Presentato a Bari l’XI Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati
13 March 2009

Scarica l’XI Rapporto Alma Laurea 2008


BARI LIVE

di Claudia Attolico
 
Lauree di primo e secondo livello, dottorati di ricerca, prospettive occupazionali e stipendi: questi i temi scottanti analizzati da Almalaurea. Questo è il momento di fare il punto della situazione e vedere quali risultati abbia avuto sugli studenti universitari in nuovo ordinamento, il famigerato “3+2”. Abbandonando le lauree a ciclo unico, si è venuta infatti a creare una situazione estremamente eterogenea. Ad oggi non tutti gli studenti dopo la laurea triennale proseguono gli studi conseguendo la laurea specialistica. E ancor meno sono coloro che optano per l’acquisizione di una formazione di altissimo livello, quale il dottorato di ricerca. 

Bisogna perciò porre opportune differenze tra le prospettive occupazionali dei laureati e quelle degli specializzati. Matilde Bini –docente dell’Università di Firenze – ha presentato ieri a Bari in un momento di incontro promosso da Almalaurea in Ateneo, un grafico sulla percentuale di occupazione ad un anno dal conseguimento della laurea di primo livello.
Ecco i risultati: al Sud il 50,2% si dedica subito alla ricerca di un lavoro, mentre al Nord la percentuale si abbassa al 40,4%. Questo dato mette in evidenza due questioni. La prima è che al Sud si sente molto forte l’importanza di un titolo di laurea per trovare occupazione, la seconda è che al Nord i giovani sono più propensi a proseguire la loro formazione e specializzarsi. Ma, come tiene a sottolineare la Bini, “per fare una stima delle prospettive occupazionali dei corsi di laurea bisogna tener conto degli Atenei, della domanda e dei mercati del lavoro”. Proprio di questo si è occupato Gino Crisci, presentando una panoramica sui vari corsi di laurea e relative offerte lavorative. Le facoltà mediche, ingegneristiche e scientifiche in genere, sono ai primi posti per quanto riguarda le opportunità occupazionali. Le percentuali però scendono enormemente se si analizzano i dati delle facoltà umanistiche.“C’è molta disinformazione. –dice Crisci - A quanto pare i giovani non sono a conoscenza di queste statistiche e non investono nei settori con maggiore richiesta di impiego”. 

Un dato che colpisce è il tasso di occupazione del Nord, con una percentuale dell’ 86%, rispetto al Sud col 70,8%. La differenza c’è, ed è preoccupante. E’ stata Silvia Ghiselli, ricercatrice di Almalaurea, ad evidenziare il problema: “Il divario maggiore si trova nell’impostazione del percorso di studio. Al Nord, specie per gli indirizzi tecnico-scientifici, le conoscenze sono più pratiche ed è facilitato l’inserimento nel mondo del lavoro”. 

Ma se in media il 17% degli studenti prosegue con la laurea di secondo livello, la percentuale si abbassa ulteriormente per i dottorati di ricerca. “L’obiettivo da raggiungere è ottenere maggiori investimenti nell’Università. Ricordiamo che il nostro tasso di conseguimento del dottorato è tra i più bassi in Europa”. Così ammonisce Francesco Mauriello, presidente dell’ ADI, che pone l’accento anche sul problema della fuga di cervelli a causa degli inconsistenti sbocchi lavorativi . Infine i guadagni. Si calcola che la media degli stipendi per i laureati ammonti a 1342 euro al mese, con rilevanti differenze tra uomini e donne. Queste ultime continuano ancora ad essere penalizzate, sia per quanto riguarda la retribuzione che per le prospettive occupazionali in genere. 

Nei primi due mesi del 2009 rallentano del 23%. Coinvolte anche le lauree "forti"
Dal 2001 scesi del 6,1 gli occupati. Un terzo resta ingabbiato in contratti atipici
Laureati sotto l’effetto recessione
crollano le richieste delle imprese
I risultati del Rapporto Almalaurea su 300 mila usciti dagli atenei
di FEDERICO PACE

La crisi stringe il cerchio. Dentro ci sono tutti. Anche loro. Anche i laureati. C’era da immaginarselo. Una spia significativa di questo fenomeno arriva da uno dei "polmoni di lavoro" più moderni dell’università. Sono infatti sempre meno le imprese che si rivolgono alla banca dati di Almalaurea, il consorzio universitario che coinvolge 52 atenei italiani, dove sono contenuti i curriculum di un milione e duecentomila laureati. Un grande bacino di talenti che in un anno ha ceduto alle imprese ben 460 mila profili di studenti usciti dalle aule universitarie. Il dato acquista rilievo particolare perché sono proprio le università il canale che le imprese, negli ultimi anni, hanno mostrato di privilegiare quando devono entrare in contatto con le migliori risorse. 

