La rivista internazionale Science rilancia la petizione di 1500 ricercatori italiani. Valutazione del merito tema centrale per scuola e università
26 May 2008
Il Corriere della Sera, articoli di Mario Pappagallo, Francesco Giavazzi e Gian Antonio Stella
 
La rivista internazionale Science rilancia la petizione di 1500 ricercatori italiani. Valutazione del merito tema centrale per scuola e università
   

 
Science: “Ricerca, troppi favoritismi”
La rivista Usa: più trasparenza nella gestione dei fondi
Science apre il caso italia. Rilanciata la petizione che 1.500 ricercatori hanno presentato a Napolitano. Ignazio Marino: il 10% dei fondi agli under 40
 
Milano, 19 maggio 2008 - La rivista scientifica americana Science, nell’ultimo numero (16 maggio), affronta il tema della ricerca in Italia. In particolare sulle staminali, ma in generale su come vengono distribuiti i pochi fondi pubblici. E titola: «Richiesta di trasparenza». Nella foto, il presidente Giorgio Napolitano e il primo ministro Silvio Berlusconi. Un’anomalia per l’apolitico Science. Che rilancia la petizione sottoscritta da 1.500 ricercatori italiani e inviata a Napolitano. Rafforzata dall’editoriale sul Sole 24 Ore (da cui Science prende spunto) dell’economista Andrea Ichino contro i «finanziamenti a pioggia». Insomma «pochi soldi e distribuiti secondo parametri politici o favoritismi», segnala Science parlando di «rivolta» della scienza italiana. Quale la soluzione? «La stessa in vigore per i fondi pubblici negli Stati Uniti: si valutano i progetti, si selezionano, si verificano nella loro evoluzione ». E i soldi sono nominali, affidati alla responsabilità di chi presenta il progetto. «Trasparenza, nessun conflitto di interessi nell’assegnazione dei fondi, meritocrazia», è la formula giusta secondo Science. Stessa proposta viene dal genetista Mario Renato Capecchi, premio Nobel per la medicina 2007. Statunitense di origine italiana. E’ nel nostro Paese, per conferenze e onorificenze: a Bologna, a Padova. «Se l’Italia non investe in ricerca - dice -, presto si potrebbero avere grossi problemi economici». Si riferisce alle staminali ma il discorso vale per tutto. Il motivo? «Non essere allineati al momento della ricerca teorica e nella successiva fase delle applicazioni pratiche significa essere tagliati fuori dai processi di produzione — risponde —. E un Paese che non è al passo con la ricerca deve poi aspettare che arrivino le innovazioni dall’estero, ma questo significa non essere più competitivi in un mondo che cambia a grande velocità». Insomma, «non investire in ricerca si riflette, e aggrava, la crisi economica». Capecchi rafforza i concetti di Science: «Una cosa che gli Stati Uniti fanno davvero bene è quella di dare agli scienziati più giovani delle opportunità; in Italia invece i soldi vanno ai leader dei settori della ricerca e filtrati giù per la piramide dello staff. Non c’è alcuna possibilità per il giovane ricercatore brillante di farsi notare». Il senatore Ignazio Marino, chirurgo che negli Stati Uniti ha lavorato per anni, una soluzione l’ha trovata: «Nell’ultima Finanziaria ho fatto introdurre una norma rivoluzionaria: il 10 per cento delle risorse per la ricerca (pari a 81 milioni di euro) devono essere attribuite per merito a ricercatori al di sotto dei 40 anni e nominalmente. In base a progetti valutati da una commissione internazionale composta da 10 giovani scienziati, 5 italiani e 5 stranieri». La commissione è stata insediata lo scorso 4 aprile ed è presieduta da Monica Buzzai, 37 anni, biologa molecolare che lavora alla North Western University di Chicago. «Questo è il primo passo per cambiare ma ora va applicato», aggiunge Marino. Peraltro il nostro Paese non attira nemmeno ricercatori dall’estero. I dati 2007 di Farmindustria sono eloquenti. In Italia solo tre occupati su mille sono ricercatori, rispetto ai 6 dei Paesi dell’Ue (per esempio 8 in Francia, 7 in Germania, 6 in Gran Bretagna). E si riscontra un rapporto deficitario fra ricercatori che vanno all’estero e stranieri che arrivano nel nostro Paese: sono solo il 4,3% rispetto a una media degli altri Paesi che è del 17,5%. «Questo nonostante le aziende abbiano aumentato negli ultimi 5 anni il numero di addetti in ricerca e sviluppo, passando dal 7,4% all’8,7% dell’occupazione nel settore», dice Sergio Dompé, presidente di Farmindustria. Ma occorrono anche più fondi da investire. La proposta del neosenatore Umberto Veronesi è chiara: «Aumentare la percentuale del Pil da dedicare alla ricerca: attualmente in Italia siamo allo 0.9-1, bisogna almeno arrivare all’1.5. Media europea».
Mario Pappagallo
 


