Press review

ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
28 August 2006
Rassegna a cura dell’ufficio stampa e web
Segnalati 5 articoli della testata L’Unione Sarda  

1 – L’Unione Sarda
Cronaca di Cagliari Pagina 12
Università. Tanti i candidati che hanno utilizzato il servizio d'iscrizione su Internet
Ingegneri e medici, boom di domande
In mille sognano la chirurgia, solo 170 saranno ammessi
A fare il botto è stata la facoltà di Ingegneria con oltre 1.500 candidati iscritti ai test di ammissione. Potranno accedere solo in 430
Scaduti i termini per la presentazione delle domande, le segreterie studenti delle facoltà di Medicina e Ingegneria hanno iniziato la conta dei candidati che, nelle prossime settimane, dovranno sostenere il famigerato test d'ammissione ai corsi a numero chiuso. Molte facilitazioni, ma anche qualche intoppo, ha causato la novità di quest'anno: la possibilità di iscriversi all'esame d'ingresso anche via internet. ingegneriaA fare il botto è stata Ingegneria con oltre 1.500 candidati iscritti ai test di ammissione. Ottimo successo per la neonata laurea in Architettura con i suoi tre rami: Architettura delle costruzioni (418 richieste su 150 posti disponibili), Edilizia (202 su 150) e, infine, il corso di Tecnologia e conservazione dei beni culturali (114 su 60 posti a disposizione). Selezione difficile anche per il corso di Ingegneria biomedica richiesto da 312 studenti, ma accessibile solo ai migliori 70 che supereranno il test. Consensi e domande d'ingresso anche nei corsi non a numero chiuso, dove però è previsto ugualmente un test per stabilire l'eventuale presenza di debiti formativi. Le richieste in ingegneria meccanica sono state 133, 162 elettronica, 56 elettrica, 245 civile, 57 chimica e 123 ambientale. «Siamo molto soddisfatti - spiega il preside Francesco Ginesu - perché ci aspettavamo un centinaio di richieste in più grazie ad architettura, ma non un aumento così alto con oltre 250 candidati in più rispetto allo scorso anno. Ha certamente influito anche il nuovo sistema di immatricolazione on line, più semplice e veloce, che però andrà verificato. Abbiamo già accertato circa trecento domande compilate due o più volte. Ma nel complesso è andata benissimo». medicinaSe è difficile entrare nei corsi a numero chiuso di Ingegneria, peggio va a Medicina dove la concorrenza e la competizione raggiungono cifre da record. Quest'anno oltre 1.350 domande presentate per 170 posti disponibili (più sette destinati agli extracomunitari), oltre duecento in più rispetto allo scorso anno. Gli aspiranti odontoiatri sono ben 593: venti i posti disponibili all'Università di Cagliari, che saranno distribuiti in una graduatoria nazionale. Negli ultimi anni il confronto per gli studenti cagliaritani è stato disastroso: nel 2005 solo cinque sono riusciti a passare e iniziare la strada verso la professione di dentista. infermieriSuccesso anche per i corsi di Infermieri specializzati (527 in corsa per i 60 posti), Fisioterapista (352 su 10), Igiene dentale (58 per 10 posti), Ostetricia (93 su 10 disponibili), Tecnico di laboratorio (72 per 15 posti), Tecnico di radiologia (157 per 20 posti) e il corso di Ortottica, tecnico che lavora con gli oculisti, che su 5 posti vede in corsa 30 candidati. Da quest'anno due possibilità in più: il corso di Assistente sanitario (si sono iscritti al test in 26 su 10 posti da assegnare) e quello di Logopedista, un vero e proprio successo, con oltre 180 domande su appena 10 posti disponibili. «Siamo molto contenti - commenta Gavino Fa, preside di Medicina - di questo successo. È merito del grosso lavoro fatto per aumentare l'offerta formativa, ma anche riposizionare la facoltà al passo con i tempi. Questa selezione così drastica, da oltre 1300 ne resteranno 170, anche se può apparire antipatica, consente di portare avanti gli studenti più motivati: alla fine infatti arriva alla laurea oltre il 90 per cento degli iscritti. Chi entra in Medicina sa che deve lavorare sodo per sei anni e tutti lo fanno col massimo impegno».
