Mauro Pala spiega al TGR Rai Sardegna, e con Massimo Arcangeli a La Nuova Sardegna, il senso dell’appello dei 600 studiosi
07 February 2017

Sergio Nuvoli 

Cagliari, 7 febbraio 2017 – Sono numerosi i docenti dell’Università di Cagliari che hanno aderito all’appello a difesa della lingua italiana, che con 600 firme di studiosi e accademici è stato rivolto al governo e al Parlamento per fermarne il declino attraverso l’introduzione di verifiche durante gli otto anni del primo ciclo. Sul tema la TGR RAI Regione Sardegna – con Simone Lupo Bagnacani - ha intervistato domenica il prof. Mauro Pala, docente di Letteratura comparata, mentre Alessandro Pirina ha raccolto oggi per La Nuova Sardegna il parere del prof. Massimo Arcangeli, docente di Linguistica italiana. Entrambi gli intervistati insegnano nella Facoltà di Studi umanistici.
 
GUARDA L’INTERVISTA AL PROF. PALA AL TGR RAI SARDEGNA
 

 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di mercoledì 8 febbraio 2017
Cultura – pagina 33
«La neolingua, strumento per conservare il dominio»
Vince l’autoritarismo di un modello aziendalistico che mortifica il pensiero critico
In Orwell c’è già tutto: il newspeak cancella ogni forma di linguaggio astratto
Giovani che non sanno usare l’italiano. L’analisi di Mauro Pala, docente di Letteratura comparata, sulla denuncia del Gruppo di Firenze
di Giacomo Mameli
 
Perché gli studenti (e non solo loro) scrivono e parlano male l’italiano, perché non sanno analizzare un testo? Perché si assiste a obbrobi linguistici che – in una quinta superiore del Nuorese, ma lo stesso avviene a Cagliari e a Sassari, a Sondrio e a Verona – trasformano l’olocausto in “l’oro causto”, consentono che l’alluvione abbia due apostrofi (“l’all’uvione”), la visita alla sede di un giornale diventi “la gitta a un’arredazione” e via storpiando? Perché le creme si spalmano “sull’acute”? Perché i laureandi scrivono tesi infarcite con errori da matita rossa e blu? Il documento-denuncia del Gruppo di Firenze, quello dei seicento docenti (universitari e non), ha riportato in primo piano il disastro nel quale sta naufragando la nostra lingua. E la scuola non sa porre rimedi. Con docenti incapaci, talora senza conoscenze né competenze. In tutt’Italia, Sardegna compresa.
«L’obiettivo di tutto ciò è eminentemente politico: senza linguaggio non c’è opposizione, resta solo la scelta tra un mi piace e il non mi piace», osserva Mauro Pala, 56 anni, ordinario di Letterature comparate al polo umanistico dell’università di Cagliari, Masters of Arts alla Columbia University, dottorato a Berlino, docente al Trinity College in Irlanda, titolare di cattedra Fulbright per l’Italia.
Da dove arriva la catastrofe linguistica?
«Una volta si diceva: il sistema. Bisogna ripartire da qui. Oggi il sistema egemone è quello aziendale e una forma di aziendalismo rozza, piramidale, sostanzialmente autoritaria. Ai nostri lettori imprenditori consiglio di andare a rileggere gli scritti di Comunità di Adriano Olivetti. Per chi pensa che fosse un comunista in incognito, vorrei ricordare un suo scritto da riscoprire: «Come vivere in un mondo senza partiti». Non è grillismo ante litteram, ma un’etica di marca cattolica che si ritrova in buona compagnia con laici ancora convinti che esista una responsabilità individuale. E qui veniamo al tema, ovvero al linguaggio».
Sembra diventato un fatto secondario.
«Gramsci aveva capito che non si tratta di un attrezzo qualsiasi, di qualcosa di meramente strumentale. Sosteneva che ogni volta che noi apriamo bocca “un’intera visione del mondo parla attraverso noi”. Mi chiedo: è possibile condensare la visione del mondo in un tweet? È esattamente ciò che decenni di politica demagogica sono riusciti a realizzare. La comunicazione che si intende come espressione individuale in realtà si è capovolta nell’eclissi dell’individuo. Altro che Marcuse. Ci siamo avviati ben oltre la monodimensionalità. Ma tutto ciò non va visto in termini apocalittici, si tratta invece di una trasformazione molecolare di quelle che incidono sulla lunga durata, un cambiamento di costume».
Come trova le tesi di laurea che le vengono presentate?
«Non generalizzo. Spesso trovo non solo trascuratezza generale ma sciatteria nella capacità di esprimersi. Ciò interessa anche coloro che avrebbero qualcosa da dire ma il tutto resta a livello di anelito, si arena in un sms. E si torna alla logica aziendale-piramidale diventata religione di Stato».
Sono state ridotte le ore di insegnamento dell’italiano, è stato demonizzato il latino, il tema-componimento è un’eccezione, idem lo studio delle poesie.
«Tutto ha inciso, in modo pesante. Sono state tolte con un metodo diabolico le basi all'edificio grammaticale e sintattico della lingua. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una generale incapacità di discorrere. Per non dire dell’incapacità nello scrivere. Prima scrivere era naturale, oggi è una fatica perché non c’è l'esercizio».
In una Sardegna col più alto tasso di abbandoni scolastici, con i livelli più bassi in Italia per numero di laureati e diplomati, la giunta regionale lancia il dimensionamento scolastico. Quanti danni ha fatto tale devastante inziativa politica?
«L’aziendalizzazione ha interessato la politica ma anche la scuola, l’istruzione. Ciò ha comportato una competizione per lo studente che è diventato un bene d’uso per gli insegnanti, quasi più un cliente che un allievo. Cioè: ne ho bisogno in quanto componente della classe, senza la classe perdo il lavoro. Il giudizio equanime – che prelude a un intento pedagogico – è scomparso, sostituito dal mero calcolo della programmazione, parola da dizionario aziendale. La politica programma. E i risultati si vedono. La pedagogia è stata sostituita dalla ragioneria, dalla contabilità. Pure necessarie, ma in altri contesti».
Che fare?
«Ricorro alla parola vocazione, a partire dagli insegnanti. Che dovrebbero essere formati. E poi, qualcosa che è letteralmente rivoluzionario: prendersi tempo per parlare, discriminando accuratamente sostantivi e aggettivi, riscoprendo la gradazione che la nostra lingua offre. Ultima annotazione. George Orwell, liquidato semplicemente come anticomunista, aveva capito tutto. Nel capitolo finale di “1984” aveva ideato il newspeak, la neolingua artificiale, al dizionario della quale lavoravano gli intellettuali più dotati. Il loro obiettivo era ridurre la lingua ai minimi termini eliminando ogni forma di linguaggio astratto. Non bisogna dimenticare che l’obiettivo di tutto ciò era politico: senza linguaggio non c’è opposizione, resta solo la scelta tra un mi piace e il non mi piace. Chi siede sul trono ama il mi piace».
 

