Press review

Rassegna quotidiani locali a cura dell’Ufficio stampa e redazione web
06 December 2019

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di venerdì 6 dicembre 2019 / PRIMA PAGINA

IL COMMENTO

La giustizia ingiusta

di Leonardo Filippi
Il Governo vacilla sulla prescrizione, che è diventata motivo di scontro tra gli alleati della maggioranza. È in gioco la credibilità dello Stato sulla giustizia.

Certo, se in Italia il servizio-giustizia fosse un'azienda sarebbe fallita da un pezzo. A causa, anzitutto, della durata non certamente ragionevole dei processi penali: dai dati del ministero della Giustizia la durata media dei processi penali risulta di circa due anni per il primo grado (dove sono pendenti 1,2 milioni di processi), 3 anni per l'appello (pendenti 270.000 processi), 8 mesi in Cassazione (pendenti 24.262 processi). L'irragionevole durata dei processi ha anche provocato fino ad oggi una marea di indennizzi (340 milioni di euro) che paghiamo noi contribuenti. Ma risulta anche che, ormai da decenni, l'80% dei reati si prescrive prima della sentenza di primo grado (in particolare, il 62% nella fase delle indagini preliminari, il 18% nel corso del giudizio di primo grado, un altro 18% nel corso del giudizio d'appello e solo l'1% in cassazione), con il risultato che soltanto due vittime su dieci ottengono giustizia (complessivamente ogni anno si prescrivono circa 130.000 processi).

Di fronte ad una tanto fallimentare resa della macchina giudiziaria, che gira a vuoto e in perdita, macinando però anche innocenti e vittime, non c'è da meravigliarsi che due italiani su tre non abbiano fiducia nella giustizia. Il Governo non mette a disposizione delle forze di polizia e dell'amministrazione della giustizia nuove risorse. (...) SEGUE A PAGINA 10

POLITICA - Pagina 10
In Italia vige la giustizia ingiusta
(...) Sia risorse umane (concorsi per magistrati e cancellieri) che finanziarie. E anziché adottare provvedimenti normativi che rendano celere ed effettivo l'accertamento penale, incentivando riti alternativi (patteggiamento, giudizio abbreviato ed immediato, decreto penale, messa alla prova), propone due riforme inutili e anzi controproducenti: una modifica della disciplina delle intercettazioni e il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

La riforma delle intercettazioni, approvata due anni fa, ha però già scontentato tutti ancor prima di entrare in vigore: i pubblici ministeri, che lamentano l'inutile complicazione della procedura di captazione e di selezione delle comunicazioni rilevanti per il processo; gli avvocati, costretti in pochi giorni a consultare le migliaia di intercettazioni protrattesi per anni; i giornalisti, che vedono un bavaglio alla stampa nei limiti apposti alla pubblicazione delle notizie processualmente irrilevanti, ma socialmente importanti.

Ma ancora più grave è la legge, approvata nel gennaio scorso, che abolisce la prescrizione dopo il primo grado. Non solo perché ha un'efficacia minima nel sistema processuale, giacchè interessa circa il 20% delle cause ed entrerà a regime non prima di 2/3 anni, ma, soprattutto, perché elimina l'unico limite temporale oggi esistente alla durata del procedimento, che resterebbe senza alcuna misura che assicuri certezza alla sua durata. Perciò, per i reati commessi dal 1° gennaio prossimo, dopo la sentenza di primo grado, i processi penali potranno durare all'infinito (“fine processo mai”), provocando una doppia ingiustizia, all'imputato e alla vittima. L'imputato, condannato o assolto che sia, sarà mantenuto sotto processo a vita, imputato per sempre, un vero e proprio ergastolo processuale. La povera vittima sarà due volte vittima, ma questa volta per mano dello Stato, incapace di assicurare una durata ragionevole al processo e per giunta senza indennizzo di Stato. In altre parole, anziché cercare di ridurre i tempi del processo penale, fissando termini certi e insuperabili di durata di ogni fase, questi si allungano all'infinito, eliminando la prescrizione del reato. Il tutto in dispregio della nostra Costituzione, delle Convenzioni internazionali e della Corte europea dei diritti dell'uomo, che riprenderà a condannare l'Italia per l'eccesiva durata delle nostre procedure. Senza considerare che l'erogazione di imponenti indennizzi agli imputati si aggraverà. E noi paghiamo.

