Press review

23 January 2019

L'Unione Sarda

1 - L’UNIONE SARDA di giovedì 24 gennaio 2019 / Regione (Pagina 5 - Edizione CA)
I DATI. Nell'Isola sette anziani per ogni bambino
NON È UNA REGIONE PER GIOVANI: PROSEGUE IL CROLLO DELLE NASCITE
Dal 2010 sono stati persi 3400 nati
GLI ESPERTI: «COSÌ NON C'È FUTURO»

Ogni giorno in Sardegna nascono meno di 28 bambini e muoiono 46 persone. Significa che ogni giorno ci sono 18 cittadini in meno che, sommati, fanno 6.570 in un anno, parzialmente compensati dai 3.378 stranieri che vengono a vivere nell'Isola.
Numeri - pubblicati nell'annuario “Sardegna in cifre” realizzato dall'ufficio statistico della Regione su dati Istat - che evidenziano quanto sia drammatico il problema della denatalità nell'Isola. Nel 2017, ultimo dato disponibile, i nati sono stati 10.142, 385 in meno rispetto all'anno precedente, 940 in meno rispetto a due anni fa. Ma è facendo il raffronto con il 2010 che si ha la dimensione del crollo delle nascite: quell'anno nacquero 3.396 bambini in più rispetto al 2017.
L'ALLARME
Sociologi, economisti e demografi lanciano allarmi da tempo. Ieri lo ha fatto anche la sezione sarda della Società italiana pediatria. «Nel panorama sconsolante della demografia italiana la Sardegna è stabilmente ai primi posti per denatalità», rileva Rossella Mura, presidente della Sip e direttore di Oncoematologia pediatrica e patologia della coagulazione dell'ospedale Microcitemico. «E siccome i dati dei nati vivi Istat nei primi otto mesi dell'anno scorso mostrano come sia probabile che nel 2018 si scenda al disotto della soglia psicologica diecimila nati per anno, occorre fermarsi e riflettere.
IL CONFRONTO
Non a caso per venerdì i pediatri hanno organizzato (ore 15, sala conferenze della Fondazione di Sardegna, Cagliari) un incontro-dibattito con autorità sanitarie, politiche e amministrative.
Per ogni bimbo 7 anziani
Oggi nell'Isola la media di figli per ogni donna è di 1,07, bassissima. Una delle conseguenze è la crescita del rapporto anziani-bambini: oggi in Sardegna ci sono sette anziani (over 65) per ogni bambino (sino a quattro anni). Sette è la media tra i 9 anziani per bambino di Oristano, gli otto del Sud Sardegna, i sette di Nuoro, i sei di Cagliari e Sassari. Siamo e saremo sempre di più una terra di vecchi.
«MANCA LA STABILITÀ»
Cristina Cabras, psicologa sociale e docente dell'università di Cagliari, studia da tempo il problema e lo farà ancora nei prossimi anni sondando le variabili psicologiche che stanno dietro la scelta di non fare figli. «Le nuove generazioni hanno pochi elementi stabili nel presente che consentano loro di fare un progetto per il futuro a lungo termine», spiega. «Soddisfazione di vita e orientamento positivo al futuro incidono sul desiderio di genitorialità. La preoccupazione per il proprio presente rende quasi impossibile proiettarsi in una dimensione futura in termini di filiazione. Il problema è evidentissimo in Sardegna ma il tema della denatalità è globale e interessa tutto l'occidente».
CAMBIANO I VALORI
Secondo il sociologo Gianfranco Bottazzi «in una fase di trasformazione profonda della società si concentrano paure irrazionali e un mutamento dei valori. Non si fanno figli perché si è irragionevolmente sfiduciati. Io, ad esempio, non sarei nato se mio padre avesse aspettato la stabilità». Per Cristina Cabras è difficile sovrapporre la cultura di allora a quella di oggi. «Le generazioni passate avevano uno stile di vita differente dal nostro, aspettative più basse in termini di reddito e aspirazioni, era più facile raggiungere mete e avere una visione del futuro ottimistica rispetto a quella attuale. Inoltre», prosegue la docente, «era quasi scontato che le persone arrivate a una certa età diventassero genitori e chi lo non lo diventava veniva discriminato socialmente. Oggi i ruoli sociali non sono così ben definiti e avere o non avere figli è una scelta mentre prima non lo era».
Fabio Manca

 

