Per parlare all’Italia
18 November 2008

ARTICOLO 21

di Giuliano Garavini

Venerdì 14 c’è stata una gigantesca manifestazione di universitari che ha invaso gioiosamente le strade del centro di Roma fino a Montecitorio. Nel fine settimana si è tenuta, all’università “La Sapienza” di Roma, un’estenuante due giorni nazionale per l’autoriforma dell’università. Sono stati tre giorni importanti per la storia dei giovani italiani, e forse per tutto il nostro Paese.

Il succo politico di quanto avvenuto, sta tutto nell’adesione del movimento degli studenti dell’Onda allo sciopero generale del 12 dicembre indetto dalla Cgil. In quasi tutti gli interventi in plenaria a questo proposito di studenti e ricercatori precari si è ribadito che le ragioni della radicalizzazione della Cgil, e della possibile fine del modello della concertazione, risiedono prevalentemente nel successo del movimento giovanile e nel supporto che, per ora, esso sembra riscuotere nell’intera società. Si potrebbe aggiungere che il rischio di un cedimento della Cgil al modello contrattuale proposto da Confindustria non è definitivamente scongiurato, e che in parte lo sciopero del 12 sembra una reazione isterica al tentativo di divisione dei confederali operato dal governo Berlusconi. La Cgil non ha ancora assunto come direttiva strategica la fine della concertazione degli scorsi 15 anni, linea di condotta che ha contribuito all’erosione del monte dei salari a favore di profitti e rendite (con gli effetti deleteri sotto gli occhi di tutti), e all’abbattimento di pezzi sempre più ampi di beni pubblici.
L’Onda ha anche deciso di collegarsi fuori dalle università con tutti quei movimenti, come quello a difesa dell’acqua come bene comune, che si impegnano in difesa e al rilancio del pubblico e contro la precarietà del lavoro.
 
Poi c’è il succo sociale e culturale dei tre giorni di Roma. In primo luogo gli studenti e i ricercatori de “la Sapienza” hanno saputo organizzare un appuntamento con migliaia di giovani che hanno dato vita un amalgama umano originale ed esplosivo. Sabato mattina si sono riuniti in una plenaria, e nel pomeriggio divisi in tre Workshop in diverse facoltà: uno sulla “didattica”, uno sulla “ricerca”, ed uno sul “diritto allo studio”. In questi workshop si è discusso fino a notte, e con intensità, di tutti i maggiori problemi dell’università; alle volte applaudendo, altre facendo vibrare in alto le mani alla moda dell’onda, per far perdere meno tempo agli oratori e permettere a più gente possibile di parlare. Al workshop sulla ricerca, al quale ho partecipato, hanno parlato oltre sessanta studenti, ricercatori precari, e professori a contratto, da tutta Italia, mentre la presidenza, che ha svolto un lavoro eccezionale, si è riunita fino alle otto di mattina per stendere il “report” dell’incontro. I tre report sono stati presentati e discussi in una plenaria domenica mattina.
 
Quella che si è configurata nel fine settimana romano è una prima alleanza, per ora embrionale, fra gli studenti, e tutta un’area grigia che comprende dottorandi, post-doc, assegnisti di ricerca, professori a contratto, che sono quelli che maggiormente hanno subito la terrificante evoluzione dell’università italiana degli ultimi 15 anni: la proliferazione di università fisiche e telematiche fino ad arrivare a 95, la moltiplicazione dei corsi di laurea fino ad arrivare a 2862 (tra cui il mio preferito: “Scienze e tecniche psicologiche delle relazioni interpersonali e delle organizzazioni sociali” a Bergamo). Mentre si vanno formando poli di eccellenza, gruppi di università che si ritengono migliori di altre (Aquis), tutti i partecipanti hanno invocato un sistema di università pubblico di qualità che non faccia distinzioni fra atenei e regioni italiane, in nome della solidarietà essenziale a condurre comuni battaglie, e del rifiuto di ogni latente o aperto processo di privatizzazione mascherato con il termine meritocrazia. E’ stato apertamente rifiutato il modello anglosassone, con il ricorso all’indebitamento degli studenti e al finanziamento privato, come un possibile modello per l’Italia. Gli studenti palermitani hanno detto che l’unico privato che ha soldi da investire nell’università di Palermo è la Mafia. D’altra parte, numerosi partecipanti hanno rifiutato ogni forma di “studentismo” e ribadito la necessità di focalizzare il movimento sul tema dei rapporti di classe nella società. La stragrande maggioranza degli intervenuti ha ribadito che una riforma che ridia dignità all’istruzione universitaria, grande motore di ascesa sociale e fattore di progresso generale, non è in contrasto con la volontà di stare accanto a chi in questi mesi dovrà battersi per non perdere il posto di lavoro, o per trovarne uno decente.
 
