L’Università di Cagliari si interroga sui fattori di crisi del sistema regionale.
27 March 2009

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  VIDEONOTIZIA
Il Rettore presenta la XIX Settimana della cultura Scientifica



La conferenza stampa di presentazione della XIX Settimana, Rettorato 27 marzo 2009. (Foto Francesco Cogotti)

L’UNIVERSITA’ DI CAGLIARI SI INTERROGA SUI FATTORI DI CRISI DEL SISTEMA REGIONALE

Questa la presentazione della manifestazione distribuita alla stampa dal Rettore.

La Settimana della Cultura Scientifica costituisce ormai da diversi anni un’occasione di riflessione e di valutazione sull’attività di ricerca e, in una più generale visione della catena del valore della ricerca, sull’obiettivo di creare valore economico.
Quest’anno l’appuntamento coincide con un momento di particolari problematicità che investono tutto il sistema produttivo del Paese. La crisi finanziaria e le drammatiche ricadute sul sistema socio-economico sono ormai evidenti anche nella nostra Regione, in cui migliaia di lavoratori perdono il posto di lavoro e si fanno sempre più incerte le prospettive di nuovi posti di lavoro per i giovani. Questo scenario sollecita una profonda riflessione e propone una serie di quesiti ai quali, pur nella consapevolezza della complessità e della vastità dei temi, intendiamo dare delle risposte, anche al fine di stimolare il dibattito che si svilupperà in questi giorni, all’interno e fuori dall’Università.
 
La prima domanda che rivolgiamo a noi stessi, come universitari, è: in che misura, oltre la solidarietà nei confronti di tutti i lavoratori e delle comunità più direttamente coinvolte in questa fase recessiva, l’Università di Cagliari può interagire positivamente con le politiche più urgenti? Questa domanda potrebbe essere diversamente posta per arrivare alle stesse conclusioni, ovvero: se la politica nazionale e la politica regionale si rivolgessero all’Università di Cagliari per interpretare meglio i fenomeni, per valutare il capitale umano disponibile, per suggerire percorsi operativi immediati e strategie d’impresa, saremmo in grado di dare una risposta concreta, senza individuali presunzioni, potendo contare sulle idee, sulla ricerca, sull’esperienza, sulle responsabilità di formatori?
La risposta riteniamo possa e debba essere positiva, facendo riferimento al fatto che il 2009, anno europeo della creatività e dell’innovazione, ci invita a stimolare le intelligenze e l’immaginazione dei nostri giovani per sviluppare il loro ingegno, finalizzato a costruire un percorso virtuoso di produttività nella nostra Isola.

Occorre, dunque, affrontare e dominare la crisi, evitando i disastri sociali e le ripercussioni sulle fasce deboli della popolazione, e fare il possibile per rilanciare la crisi come opportunità per le necessarie trasformazioni del nostro sistema economico-sociale. In questo contesto, possiamo considerare pressoché concluso il tempo del posto fisso, sia nel privato che nel pubblico, in quanto lo Stato e l’intera Pubblica Amministrazione si vanno riorganizzando per rendere più efficienti e più efficaci le loro attività attraverso nuove tecnologie e nuovi assetti. E’ evidente che alla contrazione dell’occupazione tradizionale deve corrispondere il crescere di nuova occupazione, legata a nuovi investimenti, a nuova attività imprenditoriale, perlopiù di piccole e medie dimensioni, che si sviluppi dentro un sistema a rete, convivendo e interagendo con la grande impresa. E, proprio perché occorre fare ogni sforzo per disporre di Pubbliche Amministrazioni efficienti e dimensionate in modo ottimale per i servizi ai cittadini e alle imprese, anche l’Università deve abbandonare l’idea che questo avvenga aumentando posti di lavoro.

Siamo ben consapevoli che in Sardegna, dove l’occupazione nella Pubblica Amministrazione è particolarmente rilevante, aumentano le preoccupazioni e le incertezze sul domani, ancor più in chi affronta un lungo percorso formativo, scolastico, universitario o delle professioni, non mettendo in conto da subito che i riferimenti territoriali del lavoro non saranno più regionali e continentali ma europei.