2 - L’UNIONE SARDA di giovedì 24 gennaio 2019 / Sulcis Iglesiente (Pagina 31 - Edizione CA)
IGLESIAS
Seminario

“La Sardegna e l'affannosa ricerca di un sito italiano per i rifiuti radioattivi”: è il titolo del seminario di informazione tecnico-scientifica in programma, oggi, a Iglesias. L'iniziativa è organizzata dal Rotary club e si svolgerà alle 20.30, al ristorante "Argentaria". Il relatore sarà il Professore Sergio Serci ordinario di Fisica nucleare. Al termine una cena finalizzata alla raccolta fondi da destinare alla premiazione di ragazzi meritevoli del Sulcis-iglesiente nell'ambito dell'ormai decennale premio “Solidarnosu”.(c. s.)

 

3 - L’UNIONE SARDA di giovedì 24 gennaio 2019 / Prima (Pagina 1 - Edizione CA)
Il commento
PREBENDE ALLA CULTURA

Aldo Berlinguer
È recente lo stanziamento, nella finanziaria regionale, di alcuni fondi alla cultura, in particolare nel settore dello spettacolo. Si dirà: una buona notizia, avendo il Consiglio contribuito ad iniziative importanti. Ma non tutti ne sono convinti, specie coloro che finanziamenti ad personam non ne hanno ricevuti e debbono attendere i bandi pubblici, quando questi apriranno.
In effetti, il tempismo preelettorale qualche dubbio lo genera, visto che, si sa, questa è epoca di vacche grasse, ed un aiuto, a chi sa esserne grato, non si nega mai. Eppure, proprio in Sardegna, si era creato un argine a queste prassi con la legge 18 del 2006: una disciplina avanzata sul finanziamento dell'offerta culturale attraverso procedure pubbliche certe e trasparenti per tutti. Troppo bello per essere vero: fatta la legge, trovato l'inganno. Si è infatti sostenuto che, mancando la programmazione amministrativa sul settore, la legge stessa non potesse diventare efficace. Un po' come mandare in campo un arbitro senza volergli dire che sport arbitrare. Dal 2013 quella legge è dunque rimasta lì, silente, inattuata, con l`inesorabile ritorno all'antica prassi dei contributi ad personam: ai più noti, ai più bravi, ai più belli. E con l`inevitabile esito che le migliori energie, nel settore culturale, non riescono a organizzarsi, programmare investimenti, eccellere. Così, in Italia, i pochissimi danari stanziati per la cultura (il World Cities Culture Finance ci dice che tra le prime trenta città al mondo per spesa pubblica sulla cultura nessuna è italiana) vengono distribuiti come prebende.  (...) SEGUE A PAGINA 41

Commenti (Pagina 41 - Edizione CA) Segue dalla prima
Se la cultura vive di prebende
(...) Tanto, si è detto: con la cultura “non si mangia”, ci pensi lo Stato. Certo, nella cultura i contributi pubblici sono essenziali per il noto funding gap: l'endemica difficoltà di coprire i costi coi ricavi. Lo dicevano anche Baumol e Bowen, negli anni sessanta, ritenendo che il teatro, in particolare, fosse “malato di costi”. Non a caso anche la UE, nel settore culturale, consente gli aiuti pubblici. Ma da qui a ritenere che le imprese culturali non debbano svolgere attività economica e intraprendere competitivamente ce ne passa. È come dire: senza soldi pubblici non sopravvivono, tanto vale che la politica li aiuti -diciamo così- “democraticamente”.
L'esito di questa malintesa idea della cultura è sotto gli occhi di tutti. Il Paese col maggior numero di siti Unesco e con un straordinario patrimonio culturale, ben eccedente la domanda interna, è costretto ad elemosinare i soldi dei contribuenti per tirare a campare. Mentre altri, con un'offerta culturale risibile, paragonata alla nostra, fanno enormi fortune. I nostri artisti emigrano; accolti in centinaia di residenze in Cina o incoraggiati con borse di studio scandinave o tedesche.
Intanto i nostri cinque musei più performanti (Pinacoteca di Brera, Egizio di Torino, Archeologico di Napoli, Galleria Borghese di Roma e Uffizi di Firenze) fatturano, tutti insieme, circa il 13% del British Museum, 16% del Louvre, 8% del Metropolitan Museum, 60% del Prado. Mentre la Capitale europea della Cultura 2019, Matera, apre oggi i battenti: una straordinaria occasione di podismo culturale. Ci si arriva solo a piedi.
D`altra parte, i dati più recenti dicono che oltre l`88% della popolazione italiana non ha mai visto un concerto di musica classica, il 78% non ha mai visto uno spettacolo teatrale, il 49% non ha mai letto un quotidiano, il 56% non ha mai aperto un libro.
Ben vengano, quindi, la riforma del terzo settore, la Conferenza nazionale dell'impresa culturale, il rilancio dell'impresa sociale ed i processi di condivisione voluti dalla Conferenza di Faro. Ma se il sistema di finanziamento alle attività culturali rinuncia a sostenere le migliori iniziative, attraverso sistemi aperti, trasparenti e meritocratici, l'impresa culturale non si svilupperà mai. E le associazioni resteranno affette da nanismo, costrette come sono, ad ogni tornata elettorale, a genuflettersi al politico di turno per tirare avanti.
Insomma, siamo alle solite: anche in questo campo, con la scusa di riporre il patrimonio culturale in mani sicure, quelle dello Stato, si è riusciti a seminare servilismo piuttosto che innescare imprenditorialità. Non è quindi il mercato culturale ad essere malato di costi, ma la politica subculturale a contaminarlo, impedendogli di svilupparsi. Di lì il passo è breve e inevitabile: dalle prebende alla cultura, alla cultura delle prebende.
ALDO BERLINGUER
DOCENTE, UNIVERSITÀ DI CAGLIARI

