Press review

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
06 April 2020

L'Unione Sarda



 

1 - L’UNIONE SARDA di lunedì 6 aprile 2020 / PRIMA

L’intervento

La fede in quarantena
di Aldo Berlinguer

Prosegue, durissima, la quarantena nazionale. Il malessere cova sotto la cenere e cresce silenzioso, almeno sin quando la paura vincerà l'ambizione, il profitto, la fame. Ma il letargo si sta schiudendo ed il risveglio si annuncia minaccioso. Presto avrà sfogo la rabbia di chi, ancora sbigottito da ciò che è accaduto, si accorgerà dei danni subiti e cercherà un capro espiatorio, un nemico da accusare.

Del resto, nessuno avrebbe immaginato che, dopo secoli di ricerca scientifica e tecnologica, saremmo dovuti ricorrere alla quarantena, già utilizzata nel 541 con la peste di Giustiniano, per fronteggiare un virus. Scienza e tecnologia, che sembravano aver conquistato il dominio assoluto, si sono infatti dimostrate inermi dinanzi alla pandemia e gli scienziati hanno balbettato, come sempre, divisi tra loro.

È quindi difficile, ora, appellarsi alla ragione - che nessun rimedio ha portato - per arginare la rabbia. E troppo tardi è rifarsi alla fede che, in questi giorni, con le chiese chiuse, è rimasta silente, confinata tra i sentimenti individuali più intimi.

Questo vuoto lo ha avvertito, sicuramente, anche Papa Francesco. (...) segue a pagina 3

PRIMO PIANO - Pagina 3   segue dalla prima
Un clero afono nel momento dell’apocalisse e il richiamo di Papa Francesco
SE ANCHE LA FEDE ENTRA IN QUARANTENA DAVANTI ALLA PANDEMIA

(...) Il Papa, a piedi, è andato a genuflettersi davanti al crocifisso di San Marcello al Corso. E poi ha impartito “urbi et orbi” la benedizione eucaristica attraverso i media.

Ma non tutti hanno raccolto il gesto, frastornati dalle voci dei social, dalle false certezze dei dibattiti televisivi, dai titoli dei giornali.

Il recupero, disperato, della sacralità, del mistero cristiano, dinanzi allo sbriciolarsi delle certezze umane, è dunque passato sotto silenzio. Sepolto da un oblio durato anni in cui, per recuperare un rapporto terreno con i fedeli (e riempire le chiese vuote), si sono trascurate la trascendenza, l'immanenza, la catechesi: da sempre sicuro bastione per superare le intemperie umane.

Qualcuno infatti si domanderà: perché, nel momento dell'apocalisse sanitaria, dinanzi al fallimento della ragione, non v'è stata la rivincita della fede? Perché anche il clero, invece di rinvigorire la ritualità liturgica, è rimasto afono, in un cono d'ombra?

La risposta è semplice: anche la fede, da molto tempo, si è fatta terrena. E come tutte le cose terrene (non ha dominato ma) ha subito gli eventi di natura.

La dignità della persona umana, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà: valori inestimabili della dottrina sociale della Chiesa (che tutti sinceramente amiamo e rispettiamo) non hanno dunque retto alla forza travolgente della pandemia. Come non v'è tempio, trasformato in ricovero, o altare adattato ad ospizio, che possa resistere alle tragedie umane. Al massimo quelle vestigia, riattate a presidio sociale, potranno lenire drammi e dolori di coloro che ultimi, non trovano riparo. Ed è giusto che la Chiesa, se vuol mantenere vocazione universale, si faccia interprete della globalizzazione canalizzando il travaso e attutendone gli smottamenti. Ma la Chiesa è anche altro.

Torniamo dunque ai simulacri vuoti? Ad una Chiesa altera, distante, sontuosa? No, la lezione pastorale di Papa Francesco è stata fin troppo profonda ed eloquente. Occorre recuperare un rapporto vivo con chi crede offrendo una casa a chi non ce l'ha.

Ma la casa non è solo tetto e mura, è anche ricovero del bisogno spirituale. È luogo di accoglienza prima dentro e poi fuori di noi. Altrimenti non è.

