Rassegna web. Un’indagine della redazione di Studenti.it evidenzia l’esigenza di un prossimo ricambio generazionale
14 May 2007

R A S S E G N A   W E B
Un’indagine della redazione di Studenti.it ha evidenziato come oggi il 92% dei docenti universitari sia “over 65”. Da qui la preoccupazione per il necessario ricambio e "salto" generazionale espressa da Matteo Scarlino e anche da Gianni Vattimo e Francesco Sylos Labini. Di seguito gli articoli sull’argomento
 


 
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L’UNIVERSITA’ E’ IN MANO AI VECCHI

E’ il grido d’allarme che esce da un’indagine condotta da Studenti.it che ha evidenziato che il 92% dei professori è over 65
 
Il portale Studenti.it commenta così il sondaggio: "Un dato che conferma come sia necessario uno svecchiamento dell’intera categoria e come dimostra, fra l’altro, l’allarme “Tsunami” lanciato da Francesco Sylos Labini e Stefano Zapperi che in una loro ricerca hanno messo in evidenza una generazione di professori tra i 50 e i 60, la maggioranza, che tra circa quindici anni raggiungerà “la costa” dell’età pensionabile. Se non si interverrà in tempo sarà quindi necessario assumere in massa nuovo personale per sostituire i docenti che andranno in pensione.
A provocare quest’onda è stata una legge, la 382 del 1980 che ha assunto ope legis come ricercatore e professore associato una vasta classe di figure orbitanti nel mondo universitario. Assunzioni urgenti di questo tipo sono, evidentemente, contrarie alla meritocrazia, per il semplice fatto di precludere l’ingresso ad un’intera generazione, piuttosto che un’altra. A seguito dello Tsunami, e con il conseguente pensionamento di massa di un’intera generazione, tra qualche anno si potrebbe ricorrere allo stesso tipo di assunzioni.
Nelle università italiane quest’allarme sembra essere stato recepito, anche se qualche ateneo, Bologna in particolare, vorrebbe approfittarne per mandare in pensione i professori più anziani per tappare i buchi nel bilancio. Proprio sui prepensionamenti si è concentrata l’attenzione di StudentiMagazine che ha provato a capire come sta funzionando questa pratica a Torino, dove per primo è stato lanciato questo provvedimento e come invece si intende metterlo in pratica a Bologna, dove il provvedimento verrà discusso nel prossimo giugno. In termini tecnici i due piani si prefigurano assai simili tra loro. Sostanzialmente ai professori che hanno raggiunto i 40 anni di contributi ed hanno compiuto almeno i 65 anni, sarà offerto, da parte della facoltà d’appartenenza, un contratto di collaborazione. In questo modo si consentirà ai professori di continuare la propria attività di ricerca e ai più giovani di entrare in ruolo al loro posto. Il tutto con un risparmio per le casse delle università". 

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UNIVERSITA’ A RISCHIO TSUNAMI
L’8% in Gran Bretagna, il 13,4% in Francia, il 22,5% in Italia. Si tratta delle percentuali dei professori ultrasessantenni presenti nelle università europee (fonte Miur). Il Belpaese, inutile dirlo, è purtroppo in testa. Un dato che diventa drammatico se si valuta da un lato che la percentuale di docenti d’età inferiore a trentacinque anni è pari appena al 4,6% (contro il 16% nel Regno Unito e l’11,6% in Francia) e dall’altro che oltre l’80% dei professori ha più di 50 anni 
 