Francesco Pinna (Unioneonline)
 
2 – L’Unione Sarda
Cultura Estate Pagina 30
C'è la Sardegna nei libri di Pulina
Gli uomini di cultura isolani che hanno messo radici fuori dalla nostra regione sono tanti. Li accomuna l'aver scritto libri nei quali esplorano la realtà di appartenenza e quella dove hanno scelto di vivere. Se la nostalgia è forte e sempre presente, è altrettanto vero che il bisogno di integrarsi rappresenta uno stimolo non secondario. Questi autori dalla doppia identità hanno il privilegio di poter confrontare e intrecciare mondi differenti sotto diversi punti di vista. Quasi contemporaneamente Paolo Pulina, nato in provincia di Sassari ma residente in Lombardia, ha pubblicato due libri di grande interesse. Il primo riguarda la figura di Giovanni Spano, ampiamente recensito dalla stampa isolana, il secondo intitolato Per una guida letteraria della provincia di Pavia, edito da Guardamagna, ha avuto risalto solo fuori dall'isola. Eppure si tratta di un'opera che non ha un orizzonte ristretto alla storia locale. Per la sua Università, i palazzi storici, le iniziative culturali, i film che vi sono stati girati, Pavia rappresenta un crocevia di istanze forti che ne fanno una città dal respiro europeo. Come dice il titolo del libro, è la letteratura la protagonista delle trecento pagine di questa preziosa guida. Dove si parla di un centinaio tra poeti e romanzieri, giornalisti e saggisti che per un motivo o per l'altro hanno soggiornato o hanno ambientato libri o scritti a Pavia o nella sua provincia. Qualche nome? Basti citare (tra gli stranieri) Montaigne, Stendhal, Williams... Molto più numerosi gli italiani, da Arbasino a Brera, da Calvino a Liala (senza contare i sardi come Giuseppe Fiori). A questi autori Pulina dedica una scheda molto documentata, che consente al lettore di rintracciare facilmente i libri dove si parla di una provincia che ha ispirato romanzieri e registi cinematografici. Nella prefazione al libro Angelo Stella, dell'Università di Pavia, lancia l'idea di un parco letterario: «Importerebbe realizzare un sito, un parco letterario in rete, dove un clic sia un passo, e conduca sulla carta topografica delle parole, delle carte, ora che nella calpestabile area verde on-line anche i manoscritti, come la Gioconda e Guernica, sono democraticamente riproducibili, moltiplicabili, conservando solo all"autografo" il privilegio dell'unicità, museale e testuale». Il discorso di Pulina non riguarda solo le testimonianze e i soggiorni dei grandi artisti a Pavia. Nel libro comprende anche coloro che si sono mossi e hanno scritto sui piccoli centri di questa provincia. Ad esempio lo scrittore Salvatore Farina nei suoi romanzi descrive questa realtà che conosceva bene. Lo stesso vale per Salvatore Satta, autore de La veranda, dove compaiono personaggi riconducibili a frequentazioni pavesi di questo scrittore-giurista. Insomma nel libro di Pulina c'è molta Sardegna.