LEONARDO FILIPPI, UNIVERSITÀ DI CAGLIARI

 

 

La Nuova Sardegna

 

 

2 - LA NUOVA SARDEGNA di venerdì 6 dicembre 2019 / SASSARI - Pagina 20

IL CONVEGNO

L'ex ministro Bray parla di identità e partecipazione

SASSARI Il 9 e 10 nell'aula magna dell'università si svolgerà il convegno "Il ruolo della cultura nel governo del territorio", organizzato dal dipartimento di Storia, Scienze dell'Uomo e della formazione dell'Ateneo assieme all'associazione italiana Sociologia del territorio. Ospite d'onore il direttore generale dell'Enciclopedia italiana Treccani, nonché ex Ministro per i Beni, le Attività culturali e il turismo, Massimo Bray. Il suo intervento, intitolato "Il territorio come sistema culturale tra identità e partecipazione", è in programma lunedì alle 11 e sarà preceduto dai saluti di apertura, alle 10, di Antonietta Mazzette, coordinatrice nazionale AIS-sezione territorio, del Rettore Massimo Carpinelli, del presidente della Fondazione di Sardegna Antonello Cabras e del Direttore del Dipartimento DISSUF, Marco Milanese.Il tema della cultura nelle trasformazioni territoriali riguarda in particolare il patrimonio, il paesaggio e la memoria. Con specialisti provenienti dalle principali università italiane, l'incontro indagherà su tematiche quali riu-urbanizzazione, inclusione, multietnicità, partecipazione, spazi della quotidianità e sviluppo sostenibile, tenendo presente l'obiettivo 11 dell'Agenda 2030 dell'Onu - rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili - e, in particolare, il target 11.4 che invita le comunità globali a potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo. Bray è nato a Lecce, ha studiato a Firenze, vive a Roma. Nel 1991 entra all'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, come redattore responsabile dell'Enciclopedia La Piccola Treccani. Non lascerà più l'Istituto, fino all'elezione al Parlamento: nel 1994 ne diviene il direttore editoriale.


 

3 - LA NUOVA SARDEGNA di venerdì 6 dicembre 2019 /CULTURA E SPETTACOLI - Pagina 37

ANGIOY, RIBELLE CHE VOLEVA LA FELICITÀ DEI SARDI

Da oggi col giornale il volume di Omar Onnis sulla vita del protagonista della rivolta antifeudale in Sardegna