 

 

La Nuova Sardegna

 

4 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 24 gennaio 2019 / Prima pagina
INNOVAZIONE
CREATIVITÀ E VISIONE

di Vittorio Pelligra, docente di Politica economica
A volte è meglio concentrarsi sulle domande che cercare le risposte. Le risposte, infatti, posso rischiare di essere stereotipate, preconfezionate, dare quella strana sensazione di dejà vu. Assistendo ai dibattiti e leggendo le dichiarazioni dei candidati alla presidenza della Regione alle prossime elezioni regionali del 24 febbraio, questa rischia di essere la sensazione dominante, il dejà vu. E la nostra terra di tutto ha bisogno tranne che di riproposizione di formule del passato. Innovazione, creatività e visione, questo è quello che ci serve. Le domande, si diceva, io ne avrei almeno tre, in realtà ce ne sarebbero tante altre, ma queste ritengo siano le più urgenti. Riguardano rispettivamente la cultura, l’ambiente e il lavoro. Sono considerazioni che vorrei proporre brevemente all’attenzione del lettore perché penso che possano circoscrivere ambiti cruciali sui quali riflettere e intorno ai quali valutare le proposte politiche come convincenti e innovative per la nostra terra, oppure no. La prima questione e la più fondamentale riguarda la cultura e l’istruzione. La Sardegna ha il tasso di abbandono scolastico più alto tra le regioni italiane. Il 21.2% degli studenti lascia gli studi dopo il biennio della scuola secondaria superiore. In Trentino sono il 7.8%, tre volte meno, in Calabria il 16.3%, in Sardegna il 21.2%. CONTINUA A PAGINA 2