A gennaio e febbraio 2009, rispetto all’anno scorso, le necessità dei direttori del personale sono scese di un corposo 23 per cento. E a vedere diminuire la richiesta sono tutti. Anche quei laureati che sono considerati da sempre la punta di diamante, quelli che le imprese vedono come più preparati e adatti a fare il loro ingresso in azienda. I laureati del gruppo economico statistico hanno subito una flessione del 35 per cento mentre la domanda di ragazzi e ragazze con studi di ingegneria alle spalle è scesa del 24 per cento. 

La lunga discesa degli occupati. I dati sono quelli di Almalaurea che verranno presentati a Bari il 12 marzo insieme all’undicesimo Rapporto 2009 sulla condizione occupazionale dei laureati che ha coinvolto 300 mila laureati di 47 università italiane di cui 140 mila laureati post-riforma. "Ciò che deve essere scongiurato - dice Andrea Cammelli, direttore del consorzio - è che una preziosa e qualificata risorsa rischi di essere schiacciata fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca priva di mezzi".

 


Se il dato relativo alla banca dati è una sorta di istantanea di quel che sta accadendo in questo preciso momento, le cose non migliorano di molto se si cerca di andare a capire qualcosa di più nel medio periodo. Negli ultimi sette anni, dicono gli autori del Rapporto, la percentuale dei laureati (del vecchio ordinamento) che ha trovato impiego, ad un anno dal conseguimento del titolo, si è contratta di oltre sei punti percentuali passando dal 57,5 per cento del 2001 al 51,4 per cento del 2008 (vedi tabella). Il tasso di disoccupazione nell’ultimo anno è poi aumentato di tre punti percentuali. Ed è immaginabile che nel prossimo anno i valori saranno ancora più critici. 

Essere atipici. Anche adesso che tutti abbiamo fatto il callo alla precarietà, sorprende il dato relativo alla persistenza della natura atipica dei contratti di lavoro che legano i laureati alle imprese. Si dice che la condizione "precaria" soprattutto per i laureati, per i giovani, sia una condizione temporanea e di passaggio. Ma così non è. E ancora una volta, purtroppo, ne è arrivata una prova. Più di un quarto (il 26,8 per cento) di quelli che lavorano da cinque anni si ritrova in mano solo un contratto atipico (vedi tabella). E se è vero che nel tempo si riduce tale quota (a un anno dal conseguimento è quasi il doppio), è però innegabile che la proporzione di quelli che rimangono intrappolati tra contratti di collaborazione e rapporti a tempo sembra essere al di sopra di quanto sopportabile da una società che vuole crescere e offrire occasioni ai suoi cittadini. 

Gli stipendi più leggeri. Negli ultimi quattro anni il guadagno mensile netto, rivalutato ai valori attuali, è sceso del sei per cento. Nel 2005 quelli che si erano laureati cinque anni prima, guadagnavano 1.428 euro in un mese, dopo tre anni si sono dovuti accontentare di 1.343 euro (vedi tabella) con una perdita del potere d’acquisto pari al 6 per cento. Per quanto riguarda le differenze territoriali, lo stipendio netto di chi lavora al nord Italia si attesta a 1.392 euro mentre nelle regioni centrali scende a 1.314 euro e al Sud scivola a 1.118 euro. Disparità però che, al netto del diverso costo della vita territoriale, sono pari al 2 per cento. 

Quelli del 3+2 e i "triennali". Il rapporto di Almalaurea ne ha coinvolti poco più di 30 mila. E, pure se sono tra coloro che mostrano le migliori performance di studio (un voto medio di 109 su 110) e molti di loro trovano impiego, si deve constatare che solo il 28 per cento di loro ha un posto stabile mentre il 49 per cento fa i conti con un contratto atipico. 
Difficile comprendere a fondo i dati dei neolaureati di primo livello, ovvero quelli della laurea triennale (un campione pari a 105 mila laureati). Soprattutto in considerazione del fatto che molti di loro proseguono il corso di studi. Se si escludono quelli che continuano a studiare, si scopre che il 69% per cento di chi consegue il titolo trova un impiego entro un anno. Ma il 47 per cento di loro ha un contratto precario e solo il 40 per cento riesce ad approdare alle spiagge sicure (e remote) della stabilità. 

Accesso al credito e al capitale umano. Per rilanciare e tornare a dare un’occasione ai migliori talenti italiani, dicono gli autori della ricerca, è necessario "favorire l’accesso delle imprese, incluse quelle piccole e medie, alle risorse umane più giovani e di qualità formatesi all’università". In questo modo, in un quadro nazionale in cui le risorse destinate all’istruzione e alla ricerca sono da tempo insufficienti, il capitale umano di alto livello rimane ancora ridotto e prevalgono le piccole e piccolissime imprese, il governo potrebbe perseguire il duplice obiettivo di "sostenere l’iniezione di risorse umane di più elevata qualità nel sistema produttivo, e assicurare alle nuove generazioni, quelle più capaci e preparate, un futuro lavorativo incoraggiante nel proprio Paese". 

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