Per questa ragione occorre individuare nuove strade, con un impegno maggiore di quello finora messo in campo. Sotto questo profilo, i giovani che hanno frequentato l’Università e approfondito le tematiche di ricerca con esperienze di stage internazionali potranno avere maggiori opportunità anche all’estero, dopo aver comunque e prioritariamente soddisfatto tutta la domanda della nostra Isola. Su questa linea l’Università è da tempo impegnata nonostante siano ancora insufficienti le risorse messe in gioco dallo Stato e dalla Regione. Risorse comunque esistenti sulla carta in misura rilevante, ma ancora da finalizzare in modo ottimale, evitando la dispersione delle stesse in progetti di scarsa ricaduta nell’intero sistema formativo come purtroppo si è dovuto anche recentemente constatare.

Un momento della conferenza

La seconda domanda che ci poniamo, e che giriamo naturalmente agli interlocutori politici, è questa: l’Università può agire da sola, senza uno strettissimo rapporto con le linee politiche del Governo regionale, per affrontare le emergenze e per avviare nuovi percorsi di investimento per l’economia e per l’occupazione?
La risposta, non semplice, richiama alla memoria tante occasioni perdute e, soprattutto, i tempi in cui la dialettica tra la politica regionale e l’Università, sotto il profilo istituzionale, era piuttosto inconsistente. Infatti, nonostante l’ampio coinvolgimento di molti professori universitari nei progetti dei diversi Assessorati regionali e di altri Enti Pubblici, è mancata un’effettiva responsabilizzazione, in un senso e nell’altro, delle due Istituzioni, con evidenti diseconomie in merito ai processi. Oggi le resistenze comportamentali del passato sono pressoché superate e ciò è molto importante, perché se si dovesse insistere, come ormai accade da oltre dieci anni, a rincorrere lo stato di malessere del sistema imprenditoriale in Sardegna (che ha provocato molto spesso il silenzioso esodo di tanti lavoratori dell’industria, non altrettanto compensato dall’apertura di nuove attività artigianali e commerciali), si correrebbe il rischio di un definitivo smantellamento del sistema. Perciò non ci si potrà più limitare a interventi di emergenza, e le multinazionali che operano in Sardegna nei settori della chimica, dell’energia, della metallurgia, che ragionano in termini di bilancio aziendale, dovranno poter contare sul supporto di protocolli internazionali del Governo italiano, impegnato a svolgere un’azione di compensazione diretta o indiretta delle loro diseconomie. Inoltre, senza chiarezza sulle scelte politiche e sulla necessaria coerenza degli strumenti per l’attuazione degli interventi, primo tra tutti il riferimento legislativo, diventa estremamente difficile, anche per l’Università, inserirsi proficuamente nelle diverse filiere di ricerca, fino al punto da rischiare il vanificarsi di proposte valide in quanto non realizzabili in tempi ragionevolmente contenuti.
Come primo esempio, vogliamo soffermarci sulle tematiche di studi e di ricerche prodotte in questi ultimi anni nella facoltà di Ingegneria sulle questioni energetiche, che riguardano aspetti fisico-tecnici, meccanici e della combustione, chimici e minerari. Gli stessi Organi di Governo nazionale e della Regione sono a conoscenza di tale documentazione di ricerca e di applicazione che riguarda la produzione di energia, sia attraverso le fonti rinnovabili (eoliche, del fotovoltaico e dei collettori solari termici), sia attraverso l’utilizzo del carbone del Sulcis e dei suoi derivati, ivi comprese le attività connesse con i siti minerari per il sequestro della CO2, e attraverso il gas metano proveniente dall’Algeria.
Tutti argomenti importanti sul tavolo della politica regionale, per i quali tuttavia occorre fare chiarezza sulle metodiche da adottare e, di conseguenza, sull’eventuale volontà di esser presenti nell’intero percorso produttivo, ovvero partendo dall’utilizzo delle materie prime che in Sardegna non mancano, per poi passare, attraverso il processo industriale, all’utilizzo e alla vendita del prodotto finito. Tali scelte però richiedono una fortissima sinergia tra i diversi soggetti politici e gli interlocutori di impresa, per impedire che l’innata filosofia dei continui ripensamenti vanifichi anche le idee migliori che altri, più dinamici di noi, hanno tradotto in progetti e in impresa.

