L’Unione Sarda racconta Matteo Bachetti, dottore di ricerca di UNICA: due anni fa ha scoperto la pulsar più luminosa del mondo
24 May 2016

di Sergio Nuvoli

Cagliari, 24 maggio 2016 – La squadra degli astrofisici dell’Università degli Studi di Cagliari torna sulle pagine del quotidiano di Cagliari, a quasi due anni dalla scoperta firmata da Matteo Bachetti (nella foto a destra), che alla guida di un team internazionale ha individuato nel 2014 una stella di neutroni pulsante luminosa come 10 milioni di soli: la pulsar più luminosa mai osservata. Due anni fa, la scoperta – rilanciata dall’Ufficio stampa dell’Ateneo – finì sulle pagine di tantissime testate giornalistiche (L’Unione Sarda compresa) del mondo, come National Geographic e il francese Le Nouvel Observateur, solo per citarne alcune (leggi qui la notizia data nel 2014 dal nostro sito, con il comunicato stampa e la rassegna stampa di allora).
 
Oggi Virginia Saba firma per il quotidiano diretto da Anthony Muroni una bella pagina con una lunga intervista e un approfondimento sul dottor Bachetti, dottore di ricerca di UNICA, un altro allievo del professor Luciano Burderi, il professore di Astrofisica del nostro Ateneo che guida un team molto noto, che firma un successo che mantiene UNICA sul tetto del mondo ad osservare il cielo come nessun altro.
 
Più sotto, il testo degli articoli firmati da Virginia Saba
 

 UFFICIO STAMPA ATENEO - mail ufficiostampa@amm.unica.it - Sergio Nuvoli - tel. 070 6752216

 

 

               

 

 
L’UNIONE SARDA
Speciale (Pagina 8 - Edizione CA)
L’astrofisico di Selargius, la pulsar e il mistero di Dio
Matteo Bachetti alla ribalta per aver scoperto un corpo celeste fuori dalla nostra Galassia
 
Mentre guardava verso l’Orsa Maggiore Matteo Bachetti ha visto un punto fisso segnare la rotta del tempo. Lì ha fissato i suoi occhi. Era nata una stella. Era lì da milioni di anni ma nessuno l’aveva guardata nel modo giusto. Nessuno, tranne lui, che ha visto con la grazia della sua passione.
Matteo non è il protagonista di Guerre Stellari, né un navigatore d’altri tempi. È uno scienziato che studia il ritmo dell’universo per scoprire in che modo nascono gli astri. E ha fatto una scoperta che ne segnerà il nome nel libro sacro degli scienziati: una pulsar, una stella di neutroni, luminosa quanto dieci milioni di soli. La più luminosa mai osservata.
Stiamo parlando di quello stato della materia che prima si poteva solo ipotizzare perché impossibile da riprodurre in laboratorio. È questa è una delle scoperte più affascinanti e complicate che possano capitare a un astronomo perché il loro comportamento ci consente di osservare le densità nucleari, cioè esattamente il cuore pulsante dell’universo.
Questa fantastica stella chiamata NuSTAR PSR J095551+6940.8 è stata trovata nel febbraio 2014 da questo ragazzo di Selargius che ora ha 34 anni e il cui genio era già chiaro quando studiava fisica e matematica al liceo Scientifico Pitagora. Alle feste lui preferiva l’osservazione del moto celeste e così dopo la laurea in fisica e il dottorato a Cagliari è stato condotto per meriti in giro per le università del mondo, da New York a Tolosa, per tornare poi a casa e ricoprire un posto di prestigio nell’osservatorio astronomico di Cagliari e in quello di San Basilio.
Quando Matteo Bachetti parla non si può che restare incantati dalla sua descrizione di quel sistema di luci che noi vediamo alto nel cielo. È poesia pura la sua. Quella che lo ha condotto fino ai laboratori della Nasa alla quale è legato il progetto che l’ha portato alla sua pulsar: l’osservazione del cosmo dal satellite Nustar. È considerato infatti uno degli astrofisici più bravi in assoluto nella misurazione del tempo degli astri. E grazie alla sua genialità è riuscito a trovare la pulsar più lontana. Quasi tutte le altre sono nella nostra Galassia, entro 30.000 anni luce da noi. Lei dista 12 milioni di anni luce.
Ha dovuto battezzare questa scoperta non in riferimento al suo genetliaco ma con le coordinate spaziali attraverso le quali ora NuSTAR PSR J095551+6940.8 è rintracciabile.
«Stavo osservando l’esplosione di una supernova nella Galassia Sigaro», racconta. «Quando a un certo punto ho visto che quella luce fortissima pulsava».
I suoi occhi brillano quando parla. «La pulsar fornisce un segnale periodico grazie al quale si può capire se si tratta appunto di una stella di neutroni oppure di quella materia caldissima che osserviamo cadere dentro i buchi neri. Ero fortemente emozionato. Avevo scoperto cosa fosse quella luce».
Un mese di verifiche poi l’applauso del mondo. «E un articolo nel National Geographic, la rivista preferita da mio padre e da me sin quando ero un bambino. Un’emozione indescrivibile, anche se era nella rivista online e non in quella cartacea».
Matteo Bachetti ha investito il suo tempo osservando la nascita del mondo in quel tappo di champagne che è saltato davanti al telescopio per spiegare a tutti come sia avvenuta la nascita dell’universo.
Sabato, come sempre, sarà nella parrocchia di San Salvatore a Selargius a suonare la chitarra. Cerca di avere risposte a una difficilissima domanda che da sempre attanaglia il suo cuore. «Se all’origine di ciò che nel cielo io vedo ci sia Dio o qualcos’altro? Non so. Non riesco a capire». Questa risposta Matteo l’ha cercata sin da ragazzino quando «provavo a capire il motivo per il quale in Sardegna migliaia di anni fa ignoti personaggi realizzarono gradi osservatori astronomici, collocando le pietre secondo coordinate celesti ancor oggi valide».
Ed è proprio nella bellezza del cielo sardo che lo scienziato di Selargius ha trovato la forza per studiare giorno e notte. «Ho guardato il cielo in tutto il mondo da telescopi e osservatori. Ma il più bello l’ho visto nei monti di Seui e a Lanusei nelle mie notte da boy scout. Lì ho capito che non sta né sopra né sotto. Ma che noi siamo immersi nella luce dell’universo». Quella luce dentro la quale Matteo immagina i mondi che poi vedrà. «Perché nonostante la nostra scienza, nonostante tutti i sofisticati strumenti tecnologici, i computer e software, il segreto di ogni scoperta scientifica consiste ancora nella forza dell’immaginazione. La stessa che ha consentito ai nostri antenati di cinquemila anni fa di fare un osservatorio astronomico a pochi chilometri da quello nel quale io lavoro».
Forse per osservare gli stessi identici oggetti di oggi.
Virginia Saba
 
