21 August 2008

IL GIORNALE .it
Articolo di Stefano Zecchi


Giovedì 21 agosto 2008 - Alcuni anni fa, un giovane alto, magro, timido, educato bussa alla porta del mio studio, ed una volta entrato, mi sembra che abbia già voglia di ritornare da dove era venuto. Da parte mia, per mia scelta, non sono affatto accogliente e minimamente mi preoccupo di mettere a suo agio lo studente che viene a parlarmi. Il giovane, dunque, anche per colpa mia, rimane sulla porta e poi, tutto di un fiato riesce a dirmi: «Professore mi sono iscritto a filosofia perché non ne capisco niente».
A questo punto mi incuriosisco e lo faccio sedere di fronte a me. Immagino che abbia studiato da geometra o in una scuola media superiore in cui non si impara la filosofia. Invece no. Il ragazzo ha fatto il liceo classico e forse venuto a conoscenza della mia generale diffidenza verso la preparazione degli studenti, mi mostra che aveva ottenuto un profilo eccellente in filosofia.
Mi dice anche che non ci voleva molto ad essere bravi perché bastava leggere il manuale di storia della filosofia e ripetere alcune frasette. Se un giorno, mi dice, avesse compreso cosa significasse veramente «filosofia» lui si sarebbe sentito importante. «Importante verso me stesso», ci tiene a precisare.
Io stavo scrivendo con una penna e gli dissi di provare a descrivere quello che tenevo in mano: se ci fosse riuscito nel modo più preciso, avrebbe capito cosa fosse la filosofia.
Ora quel ragazzo, che ragazzo non è più, è uno dei maggiori esperti italiani di comunicazione, guadagna dieci volte quello che guadagno io ed ha verso di me un affetto commovente.
Altro ricordo. Una ragazza viene a dirmi che il suo sogno è un impegno in una casa editrice e mi chiede di darle ogni suggerimento per realizzare il suo progetto. La delusi nel consigliarla e si rivolse ad un collega. Il suo sogno era legittimo ma doveva, come si suol dire, tenerlo nel cassetto e non ossessionarsi nella sua realizzazione.
So che non è mai riuscita a lavorare in una casa editrice.
Comprendere la differenza di atteggiamento verso lo studio della filosofia di questi due giovani è fondamentale. Sbagliatissimo è pensare di specializzarsi in qualcosa frequentando la facoltà di filosofia. L’unica vera guida è l’interesse per una determinata disciplina, resa attraente dal professore, nella consapevolezza però che è decisiva la formazione complessiva, raggiungibile attraverso studi svolti con ordine nella facoltà.
La mia esperienza dice che quanto più lo studente si è mostrato curioso di apprendere questo e quello, quanto più è duttile nel metter a frutto la sua laurea nel mondo del lavoro senza ossessionarsi nel voler fare una cosa e soltanto quella, tanto più è garantito il successo.
D’altra parte, so ancora per esperienza che quando un giovane dice ai genitori di volersi iscrivere a filosofia, questi gli rispondono se è diventato matto. Generalmente gli studenti che frequentano la facoltà di filosofia hanno dovuto sostenere una dura lotta con papà e mamma che, molto sensatamente, hanno cercato di distoglierli dal proposito. Allora, immaginando che ci siano adesso molti ragazzi che stanno sostenendo in famiglia questa battaglia, mi sento di poter tranquillizzare i loro genitori dicendo che si sopporta meglio la disoccupazione da filosofi che da medici o avvocati.
E poi, Carlo Azeglio Ciampi, non è laureato in filosofia? Mi sembra che abbia fatto una discreta carriera! 
  
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