In altri termini, l’Università ha bisogno di capire, per orientare le proprie ricerche e la propria azione sul territorio, se il modello di sviluppo che coinvolge tutto il sistema industriale deve puntare prevalentemente sui fattori endogeni o su quelli esogeni. L’espressione “prevalentemente” non va però interpretata per percentualizzare o focalizzare le scelte, l’acquisizione delle risorse e la loro spendibilità, bensì per consentire di svolgere un’azione di promozione molto forte, anche attraverso incubatori di impresa, nei confronti dell’imprenditoria locale già radicata nel tessuto produttivo dell’Isola, nonché, sul piano internazionale, attraverso un’azione di marketing con la quale offrire agli investitori esterni la qualità della vita, le professionalità e il capitale umano della Sardegna, insieme alla reputazione di serietà e di efficienza dell’apparato burocratico e amministrativo. Questi fattori non bastano, perché il successo degli investimenti va altrettanto garantito attraverso la disponibilità delle aree, la dotazione infrastrutturale, la certezza dei tempi per la realizzazione degli impianti aziendali, le risorse finanziarie e il costo energetico. Quest’ultima considerazione ci obbliga a non sottacere la questione nucleare che l’Università studia insieme agli Enti nazionali ed internazionali dedicati. Senza entrare nel merito delle future scelte, che sembrano fermamente orientate ad escludere l’Isola da questo scenario, rimane tuttavia da valutare in che misura la disponibilità di energia a costi concorrenziali possa diventare fattore aggiunto ad alto effetto promozionale per investitori internazionali. A tal proposito sarebbe comunque importante fare un’analisi economica comparativa, valutando la proiezione nel tempo e l’entità delle ricadute positive sul sistema economico e sull’occupazione. Infatti, con riferimento a quest’ultimo problema, bisogna evitare l’errore di confrontare l’occupazione potenziale, che sarebbe garantita con la riattivazione delle miniere di carbone, rispetto a quella, certamente inferiore, necessaria per la gestione di una piccola centrale nucleare. Nel conto economico che va fatto per valutare tutte le alternative fonti energetiche, dobbiamo ancora considerare, in positivo, l’effetto attrattivo internazionale per l’Università e per gli Enti di ricerca impegnati e, in negativo, le diseconomie sul settore del turismo, soprattutto estivo, dovute ad una immagine negativa che la concorrenza nazionale ed internazionale potrebbe costruire.