La situazione però è destinata a peggiorare ulteriormente perché sull’Università si sta per abbattere un vero e proprio Tsunami demografico. La denuncia viene da una ricerca di 2 giovani ricercatori, Stefano Zapperi e Francesco Sylos Labini che su Science hanno lanciato l’allarme sul futuro che attende l’università italiana.
grafico di www.studenti.itPERCHE’ LO TSUNAMI?
La metafora dello Tsunami nasce dal fatto che la generazione dei professori tra i 50 e i 60, la maggioranza, tra circa quindici anni raggiungerà “la costa” dell’età pensionabile. Se non si interverrà in tempo sarà quindi necessario assumere in massa nuovo personale per sostituire i docenti che andranno in pensione.
IL TERREMOTO? UNA LEGGE DEL 1980
A provocare quest’onda è stata una legge, la 382 del 1980 che ha assunto ope legis come ricercatore e professore associato una vasta classe di figure orbitanti nel mondo universitario. Assunzioni urgenti di questo tipo sono, evidentemente, contrarie alla meritocrazia, per il semplice fatto di precludere l’ingresso ad un’intera generazione, piuttosto che un’altra. A seguito dello Tsunami, e con il conseguente pensionamento di massa di un’intera generazione, tra qualche anno si potrebbe ricorrere allo stesso tipo di assunzioni.
IN PENSIONE A 75 ANNI
A contribuire a questo stato di cose è la legislazione sul pensionamento dei professori universitari. In Italia, i lavoratori vanno in pensione in genere a 65 anni, mentre i professori universitari lo fanno 10 anni più tardi. Il limite è stato mantenuto fino alla legge 382/1980 che abbassa l’età di collocamento fuori ruolo a 65 anni e quella della pensione a 70. Un cambiamento così "rivoluzionario" non poteva durare a lungo e infatti la legge 230/1990 ha ristabilito la normativa precedente, definendo "opzionale" il collocamento fuori ruolo a 65 anni. Come se ciò non bastasse, nel 1992 si è permesso ai dipendenti dello Stato di rimanere in servizio per un ulteriore biennio oltre il limite di età, innalzando quindi l’età di permanenza in ruolo dei professori sino a 72 anni. Infine, la riforma Moratti (203/2005) ha abolito la permanenza fuori ruolo, fissando a 70 anni l’età della pensione. Questo però non cambia nulla, visto che la norma si applica solo ai nuovi assunti.
UN’INVERSIONE DI ROTTA
“Occorre un’inversione di rotta”, spiegano Francesco Sylos labini e Stefano Zapperi. “C’è bisogno di un ringiovanimento del personale accademico. Un processo che deve cominciare subito, per evitare di essere costretti a ripetere le assunzioni indiscriminate avvenute nel passato, palesemente contrarie ad ogni criterio meritocratico. Questo precluderebbe di fatto la carriera accademica ad alcune generazioni a vantaggio di altre sulla base di criteri puramente anagrafici”. Secondo i due ricercatori l’inversione di rotta potrebbe rappresentare anche un’importante contributo contro la fuga dei cervelli. “Se le cose restano così non si può sperare in alcun modo di invertire la fuga dei cervelli e di riportare l’università e la ricerca italiana al livello di quella degli altri paesi sviluppati”.
Matteo Scarlino

10 maggio 2007

 


 
 
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IL SALVAGENTE PER L’UNIVERSITA’? LA PENSIONE
Professori anziani mandati via per far posto ai più giovani. Succede a Torino. Bologna vuole copiare, ma solo per motivi economici. L’80% dei docenti italiani ha infatti più di 50 anni. I prof italiani sono i più vecchi d’Europa. E tra meno di 10 anni un ‘onda anomala rischia di sconvolgere gli atenei italiani

