’approccio è decisamente diverso: «La municipalità di Monaco di Baviera - prosegue Caria - è passata da Microsoft a Linux». Qui da noi il discorso si fa ostico. E non solo perchè chi dovrebbe decidere magari non coglie l’importanza dell’argomento, ma anche perchè sul mercato oristanese snono poche le persone che possono riuscire a fornire assistenza adeguata sul lungo periodo. E quelle poche trovano lavoro al di fuori dell’isola. «Molto dipende da come le società che propongono Linux - dice Antonio caria - riesconoa gestire i rapporti con le amministrazioni pubbliche, da come riescono a rendere appetibile un prodotto. Insomma, forse i tempi non sono ancora maturi. Eppure sono passati 23 anni da quando l’americano Richard Stallman, un docente del Mit di Boston che aveva dei problemi con una stampante e si era indispettito perchè il fornitore gli aveva negato i codici, lanciò il progetto Gnu. L’idea si basa su una gestione particolare dei diritti d’autore sul software, secondo la definizione di software libero (contrapposta a software proprietario).
 Scopo ultimo del Progetto Gnu è la creazione di un sistema operativo completamente libero, chiamato Sistema Gnu. Per arrivare a questo risultato, all’interno del progetto vengono creati programmi per coprire ogni necessità informatica: compilatori, lettori multimediali, programmi di crittografia. In seguito, grazie al lavoro di Linus Torvalds, è diventato possibile usare il Sistema Gnu con il kernel Linux, ovvero il sistema Gnu/Linux.
Roberto Petretto 
 
2 – La Nuova Sardegna
Pagina 5 - Sardegna
E la miniera diventa museo 
Bertinotti inaugura oggi il Centro italiano del carbone 
Il sito ospiterà non solo la memoria ma anche centri di ricerca universitari 
di Felice Testa
CARBONIA. «È Carbonia questa?». «Pare», disse l’ingegnere». «Non c’è nulla», constatò l’assistente.
 Valerio Tonini, che con la sua impresa contribuì alla costruzione della nuova città industriale del fascismo, descrive così la terra del carbone nel settembre del 1936. Una piana desolata, di fronte alla miniera di Serbariu. La città nasceva, perché la nazione, che doveva «bastare a se stessa, in pace e in guerra», aveva bisogno di combustibile. Settant’anni dopo Carbonia si riprende la sua miniera.
 Questa mattina, alla presenza del presidente della Camera, Fausto Bertinotti e del presidente della Regione, Renato Soru, la vecchia miniera riaprirà i cancelli per l’inaugurazione del Centro italiano della cultura del carbone. Al contrario di quando, negli anni Trenta, la miniera e la città divennero una la ragione dell’altra, per il solo volere di Benito Mussolini, il Centro e il museo che esso ospita, nascono per volontà degli uomini e delle donne che nei pozzi spesero sudore e fatica e nelle memoria di coloro che vi persero la vita. Lo ha deciso, nel luglio del 2001, con una rivincita della democrazia sulle origini, un’assemblea di cittadini, convocata nell’area mineraria dall’amministrazione comunale, guidata da Tore Cherchi.
 Il Centro italiano della cultura del carbone (Cicc) nasce nel 2006 dall’associazione tra il comune di Carbonia e il Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna, con lo scopo di gestire e valorizzare il sito della ex miniera di Serbariu e dare vita ad un museo fruibile da parte dei visitatori. Il Centro ospita il Museo del carbone che ripercorre la storia della miniera attraverso il materiale raccolto nella mostra permanente all’interno della lampisteria, della biglietteria, della sala argani, degli ambienti esterni e della galleria sotterranea.
 Sull’area mineraria recuperata, l’amministrazione comunale gioca la carta di un nuovo sviluppo: dal lavoro industriale alla ricerca e alla formazione. Nel complesso dei padiglioni della torneria, delle forge e della falegnameria sorgerà una struttura polifunzionale, riguardante l’alta formazione universitaria e l’archivio storico e demoantropologico. Il complesso ha una superficie utile di circa 1500 mq; ospiterà un modulo universitario del Dipartimento di Architettura e Urbanistica e del Dipartimento Digita di Scienze minerarie e ambientali dell’Università di Cagliari.
 Nel padiglione delle ex officine, un edificio di circa 1700 mq, sarà localizzata la nuova sede del Museo di Paleontologia e Speleologia “E.A. Martel”, integrato con padiglioni di esposizione permanente e temporanea, locali per attività di studio e di ricerca applicata gestiti dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari.
 Nel grande magazzino materiali (quasi 3000 mq di superficie) è localizzato il Centro per lo sviluppo delle tecnologie per l’energia pulita. Il progetto nasce da un partenariato fra l’Amministrazione comunale e la Sotacarbo SpA. Un primo progetto di ricerca riguarda le tecnologie dell’idrogeno.
 L’area, inoltre, può ospitare insediamenti per oltre 250 mila mc. Le attività produttive insediabili sono officine per artigiani, strutture ricettive e di ristoro, un Centro congressi.
 Visitare Serbariu significa, ora, percorrere un viaggio virtuale nel sistemi di lavoro e nella storia della miniera. Nella lampisteria il visitatore ripercorre la vita quotidiana del minatore. Apprende come lavorava e come viveva, come si trasforma il minerale, come si svolge l’estrazione e quali pericoli comporta. Attraverso la galleria si introduce in un complesso ambiente sotterraneo dove entra in contatto con l’evoluzione delle tecniche di coltivazione di una miniera di carbone in sottosuolo. Ritorna alla superficie ancora in lampisteria, per seguire come si tratta il grezzo e come si lavora il carbone per produrre energia: dalle forme primordiali a quelle evolute della gassificazione.
 Questa mattina, alle 11, al teatro Centrale, in piazza Roma, si terrà l’incontro con il presidente della Camera Fausto Bertinotti e con il presidente della Regione Renato Soru. Saranno presenti, il sindaco Salvatore Cherchi e l’ex sindaco Pietro Cocco. Alle 12 è previsto il trasferimento a Serbariu, dove il suono della sirena annuncerà la riapertura dei cancelli, chiusi nel 1964.