di FRANCISCU SEDDA
Chi fu Giovanni Maria Angioy? «Virtuosissimo eroe» o «uomo che più nullo non esiste», come disse nel giro di pochi anni Matteo Luigi Simon? Machiavellica mente dietro l' «emozione popolare» del 28 aprile 1794, l'uccisione di Pitzolo e Paliaccio, la sollevazione repubblicana e antifeudale di metà Sardegna, come sostennero in presa diretta i suoi avversari politici, o uomo ingenuo, magistrato incapace di pensiero strategico, borghese timoroso di una guerra civile, leader casuale e impreparato a guidare una rivoluzione, tanto da dover riparare in esilio senza neanche aver mosso veramente guerra alla sovranità sabauda e ai suoi zelanti servitori sardi? Leale Alternos del potere regio, tanto da chiedere di inneggiare al re anche mentre "marciava" verso Cagliari, o punta avanzata delle idee repubblicane, tanto da coltivare contatti segreti con i rappresentanti della Francia e circondarsi dei più ferventi giacobini sardi? Per destreggiarsi in queste contraddizioni bisogna calarsi nella storia sarda ed europea di quel tempo fatto di dissimulazione e rivoluzione. Perché la storia di Angioy è specchio, parziale ma nondimeno potente, di più ampie vicende. Come lui stesso scriveva il 12 giugno 1796, prima di partire per l'esilio, intrecciando destino individuale e collettivo: "Non ho più tempo, solo per piangere la mia disgrazia e quella della mia Patria".Dissimulazione. Perché il Settecento è secolo dei Lumi a livello intellettuale ma politicamente è ancora figlio dell'assolutismo monarchico e parlare apertamente contro il potere sovrano significa rischiare la vita. Da qui il proliferare di comunicazioni anonime fatte di fogli, pamphlet, lamentele, calunnie che nutre congiure vere o presunte, ordite da sudditi stanchi e oppressi o paventate da potenti che agitano il popolo per proprio tornaconto. Situazione che tanto ricorda le dinamiche dell'odierna rete in cui avatar, voci, complotti, amicizie, alleanze, posizioni s'inseguono, mescolano, ribaltano vorticosamente.
Rivoluzione. Perché alla fine qualcosa d'inedito, fra Stati Uniti e Francia, accade e scuote il mondo. Ma essendo inedito lo fa senza una chiara rotta, con le sue figure guida che navigano a vista. E paiono trascinate dagli eventi - che spesso finiscono per inghiottirli - più di quanto non li governino. Gli americani iniziano con una protesta sui dazi doganali e la finiscono indipendenti. I francesi partono affamati e desiderosi di riformare le istituzioni e la finiscono tagliando la testa al re, poi col Terrore, infine con un imperatore. Imprevedibilità, casualità, ambiguità. Non deve stupire o scandalizzare la sensibilità odierna se le vicende di Angioy e della Sardegna del tempo appaiono fluide e confuse. Tanto più che proprio la nostra terra si trova prima di altre catapultata nel cuore del tempo nuovo. Si rifletta su questi "trienni rivoluzionari": Francia 1789 -1792, Sardegna 1793 - 1796, Italia 1796 -1799, Irlanda 1799 -1802. La Sardegna è precoce. Nel bene e nel male.
Chi fu dunque Angioy? Certamente fu un bambino, nato a Bono il 21 ottobre 1751, presto orfano dei genitori; fu una mente acutissima se non geniale, tanto da ottenere a 22 anni la cattedra di Istituzioni civili e a 30 occupare le più alte cariche della magistratura; fu un borghese coraggioso, ammirato per la sua intraprendenza e capacità negli affari; fu un giudice della Reale Udienza del Regno di Sardegna che nel momento della tentata invasione da parte della Francia appoggiò timidamente la resistenza anti-francese e si mostrò magnanimo con i sostenitori delle idee rivoluzionarie; fu figura appartata negli eventi del 28 aprile 1794 mentre dopo divenne leader del "partito patriottico", o "democratico", che durante la Sarda Rivoluzione tiene in pugno il Parlamento sardo; fu "novatore" circondato da amici giacobini che col tempo ostentavano sempre più apertamente la loro fede cantando canzoni rivoluzionarie, indossando la coccarda rosso-bianco-blu mentre inneggiavano all'abbattimento del feudalesimo, alla Nazione sarda e alla Repubblica di Sardegna; fu Alternos del viceré, inviato nel Capo di Sopra per fermare la secessione controrivoluzionaria ma ancor più per allontanarlo strategicamente da Cagliari; fu accolto come un salvatore a Sassari e infuse speranza nei paesi del Logudoro attraverso i patti civici confederativi che di fatto abolivano il feudalesimo; fu colui che condusse un'ambigua marcia su Cagliari, iniziata senza portare con sé i suoi più valorosi generali rivoluzionari, come Gioachino Mundula e Francesco Cilocco, e finita a Tramatza si dice in lacrime e convinto d'essere stato tradito da tutti; fu colui che nell'esilio, in particolare fra 1798 e 1801, perorò davanti a Napoleone l'esigenza d'invadere la Sardegna per "rompere le catene della tirannia" e farne una repubblica indipendente, una Nazione sarda eternamente riconoscente alla Nazione francese; fu via via esule sempre più solo, povero, malato, fino alla morte il 22 febbraio 1808.Tutto ciò può apparire poco per chi cercasse storie lineari, chiare, compiute. Ma vale la pena considerare che ancora negli anni Sessanta del Novecento Angioy era considerato nientemeno che come un precursore del Risorgimento italiano. Precursore certo strambo e periferico ma pur sempre come patriota e repubblicano italiano fu celebrato nel 1896, nel centenario del suo ingresso a Sassari, e oltre. Ecco, se c'è una cosa certa oggi è che fu molte cose ma non questa. Angioy non fu italiano: non si sentì né si credette né agi come tale. Nelle sue azioni, per quanto contraddittorie, c'era infatti un riferimento fisso: la felicità e il bene della Sardegna, di volta in volta definita Patria, Nazione, Paese, sempre in maiuscolo. Una Sardegna pensata al pari della Francia e delle altre nazioni dell'epoca. Se tutto ciò è stato per lungo dimenticato, e ancor oggi può apparire sconveniente dirlo, lo si deve alle figlie che ne ripudiarono il nome e lasciarono che la cassa con i suoi scritti andasse persa, alla controrivoluzione che uccise corpi e memorie, alla Perfetta Fusione e all'Unità d'Italia che repressero ulteriormente la coscienza di nazione dei sardi. E a tanti altri traumi, spesso autoimposti, di cui siamo figli. È proprio vero Giuanne Maria, quando "non si ha tempo", quando si perde la memoria e il suo senso, non resta che piangere per le disgrazie proprie e della propria Patria. Ma se la memoria torna...

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