Sulla rivista “Vegetation History and Archaeobotany” pubblicato il risultato del lavoro sviluppato da un team di prim'ordine: HBK (l’Orto Botanico dell’Ateneo), il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e e Territorio con la Soprintendenza e il CSIC
di Sergio Nuvoli
Cagliari, 16 maggio 2018 - Le prime evidenze di coltivazione in Sardegna di diversi alberi da frutto risalgono al periodo Fenicio e Punico: è quanto documentato dall’équipe archeobotanica di HBK (l’Orto Botanico dell’Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che à conto dei risultati delle ricerche effettuate.
Ritrovati sul fondale della Laguna di Santa Giusta resti di mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti presso la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all’interno delle celle frigorifere con l’obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l’eventuale DNA antico ancora presente.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori.
Gli studi proseguono adesso su altri contesti subacquei della Sardegna per approfondire gli esiti e ragionare anche in termini di valorizzazione delle varietà locali
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l’origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un’ottica di valorizzazione delle varietà locali.
Figura: immagini degli esemplari rinvenuti nella laguna di Santa Giusta. a endocarpo di Prunus dulcis (mandorlo); b endocarpo di Prunus domestica (susino); c endocarpo di Olea europaea (olivo); d endocarpo di Prunus spinosa (prugnolo); e semi di Juniperus oxycedrus (ginepro); f semi di Vitis vinifera (uva); g semi di Lagenaria siceraria (zucca da vino); h semi di Citrullus lanatus (anguria); i noccioli di Corylus avellana (nocciolo); j frammento di endocarpo di Juglans regia (noce); k Potamogeton sp. (pianta acquatica).
RASSEGNA STAMPA
LA NUOVA SARDEGNA del 17 maggio 2018
Ortaggi e frutta degli antichi sardi
Trovati susine, angurie, pinoli e noci risalenti al 500 a.C.
Sezione Prima Pagina
Susine, angurie, olive, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro in tavola e nella dieta degli antichi sardi. Tutto rigorosamente prodotto nell'isola, secondo quanto documentato dall'équipe archeobotanica dell'Orto botanico dell'ateneo di Cagliari. Ortaggi e frutta risalenti al 500 a.C. e ritrovati sul fondale della laguna di Santa Giusta.
LA NUOVA SARDEGNA del 17 maggio 2018
Gli antichi sardi erano anche contadini
Ritrovati nella laguna di Santa Giusta resti di susine, angurie, pinoli e noci risalenti al 500 a.C.
CAGLIARI Susine, angurie, olive, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro in tavola e nella dieta degli antichi sardi. Tutto rigorosamente prodotto nell'isola, secondo quanto documentato dall'équipe archeobotanica di HBK (l'Orto botanico dell'ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell'Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l'Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su "Vegetation History and Archaeobotany", una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore.Un articolo che documenta i ritrovamenti degli archeologi sul fondale della laguna di Santa Giusta, che successivamente sono stati trasferiti presso la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all'interno delle celle frigorifere con l'obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l'eventuale Dna antico ancora presente. Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell'uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori. Si tratta di ritrovamenti di grande importanza, che danno anche nuovi impulsi per proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l'origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un'ottica di valorizzazione delle varietà locali.Del resto questi argomenti stanno riscuotendo un grande interesse negli ultimi anni, a partire dalla notizia che furono proprio i sardi a coltivare la vite e a produrre il vino nel Mediterraneo quasi tremila anni fa. Una scoperta anche questa della stessa équipe archeobotanica dell'Orto botanico dell'ateneo cagliaritano, che 6 ha dimostrato che in Sardegna la coltivazione della vite domestica non sia stata un fenomeno d'importazione, fino a quel momento attribuito ai Fenici che colonizzarono l'isola, ma un fatto prettamente autoctono. Quel lavoro aveva dimostrato che i resti organici ritrovati in perfetto stato di conservazione in un pozzo, che faceva da "frigorifero" naturale a un nuraghe nelle vicinanze di Cabras, fossero semi di vite - in particolare di vernaccia e malvasia - e risalissero all'Età del bronzo medio. A chiudere la discussione fu poi l'esame di alcuni resti organici contenuti in un torchio nuragico ritrovato nei pressi di Monastir: le analisi chimiche rivelarono tracce dell'acido tartarico presente nell'uva e così tutti i dubbi sono stati fugati perché quel torchio ad altro non poteva servire se non alla produzione del vino.