SCENARI
Destra o sinistra, come si valuta il merito
Meno norme, più risultati: il sistema per dare i voti a scuole, ospedali e uffici pubblici
Roger Abravanel propone in un saggio il metodo per misurare l’ efficienza
E illustra un caso: la «delivery unit» di Tony Blair

Se il quarto governo di Silvio Berlusconi verrà ricordato, dipenderà soprattutto da quanto riusciranno a fare due ministri: Mariastella Gelmini, ministro dell’ Istruzione, e Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica. Entrambi hanno predecessori illustri - Giancarlo Lombardi e Letizia Moratti all’ Istruzione, Sabino Cassese e Franco Bassanini alla Funzione pubblica - ma scuola e pubbliche amministrazioni rimangono i due più gravi problemi del nostro Paese (con l’eccezione forse dell’ ordine pubblico).

Meno norme per valutare il merito

16 maggio 2008 - In entrambi i casi si tratta di ministri alla loro prima esperienza. Da un lato questo è positivo: spesso l’ efficacia dei ministri (e anche quella dei governi) peggiora alla seconda esperienza. Dall’ altro l’ inesperienza spesso rende i neoministri più dipendenti dai burocrati che reggono i dicasteri e che riescono a spegnere rapidamente il loro entusiasmo e a bloccare ogni innovazione: accadde sette anni fa a Letizia Moratti, proprio all’ Istruzione; accadde ai ministri della Lega nel 1994, ai tempi del primo governo Berlusconi. Se posso permettermi un consiglio ai due nuovi ministri, prima di affrontare la pila di documenti che troverete sulle vostre scrivanie, dedicate qualche ora alla lettura del libro di Roger Abravanel Meritocrazia (Garzanti), in particolare il capitolo 9, «Quattro proposte concrete per far sorgere il merito». La prima è di istituire, come fece Tony Blair in Gran Bretagna, una delivery unit. L’ aspetto nuovo di questa idea è lo spostamento dell’ attenzione dall’ analisi delle norme e delle procedure all’ analisi dei risultati. Introdurre questo metodo in Italia significherebbe ribaltare il modo di lavorare e di pensare delle pubbliche amministrazioni, spesso più interessate alle procedure che ai risultati. Per esempio si tratterebbe di valutare la scuola sulla base dei risultati che gli studenti ottengono nei test Pisa (Programme for International Student Assessment) dell’ Ocse. In Gran Bretagna questo metodo ha dato esiti significativi soprattutto nella sanità. La delivery unit ha obbligato le varie unità sanitarie (ospedali, ambulatori, day-hospital) a pubblicare i loro dati: tempi medi di attesa, tasso di sopravvivenza dopo alcuni interventi standard, incidenti, emergenze I cittadini hanno così potuto confrontare strutture sanitarie simili e chieder conto a quelle meno efficienti del perché i loro risultati fossero peggiori di quelli di altre. Il successo dell’ esperimento britannico è dovuto alla compresenza di due fattori: l’ informazione e la possibilità dei cittadini di accedervi e poi di far sentire la propria voce. La delivery unit ha risolto il primo problema, l’ accesso all’ informazione. Ma questo servirebbe a poco se i cittadini non potessero «farsi sentire». Questa possibilità in Gran Bretagna deriva dal sistema elettorale uninominale, nel quale ogni circoscrizione è rappresentata da un solo deputato, e quindi l’ elettore sa sempre chi è il suo rappresentante in Parlamento, sia che lo abbia votato sia che rappresenti un partito diverso dal suo. Sa quindi a chi rivolgersi quando vuole lamentarsi per i risultati relativamente insoddisfacenti di una pubblica amministrazione. (È un aspetto che mi ha sempre colpito anche negli Stati Uniti. La frase «Ora telefoniamo all’ ufficio del senatore Kennedy e gli chiediamo di occuparsene» si sente spesso in Massachusetts, uno Stato da quarant’ anni rappresentato in Senato da Ted Kennedy, che tutti nello Stato conoscono come il “nostro senatore”). Cambiare il sistema elettorale, lo sappiamo, sarà complicato. Una delivery unit, invece, i ministri Gelmini e Brunetta potrebbero crearla in poche settimane. Non le dovrebbe essere affidato alcun compito legislativo, semplicemente chiedere che raccolga ed elabori in modo scientifico l’ informazione. Per farlo, dovrà avere poteri forti ma limitati: semplicemente il potere di obbligare le amministrazioni (a cominciare dall’ Istat) a pubblicare i dati, perché il fatto straordinario in Italia è che spesso i dati esistono, ma sono custoditi gelosamente in cassetti ben chiusi, caso mai qualche cittadino li volesse consultare. (Molte scuole ad esempio raccolgono - ma non rendono pubblici - dati sui loro alunni: quanto tempo hanno impiegato a trovare un lavoro, quanto guadagnano, in quanto tempo si sono laureati, dove e con che voti). Il professor Daniele Checchi ha mostrato come sia possibile elaborare su basi scientifiche classifiche delle scuole. Un esperimento simile è stato svolto dal professor Andrea Ichino per l’università Bocconi: egli ha elaborato una classifica delle scuole superiori della provincia di Milano che tiene conto del reddito delle famiglie (passo necessario per evitare che la classifica rifletta semplicemente differenze nel reddito) e dei risultati che gli allievi di queste scuole hanno conseguito in alcuni esami sostenuti presso l’ università Bocconi. Ho esposto solo la prima delle quattro proposte di Abravanel, ma immagino sia sufficientemente attraente da voler subito conoscere le altre. Quindi buona lettura: di tutto il libro, non solo del capitolo 9.
Il brano Per una visione a lungo termine di Roger Abravanel
L’ unico modo per ristabilire il merito nella nostra società è la nascita di una nuova destra e di una nuova sinistra moderne e lungimiranti. Questo non richiede un ripensamento della legge elettorale o la rinuncia alle tessere di partito, ma un profondo cambiamento culturale. Il merito delle nuove classi politiche di destra e di sinistra non dovrà più essere quello di portare voti promettendo ai gruppi di interesse (con impegni che bloccano società ed economia), ma quello di convincere i propri elettori dei benefici a lungo termine del merito. La chiave risiede in un’ espressione: il lungo termine. Mancano la volontà e il coraggio di proporre e realizzare riforme che penalizzano i propri elettori a breve, a fronte di una promessa per il futuro. Perciò l’ ideologia del merito si realizzerà solo se la nuova destra avrà il coraggio e soprattutto la credibilità per convincere i propri elettori imprenditori che i sacrifici a breve, per creare una maggiore concorrenza, si tradurranno in opportunità a medio e lungo termine per le imprese. A loro volta le nuove sinistre dovranno spiegare ai propri elettori che il sacrificio di una liberalizzazione del mercato del lavoro e dei prodotti si tradurrà in nuovi posti di lavoro per i giovani e in prezzi più bassi che aumenteranno il potere di acquisto di lavoratori e pensionati. La chiave, quindi, risiede nel cambiare radicalmente il rapporto tra politici ed elettori: non si tratta di tenersi attaccati gli elettori con privilegi antimerito a breve, ma servono credibilità e coraggio nel proporre ai cittadini i vantaggi a lungo termine del merito per ottenere una società più ricca e più giusta.
Francesco Giavazzi
 