ALDO BERLINGUER
UNIVERSITÀ DI CAGLIARI





 

2 - L’UNIONE SARDA di lunedì 6 aprile 2020 / PRIMO PIANO - Pagina 6
Le buone notizie
Un ricercatore italiano scopre la “chiave” del virus

La battaglia degli scienziati per sconfiggere il Covid-19 prosegue senza sosta. Gianluca Iacobellis, medico ordinario di endocrinologia all'Università di Miami, ha scoperto una nuova via d'ingresso dell'agente patogeno nell'organismo umano. Si tratta del recettore chiamato Dpp4, una sorta di serratura che il virus forza per invadere le cellule ed è ubiquitario, si trova quindi su tutti i tipi di cellule, comprese quelle dei bronchi. È anche lo stesso recettore al quale si legano molti farmaci contro il diabete e per questo apre un'altra possibile strada per combattere il Covid-19. Il dato è stato pubblicato sulla rivista “Diabetes Research and Clinical Practice”. Il ricercatore è stato incuriosito dal fatto che il diabete sia un fattore di rischio: «Molte molecole utilizzate nelle terapie contro la malattia hanno effetti benefici sul sistema immunitario e a livello cardiocircolatorio. Per il momento l'impiego contro il coronavirus resta lontano. Un piccolo passo per colpire al cuore il virus».
Matteo Mascia





 

3 - L’UNIONE SARDA di lunedì 6 aprile 2020 / PRIMO PIANO
L’EMERGENZA. Il commissario ad acta dell’Emilia Romagna e uno pneumologo hanno formulato un’ipotesi di lavoro

MALARIA E TALASSEMIA RIDUCONO IL CONTAGIO? «POCHE CONFERME»

In Sardegna le condizioni sono simili al Ferrarese immune al Covid-19
«La talassemia o la malaria credo abbiano avuto una parte nel mantenere quelle zone quasi intatte rispetto a un attacco così forte e feroce come quello del virus di queste settimane». Parole di Sergio Venturi, commissario ad acta per l'emergenza coronavirus dell'Emilia Romagna, che nei giorni scorsi ha commentato i numeri, bassissimi, registrati nel Ferrarese. Non solo, Venturi ha aggiunto: «A mio avviso è necessario porre sotto la lente d'ingrandimento quanto sta avvenendo nella zona perché potrebbe essere utile per altri cittadini». Chiaro che l'osservazione del medico ha fatto accendere i radar in Sardegna, la malaria e la talassemia hanno segnato la storia e il Dna dei sardi.

Non c'è correlazione

Giorgio La Nasa, ematologo, docente dell'ateneo cagliaritano, taglia corto: «Sono parole prive di fondamento, non c'è alcuna correlazione». E spiega, con un avvertimento: «Non risulta ci siano dati scientifici a suffragare la tesi, parliamo di ipotesi surreali. È un azzardo rischioso parlare di queste cose in un momento come quello che stiamo vivendo. Credo sia il caso di attenersi alla realtà e a quanto la comunità scientifica sta facendo per limitare le conseguenze della pandemia».

Emanuele Angelucci, direttore della clinica di ematologia del San Martino di Genova, e trascorsi al microcitemico di Cagliari, va anche oltre: «Mi sembra una sparata, non ci sono basi che possano reggerla».

Un'idea su cui lavorare

«Al momento non c'è nulla di provato. È solo un'idea». Marco Contoli, docente di Malattie dell'apparato respiratorio alla facoltà di Medicina dell'università di Ferrara, mette le mani avanti. Ma non chiude all'ipotesi del collega. Precisando: «Sulla malaria ci andrei più cauto, il tipo di malattia è molto distante. Semmai ci sarebbe da effettuare degli studi sugli effetti della vaccinazione antitubercolare, che nell'area del Ferrarese è piuttosto alta».

Restrizioni fondamentali

Contoli, però, ammette l'importanza fondamentale del contenimento in questo bilancio rassicurante del primo mese di coronavirus: «Qui si è chiuso tutto subito. Università, scuole, centri di aggregazione, la stessa squadra di calcio in Serie A non ha giocato le partite, insomma le misure ci hanno consentito di arginare l'epidemia. Se limitiamo i contatti limitiamo il diffondersi della malattia». Puntualizza: «Venturi non collegava la malaria alla bassa incidenza, ma faceva l'esempio di una malattia infettiva. Queste condizioni sono l'alterazione dell'emoglobina e dei globuli rossi, cioè la microcitemia e la talassemia. Quindi, il parere di Venturi è una ipotesi su come una condizione genetica o una condizione patologica possa rendere l'individuo più resistente ai determinati tipi di infezione».