(ANSA) - CAGLIARI, 16 MAG - Alberi da frutto in Sardegna anche nel periodo fenicio e punico. Si produceva un po' di tutto: uva, mandorle, angurie, susine, prugne, noci. È quanto documentato dall'equipe archeobotanica di HBK (l'Orto Botanico dell'Università di Cagliari), in collaborazione con il dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell'Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l'Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su "Vegetation History and Archaeobotany", una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta. Poi sono stati trasferiti alla Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell'uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori. Le ricerche continuano anche in altri siti. (ANSA).
L'UNIONE SARDA online
Coltivazione da frutto? In Sardegna già con i Fenici e i Punici
CULTURA » SARDEGNA
La coltivazione da frutto in Sardegna è una pratica dalle antichissime origini, e le prime evidenze risalgono addirittura al periodo Fenicio e Punico.
A rivelarlo è uno studio condotto dall'équipe archeobotanica di HBK (l'Orto Botanico dell'Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell'Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l'Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC).
Le risultanze sono apparse in un articolo pubblicato su "Vegetation History and Archaeobotany", una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che dà conto dei risultati delle ricerche effettuate.
Le indagini, in particolare, hanno consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto – i resti vegetali rinvenuti sono riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro - probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti nella Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali, inoltre, sono stati conservati all'interno delle celle frigorifere con l'obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l'eventuale DNA antico ancora presente.
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, gli studi proseguono su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l'origine delle specie frutticole anche in un'ottica di valorizzazione delle varietà locali.
CAGLIARI, Le prime evidenze di coltivazione in Sardegna di diversi alberi da frutto risalgono al periodo Fenicio e Punico: è quanto documentato dall’équipe archeobotanica di HBK (l’Orto Botanico dell’Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che à conto dei risultati delle ricerche effettuate.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti presso la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all’interno delle celle frigorifere con l’obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l’eventuale DNA antico ancora presente. Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro.
Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori. Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l’origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un’ottica di valorizzazione delle varietà locali.
YOUTG.NET
Mandorle, noci ma anche uva e susine: i sardi coltivano alberi da frutto da 2500 anni
CAGLIARI. I sardi coltivavano gli alberi da frutta già dal periodo Fenicio-Punico. Da 2500 anni, quindi. È quanto documentato dall’équipe archeobotanica di Hbk (l’Orto Botanico dell’Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (Csic), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che dà conto dei risultati delle ricerche effettuate.
I materiali studiati, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti nella Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all’interno delle celle frigorifere con l’obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l’eventuale DNA antico ancora presente.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori.
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l’origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un’ottica di valorizzazione delle varietà locali.
Le prime evidenze di coltivazione in Sardegna di diversi alberi da frutto risalgono al periodo Fenicio e Punico: è quanto documentato dall’équipe archeobotanica di HBK (l’Orto Botanico dell’Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che à conto dei risultati delle ricerche effettuate.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti presso la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all’interno delle celle frigorifere con l’obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l’eventuale DNA antico ancora presente.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori.
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l’origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un’ottica di valorizzazione delle varietà locali.
TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Archeobotanica. Emergono evidenze di coltivazione di alberi da frutto in Sardegna a partire da periodo fenicio e punico
Le prime evidenze di coltivazione in Sardegna di diversi alberi da frutto risalgono al periodo Fenicio e Punico: è quanto documentato dall’équipe archeobotanica di HBK (l’Orto Botanico dell’Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che à conto dei risultati delle ricerche effettuate.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti presso la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all’interno delle celle frigorifere con l’obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l’eventuale DNA antico ancora presente.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori.
