Applicare sistemi incentivanti efficaci evitando favoritismi: l’esempio dell’Università di Padova rappresenta una caso d’eccellenza nella PA
13 February 2008
Oltre i luoghi comuni e le proposte teoriche, è interessante esaminare alcune realtà locali in cui si è verificato un aumento di produttività attraverso accorgimenti apparentemente indiretti che hanno invece contribuito in modo determinante all'aumento di produttività e alla qualità generale del servizio pubblico reso ai cittadini. Gli interventi possibili possono riguardare: l'ambiente di lavoro, il sistema degli incentivi, gli strumenti di lavoro e la formazione.
Denominatore comune dei casi riportati è l'approccio per piccoli passi, ovvero per generare un cambiamento duraturo e stabile nel tempo, si effettua un primo intervento mirato e localizzato che generi un risultato efficace e visibile.
Questo successo genera una percezione di miglioramento della qualità nell'ambito di applicazione (sia esso un ufficio, un servizio o un processo organizzativo), ed influenza positivamente la partecipazione ad un ulteriore serie di piccoli cambiamenti. I piccoli impatti producono piccole resistenze che sono così facilmente superabili e consentono di arrivare reiterando il processo, ad una generale ottimizzazione del sistema.

Sistemi incentivanti senza clientelismi

Un approccio diverso è quello basato sugli incentivi. In questo caso si cerca di istituire un sistema di valutazione della produttività che consenta al lavoratore di vedere riconosciuti tangibilmente i suoi sforzi e al cittadino di usufruire di servizi efficaci e di migliore qualità.
L'Università degli studi di Padova per il periodo '96/'97 aveva istituito uno specifico fondo di produttività collettiva e miglioramento dei servizi. Il Fondo era diviso in quote: 20% del fondo riservato alla gestione centralizzata dell'incentivazione di carattere generale e progettuale (formazione, supplenze, incentivi per straordinari fuori sede, trasferimenti di struttura, progetti di ateneo, fondo di riserva) e 80% ripartito tra tutte le strutture in parte per "rischio, uso di videoterminali, turni, disagio da pubblico" e in parte, destinato al miglioramento della produttività collettiva di struttura.

Ogni struttura doveva elaborare un piano di incentivazione della produttività collettiva e del miglioramento dei servizi della struttura sulla base degli obiettivi generali dell'ateneo e di obiettivi specifici della struttura stessa.

Gli obiettivi generali dell'ateneo riguardavano la costituzione del sistema informativo e lo sviluppo dei metodi di controllo di gestione, un'organizzazione del lavoro più elastica ed efficiente, l'estensione dell'orario di funzionamento dei servizi per venire maggiormente incontro alle esigenze dell'utenza e la valorizzazione della formazione del personale, mirata alle specifiche esigenze delle diverse strutture. Si perseguiva inoltre la trasparenza dell'attività e una comunicazione completa e rapida a tutti i livelli, oltre a migliori condizioni di igiene e sicurezza nelle strutture dell'Ateneo.
Per le singole strutture era richiesto che fossero indicati obiettivi specifici, sia nell'ambito di quelli generali indicati dall'Ateneo, che in relazione alle specifiche condizioni ed esigenze della struttura stessa. Tali obiettivi sarebbero stati soggetti ad un processo di valutazione e approvazione per la destinazione e valorizzazione del budget a disposizione della struttura stessa.
Per ogni progetto afferente ad una struttura si doveva esplicitare gli obiettivi specifici, indicare il metodo di valutazione per il suo raggiungimento, citare il nominativo e la funzione specifica di ciascun dipendente coinvolto e infine indicare l'importo finanziario globale assegnato a ciascun progetto.
In questo caso il tipico problema della misurazione è stato superato grazie alla conoscenza intrinseca del capo della struttura rispetto agli obiettivi per ogni progetto, come pure la valutazione per il raggiungimento degli obiettivi era delegata al responsabile della struttura che però avrebbe dovuto interagire con il personale coinvolto e in modo trasparente pubblicare delle tabelle di valutazione.
Il dipendente che non avesse condiviso la valutazione poteva appellarsi all'organo di controllo collegiale e chiedere una revisione. Tutto doveva avvenire nella massima trasparenza e a tal proposito si richiedeva la pubblicazione delle tabelle, delle quote e dei risultati mediante affissione all'albo della struttura, esplicitazione e condivisione del file relativo in rete, pubblicazione sulla home page internet della struttura, ecc. In questo modo si garantiva l'impossibilità di procedure clientelari e di favoritismi.