Prepensionamenti. E’ la nuova moda dell’università italiana, alle prese con tagli ai bilanci e tracollo demografico. A lanciarla è stata, prima fra tutti, l’Università di Torino che ha varato un piano per governare l’imponente ricambio generazionale in corso nell’ateneo, così come in molte università italiane. L’esempio, a quanto pare, sarà presto copiato anche da altre università, anche se i professori saranno mandati in pensione non per “governare il ricambio generazionale”, ma per il vil denaro. A segnare la scia in questo senso sarà molto probabilmente l’ateneo bolognese, il cui Rettore, Pier Ugo Calzolari, ha lanciato l’allarme sui conti dell’Università. Da qui un piano che attraverso i prepensionamenti mira a liberare nuove risorse per l’ateneo stesso.
IL METODO
In termini tecnici il piano bolognese si prefigura assai simile a quello torinese. Sostanzialmente ai professori che hanno raggiunto i 40 anni di contributi ed hanno almeno compiuto i 65 anni, sarà offerto, da parte della facoltà d’appartenenza, un contratto di collaborazione. In questo modo si consentirà ai professori di continuare la propria attività di ricerca e ai più giovani di entrare in ruolo al loro posto. Il tutto con un risparmio per le scalcagnate casse delle università.
TORINO, OBIETTIVI E PRIMI RISCONTRI
Il provvedimento nell’ateneo torinese era stato previsto anche dal predecessore dell’attuale rettore Pellizzetti, ovvero Rinaldo Bertolino che in tal senso si era mosso già nel 2002. Già quattro anni fa infatti si prevedeva che le uscite di massa dei professori sarebbero cominciate nel 2006, e sarebbero esplose dal 2007. Ora l’esodo è arrivato. Continuerà a crescere fino al 2012, fino a toccare quota 500. Sarà un passaggio di consegne generale, visto che i professori ordinari sono oggi 724, significa che i due terzi cederanno la mano entro 5 anni.
DAI PRIMI DATI, LO SCORSO ANNO HANNO OPTATO PER IL CONTRATTO CON LA FACOLTÀ 15 PROFESSORI
Il piano degli organici previsto dal rettore mira a evitare svuotamenti improvvisi di corsi di laurea e dipartimenti, graduando e favorendo le entrate di giovani. “Abbiamo deciso di non aspettare i pensionamenti per assumere ricercatori” hanno dichiarato Pelizzetti e il prorettore Sergio Roda a La Stampa. “Ne immetteremo in ruolo, fino al 2012, cento all’anno, indipendentemente dal numero di uscite di quell’anno: in questo momento stiamo assumendo più giovani di quanti professori escano. Cerchiamo di spianare un po’ lo scalino, evitando di far entrare di colpo 500 persone tutte insieme creando di nuovo un buco, un salto generazionale”.
BOLOGNA, IN PENSIONE PER RISPARMIARE
La prima proposta ai professori era partita da Umberto Eco con una lettera a Repubblica. “Io ho 75 anni e vado giustamente in pensione. In altri Paesi però i professori universitari vanno normalmente in pensione a 65. So benissimo che uno studioso di 65 anni può ancora essere attivissimo. Pertanto basta allargare la categoria dei Professori Emeriti, lo studioso che può vivere dignitosamente con la sua pensione continua a prestare attività di didattica o di ricerca nella misura in cui i suoi colleghi più giovani continuano a sollecitarla. Se poi uno studioso è di fama, continuerà talmente ad essere occupato da congressi internazionali e richieste da varie università che continuerà a lavorare sino a 90 anni”. La proposta ha trovato subito il plauso del Rettore Calzolari, ma di fatto è inattuabile per le rigide regole relative all’ingresso nella categoria di professori Emeriti, che fra l’altro non percepiscono stipendio.
Si è quindi deciso di puntare sullo stesso metodo torinese, ovvero incentivare i pensionamenti, offrendo contratti da firmare con le singole facoltà. Il pro rettore Busetto, nel presentare il piano, che sarà discusso entro giugno dagli organi accademici, ha tenuto a spiegare che “non significa che le persone vadano via prima di aver maturato i requisiti di legge. I docenti in età pensionabile potranno accettare, su base volontaria, di andarsene rimanendo a fare ricerca in Ateneo con un contratto ad hoc. L’Ateneo ha fornito anche dei dati. Sono 450 i potenziali docenti 65-75enni e secondo le stime dell’ateneo solo il 6% sfrutterà questa occasione nel primo anno e il 3% negli anni successivi.
LE REAZIONI DEI PROFESSORI
L’argomento ha monopolizzato l’attenzione di tutti i giornali bolognesi, trasformati in una piazza dove i professori hanno fatto sentire, nella maggior parte dei casi, il loro dissenso. Barbera, Barbagli, Balzani, Masotti, tutti professori di grandissimo prestigio che in blocco rifiutano l’ipotesi di andare in pensione. Così Barbera: “Non vedo che tipo di incentivi si possano mettere in campo, anche se capisco che sarebbe un modo per lasciare posto ai più giovani. Al mio lavoro intellettuale però ci sono troppo affezionato. Sulla stessa linea il professore Balzani: “Ho intenzione di andare avanti fino a che si può. Amo insegnare e fare ricerca e non c’è nessun premio economico che mi potrebbe allettare. A volte mi chiedo perché mi pagano tanto è bello quello che faccio”. Il sociologo Barbagli si accoda ai due colleghi: “Non ci penso proprio ad andare in pensione prima. Faccio così volentieri questo lavoro che nessuna forma di incentivo mi potrà convincere ad andare via prima”. Il fondatore del corso di laurea in Biotecnologie, Lanfranco Masotti si preoccupa invece del futuro della sua facoltà: “Se lasciassi ora non potrei garantire continuità. La cosa migliore è andare in pensione a 70-72 anni”.