La campagna australiana

Il professor Contoli è attento a quanto sta succedendo nel mondo e, soprattutto, alle risposte che molti Paesi stanno trovando alla diffusione del Covid-19: «In Australia hanno avviato una campagna di vaccinazione antitubercolare a migliaia di medici, infermieri e operatori sanitari, per testare l'efficacia del vaccino contro il coronavirus. A mio avviso, infatti, un altro fattore da studiare è la possibile esposizione pregressa a tubercolosi».

Vaccino antitubercolosi

Aggiunge ancora Contoli: «Il New York Times due giorni fa ha pubblicato un articolo che parla del vaccino per la tubercolosi, spiegando che in Europa lo si sta testando contro il coronavirus».

Si legge sul Nyt: «Il vaccino Bacillus Calmette-Guerin, per gli scienziati, fa molto più che prevenire la tubercolosi. Il vaccino riduce drasticamente l'incidenza delle infezioni respiratorie. Il vaccino sembra "addestrare" il sistema immunitario a riconoscere e rispondere a una varietà di infezioni, inclusi virus, batteri e parassiti, affermano gli esperti. Vi sono ancora poche prove del fatto che il vaccino possa attenuare l'infezione con il coronavirus, ma gli studi clinici potrebbero dare risposte in pochi mesi».

Vito Fiori






 

4 - L’UNIONE SARDA di lunedì 6 aprile 2020 / Speciale SALUTE - Pagina VI
Gli esperti rispondono
CHIRURGIA. Noduli alla tiroide? Non tutti da operare

Ho fatto un agoaspirato della tiroide e mi è stato diagnosticato un nodulo tir 3 B. Devo preoccuparmi? É da operare? Risponde PIERGIORGIO CALÒ, 53 anni, Chirurgia Polispecialistica Policlinico Duilio Casula Aou Cagliari

La più recente classificazione del 2014 ha diviso i noduli tir 3 in tir 3 A e tir 3 B. Il rischio di un tumore maligno è del 5-15% nei tir 3 A, mentre è più rilevante nei tir 3 B (circa il 30%). Le attuali linee guida prevedono che i tir 3 A, visto il basso rischio, non debbano essere operati (salvo che non siano voluminosi o in rapido accrescimento) e debbano essere sottoposti a controlli periodici, mentre per i tir 3 B viene posta indicazione all'intervento. Ogni decisione non può prescindere da un'accurata valutazione ecografica e da un consulto dell'equipe multidisciplinare: endocrinologo, chirurgo e anatomo-patologo valuteranno il caso e condivideranno con il paziente la scelta migliore. L'intervento di norma è un intervento conservativo e cioè la asportazione di metà della tiroide, salvo che i noduli non siano multipli. L'intervento può essere effettuato con la tecnica videoassistita. Anche in presenza di un carcinoma la prognosi è in genere ottima.







5 - L’UNIONE SARDA di lunedì 6 aprile 2020 / Speciale SALUTE - Pagina VI

Gli esperti rispondono
ALLERGOLOGIA. Cortisonici per l’asma. Nessun rischio virus

Sono allergico, affetto da asma e rinite. Sono più a rischio di altri per un possibile contagio da covid-19 assumendo la terapia a base di cortisone e antistaminici? Risponde STEFANO DEL GIACCO, 48 anni, professore Allergologia clinica Policlinico Aou Cagliari e vicepresidente EAACI

Le terapie inalatorie con cortisone sono alla base delle cure per asma e rinite allergica. Solitamente, vengono somministrate tramite gli inalatori per l'asma o tramite i nebulizzatori per spray nasali. Per la rinite, gli antistaminici si usano in pastiglie, gocce o negli spray nasali. L'uso di cortisone inalatorio viene spesso erroneamente associato all'immunodepressione, creando il timore per i pazienti di una maggiore predisposizione alle infezioni. In realtà il ruolo di questi farmaci ai dosaggi consigliati è antinfiammatorio, ma non immunosoppressivo. Le infezioni virali facilitano le riacutizzazioni dell'asma, soprattutto nei bambini: senza l'uso di queste terapie, i virus trovano in noi un "terreno" infiammato e più fertile per infettarci. Per la rinite e l'asma in tempi di coronavirus, la raccomandazione, a cura di un pannello di esperti Europei, è di non interrompere la terapia inalatoria in corso.

