Occorre correggere lo squilibrio anagrafico nella classe dei docenti
21 January 2008

CRISTIAN CARRARA, TOBIA ZEVI

All’inizio del 2006 due giovani ricercatori, Stefano Zapperi e Francesco Sylos Labini, pubblicavano un'inchiesta sullo stato dell'università italiana in cui minacciavano uno «tsunami»: quello provocato dal clamoroso squilibrio anagrafico nella classe dei docenti. Dati alla mano, a quell'epoca il numero di professori under 35 era del 4,6% in Italia (contro il 16% della Gran Bretagna e l'11,6% della Francia), a fronte di un 42% di professori ultracinquantenni e di un 22,5% di sessantenni (contro il 13,3% della Francia e l'8% inglese). Una situazione che non è certo migliorata nell'ultimo anno e mezzo, che deriva da diversi errori commessi in passato, e che spiega impietosamente le difficoltà che la nostra università incontra nel pensare dinamicamente al proprio futuro.

Negli ultimi anni era stata avanzata una proposta di abbassamento dell'età pensionabile dei professori a 65 anni (a fronte dei 70 attuali). A noi, come Forum nazionale dei giovani, è sempre sembrato che questa ipotesi, pur favorendo l'accesso dei giovani all'insegnamento, non muovesse nella direzione (auspicabile) di un prolungamento generale delle carriere nel nostro paese. Tanto più in un caso come questo, di lavoro certamente non usurante. Abbiamo invece accolto favorevolmente le indicazioni contenute nella Finanziaria 2008, che impediscono l'ulteriore prolungamento dell'attività dei professori fino ai 72 anni, e che soprattutto pongono fine all'ingiustificabile istituto del «fuori ruolo». Una norma per cui i professori universitari, interrompendo l'insegnamento (che invece si sarebbe potuto avvalere dell'esperienza), rimanevano per altri tre anni negli organismi decisionali, condizionando politiche e gestione delle facoltà. L'opposto di ciò che suggerirebbe la logica. Una notizia positiva, dunque, anche se - «a pensar male…» - bisogna attendere l'approvazione definitiva prima di esultare.

Adesso si dovrebbe proseguire sulla strada del ricambio generazionale: favorendo l'accesso dei ricercatori, aumentando i concorsi. Come fare? Le università sono autonome, si dice giustamente. Ma i fondi di cui usufruiscono non sono provenienti, se non in minima parte, da processi di fund raising. Sono soldi pubblici che possono in quanto tali essere vincolati. Perché allora non introdurre una norma che stabilisca per legge una percentuale fissa da destinare annualmente all'istituzione di concorsi? Sarebbe una soluzione semplice ma con un effetto immediato. Nelle Memorie di Adriano Marguerite Yourcenar notava che, spesso, i padri sembrano esaurire completamente le «virtù» familiari, che mancano dunque ai figli. Non chiediamo altro, se lo meritiamo, di poter dimostrare il contrario.

Portavoce e Responsabile Welfare
Forum nazionale dei giovani

Fonte: http://www.lastampa.it

 

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