Sono emersi una molteplicità di temi per i quali rimandiamo per esempio al sito www.ateneinrivolta.org per la lettura dei report finali. Qui mi soffermo su alcuni punti che hanno colpito la mia attenzione e che, se perseguiti radicalmente, stravolgerebbero la struttura dell’università italiana.
 
In primo luogo un rifiuto del tre più due come è stato concretizzato fino ad oggi, così come del sistema dei crediti. Gli studenti hanno lamentato la rincorsa agli esami che non lascia il tempo di assorbire nulla, né alla creatività individuale, né al possibile approfondimento senza il quale l’università è indistinguibile dalla scuola. C’è chi ha reclamato più spazio all’autoformazione nel sistema dei crediti, chi ad una diminuzione del numero degli esami ed un’eliminazione “in toto” di un sistema a punti che squalifica il sapere. A questo si unisce il rifiuto per la liceizzazione dell’università, della quale si sono lamentati gli studenti delle università umanistiche e quelli del Mezzogiorno, e l’abolizione della frequenza obbligatoria perché spesso accompagnata dall’offerta di corsi di scarsa qualità. Più persone hanno ribadito che il sistema degli stage deve essere reso sempre e soltanto facoltativo, e che comunque l’università non dovrebbe riconoscere stage senza compenso perché gli studenti non possono imparare già dall’università il lavoro senza compenso, quando è proprio la retribuzione del lavoro un elemento importante per formare dignità e personalità di un giovane.
 
La ricerca è stato un tema forte soprattutto degli studenti delle facoltà scientifiche. La stessa assemblea sulla ricerca si è tenuta nella facoltà occupata di Fisica, al contrario di quella di Lettere pulita come uno specchio, e dotata di sacchi per rifiuti generici, carta e plastica. Si è ribadita la necessità di spendere almeno il 3% del Pil nella ricerca. La ricerca può essere solo pubblica visto che il privato non fa ricerca di base, mentre nelle materie umanistiche il privata regala qualche elemosina a suoi amici, o è del tutto assente. Si è detto che l’acceso ai fondi dovrebbe essere direttamente consentito anche a dottorandi e assegnasti che spesso sono quelli che ci mettono più lavoro diretto per reperire fondi in giro per l’Europa, e per il mondo. Vanno aboliti i dottorati senza borsa che aggiungono solo alla precarietà e alla subordinazione al mondo docente. L’obbiettivo futuro sarà quello di far nascere un vero spazio europeo della ricerca in cui i ricercatori abbiano trattamenti simili fra le nazioni, e non solo un sistema, come l’attuale, che dispensa soldi e orienta la ricerca secondo i parametri di Bruxelles. A questo proposito dovrà essere convocato un grande appuntamento su scala europea.
 
Si è poi parlato della necessità di ridimensionare e dare dignità alla figura dei professori a contratto. Sono 50 mila su 60 mila strutturati con paghe da fame, senza rimborsi in caso di viaggio, senza rappresentanza nei Consigli di facoltà dove si prendono le decisioni che contano. Essi dovrebbero avere stipendi paragonabili ad un ricercatore non confermato e rigide selezioni all’ingresso. Altrimenti, come lamentano sempre gli studenti delle università meridionali, si ritrovano con professori soporiferi e assolutamente incompetenti. Aumenti di garanzie e stipendi di professori a contratto dovrebbe portare ad una loro auspicabile decimazione e relativa chiusura di sedi decentrate e di corsi laurea, utili solo a rafforzare il potere di caste baronali e ceto politico locale. Per quanto riguarda gli assegni di ricerca a sei mesi e le mille forme di precariato post-dottarato dovrebbero essere sostituiti da un unico contratto a termine delle durata di almeno due anni rinnovabili. Le poche voci in favore di assunzioni di massa di precari sono state superate in favore di chi non vuole ripercorrere errori del passato con le “ope legis” che hanno dato vita ad un mondo di accademici, molti dei quali annoiati e privi di iniziativa.
 
Quanti convenuti a Roma sono consapevoli che la realizzazione delle cose discusse può avere una prospettiva solo tramite una mobilitazione permanente, decentrata, di sempre più vasta portata, e che porti a forme originali di sciopero anche del mondo del precariato universitario. L’assemblea di Roma non è stata che un importante inizio. Resta comunque il più importante e creativo appuntamento giovanile dagli anni Settanta.

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