Sardegna - Pagina 2  segue dalla prima
INNOVAZIONE
CREATIVITÀ E VISIONE

Molto, moltissimo è stato fatto in questi anni per affrontare il problema e infatti gli abbandoni sono passati, dal 2004 al 2017, dal 30.1% al 21.2%, una riduzione notevole. Ma ancora ci troviamo ad un livello del tutto inaccettabile. Chi abbandona la scuola così precocemente, senza strumenti e conoscenze, che prospettive avrà nella società fluida e globalizzata del XXI secolo? Quelli che continuano, poi, ottengono risultati insoddisfacenti. Le prove nazionali collocano i nostri studenti delle seconde classi delle scuole superiori, all'ultimo posto sia per le competenze in matematica che in italiano. La percentuale di ragazzi "resilienti", coloro, cioè, che pur provenendo da famiglie svantaggiate riescono a raggiungere livelli elevati di competenze sia in italiano che in matematica è in Sardegna pari al 19%; in Lombardia al 46%. Abbiamo pochi laureati in Italia, rispetto alle altre nazioni europee, ma in Sardegna ancora meno. La percentuale, poi, di chi si laurea in discipline scientifiche è pari al 7.9%, mentre la media nazionale è del 13.2%. I giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non frequentano nessun altro tipo di percorso formativo, i cosiddetti NEET, sono il 29.1%, circa uno su tre. In un quadro economico e sociale nel quale la conoscenza e le competenze scientifiche diventano sempre più cruciali non solo per la competitività economica ma anche per una cittadinanza più attiva e consapevole questi dati sono causa e sintomo di quello svantaggio enorme che i nostri giovani già oggi sperimentano e che nel loro futuro peserà come un'ipoteca insostenibile. La seconda questione riguarda l'ambiente e il paesaggio. La benedizione che abbiamo ricevuto, non per merito, di abitare una delle terre più belle al Mondo, generosa di ricchezze dal valore infinito, ammirata, invidiata. Eppure, questo capitale ambientale inestimabile è sempre stato visto più come un vincolo che come una risorsa. O ancora peggio non è stato proprio riconosciuto e protetto, e allora l'inquinamento, la devastazione, l'incuria, l'oltraggio. La Sardegna ha tanti limiti naturali legati all'insularità, ma ha anche potentissimi vantaggi competitivi che derivano dalla qualità del proprio ambiente e dalla bellezza del suo paesaggio. Sarà possibile trasformare questi limiti in risorse e trarre un vantaggio dalla unicità della nostra terra? A queste due prime domande si lega la terza che ne è logica conseguenza. L'indispensabile premessa è l'affermazione della non sostituibilità del lavoro con il reddito. La visione, sempre più presente anche in alcune politiche economiche governative, del lavoro come mero strumento di ottenimento di un reddito, va contrastata e rifiutata. Il lavoro è il fondamento della nostra Repubblica, qualcosa in più del semplice mezzo che ci mette nelle condizioni di consumare. Il lavoro è "un bisogno fondamentale dell'anima" (Simone Weil). Lavorare significa fiorire come persona, avere la possibilità di esprimere sé stessi, di contribuire con gli altri e per gli altri allo sviluppo delle nostre comunità. Fine e non mezzo. Ma il lavoro manca, e quando c'è, non sempre è degno; perché non tutti i lavori, se vogliamo evitare la facile retorica, sono degni. Una recente indagine (Socially Useless Jobs, Tinbergen Institute, 2018) che ha coinvolto un campione di centomila lavoratori, in 47 nazioni differenti, mostra che circa il 25%, la maggior parte sono giovani, considera il proprio lavoro "socialmente inutile", senza senso. Costruire bombe che uccidono civili dall'altra parte del mondo o lavorare a produzioni che inquineranno la nostra terra non possono dirsi lavori degni. E questo i lavoratori lo sanno. La questione allora diventa semplice: vogliamo il lavoro purché sia, anche quelli dannosi o inutili? Di quelli che producono ricchezza, ma al contempo distruggono valore, o abbiamo in mente qualcosa di diverso, originale, innovativo. Ciò che rende un lavoro un "buon" lavoro è ormai noto: i fattori più importanti sono la sicurezza dell'impiego, la possibilità di poter aiutare, con il proprio lavoro, gli altri, la possibilità di essere utili alla società, avere buone opportunità di crescita professionale, un orario flessibile e solo dopo, uno stipendio elevato. Certo "mamma Regione" non può creare lavoro dal nulla, il lavoro lo creano le imprese, ma può certamente creare le condizioni favorevoli al funzionamento e al successo di quelle imprese che creano il lavoro. Ma quale lavoro vogliamo? C'è poi un'ultima questione che coinvolge trasversalmente le altre tre: è quella dei giovani, dei nostri figli. Non solo dimenticati, in questi anni, ma gravati del peso di politiche di cortissimo respiro. Chi pagherà per la scuola bistrattata, per l'ambiente deturpato e per l'assistenzialismo improduttivo? Saranno certamente e pesantemente i nostri figli. Che non scendano ogni giorno in piazza a ricordarcelo, non mi sembra affatto un segnale positivo. Quale visione di persona, dunque, di cura e valorizzazione del territorio e quale idea di sviluppo integrale il prossimo Presidente della Regione, coi suoi assessori, vorrà promuovere? Domande. Per le risposte , speriamo di evitare il dejà vu.
di VITTORIO PELLIGRA
docente di Politica economica dell'Università di Cagliari