Giornalisti alla conferenza

Richiamando le premesse, ci poniamo una terza domanda: volendo investire in ricerca su settori endogeni fortemente caratterizzanti l’economia della Sardegna, nella difficile dialettica tra gli effetti della globalizzazione, anche positivi, e la difesa delle entità imprenditoriali più affermate, con quali prospettive sinergiche l’Università può “lavorare” con i privati e gli Enti regionali?
E’ una domanda estremamente complessa che, prima di una risposta ben più convincente di quanto non sia stato detto e scritto in merito, richiede una disarticolazione che consenta di:
a) capire quali siano i settori fortemente caratterizzanti l’economia della Sardegna;
b) affrontare l’economia globale con produzioni di nicchia che rappresentano l’espressione più solida della nostra Isola;
c) approfondire e sviluppare a regime le relazioni tra produzione e ricerca, anche per gli aspetti che riguardano la formazione dei quadri di cui l’Università ha la responsabilità nel breve e nel lungo periodo.
Tra i settori più importanti nei quali ci riconosciamo, ci sono quelli legati al ciclo produttivo della terra, sia fisica (ad esempio marmi, graniti) sia vegetale (sughero, vino, olio, zafferano) sia animale (carni e insaccati, latticini), e il settore delle tradizioni e del lavoro artigianale (dolci, tappeti, tessuti, ceramiche). Come è noto, alcuni di questi vivono momenti di sofferenza dovuti alla crisi attuale, ma anche alla forte concorrenza dei paesi in cui l’entità delle materie prime e il basso costo del lavoro stanno riducendo la dimensione del mercato interno e le esportazioni.
Consapevoli di ciò, e con le regole europee che vietano di adottare a livello nazionale, e tanto più regionale, una politica protezionistica o di sostegno, si potrebbe intervenire anche tramite una rigorosa descrizione delle peculiarità dei prodotti che potrebbero giustificare qualità-prezzo nel libero mercato e nei capitolati di gara delle pubbliche amministrazioni. Un esempio concreto di sofferenza dovuta alla concorrenza cinese, che offre, peraltro, un prodotto di scarsa qualità rispetto a quello sardo, è quello del granito. In questo caso, per difendere i posti di lavoro e la struttura imprenditoriale ad esso legati, la Regione dovrebbe intervenire per rappresentare, attraverso la descrizione dei diversi componenti e della loro granulometria, il grado di affidabilità e il risultato architettonico nell’opera edilizia. L’Università su questa linea è già attiva per dare il suo contributo di idee e di ricerca, frutto della lunga esperienza acquisita e sviluppata in campo geologico, minerario e della scienza dei materiali.
Un altro settore tra quelli citati, nel quale l’Università di Cagliari è impegnata, anche attraverso un centro di competenza, è quello lattiero caseario, che offre opportunità di ricerche avanzate, in collaborazione con la Regione e con gli imprenditori, sulle patologie degli animali, sull’innovazione e il trasferimento tecnologico, al fine di garantire all’intero sistema produttivo un futuro più maturo e meno esposto ai rischi del mercato.

Approfondire l’analisi dei diversi settori per dare alla domanda posta una risposta completa ed esaustiva sulla validità del tessuto produttivo (infrastrutture e impianti, lavoro e professionalità) meriterebbe ben altre competenze, soprattutto per gli aspetti relativi agli obiettivi, agli strumenti giuridici e alle risorse disponibili che soltanto gli operatori e i diversi Assessorati della Regione e i suoi Enti vanno sviluppando. Tuttavia, occorre fare una considerazione sulle strategie del futuro modello di sviluppo e sull’attuale allocazione diffusa delle imprese zootecniche e di trasformazione: attraverso queste, infatti, si può agire per frenare l’inevitabile spostamento della popolazione dalle zone più interne verso le città. In altri termini, questi settori produttivi possono essere considerati quelli del country rispetto a tutti gli altri, che sono quelli delle town e delle city.