 
1 – Il Sardegna
Grande Cagliari – Pagina 31
Ateneo. Avere la laurea costa sempre di più: le cifre oscillano tra 175 e 1300 euro
Il salasso dell’Università tra tasse, bolli e contributi
Penale per chi è fuori corso: pagherà tra il 5 e il 30 per cento di quanto dovuto annualmente
Il salasso delle tasse universitarie
Un incubo che per gli studenti dell’ateneo cagliaritano si presenta puntuale ogni settembre. E che può arrivare alla cifra record di 1332 euro per anno accademico, esclusi gli altri contributi dovuti all’Ersu, e le varie imposte di bollo. Un ’università che per l’anno appena iniziato presenta un amaro conto, fatto di significativi aumenti rispetto ai periodo precedenti: se per il 2004-2005 il minimo della rata era di 170 euro, quest’anno si parte da una cifra superiore a 175 euro. Il massimo della contribuzione invece, prevista per chi supera i 66mila euro o per chi non intende dichiarare il reddito equivalente percepito, si attesta quest’anno sui 1100 euro, contro i 1065 di due anni fa. Questo se si parla di lauree triennali o del vecchio ordinamento. PER CHI FREQUENTA un corso di laurea specialistica di durata biennale il conto si presenta più salato, anche questo ripartito in quattro principali fasce di reddito che partono da 191,67 euro fino a 533,17 per una fascia di reddito che arriva sino ai 41mila euro. Superata questa cifra, il conto lievita di circa 15 euro ad ogni scatto di 500 euro, sino ad arrivare a 1332 euro. E fin qui ognuno accetta, anche se a malincuore, le ferree regole dettate dalla propria fascia di reddito. Ma non è finita: ci sono i contributi aggiuntivi, una miriade di tasse piccole e grandi che vengono pagate insieme a quelle di iscrizione. È a questo punto che l’istruzione diventa davvero proibitiva per molti. La cifra più corposa è quella per il contributo allo studio dovuto all’Ersu, 62 euro. A parità o quasi si posiziona il tanto contestato contributo di facoltà di recente introduzione: da un minimo di 20,67 euro a un massimo di 73,37. I fattori che contribuiscono a questa variazione sono il tipo di corso di studi e naturalmente la fascia di reddito. Vengono poi i 14,62 euro dell’imposta di bollo, i 5,33 euro per contributi alla mobilità internazionale, ossia ai programmi Socrates-Erasmus, e come se non bastasse ci si mette anche la Siae che per la tutela dei diritti d’autore dei testi fotocopiati nelle biblioteche universitarie chiede al povero studente 2,15 euro. Se poi disgraziatamente quest’ultimo decidesse di cercarsi un lavoro per far fronte alle spese e per questo motivo finisse fuori corso, le cose non migliorerebbero di certo. Anzi. Dal terzo anno fuori corso dovrebbe pagare il 5 per cento in più rispetto alle normali tasse, e la cifra raddoppia per ogni ulteriore anno, fino ad arrivare al 30 per cento per il sesto anno. E a svuotare le tasche degli aspiranti dottori.
 
Ritardatari nel mirino
Il salasso arriva anche per i ritardatari. Dopo la scadenza delle iscrizioni gli studenti dovranno sborsare 15 euro in più per un ritardo compreso tra un giorno e un mese. Chi invece salda la prima rata in ritardo, ma entro la fine dell’anno, dovrà aggiungere 40 euro. Lo studente che supera la data fissata per la presentazione dell’autocertificazio - ne del reddito dovrà pagare una mora di 60 euro.

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