Negli ultimi anni, dal 2001 al 2007, la presenza degli universitari stranieri negli atenei italiani &è; addirittura raddoppiata: la quota di cittadinanza estera &è; passata da un misero 1 per cento del 2001 ad un pieno 2,3 per cento nel 2006.
04 February 2008
L’università è diventata la fucina d’incontro di mille culture. I vari progetti interculturali, che l’ambiente accademico propone ai suoi studenti, favoriscono l’integrazione e i processi di globalizzazione tra l’Italia e le altre nazioni. L’università è quindi diventata uno dei maggiori strumenti di mobilità sociale a livello nazionale e, sempre più, a livello internazionale. Non stupisce perciò la presenza di molti studenti stranieri nei nostri atenei. Proprio questo costante aumento di universitari esteri, all’interno degli atenei italiani, ha spinto il consorzio Almalaurea a effettuare, nel 2007, un’indagine per analizzare il profilo degli studenti immigrati e la loro percezione del mondo universitario italiano.
Dai dati rinvenuti dal consorzio emerge che negli ultimi anni, dal 2001 al 2007, la loro percentuale di presenza è addirittura raddoppiata, la quota di cittadinanza estera è passata da un misero 1 per cento del 2001 ad un pieno 2,3 per cento nel 2006, si contano in definitiva 4.200 laureati di cittadinanza estera. Lo studio di Almalaurea ha coinvolto 41 atenei italiani, da tale indagine risulta che i laureati stranieri sono più numerosi nelle facoltà di Bologna, Roma La Sapienza e Padova mentre le università siciliane si posizionano a fine classifica. Tale esito non stupisce, poiché sono gli stessi studenti del sud Italia che emigrano verso atenei più conosciuti nel centro-nord del paese.
Dalla ricerca del consorzio inoltre risulta che il 71,6 per cento dei laureati di cittadinanza estera proviene da un Paese europeo (il contributo dell’Europa extra-UE è in crescita, cala quello dell’UE), l’8,3 dall’Asia, il 7,9 dall’Africa, l’11,9 dalle Americhe. Risulta, invece, stabile il numero di laureati provenienti dalle Americhe, dopo la crescita avvenuta tra il 2001 e il 2004 grazie soprattutto all’aumento consistente di laureati provenienti dall’America Latina. Lievi sono, invece, le variazioni dei laureati provenienti dagli altri continenti.
Gli studenti più numerosi sono quelli di nazionalità greca e albanese, forse per la vicinanza con il paese di origine o per la similarità nella cultura. E, anche, a Catania risultano più numerosi gli studenti stranieri di queste nazioni che non di altre, soprattutto all’interno della facoltà di medicina.
Altra variabile presa in considerazione dal consorzio è il background socioeconomico dei laureati esteri che risulta più favorevole rispetto a quello dei laureati italiani: 46 laureati stranieri su 100 hanno almeno un genitore laureato, mentre tale percentuale scende a 25 tra i laureati italiani. Per quanto riguarda la riuscita negli studi universitari, i laureati di cittadinanza estera ottengono un voto di laurea inferiore in media di oltre 3 punti rispetto ai laureati italiani (99,8/110 rispetto a 102,9/110), senza distinzioni per area disciplinare.
Rappresentativo invece l’aspetto che riguarda la ricerca del lavoro: i laureati provenienti da altri Paesi mostrano orientamenti differenti rispetto ai cittadini italiani: danno maggiore rilevanza alla coerenza con gli studi compiuti (+4,4 punti percentuali) e alla possibilità di guadagno (+4,5), meno importanza alla stabilità del posto di lavoro (-4,5). La seconda parte della ricerca analizza l’inserimento e l’integrazione culturale all’interno delle facoltà italiane, dalle risposte rinvenute emerge che ben il 58 per cento dichiara di non aver avuto grandi difficoltà di inserimento o di adattamento all’inizio degli studi universitari e 59 su 100, se potessero tornare indietro, sceglierebbero nuovamente la stessa università italiana dove si sono laureati.
Ai laureati 2006, con un diploma di scuola superiore estero, è stato anche chiesto di esprimere un giudizio su alcuni aspetti relativi all’università italiana ponendola a confronto con l’università del Paese in cui si sono diplomati. In linea generale, tale giudizio è positivo nei confronti del sistema universitario italiano soprattutto per la facilità di iscrizione e la possibilità di essere accettati (69,9 per cento), per i sostegni al Diritto allo studio (61,1), ma anche per la pluralità sociale della popolazione studentesca (61,0) e per le innovative attrezzature didattiche (54,4). Dall’altro lato gli aspetti meno brillanti dell’Università italiana riguardano specialmente le tasse di iscrizione (ritenute più alte in Italia che nel loro Paese dal 74,7 per cento dei laureati) e l’offerta di attività culturali (scarsa per il 42,9 per cento).
In conclusione risulta positiva la condizione degli studenti esteri all’interno delle facoltà italiane, ma di certo ancora l’Italia deve compiere molti passi avanti prima di arrivare ad una piena e riuscita integrazione sociale e per essere, quindi, considerato un “vero” paese interculturale. Sarebbe auspicabile una situazione di parità tra studenti stranieri e italiani così come ambita dalla legge 40/98 che ha lo scopo di favorire e assicurare la frequenza di studenti stranieri extracomunitari nelle università e negli istituti italiani di istruzione superiore di grado universitario.
E’ anche utile riflettere sui benefici che l’Italia avrebbe da una piena integrazione culturale in ambito universitario. Infatti, il completo inserimento di studenti stranieri darebbe oltre che prestigio anche risonanza all’Italia e alle sue storiche accademie universitarie, aspetto questo non trascurabile per un paese che negli ultimi decenni si è visto scavalcare e soppiantare dai nuovi atenei di oltreoceano, tutto ciò è accaduto perché i “neo arrivati” sono stati più preparati di noi ad accogliere e sfruttare il fenomeno della globalizzazione.
Laura Patanè

Fonte: http://www.unimagazine.it

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