 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di martedì 7 febbraio 2017
Sardegna – pagina 5
il linguista: Massimo Arcangeli
«Vocabolario povero. I giovani non leggono»
 
CAGLIARI «Ormai siamo davanti a un oggettivo impoverimento lessicale». Massimo Arcangeli, docente di Linguistica italiana a Cagliari, è uno dei 600 professori del manifesto a difesa dell’italiano. Un appello a cui ha apposto con convinzione la propria firma. Da anni Arcangeli, in passato preside della facoltà di Lingue di Cagliari, sottopone i suoi studenti a un sondaggio sulla conoscenza della lingua. «Propongo una trentina di parole di relativa difficoltà e chiedo di indicare il significato, oppure dei sinonimi, o ancora di costruire una frase. Ogni anno, purtroppo, viene fuori lo stesso quadro desolante».
E così capita di sentire parlare di “adepto alla manutenzione” o di “indigente somma di danaro”, o ancora del “gatto che smussa il pesce”. «Troppi giovani hanno un vocabolario molto povero – spiega Arcangeli –. Per alcuni potrebbe non essere un problema così grave se almeno fosse sostenuto dalla lettura. Invece ormai i giovani non prendono più in mano i libri. Hanno difficoltà anche in operazioni elementari, non sanno neanche contare. Ma soprattutto hanno grande difficoltà a comprendere e analizzare i testi, non hanno capacità di sintesi. In questi ultimi anni stiamo assistendo a una trasformazione profonda. La mia generazione è stata quella dei grandi analisti, e lo rimane tuttora. I giovani di oggi sono sicuramente più bravi di noi a muoversi su internet, a mettere in relazione un dato con un altro, ma quando si deve andare più in profondità, capire, analizzare o fare una scaletta, loro entrano in difficoltà». Sul banco degli imputati però non ci sono gli studenti. O comunque i giovani.
«La colpa non è loro ma nostra – afferma Arcangeli –. Siamo noi che non li mettiamo in grado di traghettare i loro saperi. È colpa della scuola, dell’università, della politica, dell’editoria. Solo se creiamo un sistema virtuoso in cui tutti interagiamo, il passaggio dai vecchi ai nuovi saperi sarà meno traumatico». Sotto accusa gli esami a crocette. «Lo scritto fatto in questo modo non garantisce capacità argomentativa. Io sono tra i pochi in tutta Italia che continuo a fare gli esami sia scritti che orali. Oggi i giovani fanno fatica a ragionare, a parlare con un interlocutore che li accompagni a fare un ragionamento». In questa perdita della capacità di apprendimento gioca un ruolo anche la continua rincorsa dell’università al rendimento. «Ormai gli atenei sono degli esamifici in cui conta che i giovani si laureino il prima possibile a discapito di tutti gli approfondimenti». (al.pi.)
 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di martedì 7 febbraio 2017
Sardegna – pagina 5
Studenti ko anche nell’isola «Non conoscono l’italiano»
Professori delle università di Cagliari e Sassari firmano il manifesto nazionale
L’appello al governo: «Fanno errori da terza elementare, servono più verifiche»
di Alessandro Pirina
 