Giovanni Mameli
 
3 – L’Unione Sarda
Cultura Estate Pagina 30
Da Prometeo a Galileo, la scienza va in scena
Il critico Bisicchia conclude l'Isola del Teatro e propone un gemellaggio Cortina-Santu Lussurgiu
Sono passati cinquant'anni da quando Strehler portò in scena al Piccolo il "Galileo" di Brecht, storia modernissima di scienza e coscienza piegate. E sono passati pochi giorni dalle dimissioni di padre George Coyne, per 28 anni direttore della Specola Vaticana: voci di curia lo davano troppo indulgente verso il darwinismo per restare ancora a capo dell'Osservatorio. È un indizio evidente di quanto sia attuale il teatro brechtiano e, in genere, di quanto siano ancora centrali le questioni poste dal teatro quando si è occupato di scienza e di conoscenza, fin dai tempi del "Prometeo" di Eschilo. Sono proprio Eschilo e Brecht i due cardini sui quali Andrea Bisicchia ha imperniato il suo seminario di martedì e mercoledì scorsi a Santu Lussurgiu: uno tra gli appuntamenti conclusivi dell'Isola del Teatro, il festival che per la quarta stagione ha animato per tutto agosto il centro del Montiferru, trovando proprio in Bisicchia uno dei sostenitori più ferventi. Concluso il seminario, il docente di Metodologia e critica dello spettacolo spiegava che «appena arrivato a Santu Lussurgiu la mia prima impressione è stata di trovarmi nella Cortina di trent'anni fa, quando era abitata da una ristretta popolazione anche turistica». E sull'onda di questa suggestione, del ritrovamento «di quel clima puro, pungente e sorridente», il professore ha deciso di lanciare un slogan e una proposta. Il primo è "Santu Lussurgiu Cortina del sud", la seconda è vedersi tutti insieme - sindaco, presidente della Regione e organizzatori del festival - al circolo della stampa di Milano, questo autunno, per lanciare un gemellaggio culturale tra Ampezzo e Montiferru, un appuntamento denso di iniziative e di nomi di prestigio. In attesa di vedere quali riscontri avrà l'idea, il professore ha presentato il suo "Teatro e scienza. Da Eschilo a Brecht e Barrow" pubblicato quest'anno da Utet Università. «In questo mezzo secolo - spiegava Bisicchia durante la presentazione, partendo proprio da quel "Galileo" rappresentato nel '56 - il rapporto fra teatro e scienza si è continuamente evoluto, portando al centro dell'attenzione la responsabilità dello scienziato davanti all'umanità, attraverso un dibattito che non è più semplicemente divulgativo ma interpella le nostre coscienze. Pensiamo a "I fisici" di Dürrenmatt, caso esemplare di come una ricerca può dare frutti sorprendenti, o a "Infinities" di Barrow». Esiti recenti e recentissimi dell'approdo scenico della ricerca, eppure a discutere di scienza messa in scena si torna inevitabilmente al Galileo e alla sua capacità di scolpire un principio: la scienza ha le sue responsabilità, ma la ricerca in sé non deve dare risposte etiche a nessuno. Un tema messo a fuoco «in modo particolare nella seconda stesura, quella del '47, quando era già stata lanciata l'atomica». Uno spunto di riflessione - e di elaborazione teatrale - niente male. Oggi invece «c'è un pieno ritorno all'homo ludens: viviamo in un anfiteatro virtuale - in una melma virtuale, direi - simile all'antico anfiteatro romano dei giochi e dei combattimenti: la prospettiva del teatro, unica forma non virtuale di rappresentazione, dovrebbe essere proprio quella di portare in scena i grandi dibattiti sul rapporto tra la scienza e l'etica: l'uomo non può vivere senza concetti». O meglio non potrebbe, dal momento che attraverso la televisione «guarda sempre più verso il basso fino ad aprire un baratro di sottoeducazione, di ignoranza di ritorno». E quando parla di televisione. Bisicchia la intende popperianamente come cattiva maestra soprattutto se parla della tv commerciale: «Più raggiungi il baratro, più il potere può usarti come vuole». E in tempi di tv commerciale trionfante, vediamo il teatro zoppicare anche (ma non solo) sotto i tagli ministeriali al fondo per lo spettacolo. Che il rapporto fra teatro e scienza sia così stretto da far passare dall'uno all'altro gli aspetti patologici, le crisi? Che il teatro, per esempio, abbia assorbito dalla scienza il fenomeno della fuga dei cervelli, oltre al taglio dei denari per la ricerca? «Più che altro accade che un autore di teatro venga coinvolto dalla televisione e passi a scrivere sceneggiature per il piccolo schermo, abbandonando il teatro e quindi condannandosi a quell'impoverimento della scrittura che questo passaggio comporta sempre, esattamente come comporta il deterioramento delle capacità attoriali negli interpreti». (c. t.)
