Press review

07 October 2019

L'Unione Sarda

Rassegna quotidiani locali
a cura dell’Ufficio stampa e redazione web



L’UNIONE SARDA
 

1 - L’UNIONE SARDA di lunedì 7 ottobre 2019 / Provincia di Cagliari (Pagina 15 - Edizione CA)
Pula
Scavi a Nora: gestione da affidare

Col pranzo romano preparato dai ragazzi dell'istituto alberghiero Azuni e dai volontari della Pro Loco si è conclusa la XV edizione di “PulArchàios”, il cartellone di appuntamenti della campagna di scavi a Nora condotta dalle Università di Cagliari, Milano, Padova e Genova. «Questa edizione è stata caratterizzata dalle conferenze scientifiche che hanno rivelato aspetti interessanti dell'antica città di Nora», dice Massimiliano Zucca, assessore alla Cultura, «per la prossima stagione contiamo di riprendere il filo interrotto lo scorso anno ospitando show cooking, presentazioni di libri e altri eventi. Gli appuntamenti si terranno a Nora, a Casa Frau e nel Museo cittadino».
Sulla cessazione del rapporto con le due coop che gestivano gli scavi, col rischio di lasciare i cancelli chiusi sino al nuovo affidamento, l'assessore spiega: «Ci incontreremo con la Sovrintendenza anche oggi, stiamo cercando una soluzione». (i. m.)

 

2 - L’UNIONE SARDA di lunedì 7 ottobre 2019 / Speciale (Pagina 5 - Edizione CA)
ARTRITE REUMATOIDE
Dove curarsi in Sardegna

I settemila malati sardi colpiti dall'artrite reumatoide possono contare su due importanti punti di riferimento sanitario. L'Unità operativa di Reumatologia del Policlinico di Cagliari diretta da Alberto Cauli e il centro ospedaliero-universitario di Sassari. Altri presidi sul territorio ad Alghero, Oristano, Iglesias e Nuoro. «Strutture autorizzate a prescrivere i farmaci biologici», spiegano dall'Associazione sarda malattie reumatiche. «In Sardegna - ricorda il presidente Ivo Picciau - ci sono molti pazienti che fanno riferimento al Policlinico di Cagliari-Monserrato dove gli viene prescritto il farmaco. Ebbene, in quel momento al malato viene anche indicato un piano terapeutico di sei mesi. Ogni mese devi però recarti in ospedale, in quel preciso ospedale che te l'ha prescritto, per poterlo acquisire. Lo dice una norma regionale. facile comprendere i disagi e le difficoltà per tanti pazienti che magari risiedono a Olbia, a Nuoro, persino a La Maddalena». La soluzione esiste eccome per evitare tanta fatica ai malati ma anche un incredibile sperpero di denaro. «Sta tutta in una delibera regionale del 2016 sul percorso diagnostico-terapeutico - dice Picciau - che però non viene resa attuabile. Aspettiamo ancora la convocazione di un tavolo da parte dell'assessorato regionale».
Quel dolorino sospetto
Inizia tutto con qualche dolorino più o meno improvviso alle articolazioni. Spesso al mattino, al risveglio. Con una rigidità prolungata. È il campanello d'allarme che qualcosa, nel nostro organismo, sta accadendo. Poche settimane, a volte qualche mese e l'infiammazione si aggrava. L'artrite reumatoide ha fatto breccia, attaccando il tessuto sinoviale che riveste le articolazioni. Delle mani, dei piedi, delle ginocchia, dell'anca così come quella omero-scapolare o della mandibola. Ma anche della colonna cervicale.
LA DIFFUSIONE. In Sardegna è una vera e propria piaga, stando almeno ai numeri preoccupanti di una malattia che colpisce circa settemila persone. «È una patologia che influisce negativamente sulla qualità della vita, fortunatamente oggi disponiamo di una moltitudine di farmaci in grado di mandare in remissione la malattia. Non solo, proprio per la qualità e diversità della terapia farmacologia, siamo in grado di intervenire sulle specificità. Ovvero sulla variabilità con cui l'artrite reumatoide si manifesta tra paziente e paziente», spiega Alberto Cauli, neo direttore dell'Unità operativa complessa di Reumatologia del Policlinico universitario e allievo del professor Alessandro Mathieu, per decenni punto di riferimento per migliaia di malati. Grazie a questi farmaci, in grado di intervenire sui meccanismi biologici che sono alla base della malattia, si possono scegliere cure ben più appropriate, incidendo appunto sulla specificità del paziente.
IL RECUPERO. Tutto ciò, legato a rigorosi programmi di riabilitazione, consente a tantissimi pazienti di condurre una vita attiva, sia sul lavoro che nel sociale. «Ciò che è cambiato in positivo, in questi anni, almeno qui da noi al Policlinico - dice Cauli - non è solo la possibilità di disporre di molti farmaci biologici, ma è mutato anche il rapporto strettissimo con le associazioni dei malati. A settembre, qui a Reumatologia, è partito un progetto importantissimo, finanziato dalla Comunità europea e della durata di sette anni, su medicina e innovazione». Anni di ricerca accompagnati da una linea-guida precisa, e cioè «che ogni paziente deve poter contare sulla terapia più appropriata per lui», precisa Cauli.
LA DIAGNOSI. Terapia e cure sempre più appropriate. Più complesso, molto spesso, riuscire a diagnosticare correttamente e celermente la malattia. Spesso difficile quando la malattia è allo stadio iniziale. «Fino a venticinque anni fa l'artrite reumatoide era una patologia deformante. Si diventava invalidi. Oggi si riesce a controllarla», racconta Ivo Picciau, presidente dell'Asmar, l'associazione sarda malattie reumatiche. «Ciò è possibile grazie ai farmaci biologici con cui si curano, attualmente nell'Isola, milleduecento pazienti. Pochi, evidentemente, per i costi piuttosto alti del farmaco tecnobiologico, rispetto ai settemila sardi colpiti dall'artrite reumatoide e costretti a utilizzare il cortisone. Resta un punto nero, che è ancora quello della diagnosi che dovrebbe essere fatta entro tre mesi dall'insorgere dei primi sintomi». Da ciò dipende infatti l'inizio della terapia, quegli interventi farmacologici con cui si riesce a mandare in remissione la malattia. «La diagnosi deve essere precoce ma mai frettolosa. Per questo il paziente necessità di un periodo di osservazione per poter arrivare a una corretta identificazione del tipo di patologia. Strada indispensabile per trovare la giusta e specifica terapia per quel singolo paziente», avverte Alberto Cauli.
Andrea Piras