Il Rettore, prof. Pasquale Mistretta
 
L’uso dei termini anglosassoni per diversificare i contesti stimola la seguente quarta domanda: le politiche di sostegno alle imprese e gli interventi finalizzati sui trasporti e sulla trasformazione, non disgiunti dalla difesa e dall’incremento dei posti di lavoro, in che misura sono astrattamente indipendenti rispetto agli assetti e alle dinamiche territoriali tra entroterra e coste, tra pianure e montagne, tra attrattori urbani e aree gravitazionali?
La risposta non è facile ma per fortuna è meno sollecitata dall’emergenza di questi giorni, poiché gli assetti territoriali, pur soggetti alla costante e continua evoluzione della società e delle sue componenti, possono considerarsi un “fattore fisso”, che non dovrebbe destare particolari preoccupazioni. Tuttavia, poiché l’Università ha anche il compito di guardare più lontano, in taluni casi di disegnare utopie, di monitorare i comportamenti evolutivi a confronto con altre esperienze tipologicamente affini, la questione merita fin da ora un approfondimento. In altri termini, gli insediamenti industriali già identificati nel territorio, rimangono tali, vanno rinforzati, o vanno ridimensionati per una conversione di sistema? Gli insediamenti turistici già consolidati sotto varie forme lungo le coste, vanno condivisi, adeguati ed eventualmente incrementati per aumentarne la competitività su scala mondiale? Gli insediamenti residenziali, parte integrante delle città, possono crescere in modo spontaneo senza una politica di equilibri tra le più importanti aree vaste dell’Isola? In questi scenari, tra loro peraltro interconnessi, si giocano infatti alcuni dati significativi che comunque devono tener conto in partenza della popolazione residente nell’Isola, un milione e seicento mila abitanti. Quindi, se il modello di sviluppo si pone come obiettivo l’aumento della popolazione, prescindendo dall’accoglienza virtuosa che la Sardegna offre alla popolazione immigrata, diventa d’obbligo intervenire sui posti di lavoro e quindi sui fattori economici per attrarre imprese in tutti i settori citati. L’alternativa potrebbe essere quella di “vivere del nostro”, ben sapendo però che il tasso di invecchiamento della popolazione lavorativa non aprirebbe grandi prospettive di sviluppo per il futuro. L’Università, avendo come compito istituzionale quello dell’alta formazione dei giovani, non potrà non spendersi per la prima ipotesi e perciò, pur non avendo compiti di responsabilità diretta sulle scelte del modello di sviluppo, è pronta a dialogare e a mettere a disposizione tutte le sue conoscenze e le esperienze di ricerca nel campo. Infatti, questa strada è l’unica che possa coniugare la formula più laureati- più crescita - più lavoro, in una Regione che intende essere sempre più competitiva anche per quanto riguarda le intelligenze e le professionalità del capitale umano.
In merito al tema della crisi economica che, com’è evidente, ci preoccupa non poco, gli analisti concordano nel prevedere che lo stato di crisi perdurerà per tutto l’anno 2009, proiettandosi nel 2010. Si pone quindi il problema di come “passare il guado”, non solo in termini di sopravvivenza e per superare l’emergenza, ma soprattutto mettendo le basi di una nuova economia. Al riguardo: di quali progetti e di quali risorse possiamo disporre?
Riallacciandoci ad alcuni concetti già espressi, nel ribadire la disponibilità dell’Università, siamo informati del fatto che la Regione Sardegna dispone di notevoli risorse per affrontare l’emergenza, tenendo in gioco in modo particolare le risorse dei fondi strutturali europei del ciclo di programmazione 2007-2013 e dei fondi Fas (fondi aree sottoutilizzate) per il medesimo periodo. Gli indirizzi per utilizzare queste risorse, già concordati nelle linee generali e con precisi vincoli con la Commissione Europea, possono certo subire ulteriori modifiche e differenziazioni applicative dal nuovo Governo regionale, ma l’aspetto prioritario consiste oggi nell’individuare modalità e tempi di erogazione e di spendita. In particolare le Università sono coinvolte nella realizzazione delle attività dei fondi strutturali (FSE, FESR) e dei fondi FAS, soprattutto per gli Assi titolati “Capitale Umano” e “Competitività”. Si tratta di ingenti risorse che se utilizzate con tempestività, rigore e capacità di monitoraggio, possono davvero contribuire a farci “passare il guado” (ricordiamo che la Regione Sardegna dispone per il ciclo unico di programmazione 2007-2013 di ben 10 miliardi di euro tra finanziamenti europei e fondi di compartecipazione nazionale).
 