 
Il Corriere della Sera
I (dubbi) meriti dei fan del merito
Scuola: il ministro Mariastella Gelmini promette interventi severi. Ma bisogna essere credibili...
14 maggio 2008 - Per 37 volte è invocata la parola merito nella proposta di legge 3423 presentata il 5 febbraio scorso dall’allora deputata Mariastella Gelmini destinata a diventare pochi mesi dopo il ministro per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca. Parole d’oro, come hanno già sottolineato sul Corriere Giovanni Sartori e Francesco Giavazzi. Dio sa quanto abbiamo bisogno del ripristino del merito in una scuola in cui da tempo immemorabile i maestri e i professori non vengono assunti per concorso ma di sanatoria in sanatoria, a partire da quella del 1859. Una scuola in cui l’ unica «pagella» accettata da chi ci lavora, solo volontariamente e solo provvisoriamente e solo sperimentalmente, è l’ «autovalutazione annuale effettuata dal dirigente scolastico stesso» il quale deve riempire un quiz in cui gli si chiede se sia o meno bravo nell’ «identificare con immediatezza i problemi che impediscono una corretta realizzazione di attività rientranti nelle proprie responsabilità» o nel «riconoscere il livello di priorità degli interventi da realizzare». Una scuola in cui, dicono le classifiche internazionali del P.I.S.A. le scuole siciliane, cioè di quella terra che ha regalato decine di genii alla cultura mondiale, hanno oggi una quota di somari doppia della media Ocse e quadrupla di quella dell’ Azerbaijian nonostante i bocciati alla maturità 2006 negli istituti classici, scientifici, magistrali e linguistici siano stati, nell’ isola, solo l’ 1,3%. L’ ex ministro Giuseppe Fioroni, davanti a quei dati, si mise la mani nei capelli, spiegando che non c’ era da meravigliarsi: «Alle superiori, in 10 anni, abbiamo scrutinato e mandato avanti circa 8 milioni e 800 mila studenti con lacune gravi o gravissime». Di più: «Alle medie solo il 17% di chi ha la cattedra di matematica ha la laurea corrispondente. I risultati si vedono...». Insomma, come non condividere l’ accusa della Gelmini contro «l’ impostazione statalista e dirigista che ha imperniato l’ ordinamento degli ultimi cinquanta anni» e «ha portato con sè la marginalizzazione del merito»? Come non appoggiare il suo appello a «favorire quel processo di valorizzazione del merito che costituisce il momento di partenza per un’ effettiva inversione di tendenza»? Come non schierarsi al suo fianco quando sprona il governo all’ adozione di decreti legislativi volti alla «valorizzazione del merito nell’ ambito della scuola, dell’ università e della ricerca»? Peccato soltanto che, per fare riforme serie, profonde, radicali, una classe politica debba essere (e anche apparire) credibile, autorevole, rispettata. E possiamo scommettere che saranno in tanti a sollevare il dito per chiedere: scusate, ma in base a quale merito è stata affidata la gestione di un mondo come la scuola a una persona che fino a ieri risultava aver fatto soltanto la presidente del consiglio comunale di Desenzano e l’ assessore al Territorio della provincia di Brescia? E in base a quale merito è stato fatto sottosegretario alla Scuola e all’Università il signor Giuseppe Pizza, segretario della micro-Dc, che dagli amici viene chiamato «professore» ma dice lui stesso, sul suo sito, di avere solo «frequentato» la «Federico II» di Napoli? Per carità, magari si riveleranno bravissimissimi. Ma certo, come esordio sul merito...
Gian Antonio Stella

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