La Nuova Sardegna

 


LA NUOVA SARDEGNA

 

3- LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 7 ottobre 2019 / Prima pagina
IL PERSONAGGIO/Ugas
Il “re” degli scavi e i segreti dell’isola
Oltre 250 scavi e un’infinità di scritti e di interventi. Giovanni Ugas, professore di storia e protostoria all’università di Cagliari, è uno dei massimi esperti di archeologia nell’isola. Una professione affascinante riportata d’attualità dagli scavi di Mont’e Prama. In proposito Ugas elogia il lavoro del geofisico Gaetano Ranieri, papà del georadar, ma aspetta le verifiche sul campo. ? AMBU A PAGINA 5

Sardegna - Pagina 5
L'archeologo Ugas racconta la sua vita tra studi e ritrovamenti in oltre 250 scavi
«Ma quello che viene accertato non è sempre quello che ci piacerebbe trovare»
IL PADRE DEGLI SHARDANA: UN'ISOLA ANCORA DA SCOPRIRE

«Sergio Frau ha scritto un bel libro ma non sono d’accordo sulla interpretazione delle parole di Platone che si riferiva all’Africa non alla Sardegna»
«Io dico che non bisogna insegnare il sardo ma che bisogna insegnare in sardo. Non è stato rattato da lingua madre ma da lingua matrigna»