Questi temi suscitano una quinta domanda: quali sono le proposte dell’Università rispetto alla spendita dei fondi strutturali e in quali sedi di concertazione o di co-decisione sulle scelte progettuali può direttamente contribuire?
Sotto questo aspetto l’Università è disponibile a partecipare non solo ai tavoli di parternariato, ma anche a far parte di diverse “cabine di regia”. Alla Regione chiediamo di impegnarsi sul piano delle procedure, che sempre più devono evitare i tempi lunghi delle inefficienze burocratiche, per premiare le realizzazioni effettive e le attività valutative - ex ante, in itinere ed ex post - senza l’appesantimento di controlli formalistici non necessari.
L’ipotesi di un’Agenzia, prospettata pochi giorni fa dal Presidente della Regione, ovvero di una Direzione generale della Regione dedicata al settore scientifico, è certamente interessante, ma da approfondire per gli aspetti che riguardano le responsabilità, la gestione e il coinvolgimento efficace dei diversi soggetti.
Riteniamo utile, a questo punto, rappresentare brevemente alcuni scenari nei quali l’Università è impegnata anche per il trasferimento tecnologico e la creazione di impresa innovativa, per i quali, nell’ultimo triennio, ha avuto importanti sostegni ministeriali e regionali. A tal proposito è importante citare la linea del Governo che, in merito al rapporto pubblico-privato, vuole attivare con gli Atenei e le imprese percorsi virtuosi, finanziando un programma nazionale articolato in distretti, uno dei quali in Sardegna (il polo tecnologico di Cagliari-Pula). Nella dichiarazione del Ministro, la dotazione delle risorse per l’attività di ricerca e di laboratori universitari sul territorio, terrà conto, com’è giusto, di una “valutazione spietata della struttura esistente”, del progetto pluriennale di sviluppo, dei suoi obiettivi e della sua efficace ricaduta sul territorio di riferimento.
Diverse e significative sono state finora le operazioni concertate tra la Regione Sardegna, l’Università e Sardegna Ricerche, che hanno posto le basi della “Rete Regionale dell’Innovazione”: la creazione degli Uffici Liaison Office, la costituzione dei centri di competenza tecnologica e di società spin off, al fine di trasformare in attività imprenditoriale le ricerche sviluppate in campo universitario. In questo contesto di sviluppo, molto difficile per diverse resistenze, anche culturali, l’Università ha bisogno della Regione, da un lato, per la formulazione prima, e l’attuazione poi, di una politica integrata che comprenda tutte le iniziative in materia di ricerca e trasferimento tecnologico, così come richiede la legge regionale n. 7 sulla ricerca scientifica. E dall’altro, per il rafforzamento e il rifinanziamento delle iniziative che per brevità riconduciamo alla Rete Regionale dell’Innovazione, promuovendo anche robuste attività di tipo strutturale. Tra queste, per esempio, la creazione di “incubatori d’impresa”, dotati di idonee strutture fisiche, che consentano adeguati supporti per la nascita e l’accompagnamento di attività imprenditoriali innovative. Ideale sarebbe poter disporre di un’area dedicata per sperimentare convincenti percorsi di innovazione e trasferimento tecnologico, così come si va concretizzando a Roma, presso l’Università di Tor Vergata. Ma non crediamo sia necessario, in quanto diventa prioritario avviare, anche sperimentalmente, percorsi integrati Università-impresa, con il sostegno promozionale del credito di talune banche. Queste ultime, infatti, sono sempre più interessate ai nuovi progetti di ricerca finalizzati, sino al punto di mettere in gioco la loro esperienza, sia per consulenze alle imprese sulle tante opportunità di finanziamento regionali, nazionali ed europee, sia per innescare insieme all’Università processi innovativi e di trasferimento tecnologico.
Un’altra importante azione è volta dal nostro Ateneo per l’alta formazione e il lifelong learning, considerato che non può esistere innovazione senza formazione. Le risorse in campo sono notevoli, soprattutto di provenienza FSE: si tratta di borse, assegni, voucher, da corrispondersi in relazione all’effettuazione di percorsi formativi da definire in tavoli di codecisione con le Parti sociali per adeguare i piani di studio e il titolo accademico alle esigenze delle imprese e del mondo del lavoro.
Tra le altre iniziative che vorremmo portare avanti, rientra anche una formazione mirata a nuove conoscenze che possa favorire il reinserimento nel lavoro a chi è vittima della crisi della propria impresa. In quest’ambito le tecnologie info-telematiche possono supportare tutta l’attività di lifelong learning.
 
