Antonio Funedda, docente di Geologia strutturale nel Dipartimento di Scienze chimiche e geologiche di UniCa, intervistato da L'Unione Sarda e dal TGR RAI Sardegna ha sottolineato come le valutazioni fatte dalla SOGIN per l'individuazione dei siti sardi idonei allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi siano basate su dati obsoleti e incompleti. "Scelte di questo genere necessitano di studi geologici approfonditi, soprattutto per i rischi idrogeologici". GUARDA IL VIDEO E LEGGI L'INTERVISTA
11 January 2021
Antonio Funedda intervistato dal TGR RAI Sardegna

"I parametri idrogeologici utilizzati sono inadeguati e necessitano di indagini suppletive" così Antonio Funedda, docente di Geologia di UniCa, sull'individuazione dei siti sardi per lo stoccaggio delle scorie nucleari

Roberto Ibba

Cagliari, 11 gennaio 2021 - Il docente di Geologia strutturale di UniCa Antonio Funedda, intervistato dal TGR RAI Sardegna e da L'Unione Sarda, grazie alla collaborazione dell'Ufficio stampa dell'Ateneo, ha evidenziato come i parametri utilizzati per l'individuazione dei siti sardi (tra Marmilla, Trexenta e Sarcidano) idonei alla costruzione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi siano insufficienti e i dati obsoleti.

Nel servizio firmato da Mauro Scanu per il TGR Sardegna, Funedda sottolinea come per le aree individuate non ci siano sufficienti studi sia sui rischi di frane e alluvioni, sia per quanto riguarda le falde acquifere sotterranee. Intervistato da Andrea Artizzu per L'Unione Sarda ha espresso in modo più esteso questi concetti, evidenziando anche che i mancati investimenti negli studi sul territorio, basati su progetti di ricerca pluriennali, oggi non permettono di avere i dati necessari per confutare queste scelte. "Invece in questo momento ci ritroviamo a rincorrere l'emergenza" chiosa Funedda nella videointervista su unionesarda.it.

Antonio Funedda intervistato per unionesarda.it
Antonio Funedda intervistato per unionesarda.it
Servizio di Mauro Scanu nell'edizione del TGR RAI Sardegna delle 19.30 del 5 gennaio 2020 condotto in studio da Elisabetta Atzeni

RASSEGNA STAMPA

L'UNIONE SARDA del 7 gennaio 2021

Primo Piano - pagina 5

Parla Antonio Funedda: gli studi della Regione sul territorio risalgono al 2005

«L'analisi sui siti non è approfondita»

Rischi idrogeologico, sismico e geomorfologico non adeguatamente analizzati e cartografia non aggiornata. Lo studio per la realizzazione di depositi di scorie nucleari in Sardegna è quantomeno superficiale. Da approfondire c'è scritto nelle schede elaborate dalla Sogin preludio alla realizzazione di 14 depositi in 22 comuni dell'Isola sparsi tra Cagliari e Oristano. In queste condizioni è impensabile ipotizzare quanto pubblicato sulla Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ricevere le scorie nucleari, redatta da Sogin e approvata dai ministeri dello Sviluppo e dell'Ambiente. Perché se è vero che la Sardegna ha un basso rischio sismico (anche se non nullo) è altrettanto vero che il la probabilità che si verifichino alluvioni è molto elevata. Per non parlare delle falde acquifere delle quali spesso non si conosce la posizione e la portata. Ed è ben noto che il nemico numero uno delle scorie nucleari è proprio l'acqua. Antonio Luca Funedda è professore di Geologia strutturale all'Università di Cagliari, e oltre a essere uno studioso è anche un profondo conoscitore del territorio.
Professore, perché i depositi in Sardegna?
«C'è stato un primo screening basato su parametri internazionali. La nostra Isola ha bassa sismicità e quegli impianti sono costruiti per subire sollecitazioni molto rilevanti. La morfologia del territorio della Sardegna, nella sua storia geologica, ha molte aree pianeggianti non recentissime, con pendenze inferiori al 10 per cento, pochi gradi di inclinazione. Poi ci sono altri parametri non geologici come la scarsa densità di popolazione».
Quali sono i fattori di rischio più pericolosi per questi depositi?
«Quello sismico non è unico. Le aree devono avere un basso o nullo rischio di inondazioni, idrogeologico o geomorfologico (con scarsa franosità) e che non abbiano acquiferi rilevanti vicino alla superficie. Tutti questi elementi, identificati come criteri di esclusione, sono basati su dei dati non aggiornati. Per il rischio frane ci si affida a un catalogo del 2005, elaborato con risorse e tempi talmente stretti che tutti noi sappiamo non essere esaustivo. La Regione ha predisposto con un po' di lentezza un nuovo studio delle frane già avvenute. Quello attuale è assolutamente insufficiente e lo dimostra il fatto degli eventi che ci sorprendono in aree che non reputavamo pericolose».
Dove andrebbero stoccate queste scorie?
«In caso di sisma e alluvioni viene messa a rischio la stabilità del manufatto e del sistema di contenimento delle scorie. Il deposito geologico con caratteristiche a lunghissimo termine non è stato ancora trovato. È un problema a livello mondiale. La cosa importante è quando pianifichiamo il territorio e non lo conosciamo andiamo incontro a errori. Non abbiamo una cartografia adeguata, per questo primo screening - per esempio - è stato utilizzato un modello digitale del terreno a 20 metri. Un dettaglio troppo basso, non adeguato per individuare pendenze in piccole aree. Alcuni di questi siti destinati al deposito di scorie non risponderebbero ai criteri se analizzati con maggiore dettaglio».
Studi vecchi e non approfonditi per un argomento così delicato.
«La pericolosità idrogeologica, geomorfologica idraulica viene studiata utilizzando strumenti dei quali conosciamo i limiti, su dati non aggiornati. Per le inondazioni è evidente. Sarebbe il caso di aggiornare questi studi. Esistono falde acquifere verticali in grado di andare a interferire sui manufatti. Ecco, sono necessari altri approfondimenti».
Ritiene sicure le zone individuate per le scorie?
«No, alcune vanno indagate. Ci sono aree che lasciano perplessi. Se come Regione ci fossimo dotati per tempo di queste conoscenze le nostre risposte sarebbero state più pronte e messe a disposizione per consentire di escludere alcune aree. E questi studi noi si fanno in due giorni. Hanno necessità di tempo e risorse. Non abbiamo fatto sistema».
C'è il rischio che la Sardegna diventi la pattumiera del nucleare?
«No, penso che molte aree non siano adatte alla realizzazione dei depositi, soprattutto nella zona più meridionale della Marmilla e dell'Oristanese. Non idonee per stabilità generica necessarie. Però è necessario approfondire e dimostrarlo con i dati».
Andrea Artizzu

L'intervisa a Antonio Funedda su L'Unione Sarda del 7 gennaio 2021 a pagina 5
L'intervisa a Antonio Funedda su L'Unione Sarda del 7 gennaio 2021 a pagina 5

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