L’UNIONE SARDA
Speciale (Pagina 8 - Edizione CA)
La vita
Dal Liceo Pitagora al progetto Nasa NuStar
 
Matteo Bachetti è nato il 29 novembre 1981. Dopo il diploma al Liceo Scientifico Pitagora si è laureato in Fisica all’Università di Cagliari dove ha continuato gli studi con un dottorato di ricerca. «Devo dire che qui per me stato molto importante il professore Luciano Burderi: mi ha insegnato la cosa più importante, andare a fondo, spaccare il capello in quattro», racconta Bachetti.
Il quale poi ha trascorso sei mesi nell’università Cornell, dove è entrato in contatto con un gruppo di ricercatori russi e americani che simulavano al pc fenomeni complicati di particolare interesse per l’astrofisico sardo. Ora è tornato in Sardegna e fa ricerca nei prestigiosi osservatori di Cagliari (del quale l’ex direttore è Nicolo D’Amico, attuale presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica) e San Basilio. Continua inoltre la collaborazione con Tolosa e fa parte del team NuStar, satellite della Nasa lanciato nel giugno 2012 e con il quale Bachetti ha fatto la scoperta. (v. s.)
 
L’UNIONE SARDA
Speciale (Pagina 8 - Edizione CA)
La crescita
«Devo tutto a papà Franco e alle 3 stelle di casa mia»
 
La figura fondamentale per la crescita di Matteo come scienziato è stato suo papà Franco. «Mi ha trasmesso la passione per le scienze, così quando ha letto che la nostra rivista preferita National Geographic parlava di me e della mia scoperta l’emozione è stata notevole». Come quella di sua madre Giusi, orgogliosa di quel figlio visto crescere lontano e ora capace di distinguersi a livello mondiale. Accanto all’astrofisico c’è sua moglie Marta Mancosu, che ha studiato e si è laureata in Fisica Biomedica.
«Io controllo le stelle, ma lei controlla tutto, semplificando al massimo la vita mia e delle mie due figlie con una capacità sorprendente. Mi sento molto fortunato». Con queste tre stelle accanto e le altre in cielo, Bachetti lavora nove ore al giorno, ma una volta tornato a casa non c’è tempo per divano e tv. Si confronta via Skype con i ricercatori sparsi nel mondo e con i team coi quali collabora. «La mia ricetta? Non ne ho. Solo amore per ciò che faccio». (v. s.)

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