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Non riteniamo sia necessario soffermarci ulteriormente sulle diverse proposte di ricerca della nostra Università e del loro valore sul piano internazionale, attestato dalle classifiche ormai note. Infatti, della loro diversificazione di campo e di prospettive abbiamo avuto modo di scrivere lo scorso anno, in occasione della XVIII Settimana della Cultura Scientifica, mettendo in evidenza il ventaglio delle tematiche, a partire dalle matematica, fisica e informatica, per arrivare a quelle dell’area umanistica e giuridica. A questo vasto complesso lavoro quotidiano di ricerca sono dedicati i docenti, i ricercatori, i tecnici e gli amministrativi, che costituiscono il patrimonio intellettuale dell’Ateneo, pronto a dare un significativo contributo per il nuovo modello di sviluppo della Sardegna.
 
Il messaggio positivo che vogliamo dare a questa settimana della cultura scientifica, che è del fare e del saper fare, non può sottacere le difficoltà che viviamo giorno per giorno dovute alle esiguità di risorse, che condizionano il potenziale di ricerca, della nostra e di tutte le università italiane.
E’ bello perciò richiamare l’ultimo messaggio del Presidente della Repubblica Napolitano, che invita a coniugare la crisi che ha investito la finanza e l’economia mondiale e le contraddizioni del nostro sistema con il potenziale in capitale umano e in sapere di cui dispone il Paese, per tradurla con l’Università in più alta qualità dello sviluppo e dell’occupazione.
 
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Prima di chiudere questo intervento, vogliamo fare due ultime notazioni: la prima, sull’attuale momento politico della nostra Università, che tra due mesi si accinge ad eleggere un nuovo Rettore. Infatti ci siamo chiesti se non fosse il caso di rinviare ad altra data questa manifestazione durante la quale verranno tracciate importanti linee di indirizzo sulla ricerca scientifica. Ebbene, l’esigenza di dare un contributo di riflessione nel valutare la crisi del sistema industriale e gli effetti devastanti sull’occupazione dei meno giovani e sul futuro dei nostri laureati, ci ha spinto a non rinviare di un solo giorno il dialogo prioritario con le Istituzioni regionali e le Forze sociali. Tra l’altro, non sarebbe stato utile perdere questo primo appuntamento con il nuovo Presidente, la Giunta e il Consiglio regionale, appena insediati, ma già impegnati a elaborare una legge finanziaria, strategica per affrontare l’emergenza e per rilanciare lo sviluppo.
La seconda riguarda il taglio che abbiamo voluto dare a questa relazione, incentrandola solo sui fattori della ricerca che possono interagire in modo virtuoso con le potenzialità strutturali dell’Isola. In altri termini, si è scelto un percorso a tema, che tuttavia non intende omettere gli altri aspetti che riguardano la dimensione, le problematiche, i contesti, il capitale umano di ruolo e in formazione che vive nei laboratori della nostra Università e che costituisce l’ossatura e il futuro della ricerca in Sardegna. Inoltre non abbiamo trattato anche altri importanti argomenti di stretta attualità, che sono al centro del dibattito nella nostra Università e in tutti gli altri Atenei e che riguardano le recenti riforme legislative, le questioni dei concorsi a cattedra e del reclutamento dei ricercatori, la stabilizzazione del personale precario, la contrazione delle spese fisse e correnti, il monitoraggio e la valutazione dei risultati della ricerca, la semplificazione dell’offerta formativa. Quest’ultima, in particolare, finalizzata a ridefinire il ventaglio dell’offerta e a garantire una maggiore flessibilità della laurea per adeguarsi alla variabilità del mercato del lavoro. Di ciò ci scusiamo, rimandandoli tutti ad altri appuntamenti ed, in particolare, alle tavole rotonde programmate per questa settimana scientifica, dove verranno approfonditi nel confronto con autorità, imprese, organizzazioni del lavoro e operatori della cultura.
Tuttavia non possiamo non tener conto che l’Università sta attraversando una positiva fase di rivitalizzazione, che gli studenti prima di tutti, ma anche il corpo docente, hanno avviato per superare le difficoltà più evidenti che riguardano gli aspetti finanziari e della gestione dei bilanci e, soprattutto, quelli più strutturali che si riferiscono ai modelli formativi, all’organico del personale docente e dei ricercatori e all’organizzazione funzionale dei servizi per gli studenti. Per tutta risposta, i recenti Governi e le forze politiche in Parlamento, pur consapevoli della problematicità dei processi in atto, si limitano ad interventi normativi e di governanc], che soltanto il tempo potrà dire quanto realmente efficaci. Per fortuna, come spesso accade, la crisi del sistema mette in fibrillazione nuove idee e nuove proposte, che chiamano in causa le nuove generazioni di studenti, i docenti e i ricercatori. Questi ultimi, certamente coscienti di essere partecipi della complessità dei problemi e della funzione strategica della sperimentazione scientifica, guidata dalla realtà che muta, dalle sue regole e dai suoi effetti diretti ed indotti sulla vita di tutti i giorni.
Ma guai ad essere frenetici, non ponderando le risposte incisive da dare al territorio, ivi comprese quelle sull’innovazione e sul trasferimento tecnologico, soprattutto se prive dell’inquadramento culturale e sociale dei diversi contesti e del loro evolversi nel tempo, fattore indispensabile per misurare e programmare le scelte più idonee. Il trascorrere del tempo, per lo più considerato una diseconomia della politica e della Pubblica amministrazione, può invece indurre a riflettere sulle cose di tutti i giorni attraverso una lettura metafisica oltre il tempo. A tal proposito è istruttiva, per la sua attualità, questa frase di Seneca: “Infatti, poiché la natura ci lascia condividere il possesso di ogni tempo, perché non elevarci con tutto l’animo da questo esiguo ed effimero volgere di tempo a quei pensieri che sono immensi, sono eterni, sono comuni a chi è migliore di noi?”.Ci sembra infatti che si adatti all’attività del ricercatore, al tempo che scorre per la sperimentazione, alla problematicità dei risultati e ai rischi di insuccesso. In un altro passaggio della stessa opera si legge: “nessun secolo è precluso ai grandi ingegni e non c’è tempo che non sia accessibile al pensiero” ed ancora “la vita del saggio, non è confinata nei limiti degli altri; lui solo è libero dalle leggi dell’umanità, tutti i secoli ubbidiscono a lui come a dio”.
Il richiamo a Seneca, che potrebbe apparire una forzatura delle tematiche in discussione, è invece voluto per dare senso all’alta formazione umanistica della nostra Università, che coniugando storia, letteratura e filosofia con il mondo delle scienze e delle tecnologie più avanzate, consente di dare energia vitale ai processi intellettivi per scommettere sul futuro.
 