5 - LA NUOVA SARDEGNA di giovedì 24 gennaio 2019 / Economia Sardegna - Pagina 15
Il direttore Massimo Temussi fa un bilancio a tre anni dalla sua istituzione
«L'AGENZIA PER IL LAVORO È UN MODELLO INTERNAZIONALE»
I programmi più innovativi hanno catturato l'interesse di Usa e Singapore

CAGLIARI «Siamo un modello in Italia. La Lombardia vuole fare un accordo con noi, quando di solito accade il contrario. I navigator del Reddito di cittadinanza? È un incarico impegnativo e serio, non può essere svolto da disoccupati. I nostri navigator sono tutti qualificati, tre su quattro laureati, formati in anni e a tempo indeterminato». Massimo Temussi, sassarese doc, è da quattro anni e mezzo direttore dell'Agenzia sarda per le politiche attive per il lavoro, dopo aver ricoperto analoghi incarichi negli assessorati al lavoro e alla sanità. Per lui il Job Day non è solo l'incontro tra domanda e offerta .«Il primo obiettivo è far riavvicinare le imprese ai centri dell'impiego, nel passato, per bene che andava, messi nel dimenticatoio. Oggi possiamo dire di aver centrato l'obiettivo. Quest'anno le aziende superano le trecento unità, ma quel che più conta è che altre 170 volevano partecipare all'evento; non le abbiamo potute accogliere per mancanza di spazio. Questa due giorni serve a gettare le basi di un lavoro che deve continuare soprattutto fuori dalla kermesse. La ricerca del lavoro è un processo che ha bisogno di conoscenza, competenze e pratiche specifiche, da come si prepara un curriculum a come ci si confronta con chi ti sta selezionando. Certo, le domande e i colloqui che avverranno oggi e domani sono la parte più evidente del Job Day, ma per me non sono importanti coloro che si sono registrati e che incontreranno le aziende, ma tutti coloro che non lo hanno fatto, che sono ancora fuori dai centri e che non sanno che i nostri uffici non forniscono solo occasioni di lavoro ma soprattutto strumenti per camminare con le proprie gambe». Naturalmente alla base ci devono essere competenza e conoscenze. «Ma anche esperienze, meglio se all'estero. Le statistiche dicono che le aziende tendono ad assumere chi ha fatto esperienze lavorative oltre i confini». C'è un settore dove la domanda di lavoro non trova risposte. «Il futuro sarà sempre più digitale. In Italia ci sono 750mila posti di lavoro che non si riesce a coprire per carenza di personale adeguato. Un piccolo esempio lo avremo anche in questi giorni. Delle oltre tremila domande di lavoro, circa 200 riguardano alte professioni nel digitale che sappiamo già non verranno soddisfatte perchè non ci sono le professionalità: data management, cyber data management, cyber security, sono aree dove non è facile trovare personale, e quei pochi che hanno le competenze vengono subito assunti. Purtroppo le nostre università non fanno abbastanza in questo campo, o comunque non quanto hanno altri paesi europei o il top a livello mondiale, come Israele. Il mondo andrà in questa direzione e sarebbe importante che sin dalle superiori tutti i ragazzi maturassero competenze nel digitale». L'innovazione tecnologica ha messo radici nell'isola, sempre più salde, come testimoniano i casi di Accenture, Avanade e Huawei, ormai realtà consolidate. La Sardegna non è ultima in questo campo, come lo dimostra l'ambizioso programma Talent Up. «È la prima sperimentazione del genere in Europa. A metà febbraio cinquanta ragazzi (alcuni competenti emigrati di ritorno) partiranno per la Silicon Valley per mettere a punto il loro progetto di impresa innovativa. Affineranno poi i progetti alla Georgetown Business School di Washington e poi torneranno qui per mettere in piedi la loro startup», dice Temussi con una punta di orgoglio.Tenere in piedi un sistema che si rivolge al top delle competenze e che cerca allo stesso tempo di riportare nel mondo del lavoro gli "sdraiati" non è facile, e un ulteriore test sarà rappresentato dall'avvio del sistema del Reddito di cittadinanza, per il quale il governo pensa a diecimila navigator a livello nazionale. «Il loro ruolo - ammette Temussi - mi sembra a oggi un poco nebuloso. Magari potrebbero copiare dai nostri job account, che contattano personalmente le piccole e piccolissime imprese e le spingono a innovare e allargare il loro mercato. I nostri però ricevono una formazione continua, quella che garantisce un orientamento serio per chi è senza lavoro. Cosa faranno i navigator, proprio non lo so».(g.cen.)

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