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l’origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un’ottica di valorizzazione delle varietà locali.
Le prime evidenze di coltivazione in Sardegna di diversi alberi da frutto risalgono al periodo Fenicio e Punico: è quanto documentato dall’équipe archeobotanica di HBK (l’Orto Botanico dell’Ateneo), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che da conto dei risultati delle ricerche effettuate.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta, successivamente sono stati trasferiti presso la Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all’interno delle celle frigorifere con l’obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l’eventuale DNA antico ancora presente.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori. Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l’origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un’ottica di valorizzazione delle varietà locali.
SARDINIAPOST.IT
Coltivazioni di alberi da frutto in Sardegna già in periodo fenicio e punico
Alberi da frutto in Sardegna anche nel periodo fenicio e punico. Si produceva un po’ di tutto: uva, mandorle, angurie, susine, prugne, noci. È quanto documentato dall’equipe archeobotanica di HBK (l’Orto Botanico dell’Università di Cagliari), in collaborazione con il dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, la Soprintendenza Archeologica e l’Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas (CSIC), in un articolo pubblicato su “Vegetation History and Archaeobotany”, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della Laguna di Santa Giusta. Poi sono stati trasferiti alla Banca del Germoplasma della Sardegna (BG-SAR) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro. Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai Fenici e dai Punici tra il 500 e il 200 a.C. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell’uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori. Le ricerche continuano anche in altri siti.
Nuove scoperte archeobotaniche nella laguna di Santa Giusta, grazie alle indagini condotte dai ricercatori del dipartimento di storia, beni culturali e territorio e del centro servizi Hortus Botanicus Karalitanus dell'università di Cagliari, offrono nuove informazioni sull'alimentazione e le prime evidenze di coltivazione di alberi da frutto da parte dei fenici e punici nell'isola.
Le indagini hanno permesso di verificare la presenza di resti vegetali riferiti a mandorle, nocciole e noci a cui si aggiungono numerosi semi di vite, susino, anguria, olivo, zucca da vino, pinoli e bacche di ginepro.
Lo studio ha consentito di documentare la presenza in Sardegna dei primi alberi da frutto probabilmente introdotti dai fenici e dai punici tra il 500 e il 200 a.c. e rappresenta attualmente una delle prime testimonianze dirette dell'uso di queste risorse da parte di questi popoli navigatori.
Le prime evidenze di coltivazione in Sardegna di diversi alberi da frutto risalgono al periodo fenicio e punico: è quanto documentato dall'équipe archeobotanica di hbk (l'orto botanico dell'ateneo), in collaborazione con il dipartimento di storia, beni culturali e territorio dell'Università di Cagliari, la soprintendenza archeologica e l'Instituto de Historia del Consejo Superior Investigaciones Científicas, in un articolo pubblicato su "Vegetation History and Archaeobotany", una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore, che dà conto dei risultati delle ricerche effettuate.
I materiali, tutti in ottimo stato di conservazione, sono stati recuperati dagli archeologi sul fondale della laguna di santa giusta, successivamente sono stati trasferiti presso la banca del Germoplasma della Sardegna (bg-sar) e analizzati dal punto di vista morfologico attraverso il confronto con le collezioni di materiali moderni. Tutti i materiali sono stati conservati all'interno delle celle frigorifere con l'obiettivo di preservare sia la loro morfologia che l'eventuale dna antico ancora presente.
Visti gli incoraggianti risultati ottenuti con queste ricerche, proseguono gli studi su altri contesti subacquei della Sardegna per meglio comprendere l'origine e la domesticazione delle specie frutticole anche in un'ottica di valorizzazione delle varietà locali.