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Questa XIX Settimana della Cultura Scientifica è solo un momento, ancorché significativo, in cui l’Università si manifesta all’opinione pubblica con analisi critica, proposte e apertura al dialogo con le Istituzioni e le forze sociali. Il Rettore in carica, nella sua lunga esperienza, ha avuto l’onore di presentarla per diciotto volte, ogni anno con nuove motivazioni, derivanti soprattutto dai cambiamenti generazionali della popolazione studentesca, dei laureati, dei più giovani ricercatori, ma anche, trattandosi di ricerca scientifica, dal salto epocale tra il XIX secolo e questo duemila. L’Università di Cagliari ha voluto e, crediamo, ha saputo esserne interprete, fucina di studi umanistici e scientifici di valore internazionale e di significativo riferimento per la realtà e le genti della nostra Isola. E’ un processo storico che si proietta nei prossimi anni con altrettanti stimolanti appuntamenti, mentre, emblematicamente per chi scrive, segna la conclusione di un lungo percorso che, tuttavia, all’inizio, come ci tramanda Cicerone nel “De Senectute”, “non sembra(va) lunga una cosa destinata a finire. E quando quel termine arriva, il passato è passato: te ne resta quel che sei riuscito a fissare con la virtù e l’onestà. Le ore, i giorni, i mesi, gli anni passano e non tornano; né è possibile conoscere l’avvenire; ognuno deve accontentarsi di quel tanto che gli è concesso di vivere. L’attore, se vuol piacere, non deve rappresentare la commedia fino in fondo: gli basta essere applaudito in tutte le scene nelle quali è comparso e così neppure i saggi hanno bisogno di giungere al ‘Plaudite’ finale” .

 

 


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