 
4 – L’Unione Sarda
Attualita Pagina 29
Se il cervello umano si mette a scimmiottare
Monkey see monkey do è una popolare espressione anglosassone per descrivere il comportamento imitativo delle scimmie antropomorfe, che in determinate circostanze rifanno ciò che vedono fare all'uomo. E proprio una sperimentazione condotta sulle scimmie ha permesso di ricostruire il comportamento di un certo tipo di cellule nervose, che si attivano sia quando compiamo un'azione che quando la vediamo compiere da altri, perciò definiti neuroni specchio. La scoperta si deve alle ricerche sul sistema motorio compiute dall'equipe guidata dal neurofisiologo Giacomo Rizzolatti, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell'università di Parma e accademico dei Lincei. Rizzolatti ce la racconta in collaborazione con il filosofo della scienza Corrado Sinigaglia nel libro So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio (Cortina, 216 pp., 21 euro), nel quale i due scienziati spiegano come questi neuroni costituiscano un vero e proprio punto d'incontro tra l'hardware e il software del nostro organismo, interessando tanto le neuroscienze che la psicologia. Dalla loro attività nasce infatti il procedimento cognitivo che permette al nostro cervello di capire il comportamento degli altri simulandolo a livello neuronale, e quindi di appropriarcene diventando capaci di replicarlo. Di fatto questa scoperta mette in discussione la concezione dualistica mente/corpo tipica della cultura occidentale, avvicinando la scienza alla visione orientale secondo la quale tale dualismo è puramente apparente.
Ignazio Sanna
 
5 – L’Unione Sarda
Attualita Pagina 29
Sardiano o italiardo? È la lingua popolare dei sardi, modi di dire diffusi ma linguisticamente non certo corretti
Sardismi, tanto per farsi capire
Quando l'italiano si sporca con espressioni dialettali
Sarà meglio chiamarlo sardiano o italiardo? Si parla, naturalmente, di quell'italiano popolare parlato dai sardi. La risposta può arrivare da quello che accade nel resto del mondo: a New York, per esempio, la comunità latina parla un inglese infarcito di espressioni e parole spagnole. La "nuova" lingua si chiama spanglish. Allo stesso modo, l'italiano targato quattro mori può essere battezzato italiardo. Scelto il nome, restano da capire le regole di questa strana lingua che, apparentemente, sembra essere un italiano ricco di errori grammaticali. In realtà, è semplicemente un altro idioma che segue regole differenti. La strutturaIl sardiano deriva, naturalmente, dal sardo il quale, a sua volta, ha origini latine (mediate da secoli di dominazione spagnola). Ovvio che risenta degli influssi di queste lingue. Emblematico è l'uso dell'ausiliare che, soprattutto nelle interrogative, finisce in fondo alla frase. Una costruzione talmente tipica da essere usata dagli abitanti della Penisola quando vogliono imitare un sardo. Capito mi hai?, è diventato addirittura un tormentone comico. In realtà, ci sarebbe poco da scherzare visto che i latini erano soliti piazzare il verbo in fondo alla frase. Di derivazione spagnola, invece, un altro presunto errore: quando si parla di una persona, il complemento oggetto si trasforma in un complemento di termine. Ho sentito a Roberto, è un tipico esempio. E la frase può contenere con un altro presunto errore, anch'esso di derivazione spagnola: ho sentito a Roberto e le ho detto? La particella pronominale finisce con l'essere praticamente sempre femminile. È, invece, legato alla lingua sarda il mancato uso del passato remoto: per raccontare quello che è accaduto in tempi più o meno lontani si usa sempre il passato prossimo o l'imperfetto. Nel sardiano nessuno dirà mai "frequentai amicizie che mi portano a sbagliare", ma ho frequentato (o frequentavo) amicizie che mi hanno portato a sbagliare. Le particelle Per trovare una parlata comune per i francesi, i fautori della lingua d'oc si scontrarono con i sostenitori della lingua d'oil: non tutti sanno che le due paroline (oc