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ufficio stampa e redazione web: rassegna quotidiani locali
29 April 2019

La Nuova Sardegna

 

LA NUOVA SARDEGNA

1 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 29 aprile 2019 / Sardegna - Pagina 5
Nel Paese devastato dalla guerra civile progettava programmi educativi
LA COOPERANTE DI SENEGHE HA TROVATO L'AMORE IN ANGOLA
Poi l'incontro con il marito e la nascita della figlia. Ma la sua attività continua

di Piero Marongiu
SENEGHE Ci sono luoghi nel mondo dove non si va per turismo. Sono i luoghi in cui vanno persone animate da motivazioni profonde, quelle che sfuggono ai più. Federica Pilia, giovane mamma seneghese, sposata con l'angolano Desiderio Manuel Segundo, di mestiere fa la cooperante e, nelle sue missioni in ambito internazionale, si occupa di costruzione della resilienza in relazione ai disastri naturali e dello sviluppo sociale delle comunità. Il suo territorio lavorativo è l'Africa, e precisamente l'Angola, a contatto con una realtà, per certi versi, distante anni luce dall'Europa. Federica quella realtà e quei luoghi però li conosce molto bene, per avervi operato più volte in diversi momenti. Una realtà che ha cambiato la sua vita, perché in Angola ha incontrato l'uomo che è diventato prima suo marito poi il padre di Olivia, la sua splendida bambina. «Dopo la laurea in scienze politiche, indirizzo storico politico - racconta Federica - ho fatto il primo corso, organizzato dall'Università di Cagliari, sulla sicurezza, la cooperazione internazionale e i diritti umani. Successivamente, parlando con una collega di studi, ho appreso che esisteva la possibilità di fare il servizio civile in ambito internazionale, se in possesso dei requisiti richiesti dalle Ong che operano in Europa, Asia e Africa. Quando è uscito il bando ho partecipato e, dopo il colloquio, sono stata selezionata. Al momento della conferma mi è stato detto che sarei stata impiegata in Angola, uno dei Paesi che cercava di crearsi un futuro autonomo e indipendente dopo una guerra durata circa 27 anni, scoppiata subito dopo la fuoriuscita dei portoghesi dal suo territorio, avvenuta nel 1975, che aveva visto opposte due fazioni (Mpla, legata ai socialisti e Unita, nell'orbita degli Stati Uniti) per la gestione del potere. Una guerra che ha causato milioni di morti e che ha lasciato il Paese in una condizione di totale devastazione e di terribile miseria. Nel processo di ricostruzione, a parte un periodo di presenza fattiva, le Ong, per problemi connessi alla crisi interna, erano state costrette ad andare via e sono tornate solo nel 2006». La prima esperienza. Il Paese africano, circa 1 milione 246 mila chilometri quadrati di estensione per 28 milioni di abitanti, ricco di petrolio, cobalto e diamanti, con le sue forze non riusciva ripartire e in questo processo gli aiuti forniti dalle Ong, che mettevano in campo diverse professionalità, sono stati e sono ancora preziosi. «Sono partita nell'ottobre del 2006 - riprende Federica - e da allora è iniziata la mia esperienza, e lì ho capito che il mio cammino lavorativo poteva essere quello. Ho lavorato con Vides Internazionale, un'organizzazione gestita dalle suore salesiane, poi con Vis (Volontario internazionale per lo sviluppo), anch'essa di matrice religiosa. A Lwena, nella provincia di Moxico, per conto di quelle organizzazioni - prosegue -, ho seguito progetti educativi e sull'Hiv, e mi sono occupata anche di amministrazione. Durante quel periodo ho conosciuto Desiderio, e la mia vita è cambiata. Poi, conclusa l'esperienza con Vides e Vis, a Luanda, ho continuato a occuparmi degli stessi progetti, ma questa volta con la Care». Un Paese in difficoltà. In Angola solo una minima parte della popolazione ha l'accesso all'acqua, e chi ne dispone vive nei grossi centri urbani. Anche l'elettricità, erogata in maniera discontinua, crea seri problemi agli abitanti. Inoltre, le intemperanze del clima, che provoca lunghi periodi di siccità, contribuiscono a rendere più difficoltose le condizioni di vita delle persone. E a soffrire maggiormente, come sempre accade in quei casi, sono le fasce più deboli e indifese, come i bambini, le donne, i malati e gli anziani. «La condizione delle persone - spiega Federica -, gran parte delle quali concentrate nelle città, non è semplice. Con la Care ho avuto modo di vedere 17 delle 18 province angolane, e i problemi erano simili dappertutto. Il mio lavoro consisteva anche nella mediazione finalizzata a dirimere i conflitti, parlare dei danni provocati dalla corruzione e della gestione dei fondi a disposizione. Inoltre mi sono occupata della creazione di spazi comuni, dove si discuteva delle problematiche di interesse generale. Un'attività che mi ha consentito di toccare con mano le disparità, in termini di sviluppo, intercorrenti tra i centri urbani e quelli rurali». La condizione femminile in Angola non è molto dissimile a quella che si riscontra in altre nazioni dell'occidente. «La società angolana è prevalentemente maschilista - dice -. Ma è la donna, con le piccole attività che conduce, a provvedere in misura maggiore al sostentamento delle famiglie. Nelle zone rurali la gran parte dei bambini non viene neppure registrata all'anagrafe, e questo rende difficile l'accesso ai servizi generali, compreso l'ottenimento di un documento di identità. In campo sanitario, alcuni servizi, come la ginecologia, la pianificazione familiare, il parto, sono coperti in percentuale minima. L'aborto viene autorizzato solo in presenza di stupro, altrimenti è illegale. In compenso però c'è un alto numero di donne nel parlamento». Dal 2014, Federica, svolge la sua attività di consulente indipendente per conto di alcune agenzie dell'Onu. «Desiderio invece lavora nel Plus di Guspini e Olivia, tre anni, cresce felice e spensierata, circondata dall'affetto dei nonni, dei parenti e dei nostri compaesani», conclude l'ex cooperante che adesso è rientrata in Sardegna dove vive insieme al suo compagno e alla sua bimba.