 

La Nuova Sardegna

6 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 6 aprile 2020 / PRIMA
LA DIDATTICA ONLINE
L’UNIVERSITÀ VINCE LA SFIDA TELEMATICA

di ANTONIETTA MAZZETTE
In tempi di segregazione nelle abitazioni (ovviamente per chi ne possiede una) e di restrizioni della mobilità, molti stanno sperimentando modalità lavorative nuove non prive di difficoltà. Tra i primi settori che in Italia hanno chiuso i loro luoghi di lavoro vi sono quelli della scuola e dell’università. Sono molte le differenze tra i vari livelli di formazione, non ultima quella dell’età degli studenti che più è bassa maggiori sono le difficoltà che può incontrare un insegnante nel fare lezione a distanza. Tuttavia, c’è un comune denominatore per tutti i livelli: la formazione è un momento di crescita collettiva che non si esaurisce nel bagaglio di conoscenza che il docente trasmette agli allievi, ma che anzi si alimenta nello stare insieme negli stessi spazi fisici.

Primo piano - Pagina 5  segue dalla prima
L'UNIVERSITÀ VINCE LA SFIDA TELEMATICA
Ovvero, la compresenza fisica è un primario fattore di crescita individuale e collettiva perché dovrebbe implicare senso di responsabilità, impegno e attenzione verso gli altri, prima ancora che verso sé stessi. In assenza di prossimità fisica come si sviluppa l'attività lavorativa nella sfera della formazione? Quanto gli strumenti informatici sopperiscono alla riduzione della libertà individuale?
Limitatamente a ciò che sta accadendo negli ultimi gradi della formazione, partendo dall'esperienza personale, avanzo delle considerazioni su alcuni effetti dell'emergenza sul sistema universitario, escludendo dalla riflessione le università telematiche, giacché strutturate per gestire quasi tutto a distanza.
La prima considerazione è che il sistema universitario italiano si è trovato abbastanza avvantaggiato, almeno rispetto ad altri settori, nel gestire i diversi ambiti lavorativi in stato di emergenza. Mi riferisco all'applicazione delle tecnologie digitali a una serie di attività gestibili anche a distanza e che comprendono tanto la parte tecnico-amministrativa, quanto quella della didattica. Da anni ormai si comunica via e-mail con studenti e colleghi, si partecipa a riunioni telematiche nazionali e internazionali, sia nel campo della ricerca, sia in quello più strettamente amministrativo-burocratico, persino in ambito concorsuale e delle procedure di valutazione. Anche per ciò che riguarda i corsi di studio molti atenei si sono dotati di insegnamenti online, seppure pensati come supporto alla didattica frontale.
Una seconda considerazione riguarda il fatto che si tratta di una platea di persone abituate a gestire molte loro attività attraverso le tecnologie digitali e ciò significa sia che queste persone dispongono (per lo più privatamente) di vari strumenti tecnici, sia che parte della loro quotidianità lavorativa da tempo è gestita a distanza. Ciò vale ancor più per gli studenti che per ragioni generazionali sono più abili nella gestione virtuale di gran parte dei loro impegni e socialità, naturalmente tenendo conto che anche nell'accesso agli strumenti digitali si riflettono differenze e diseguaglianze sociali, materiali e territoriali.
Tutto bene dunque? Direi di no. Anzitutto perché l'insegnamento è fatto di dialogo e soprattutto di domande, senza le quali non ci può essere circolazione di idee e conoscenza: una lezione registrata implica una distanza anche empatica tra i diversi interlocutori. In secondo luogo, perché è quasi arduo comprendere il grado di apprendimento, peraltro già difficile in una situazione di compresenza, senza trascurare l'importanza dei laboratori e della sperimentazione sul campo. Il rischio di impoverimento anche culturale è molto alto.
Migliaia di docenti in questi giorni hanno firmato l'appello Disintossichiamoci: Sapere per il futuro rivolto al presidente Conte e ai ministri Manfredi e Azzolina perché, tra le altre cose, riflettano sui rischi della didattica a distanza (in gran parte gestita da multinazionali come Google e Microsoft e da data center esteri) inopportunamente ritenuta solo positiva. L'auspicio è che venga considerata eccezionale e nessuno ceda alla tentazione di dilatarla oltre il tempo necessario dell'emergenza.

di ANTONIETTA MAZZETTE

Questionnaire and social

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