La teoria delle finestre rotte

La Teoria delle Finestre Rotte è una teoria che riguarda la diffusione della criminalità, elaborata dai criminologi James Wilson e George Kelling, che riguarda la gestione di un ambiente in cui non vengono tollerate le piccole trasgressioni che, se trascurate, potrebbero generare fenomeni di emulazione.
L'enunciato parte dall'esempio di una finestra è rotta che non viene riparata: chiunque la vede ne deduce che nessuno se ne preoccupa e che nessuno ha la responsabilità di provvedere. La conseguenza è che ne verranno rotte molte altre e verranno inferti danni maggiori allo stesso edificio, generando così una spirale di criminalità sempre più grave. Come dire che l'ambiente circostante influenza il comportamento di un soggetto piuttosto che essere determinato dalla personalità del soggetto stesso.
Si deduce che se all'interno di un ufficio si lascia che qualcuno non faccia il suo lavoro, prima o poi anche gli altri si sentiranno in diritto di astenersi dalle proprie mansioni, assentarsi in modo ingiustificato, seguire gli interessi personali in orario d'ufficio fino magari a falsificare documenti o peggio. Ristabilire la normalità non richiede interventi drastici bensì l'attuazione di una politica di piccoli passi che parte dalla tolleranza "zero" proprio sulle sulle mancanze minori, sugli aspetti apparentemente indiretti che però condizionano i comportamenti delle persone.
Come esempio si riporta la testimonianza di un lavoratore che prestava servizio in un ufficio di frontiera dove si verificava esattamente una situazione di "degrado lavorativo" diffuso, che era peggiorato a un punto tale che il 20% dei dipendenti doveva accollarsi il carico del lavoro di tutto il restante 80% di "furbi". La situazione era talmente intollerabile che a lungo andare si verificarono anche dei furti ed intervenne la Guardia di Finanza arrestando due dipendenti corrotti.
L'introduzione di un anziano dirigente fu il primo passo del rinnovamento. Costui invece di ripartire da "zero" e fare piazza pulita di tutti i nullafacenti, istituì una serie di interventi mirati a migliorare materialmente il luogo di lavoro, facendo riparare lo stabile (quindi aggiustando le "finestre rotte") e per rendere il luogo di lavoro meno favorevole ai fannulloni e ai corrotti, nominò un Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione previsto tra l'altro dalla normativa sulla sicurezza.
La ristrutturazione dell'edificio e la presenza di un referente per la sicurezza contribuirono al "ripopolamento" dei dipendenti e gli "sfaccendati resistenti" furono smistati in uffici diversi, per cui trovandosi isolati, furono costretti a cambiare abitudini. Il dirigente aveva innescato un processo migliorativo partendo dal principio per cui l'ambiente influisce sul modo di lavorare, e le situazioni di degrado ambientale non devono essere tollerate.
Con il tempo e la perseveranza quell'ufficio acquisì nuovamente credito presso gli operatori delle province vicine che vi si rivolgevano per le loro pratiche. Aumentò quindi il lavoro ma anche la produttività dei dipendenti che riuscirono anche a vedere un discreto aumento di retribuzione a fine mese.


Fonte: http://www.pubblicaamministrazione.net
 

Last news

Questionnaire and social

Share on:
Impostazioni cookie