e oil) stavano a indicare la particella affermativa, il sì italiano, per intendersi. Ebbene, anche nel sardiano c'è una particella che usano gli italianofoni vissuti a lungo nell'Isola. Alzi la mano chi non ha mai detto eia. Ha un suono simile ma un significato completamente differente aiò, parola dal doppio uso. È un invito a lasciare un luogo (corrisponde ad andiamo via) oppure rappresenta lo sprone a fare qualcosa in fretta: aiò ché è tardi (sbrigati ché è tardi). Per la verità, questa frase in "sardiano puro" sarebbe un po' diversa: aiò ched'è tardi. Quella doppia "e" sembra non piacere a nessuno e allora viene inserita una d eufonica. Altre particelle molto usate nel sardiano sono là e mì: là che ne devi andare (guarda che devi andare via); mì che ti prendo a schiaffi (bada che ti prendo a schiaffi). E che cosa dire di bo'? Significa basta, fermati. Le paroleAnche il vocabolario merita una certa attenzione. Molte parole, ovviamente, appartengono all'italiano. Ma non solo: esistono tanti termini che sono tradotti dal sardo. E ci sono anche alcune parole italiane che hanno un significato differente rispetto alla lingua originale. L'esempio canonico è rappresentato dal termine canadese: soltanto nell'Isola indica, oltre che un abitante dello stato nordamericano, una tenda e un tipo di pizza, anche una tuta sportiva. Il vocabolario italiano riserva una piacevole sorpresa per i sardi: quando viene usata la parola imperiale per indicare il portapacchi, nel resto d'Italia nessuno capisce. Ma sono gli altri a essere in torto: secondo alcuni vocabolari, l'imperiale è il tetto di una carrozza, sul quale si mettono i bagagli o anche le persone quando è provvisto di appositi sedili. Un altro termine recuperato dal sardiano e poco usato in italiano è certare: i vocabolari dicono che significa bisticciare, come in sardo. E che cosa dire del termine gaggio? In sardiano, indica una persona grezza, non particolarmente raffinata; in italiano, invece, è un ostaggio oppure una paga militare. Curioso anche il destino della parola carruba: nell'Isola, oltre a indicare il frutto che deriva dal quasi omonimo albero, è una persona non dotata di particolare intelligenza, nel gergo italiano rappresenta, secondo quanto dice il dizionario Garzanti, il carabiniere per il colore nero della divisa, che richiama quello della carruba. Un ultimo esempio: la pappina è un impiastro di semi di lino o, familiarmente, una ramanzina. Che, in sardiano, diventa qualcosa di più pesante (è un colpo, a mano piena, dato sulla parte posteriore del collo). I sardismi Inutile aver studiato Dante e Manzoni: chiunque può rischiare di utilizzare, inconsapevolmente, un termine sardiano. Qualche anno fa, per esempio, un giornalista fu salvato solo da un correttore di bozze: aveva scritto cirdino, certo che fosse un sinomino italiano di rigido. D'altronde, sono tanti a essere convinti che l'aggettivo stravanato significhi particolarmente bello in italiano. E c'è chi ha chiesto in un bar della Penisola uno scioppino senza però riuscire a farsi portare la bottiglietta da un quarto di birra. Di questa categoria fanno parte anche parole come aliga (immondezza), crastulare (spettegolare), cugurra e pindaccio (portajella), mandrone (pigro), murigo (affare sentimentale più o meno chiaro), pibinco (fastidiosamente preciso), puntera (calcio dato di punta), roglio (situazione intricata), sciorare (mostrare con vanto qualcosa), spagheggio (paura), trassa (intermediazione di un terzo in una love story), vela (assenza scolastica ingiustificata). Sorvolando, per ovvie ragioni, sulle parolacce, merita un'ultima riflessione un'espressione che ha varcato anche le porte dell'università: qualunque medico che lavora in Sardegna capisce che cattiva (o brutta) voglia indica uno stato di nausea. Ma provate a dire "ho brutta voglia" in un pronto soccorso di Livorno. Correreste il rischio di essere ricoverati. In psichiatria.
Marcello Cocco

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