SASSARI Dimenticano gli accenti e raddoppiano le consonanti, confondono il congiuntivo con il condizionale, dispongono di un vocabolario sempre più striminzito. Gli studenti sono ormai un’emergenza nazionale. Seicento docenti universitari dei vari atenei italiani hanno firmato un appello in cui chiedono al governo e al Parlamento di fermare il declino della lingua italiana attraverso l’introduzione di verifiche durante gli otto anni del primo ciclo.
Da Trento a Palermo, da Torino al Salento, il manifesto dei professori contro gli strafalcioni ha trovato adesioni anche nelle università di Sassari e Cagliari. Sotto accusa la scuola, la politica, la stampa. Per i docenti il rapporto tra allievi e italiano è ai minimi storici. «È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo denunciamo le carenze linguistiche dei nostri studenti, con errori appena tollerabili in terza elementare». Ogni docente ha una sua opinione sulle cause di questo analfabetismo di ritorno. C’è chi dà la colpa alla scuola, che soprattutto nel secondo ciclo «preferisce insegnare alcune materie fondamentali in inglese», chi alle troppe famiglie che «mandano a scuola i bimbi incapaci di una normale convivenza». C’è anche chi se la prende con la televisione «dove l’uso del congiuntivo e del condizionale è ignorato». Una emergenza che non riguarda solo la triennale, ma tutto il corso universitario.
Fino alla discussione della tesi. Anzi, è proprio in questo momento che, denunciano i docenti, emergono forti lacune grammaticali. «Ragazzi che vogliono intraprendere la professione di giornalista – attacca un docente presumibilmente di Lettere – presentano povertà di vocabolario, scrivono come se stessero redigendo un sms». «Nelle tesi di laurea devo correggere ortografia, grammatica e sintassi – denuncia un professore di Medicina –. E qualche studente mi ha pure risposto con sufficienza: devo fare il medico, mica lo scrittore». In qualche ateneo sono stati anche attivati corsi di recupero di italiano. Un’ultima spiaggia per studenti che avrebbero già dovuto conoscere a memoria i libri di grammatica. Una soluzione che, però, non sempre trova il sostegno dei docenti. Anzi. «L’università non è il luogo dove recuperare queste lacune. Quando mi capita uno studente che non sa scrivere, gli dico: si faccia aiutare e faccia rivedere la sua tesi a qualcuno che sa scrivere in italiano! Rifiuto di fare il maestro di Vigevano».
 
 
LA NUOVA SARDEGNA
LA NUOVA SARDEGNA di martedì 7 febbraio 2017
Sardegna – pagina 5
Ha aderito anche il costituzionalista Ciarlo
 
Sono numerosi i docenti degli atenei sardi che hanno firmato l’appello a difesa dell’italiano. La maggior parte però sono dell’università di Cagliari. Sassari schiera solo Claudio Colombo e Massimo Dell’Utri. Il resto degli isolani è tutto di Cagliari. Dal linguista Massimo Arcangeli al costituzionalista Pietro Ciarlo. Gli altri sono Vinicio Busacchi, Giovanna Caltagirone, Federico Cappai, Elisabetta Cattanei, Federico Cappai, Raffaele Cattedra, Cristina Cocco, Giovanni Cocco, Nicoletta Dacrema, Maria Grazia Dongu, Luisanna Fodde, Tristano Gargiulo, Gabriella Macciocca, Patrizia Mureddu, Claudio Natoli, Maria Oliva Pallucco, Mauro Pala, Immacolata Pinto, Massimiliano Piras, Laura Pisano, Simonetta Salvestroni, Olivetta Schena, Fulvio Venturino, Giuliano Vivanet.
 

 UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - Sergio Nuvoli - tel. 070 6752216

 

 

 

               

 

 

 
 

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