di Stefano Ambu

CAGLIARI Il georadar come il vecchio colpetto di piccone di una volta per saggiare il terreno. Anche se qualcosa si intuisce o si intravede, per conoscere la verità bisogna scavare a fondo. Speranze e idee- anche se ci sono- bisogna tenerle a freno. Benvenuti tutti gli indizi. Ma ci vuole sempre la controprova. Anche per evitare che le illusioni possano diventare delusioni. È un discorso che vale per Mont'e Prama. Ma che è la base del metodo scientifico. Giovanni Ugas, archeologo, ex docente di storia e protostoria all'Università di Cagliari, lo sa bene. Elogia il lavoro del geofisico Gaetano Ranieri nel Sinis. E già si congratula con lui per aver dimostrato che il mondo di Mont'e Prama è più vasto di quello che si poteva pensare. Ma su strade, edifici eccetera ancora interrati commenta così, dall'alto dei suoi duecentocinquanta scavi archeologici effettuati. Il sogno che ci sia sotto qualcosa che dia una (nuova) svolta alla storia della Sardegna? «Un conto - sorride - è quello che vorremmo trovare, un altro è ciò che deve essere accertato». Perché a volte la storia sarda passa da un eccesso all'altro: o insignificante o periferica come hanno scritto (non scrivendo nulla o quasi nulla) i libri di storia usati a scuola. O improvvisamente più centrale del sole nel sistema solare.«La conoscenza un tempo si formava solo attraverso la letteratura antica - spiega Ugas - l'archeologia a partire dall'Ottocento è diventato uno strumento fondamentale per la conoscenza del nostro passato. Ma devo essere un po' severo: bisogna fare attenzione a distinguere tra l'archeologia e romanzi dell'archeologia». È importante però anche l'interpretazione. «Che - precisa - può fornirla chi ha una preparazione specifica. Vero, si può cadere in errore: anche lo scienziato può sbagliare. La ricerca archeologica deve passare attraverso una formazione universitaria, scientifica, la tutela dei beni e la loro valorizzazione. Tre elementi fondamentali. A volte però vedo magari in uno scavo dell'Università che non ci sono archeologi della Soprintendenza o viceversa. Non c'è quella giusta forma di collaborazione. Non dovrebbe essere così: c'è lo spazio in Sardegna perché tutti collaborino a nuove scoperte». Sardegna centro o periferia? «La Sardegna è un'isola del Mediterraneo - spiega Ugas - e ha avuto la fortuna di avere avuto importanti risorse per l'economia, dall'ossidiana all'argento. Da isola ha dovuto fondare il commercio, come Creta Cipro e Sicilia, sul mare. La civiltà si sviluppa quindi anche nelle isole, non solo nella terraferma. Sardegna isolata? Non è così. Nel neolitico vediamo uno sviluppo culturale straordinario con le domus de Janas e con le meravigliose sculture. Né isolata, né centro del mondo. La Sardegna va valutata anche attraverso il confronto con le culture che si sviluppano anche nelle altre terre. Non c'è dubbio che nell'età nuragica la Sardegna fosse una civiltà importunate in cui c'erano settemila nuraghi. Settemila fortezze - lo ribadisco, fortezze - circolari che solo dopo diversi secoli verranno copiate con lo sviluppo delle coperture a tolos e dei terrazzi fuori dalla Sardegna». Ugas ha scritto un libro "Shardana e Sardegna". A ottobre uscirà una riedizione con un bel lavoro sull'indice che renderà più agevole la consultazione con il richiamo a luoghi e personaggi. «Mi è costato molto lavoro - racconta riferendosi al lavoro già in circolazione - ho approfondito le relazioni con gli altri territori del Mediterraneo attraverso archeologia e letteratura antica e studiando testi anche egizi. Proprio queste informazioni mi hanno consentito di dire che i sardi erano gli Shardana: insieme ad altri popoli del mare furono quelli che abbatterono micenei, egizi, hittiti, facendo cambiare il corso della storia. Si evince dai testi che gli Shardana ebbero un grande ruolo. E se gli Shardana sono i sardi, anche la Sardegna ebbe un grande ruolo». Ascesa e caduta. «Ogni cultura - racconta - ha un suo inizio e una sua caduta. Non ci sono tracce di alluvioni, di tsunami o di qualche evento apocalittico: i nuragici cadono a causa di una sollevazione interna, può darsi anche con contributi esterni. Diodoro Siculo dice che i capi tribali furono cacciati via e si rifugiarono nei dintorni di Cuma e di altre località della penisola». Storia da valorizzare. Ma anche la lingua. «Io dico che non bisogna insegnare il sardo - dice - ma che bisogna insegnare in sardo. Il sardo non è stato trattato da lingua madre. Ma da lingua matrigna e abbandonata. Occorre quindi scrivere i testi delle varie materie in sardo. Dagli anni Sessanta abbiamo assistito a una violenza: alla esclusione del sardo dalle scuole. Solo un'altra "violenza" può rovesciare le cose. Anche se bisogna andare per gradi. Con un'editoria che guardi al sardo, i giornali in sardo, testi in sardo. Iniziamo con il valorizzare noi stessi. Poi chissà magari se ne accorgeranno anche gli editori italiani quando si dovrà parlare della Sardegna». Sardegna Atlantide? «Sergio Frau ha scritto un bel libro: ho parlato molto con lui. Ma non sono d'accordo né sullo tsunami. Né sulla interpretazione delle parole di Platone: il filosofo greco si riferiva alla terra degli Atlantidi, all'Africa settentrionale. Non alla Sardegna».

