Le famiglie in cattedra? Un problema culturale. Che si può condizionare attraverso i fondi. E svecchiando gli atenei senza cedere alla sanatoria. Parola di ministro (intervista a: L’Espresso)
22 January 2007

di Francesco Bonazzi

Più meriti e meno crediti. Più qualità e meno università. Più ricercatori e meno professori ordinari. Non è difficile trasformare in slogan le idee di Fabio Mussi, forse il ministro dell’Università più di sinistra che l’Italia abbia mai avuto. Piombinese, 56 anni ed ex ’normalista’ di Pisa, il leader del Correntone Ds fa il punto sulle magagne italiche: baroni che fanno il bello e cattivo tempo, precariato fuori controllo, gerontocrazia imperante e meritocrazia pressoché assente. Assicura che non farà sanatorie e promette di regolarizzare i docenti precari solo in base a una rigida valutazione meritocratica, caso per caso. Garantisce che il suo ministero si costituirà parte civile in tutti i processi di ’mala-università’. Però, prima di processare il sistema nel suo complesso, Mussi vorrebbe che si riconoscesse un punto per lui fondamentale: il nostro Paese investe in università e ricerca la metà dei suoi principali ’competitor’, per dirla in confindustrialese.

Ministro, cominciamo dalla madre di tutte le baronie: i concorsi universitari. Avrà il coraggio di cambiare le regole, senza farsi frenare dai corporativismi?
"In Italia è stato provato qualunque mix di sistemi concorsuali, ma il risultato è sempre il medesimo. In cattedra abbiamo intere famiglie, cordate feudali e amici dei politici. È evidente che qui c’è un problema culturale che va risolto prima di dedicarsi alle alchimie sul concorso perfetto. E voglio che la neonata Agenzia nazionale per la valutazione (Anvur) abbia un ruolo importante nella selezione dei docenti".

In varie città sono in corso processi per casi di concorsi truccati e lauree comprate. Che farà il suo ministero?
"Dove emergeranno casi di corruzione, ci costituiremo parte civile. Dopo di che, pur nel rispetto dell’autonomia universitaria, bisognerà che si trovi il modo di ’suggerire’ maggior senso di responsabilità. Penso ai bilanci dei singoli atenei, dove temo che a livello locale si esercitino controlli di budget molto ecumenici, per così dire".

E da Roma continuerete a dar soldi a tutti in modo indiscriminato, senza valutare i meriti degli atenei più virtuosi?
"No. Voglio invertire la tendenza. Oggi la quota di finanziamenti orientata dalla valutazione meritocratica è quasi zero. Sia per le università che per gli enti di ricerca. Vorrei che nei prossimi cinque anni si arrivasse invece a distribuire almeno il 30 per cento del fondo ordinario secondo requisiti di merito. È per questo che nasce l’Agenzia di valutazione. Per scattare una fotografia reale, stilare un ranking assoluto degli atenei e poi premiare i miglioramenti".

Lei gira per le università ripetendo ossessivamente due parole: merito e qualità. Ma da noi, fin dalle elementari, i più bravi sono guardati con un misto di antipatia e sospetto. Meglio copiare e fare i bulletti.
"Meritocrazia non vuol dire solo mettere in cattedra chi vale, ma far sì che nella società chi studia e ricerca goda del giusto rispetto. Perciò è giusto non fare sanatorie sui docenti, ma si deve anche capire che pagare mille euro al mese un ricercatore è socialmente non meritocratico. Questa degli stipendi è l’altra faccia del discorso su primi della classe e furbetti".

Però quando si pensa alla sinistra, non è che venga in mente subito la meritocrazia.
"Per me, un’università che premia il merito facilita il processo di equità sociale. Perché il merito non è il privilegio dei ricchi, ma la carta che hanno i poveri per riscattarsi. Dubito che a destra la pensino così. Il principale problema, semmai, è che mancano i soldi. In Italia non s’investe a sufficienza in università e ricerca".

Problema antico, ma sembra che nessuno voglia o sappia venirne a capo.
"Basta sfogliare anche solo le figure dell’ultimo ’Global R&D Report’, la bibbia internazionale su ricerca e sviluppo, per farsi un’idea di quanto siamo messi male. Nei diagrammi che combinano il numero di scienziati e ingegneri con la spesa per ricerca e sviluppo in rapporto al Pil, l’Italia sta nel quadrante più umiliante. Si fa prima a dire chi sta peggio: Portogallo, Ungheria, Polonia, Malesia, Turchia e Messico. Tutti gli altri, a cominciare dai paesi del G8, si muovono a distanze siderali".