Matteo Scarlino
10 maggio 2007
   
 


 
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TESTIMONIANZE DALL’UNIVERSITA’
Su questo tema abbiamo chiesto un’opinione a due "grandi" dell’università, Gianni Vattimo e Francesco Sylos Labini
 
PROF. GIANNI VATTIMO
DOCENTE UNIVERSITÀ DI TORINO, FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Sinceramente non ho ancora deciso se aderire al piano o meno. Quando faccio presente ai miei collaboratori i miei dubbi, prefigurando la possibilità di andare via, tutti loro mi chiedono di restare. Questo, ovviamente, se da un lato mi fa un enorme piacere, è indicativo del fatto che non è l’età a rendere un professore un problema.
Tuttavia non bisogna essere ciechi: il problema c’è ed è anche serio. C’è una lentezza impressionante nelle carriere universitarie italiane, con meccanismi da terzo mondo. Quando vedo ricercatori di 45 anni, mi viene una rabbia assurda: dovrebbero infatti essere in cattedra già da tempo.
Personalmente, come tutti i professori che hanno fatto politica, tutto vorrei fare, fuorché occuparmi della riforma universitaria. Conoscendo infatti i due mondi so bene che ci sarebbe bisogno di un vero e proprio bagno di sangue per far andare le cose così come dovrebbero. Per capirlo basta mettere piede nelle stanze del ministero: sembra di entrare in una catacomba, con faldoni enormi e procedure burocratiche anche per il più semplice dei documenti.
Per far funzionare l’Università bisognerebbe rendere più regolari i concorsi, rendendoli più veloci e trasparenti. Bisognerebbe creare una lista nazionale a cui tutte le facoltà possono attingere. Sarei anche d’accordo con un’università che decida di mandarmi in pensione a 65 anni. Lo devono fare però attraverso una legge e non demandando a me la decisione, mettendomi in una condizione di evidente difficoltà.
 
DOTT. FRANCESCO SYLOS LABINI
CENTRO RICERCHE ENRICO FERMI ROMA
Provvedimenti come i pensionamenti anticipati non rappresentano una soluzione globale al problema. Purtroppo bisogna dire che manca proprio un’idea generale su come mutare l’attuale stato delle cose. Manca, per dirla con una parola semplice, la programmazione per risolvere questo problema strutturale. In quanto problema strutturale non si può pretendere di risolvere la cosa con misure una tantum. Il problema si risolve nel tempo. Bisogna avere ben presente lo scopo che è quello di evitare che tra 15 anni un terzo dei professori vada in pensione contemporaneamente, costringendo il legislatore ad assunzioni Ope Legis che sono chiaramente e palesemente contrarie a qualsiasi criterio meritocratico.
Ciò deve passare attraverso varie riforme. Ad esempio si può pensare di mettere mano all’età pensionabile dei professori. In tutta Europa nelle università si va in pensione a 65 anni. Solo in Italia c’è l’assurda regola del 70 + 5. In Europa le figure precarie sono gli ultra 65enni. Questo perché dopo aver fatto la loro carriera vengono loro offerti contratti di collaborazione che fanno sì che l’Università non perda le personalità più valide, con tutto il bagaglio che loro possono portare in dote e dall’altro che i dipartimenti siano in mano a persone di al massimo 50-55 anni.
Molti collaboratori sono contrari al prepensionamento dei loro professori perché le loro possibilità di carriera, per come è strutturato il sistema italiano, sono legate all’anzianità e al prestigio dei professori.
Le valutazioni in generale devono alla base del sistema universitario. Il problema della valutazione però non deve essere quello di identificare i migliori, ma di eliminare i peggiori.
Matteo Scarlino

10 maggio 2007

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