 

4- LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 7 ottobre 2019 / Attualità - Pagina 7
Il viceministro Misiani: «Tocca 4 milioni di persone»
PER FRENARE LA FUGA DEI CERVELLI ARRIVA UN'AGENZIA
Allo studio un bonus di 400 euro l'anno per gli incapienti

di Chiara Scalise
ROMA Cambiare l'intervento sui lavoratori: rinviare l'intervento sul cuneo vero e proprio e mettere invece in campo un bonus per i lavoratori precari, i cosiddetti incapienti che guadagnano meno di 8mila l'anno e che rientrano quindi nella no tax area. A lanciare la proposta è il viceministro dell'Economia e esponente Pd Antonio Misiani, che spiega che a essere coinvolte sarebbero quasi quattro milioni di persone che potrebbero avere già da gennaio almeno 40 euro al mese sotto forma di assegno: il loro reddito, secondo alcuni calcoli, potrebbe migliorare di circa l'11%, quasi uno stipendio in più.«La riduzione progressiva del cuneo fiscale a partire dal 2020 è la misura più apprezzata dagli italiani. Dobbiamo iniziare - spiega Misiani in un post su Facebook - a farlo il prima possibile. La priorità, a mio parere, è iniziare ad aiutare i dipendenti a basso reddito: 3 milioni e 700 mila lavoratori «incapienti» che sono rimasti esclusi dal bonus 80 euro di Renzi e che solo in alcuni casi beneficiano del reddito di cittadinanza». Ad ora è ancora solo una proposta, viene però sottolineato, che dovrà essere portata ai tavoli di governo sulla manovra e discussa con la maggioranza. Nei fatti si tratterebbe di modificare la direzione di marcia finora intrapresa e utilizzare per il prossimo anno i 2,7 miliardi di risorse a disposizione in gran parte per questo intervento, rinviando il vero e proprio taglio del cuneo agli anni successivi. Per contro, si potrebbe partire fin da subito. L'obiettivo sarebbe quello di coinvolgere i lavoratori più poveri, cioè coloro che, pur avendo un'occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito, dell'incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale del livello retributivo, dell'incapacità di risparmio.Il cantiere della legge di bilancio è aperto ma entrerà nel vivo proprio questa settimana: entro il 15 ottobre infatti il governo deve inviare a Bruxelles il draft budgetary plan e sulla carta deve presentare le misure al Parlamento entro il 20. Le risorse a disposizione sono poche e ancora si stanno limando le misure per definire i 7 miliardi che stando alla nota di aggiornamento al Def devono arrivare dalla caccia all'evasione. La scarsezza di fondi deve però confrontarsi con le richieste dei vari ministeri: dall'abolizione del superticket, che oggi è tornato a chiedere il ministro della Salute Roberto Speranza e che ha trovato il sostegno del segretario Dem Nicola Zingaretti, al family act che prevede il restyling degli interventi in favore delle famiglie con figli.Tra le novità alle quali il governo sta lavorando anche l'arrivo di un'Agenzia per lotta alla fuga dei cervelli: ne ha parlato il premier Giuseppe Conte e il ministro per le Politiche giovanili Vincenzo Spadafora ha spiegato di star lavorando al dossier. «L'unico export che siamo disposti a frenare, anzi che vogliamo fermare, è quello dei giovani», ha detto il presidente del Consiglio.

 

5 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 7 ottobre 2019 / Prima pagina
IL FILM SIMBOLO DEL CINEMA IN SARDEGNA
I 60 anni di “Banditi a Orgosolo”
Libro di Floris ripercorre l’opera con nuovi documenti

“Banditi a Orgosolo” compie 60 anni. Nell’ottobre del 1959 il regista Vittorio De Seta sbarcava nell’isola per le riprese di quello che è diventato il film simbolo del cinema in Sardegna. Un libro di Antioco Floris, docente all’università di Cagliari, ripercorre ora la genesi del film e la sua ricezione in Italia e nel mondo con una preziosa raccolta di documenti. ? CANESSA A PAGINA 19