Qualche cifra?
"La spesa italiana per l’università ammonta allo 0,88 per cento del Pil, contro una media Ocse dell’1,02. Se sommiamo anche la ricerca, il rapporto sale all’1,1 per cento, ovvero la metà della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Per non parlare della Germania, dove spendono il triplo. E la patrimonializzazione della sola Harvard sfiora i 26 miliardi dollari: più del doppio di quanto l’Italia spende ogni anno per tutte le sue università".

Ricorrere maggiormente ai privati?
"Va detto che in tutte le principali economie del mondo, laddove lo Stato mette un dollaro per la ricerca, i privati ne mettono almeno uno e mezzo, se non due. In Italia, quando il pubblico mette un euro, i privati ne investono mezzo. Insomma, ci fanno la predica sulle privatizzazioni, ma poi si assiste a un costante processo di statalizzazione. Come a Urbino, dove lo Stato acquista l’Università".

Niente privatizzazioni, dunque?
"La realtà è che in tutto il mondo assistiamo a un’autentica esplosione della spesa pubblica per il sapere. In Francia l’università è gratuita. E in Germania, per le famiglie, ha costi ben inferiori all’Italia".

Lo spieghi al suo collega Padoa-Schioppa.
"Già fatto, ma non è solo un problema di governo. L’Italia abbonda di soloni che credono che definanziando l’università pubblica si faciliti l’efficienza. Ma durante i cinque anni di governo delle destre, ci sono stati tagli del 20 per cento che hanno innescato solo una corsa a fare i furbi. Sono spuntati come funghi atenei privati che non vedono l’ora di diventare semi-pubblici e incassare soldi dallo Stato. Mentre per avere maggior accesso al fondo ordinario del ministero, molte università si sono dedicate al marketing più becero per attirare studenti".

Evidentemente il sistema lo permette. E qui torniamo a baronie e dintorni.
"Nessuno discute l’autonomia universitaria, ma che il numero dei corsi sia raddoppiato in pochi anni dovrebbe far riflettere tutti. Sono state aperte decine di succursali, concessi maxi-sconti sui crediti per attirare dipendenti pubblici con la promessa di lauree facili".

E lei che ha fatto?
Tra Finanziaria, collegato fiscale e decreto sulle classi di laurea, ho varato un ’Pacchetto Serietà’. Intanto ho fissato un tetto per gli sconti a quota 60 crediti. Poi ho inserito norme contro l’insensata proliferazione di sedi e corsi. E ho emesso un atto d’indirizzo, il massimo che potevo fare, per chiedere alle facoltà di mettere un freno alla concessione di lauree honoris causa a chiunque sia un minimo famoso, solo per mettergli addosso la felpa o il cappellino con il logo dell’ateneo".

Si ricordano tragicomiche lauree concesse a Valentino Rossi e Franco Califano...
"Niente contro queste simpatiche persone, ma la serietà degli studi è altra cosa. E le goliardate, anche".

Abbiamo i più vecchi professori d’Europa. E molti sembrano interessati alla cattedra solo per raddoppiare le parcelle.
"La nostra struttura del personale è surreale: quasi 20 mila ordinari, 19 mila associati e 22 mila ricercatori, alias professori di terza fascia. E ai piani bassi c’è un esercito di servi della gleba, variamente precarizzato, che tiene sulle spalle l’intero sistema. Mentre all’estero la struttura è piramidale, da noi ricorda una clessidra. Poi abbiamo il record mondiale della senescenza: l’età media degli ordinari è 59 anni; quella degli associati 52 e quella dei ricercatori 51. Pazzesco".

Che fare?
"Bisogna diminuire gli ordinari e aumentare i ricercatori. Per quest’ultimi abbiamo stanziato 20 milioni in più nel 2007; 40 nel 2008 e 80 nel 2009. Abbiamo la possibilità di assumere in pochi mesi 2 mila precari. Ammetto che è poco e mi darò da fare al massimo per aumentare gli stanziamenti già nei prossimi mesi".

E sullo svecchiamento?
"Dovremo eliminare un’altra anomalia tutta italiana: la marea di ultrasettantenni fuori ruolo che fanno da tappo. E approfittare del fatto che nei prossimi anni metà degli ordinari andrà in pensione".

Come evitare che gli studenti vedano certi professori-vip solo in foto?
"Una parte importante della loro retribuzione dev’essere mobile, in modo da premiare chi si dedica di più all’insegnamento e alla ricerca tra le mura della facoltà".

Molti aspettano un’infornata di precari con una sanatoria di massa stile anni Ottanta. Migliaia di ricercatori con i capelli bianchi, e ormai scarsa voglia di ricercare, assunti direttamente per legge.
"Lo so che c’è questa attesa, ma non intendo fare sanatorie. Assumeremo più ricercatori possibile, certo. Perché il mio obiettivo è di averne 30 mila nel giro di dieci anni. Ma le assunzioni saranno fatte valutando storia e meriti individuali".


Fonte: http://espresso.repubblica.it

 

 

 

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