 

2 - LA NUOVA SARDEGNA di lunedì 29 aprile 2019 / Olbia - Pagina 13
La storia dell'ex camorrista Carmine Aquino laureato durante la detenzione
L'ERGASTOLANO CON LA TOGA
DALLA CELLA ALLO STUDIO LEGALE
Di giorno la pratica con l'avvocato Angelo Merlini, di notte il rientro a Nuchis

di Tiziana Simula
OLBIA «Avvocà, poco fa mi sono laureato. Quando posso venire in studio da lei?». Non ha perso neanche un minuto, Carmine Aquino, 55 anni di Boscoreale (Napoli), una condanna all'ergastolo per omicidio da espiare e il pressante desiderio di continuare nel suo percorso di redenzione e cambiamento, rispettoso di quelle leggi che in passato aveva rinnegato distruggendo la vita altrui e la sua. Dall'aula magna dell'Università di Sassari, ha telefonato all'avvocato Angelo Merlini che aveva conosciuto in carcere, a Nuchis, dove l'ergastolano era detenuto in regime di alta sicurezza, e lo ha informato subito di essersi laureato in Giurisprudenza. Non aveva dimenticato le sue parole, Carmine, pronunciate mentre lavoravano a un progetto tenuto dallo stesso legale che coinvolgeva studenti di Olbia e Tempio e carcerati. «Quando ti sarai laureato, ti vorrei nel mio studio come praticante», gli aveva detto il penalista. Ma entrambi sapevano quanto fosse difficile che un ergastolano potesse essere autorizzato ad uscire dal carcere per svolgere la pratica legale. E, invece, il Tribunale di sorveglianza di Sassari «con un provvedimento estremamente coraggioso», rimarca l'avvocato Merlini, ha detto sì, concedendogli il regime di semilibertà. E per Carmine è cominciato uno straordinario percorso di vita, dopo vent'anni di detenzione: ogni mattina prendeva il pullman per raggiungere lo studio legale di Olbia e lì stava tutto il giorno, poi, la sera ritornava il cella per continuare a espiare la pena. Così per oltre un anno. Un'esperienza di reinserimento sociale formidabile. E poco importa se non potrà mai esercitare la professione di avvocato. Il risultato è il suo cambiamento. Un esempio di quella che è la funzione rieducativa della pena. Ergastolano con la toga. «È stato un praticante straordinario: preparato, intelligente, intuitivo, animato da una grandissima voglia di apprendere», sottolinea l'avvocato Merlini. Nell'ordinanza del Tribunale di sorveglianza che gli ha concesso il beneficio della semilibertà (magistrato di sorveglianza Riccardo De Vito), si evidenzia il valore risocializzante dell'attività: il condannato aveva l'occasione di studiare il diritto, impegnandosi a mettere al centro della sua vita quel sistema con il quale, commettendo il reato, era entrato in conflitto.«Sono stato accolto nello studio senza pregiudizi di sorta, mi sono sentito uguale agli altri e non come un ergastolano che di sera doveva rientrare in carcere», racconta grato Carmine. Recentemente l'ergastolano ha ottenuto il trasferimento nel carcere di Latina e prosegue la sua pratica a Gaeta, vicino alla moglie e ai suoi due figli. Il matrimonio avvenuto durante gli anni di detenzione è stato determinante per la sua svolta. «Mia moglie mi ha accompagnato nella graduale presa di coscienza dei miei errori consentendomi di giungere ad una profonda revisione critica del mio trascorso delinquenziale». Fine pena mai. Appartenente a un clan camorristico, Aquino era finito in carcere con un provvedimento di cumulo di pene per l'omicidio di un avvocato e per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Ora racconta la sua storia. Della presa di coscienza del male fatto, del conforto trovato sui libri. Del desiderio di iniziare una nuova esistenza. «La laurea è stato l'obiettivo più bello raggiunto nella mia vita: studiare mi ha liberato dalle "catene della caverna" in cui stavo, riuscendo a capire che vivevo una condizione di intimidazione e di accecamento morale prodotta dallo pseudo mito del malavitoso. Grazie allo studio ho preso coscienza dei miei errori, riuscendo a capire come avevo fatto a distruggere una vita umana e ad autodistruggermi. Ho trascorso anni ingobbito sui libri per scacciare via tutto quello che di negativo albergava in me, per diventare un uomo migliore ed essere stimato e accolto da chi aveva creduto nel mio cambiamento - dice -. Dei miei gravissimi errori del passato, ripeto, ne ho preso coscienza e dignitosamente ne ho pagato e pago tuttora le conseguenze, con il risultato che la mia soffertissima esperienza distruttiva mi ha portato ad essere quello che sono oggi: l'uomo della pena antitetico all'uomo del delitto, a quello che ha commesso crimini decenni fa. Gli stessi miei figli, che per me sono stati i peggiori giudici, negli anni hanno constato che il loro papà è una persona diversa, migliore, rieducata e rispettosa delle leggi e delle regole sociali».

 

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