Cultura e spettacoli - Pagina19
Un libro di Antioco Floris riesamina l'opera di De Seta a sessant'anni dall'uscita
IL FILM CHE CAMBIÒ LA VISIONE DEI BANDITI DI ORGOSOLO
Premiato al Festival di Venezia, non fu mai amato da molti intellettuali dell'isola

di Fabio Canessa
SASSARI Esattamente sessant'anni fa, nell'ottobre del 1959, Vittorio De Seta tornava in Sardegna e iniziava sul campo il lavoro che lo avrebbe portato alla realizzazione di "Banditi a Orgosolo" (presentato due anni dopo alla Mostra del cinema di Venezia). Tornava perché c'era già stato per girare due cortometraggi documentari, "Pastori a Orgosolo" e "Un giorno in Barbagia", che anticipano il suo grande film diventato un simbolo del cinema in Sardegna. E non solo. Un'opera che raccontando al mondo una realtà particolare si è posto anche come agente di trasformazione sociale.E proprio dalla riflessione «sul potere degli eventi culturali di incidere in modo determinante nel contesto a cui sono legati», fatta con lo stesso regista poco prima della morte, che nasce il libro curato da Antioco Floris "Banditi a Orgosolo. Il film di Vittorio De Seta" pubblicato da Rubbettino Editore (262 pagine, 18 euro). Il volume presenta materiale d'archivio sulla realizzazione del lungometraggio introdotti da un saggio che ripercorre la genesi del film e la sua ricezione in Italia e nel mondo. Preziosa la raccolta di documenti che Floris, docente di cinema all'università di Cagliari, aveva inizialmente concordato con il grande regista pienamente coinvolto dall'idea di un volume sul suo film che potesse essere utile, in primis, ai giovani. «Dopo aver ragionato a lungo sul progetto del libro per telefono, ho incontrato Vittorio De Seta nel settembre del 2011, due mesi prima che morisse, nella sua casa di Sellia Marina sulla costa ionica. In quella occasione abbiamo discusso i dettagli del libro». La scomparsa del maestro ha rallentato il lavoro di Floris, ora finalmente disponibile. La parte documentaria propone una sezione fotografica, con fotogrammi e bellissime foto di scena, alcuni scritti di De Seta, soggetto e sceneggiatura desunta e degli appunti presi nella lunga permanenza a Orgosolo in preparazione delle riprese. Parole che mostrano direttamente l'approccio del regista, l'avvicinamento a un mondo che la lettura dell'inchiesta di Cagnetta (spinta iniziale del suo interesse per Orgosolo) non bastava per conoscere. De Seta si mette al servizio di quel mondo creando un modo innovativo di fare cinema, radicalizzando la lezione neorealista. Un cinema fatto con poche risorse e tanta umanità. «Il modo stesso di costruire una parte della sua storia - sottolinea nell'introduzione Floris - ne evidenzia la grande sensibilità: un soggetto più o meno articolato si definisce nei dettagli con gli attori (non professionisti) che interpretano i diversi ruoli e contribuiscono con il loro vissuto e la personalità a elaborare i dialoghi e le situazioni». Il film nel 1961 viene presentato a Venezia e vince il premio come miglior opera prima «In riconoscimento della singolare maturità stilistica con la quale il regista ha amorevolmente rappresentato aspetti e problemi di una società contadina». Sulla ricezione di "Banditi a Orgosolo" a livello regionale, nazionale e internazionale si concentra una parte importante del saggio di inquadramento storico-critico che compone la prima parte del libro. Nella Sardegna di allora il film fu analizzato dall'intellighenzia isolana soprattutto per la sua natura socio-antropologica. Con qualche riserva da Antonio Pigliaru sulla rivista Ichnusa, in modo negativo da Aldo Cesaraccio sulla Nuova Sardegna, positivamente da Salvatore Mannuzzu in un saggio per Cinema Nuovo. Mentre la critica nazionale soffermandosi di più sugli elementi estetici-cinematografici aveva, dopo la presentazione di Venezia, accolto con favore il lungometraggio salvo alcune bocciature come quella di Gian Luigi Rondi. Dopo l'anteprima veneziana "Banditi a Orgosolo" fu presentato in giro per il mondo, vincendo altri premi a New York e Boston. Tra gli approfondimenti critici all'estero più importanti, quello in Francia dei Cahiers du Cinema a firma di Jean-André Fieschi e quello di Eduardo Manet su Cine Cubano che evidenzia gli aspetti rivoluzionari del film come modello di riscatto sociale.

 

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